STEFANO MANZOTTI
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CON-FUSION
Nella pittura del giovane Stefano Manzotti una stimolante commistione di passato e contemporaneità
Per anni si è dibattuto sulla questione se la pittura sia ancora un mezzo espressivo vitale, se la sua “debolezza” all’interno di un mondo tecnologico possa trasformarsi in un punto di forza, per rappresentare valori come la differenza, l'unicità, il singolare... Siamo negli Anni Dieci del Duemila e la pittura è di fatto protagonista delle grandi manifestazioni dell'arte attuale, poiché si è finalmente capito che con la sua sopravvivenza sono in gioco le radici stesse della cultura del mondo occidentale e le residue possibilità di rappresentazione della nostra realtà in termini di arte pittorica. In una società che tende all'omologazione degli stili, alla banalizzazione dei messaggi, che sempre più si affida a tecnologie avanzate per costruire le sue immagini vincenti e convincenti che viaggiano rapidamente in rete planetaria, all'arte spetta il compito di esprimere i punti di vista singolari, e per far questo molti artisti scelgono ancora la pittura come luogo della emanazione dalla loro unicità, privilegiandola a mezzi espressivi certamente più omologhi alla contemporaneità come la fotografia e il video. La posta in gioco è molto alta poiché oggi il sistema dell'arte ha finalmente sdoganato concettualmente la pittura, riconoscendole soprattutto nelle sue declinazioni più forti e propositive un eccezionale valore di cultura e di mercato. E' per questo che scommetto sempre sulla possibilità di trovare un pittore che mi sorprenda, che attraversi gli stili già noti e tracci un orizzonte “differente”. Invitata dall'amico Giuliano Roversi Monaco vado a scoprire cosa sta elaborando un giovane che lavora a Bologna, Stefano Manzotti. Lo studio è una specie di "tana", l'odore è quello d'atelier dove di consuma il rituale della pittura ad olio con le sue diluizioni grasse, la trementina, la materia che lentamente asciuga e satura l'aria del suo aroma. La stanza dà la sensazione di un’immersione nel passato, pareti e scansie sono sparse di oggetti che rivelano una patina d'abbandono, relitti e sedimentazioni della vita e di altre vite, scatole, porcellane, molti attrezzi pendono anche dal soffitto, reti da pesca, galleggianti, mazzi di grossi ami, uncini, tante memorie del mare, e naturalmente gli attrezzi del mestiere, barattoli, pennelli. L'ambiente è certamente insolito, ma nei quadri è la vera sorpresa. Stefano Manzotti ha l'animo di un pittore caravaggesco del Seicento che vede il mondo immerso in un chiaroscuro potente, dove riverbera il mistero dell'uomo, delle cose e del loro destino, ma ha anche la coscienza critica di un giovane del Duemila che sta prendendo coscienza della paurosa accelerazione e impoverimento di ideali che ha subito il mondo negli ultimi tempi. La pittura è a tratti gestuale e sprezzante, a tratti indugia in una resa più dettagliata soprattutto sulle forme dei relitti oggettuali, altrove sui volti diventa scandaglio della personalità. Manzotti sembra così trasvolare la storia dell'arte, fermandosi per cogliere suggestioni dal passato, e farle sue immergendole in una luce contemporanea non priva di inquietudini. In alcune nature morte si ritrovano vivificati nella metamorfosi pittorica gli oggetti polverosi e inerti degli scaffali; qualche paesaggio minuto è studiato in punta di pennello su tavolette di legno; un ritratto del padre in abiti da moschettiere unisce il virtuosismo fiammingo con cui è realizzato il volto con l'ironia della sigaretta accesa tra le labbra e i colori sfacciati e un po' kitsch del costume da carnevale; un bambino immerso in un ombra fonda come la notte chino su una piccola scultura riassume tutta la poesia che il naturalismo ha sempre dedicato agli umili, alcuni piccoli ritratti di suonatori di chitarra hanno la smagliante qualità di un iperrealismo in formato miniatura; infine in un autoritratto il pittore si è collocato in una dimensione sospesa e chiara, evidentemente fuori dal tempo. Se l'arte è la non-omologazione, la differenza, l'estraneità ai luoghi comuni, certamente questo giovane sta facendo una strada tutta sua e il risultato, certamente in divenire, mostra potenzialità notevoli, e beneficia di una sorta di prolifica confusione, cui forse gioverà non tanto la chiarezza, ma una capacità di sintesi e di coraggio, nella commistione delle varie seduzione che egli sente e che lo tengono in bilico tra una storia dell’arte che lo avvince ai suoi ideali di bellezza e armonia, e un presente che incombe con le sue necessità espressive aderenti al vissuto.
Stefano Manzotti è nato a Bologna nel 1975.
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