Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte"                                                                                                 Le mostre
A MOSCA...
A MOSCA...

Galleria d'Arte Moderna,  Bologna,  1992

"Il Resto del Carlino"
30 settembre 1992

 

Variante generazionale

Quando finisce un'ideologia, un'ideologia forte come quella del socialismo sovietico che ha saputo cancellare per decenni anche solo la possibilità di un'alternativa, di un pensiero diverso che partecipasse attivamente a dare regola, forma e immagine alla vita, esplode in mille modi la voglia di libertà, di individualismo, s'infrangono gli idoli in cui s'era anche creduto e sperato, si ironizza coi simboli esautorati ormai vuoti di valore, si ama euforicamente un modernismo di riflesso altrove già fuori moda, si riscopre la propria storia più lontana, si dimenticano i tempi in cui ci si adattava, si svelano le proprie resistenze segrete. E' insomma lo scenario catartico che segue ad ogni "rivoluzione". A Mosca... ora succede tutto questo, e certo politicamente e socialmente molto altro di cui non è nostro compito occuparci. Mentre cerchiamo invece di cogliere il senso culturale e umano del nuovo immaginario artistico moscovita, come ci viene proposto dalla mostra attualmente aperta alla Galleria d'arte moderna di Bologna e intitolata appunto "A Mosca...a Mosca...". Dunque, che tipo di espressione artistica hanno prodotto durante gli Anni Ottanta e questo esordio dei Novanta gli artisti dell'ex capitale dell'Unione Sovietica, mentre la storia prima con la Perestroijka e poi col crollo del Partito, andava cambiando sotto i loro occhi le grandi regole che avevano ordinato la vita di tutti i popoli dell'URSS? La mostra, tutta tesa ad un massimo livello di qualità, vuole appunto rispondere a questa domanda, rispettando come chiave di lettura quella per generazioni. Infatti questo aspetto si rivela determinante per comprendere il "tono" delle diverse opere esposte, tutte realizzate durante l'ultimo decennio da una quarantina di artisti di età diverse, e perciò con un diverso tipo di rapporto e coinvolgimento con l'ideologia comunista. Il senso più profondo di questa variante generazionale l'ha spiegato Il'ja Kabakov, uno degli artisti protagonisti, nel corso di una conferenza stampa. Kabakov ha costruito il suo discorso con rigore e riflessione, offrendo, quasi in contrasto con lo spirito disinvolto ed estroso della mostra, proprio un risvolto più "datato" dello stile russo. D'altronde è lui stesso annoverato tra gli artisti della prima generazione, quelli che, nati all'inizio degli Anni trenta, hanno vissuto a fondo l'epoca della cosiddetta "civilizzazione sovietica", anche nei suoi aspetti più cupamente oppressivi. Nelle sue parole, questa lunga complessa evoluzione, si condensa in una pacata successione di fasi storiche a cui corrispondono tipologie artistiche ben definibili, basate su diversi gradi di consapevolezza del latente, e dissimulato, crollo degli ideali. "Ora - ha detto Kabakov, - è la fine dell'Utopia Grande, queell'utopia che dal '17 anche molti artisti avevano condiviso, nella speranza di costruire il mondo con grande entusiasmo, come fosse un paradiso, un paradiso lontano, ma raggiungibile. Con Stalin quest'epoca finì. Quando Stalin dichiarò 'Il futuro splendido è già avvenuto', ci si rese conto che il paradiso che tutti i sovietici desideravano non era più in cielo, ma in terra. Era un'invenzione geniale. Tutti i sovietici vissero così in paradiso, tutto doveva fiorire sotto la pressione staliniana. Il realismo socialista rappresenta perfettamente questo periodo dove tutto doveva essere bello. Poi con Breznev tutto andò verso la distruzione generale e cominciò a prendere forza un'arte anticonformista, non ufficiale. Era quella un'epoca di grandi fratture tra ciò che veniva dichiarato e ciò che era la realtà. Finchè in una fase più avanzata si ebbe coscienza che tutto era 'morto', ma tutti credevano che questa vita sarebbe durata per sempre. Nel '91 è caduta la civilizzazione sovietica e non se l'aspettava nessuno; - ha continuato Kabakov- l'arte dell'ultimo periodo, quella in mostra, è dunque il risultato più avanzato di una creatività non ufficiale che dal '57 ha visti impegnati molti artisti, non solo a Mosca e a Leningrado. La censura ufficiale negava quello che produceva questo gruppo, i cui aderenti dimostravano di non voler essere 'Uomini Sovietici'; si vide in quest'arte una beffa contro la società sovietica; gli artisti erano considerati 'spie' e 'nemici del popolo'. In questo modo, tre generazioni di artisti hanno lavorato, con l'idea precisa di rivelare attraverso la loro arte che c'era nel sistema qualcosa che non funzionava. Queste tre generazioni sono quelle che vengono ora presentate a Bologna. Il primo gruppo è quello che vide i tempi cupi della paura, delle persecuzioni staliniane, il secondo accentua l'humour e l'ironia, senza avvertire più il peso della tragedia, il terzo è quello degli artisti più giovani che possono analizzare ora tutto quello che è successo". E' questa dell'artista Il'ja Kabakov una testimonianza da non dimenticare nel visitare la mostra; si potranno ritrovare infatti nelle reazioni estetiche pur così diverse di questi artisti moscoviti, i riflessi di quel 'no' clandestino, di quell' 'essere contro' sussurrato e adombrato fino a ieri, e nelle opere più recenti l'esplosione di euforia, di colore e di curiosa ricettività.

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