SIBERIAN TERROR

Capitolo I

Finalmente il viaggio sta per finire. Non ne posso più, dopo quindici giorni passati tra carrozze, treni e navi, per arrivare in questo remoto paese ai confini con la steppa russa. Ho ancora davanti agli occhi il direttore, che nove giorni fa mi chiamò nel suo ufficio...

"Carissimo Jones, ho qui un incarico estremamente importante da affidarle. La prossima settimana dovrà recarsi a Hanty-Mansijsk, in Siberia."

"Dove, scusi?"

"Ho detto in Siberia. Per un servizio giornalistico particolarmente importante. Ho scelto lei poiché qui in redazione contiamo molto sul suo futuro di giornalista. Spero ci conti anche lei, dopotutto."

Quel Maledetto! Ottiene tutto con i suoi ricatti, anche mandarmi qui, a quattromila km. da Londra per un servizio sul presunto ritrovamento del cadavere di una creatura metà umana e metà animale. Non capisco come posso aver ceduto ai suoi ricatti...

La carrozza si ferma. Intuisco che dovremmo essere arrivati, così scendo e mi guardo intorno. Una nebbia che sembra perenne avvolge l'intera vallata, donandole un aspetto alquanto lugubre e minaccioso. Rimango immerso in uno strano torpore fino a quando un debole e lontano ululato mi riporta alla realtà. Pago il cocchiere, che mi indica un sentiero dicendomi qualcosa che non riesco a capire. Non faccio in tempo a fermarlo che egli è di nuovo sulla carrozza, pronto a spronare i cavalli, come se dovesse fuggire, lasciandomi esterrefatto. Che fretta aveva?

Il sentiero inizia lì, davanti a me, e prosegue, fino a perdersi nella nebbia. Non sapevo che ve ne fosse così tanta qui in Russia. Comincio ad avere freddo. E' meglio sbrigarsi a prendere questo sentiero. Mi ero raccomandato con il cocchiere di portarmi all' albergo più vicino al luogo del ritrovamento del corpo, per riposarmi dal viaggio.

Spero che l'abbia fatto.

Proseguo nella nebbia su questo viottolo che pare non avere fine, finché ad un tratto intravedo un debole luccichìo ad un centinaio di metri da me.

Affretto il passo e mi dirigo in quella direzione.

La luce proviene da una locanda totalmente avvolta nella nebbia dallíaspetto alquanto fatiscente. Mi avvicino alla porta e busso con insistenza. Qualcuno apre. E' una donna, dall'aspetto cupo e stranamente teso. Le chiedo in un russo piuttosto scadente se ha una camera da alloggiarmi. Ella pare capire poiché mi indica di seguirla al piano di sopra. La seguo mentre sale le scale.

In mano ha una lampada che emana una luce fioca e tremolante, la quale dona un'immagine ancor più tenebrosa all'intero luogo. La donna apre la porta di una camera, parlandomi ed indicandomi alcuni punti della stanza, ma non riesco a capire molto. Estraggo il portafoglio per ricompensarla, ma con un cenno lo rifiuta e tira fuori da una tasca un crocefisso, insistendo perché io lo prenda. Le faccio capire che ne posseggo già uno, ma lei insiste e me lo mette intorno al collo.

Dicendo qualcosa si fa il segno della croce e scende.

Capitolo II

Devo dire che ho trascorso una notte alquanto agitata: presumo dipenda dal viaggio, che è stato davvero estenuante, o forse dal fatto che non mi sono ancora ambientato in questo luogo. Anche perché sono qui solo da poche ore. L'orologio segna le otto. Spero sia pronta la colazione... è da ieri che non mangio. Ho ancora intorno al collo il crocefisso che mi ha dato la donna. Non riesco a spiegarmi il motivo per il quale me lo abbia fatto indossare. Sarà un segno di ospitalità... un uso del luogo.... All'improvviso la mia attenzione viene attratta da alcune voci che paiono provenire dal cortile interno della locanda. Mi avvicino alla finestra per vedere, ma non faccio in tempo, poiché quando getto lo sguardo di sotto non vi è più nessuno. Di chi erano quelle voci? Non faccio in tempo a guardare meglio che un brivido freddo mi sale lungo la schiena: sul davanzale, nel nevischio, vi sono le impronte di piedi e mani umane! Mi getto all'indietro, in preda al panico, cadendo sul pavimento ruvido. Chi c'era sul davanzale stanotte? Cerco di riprendere la calma, ma ciò che ho visto mi ha davvero fatto perdere la ragione. Le impronte di un uomo lì sopra, a dieci metri da terra... come ha fatto a salire? E soprattutto, cosa voleva? Mi rialzo ed esco dalla camera per andare a chiedere spiegazioni alla donna. Dal salone provengono delle voci: che siano le stesse di prima? Cinque persone più la signora stanno parlando animatamente. Appena mi vedono cala però il silenzio. Uno di loro mi indica dicendo qualche cosa ad alta voce, mentre gli altri annuiscono esplicitamente. Stanno discutendo di me. Che sia a riguardo delle impronte? Forse loro ne sanno qualcosa. Mi rivolgo alla donna, la quale prima che io possa parlarle mi slaccia i primi bottoni della camicia come per cercare qualcosa. E' interessata al crocifisso. Lo rivuole? No, anzi, lo mostra con furore agli altri, che si fanno il segno della croce. Sono forse pazzi? Cerco di spiegarle che di sopra c'è un problema, ma lei mi afferra un braccio e mi porta fuori. Facciamo il giro della locanda, fino al cortile interno, seguiti dai cinque. Siamo nel cortile, da dove venivano le voci. La donna mi incita a guardare in alto...

Oh Dio! Non è possibile! Non può essere vero! Dalla mia finestra cola sangue! Lentamente, inesorabilmente, un enorme rivolo rosso scende sul muro, fino a toccare terra, da un'altezza di dieci metri. E' follia. Rimango impietrito a fissare la scena. Stanotte lassù c'era qualcuno! Non ci posso credere. E' salito fin là in alto grondante di... o forse... portando... portando con sé qualcosa che grondava sangue! La donna e gli altri mi invitano a tornare dentro, fuori fa freddo. Mi viene offerta una tazza con dentro qualcosa, una tisana forse... ne ho bisogno, sono veramente scosso. Devo saperne di più.. appena mi sarò ripreso.

Capitolo III

La donna sa tutto. L'ho capito solo ora, dopo aver bevuto questíintruglio, che effettivamente mi ha rimesso un po' in sesto dopo la visione di poco fa. Ella è a conoscenza di qualche misterioso segreto che si cela nei dintorni di questa locanda, di qualcosa che è in un qualche modo legato agli strani avvenimenti delle ultime ore e che sembra ruotare intorno alla mia figura. Era lei, insieme a quei cinque strani personaggi, che parlava nel cortile poco fa, e probabilmente, anzi ne sono sicuro, l'argomento era quel sangue maledetto che gocciolava dal mio davanzale. E' tempo che mi spieghi cosa sta succedendo, altrimenti abbandonerò oggi stesso questo posto e farò ritorno a Londra. Mi avvicino e le chiedo esplicitamente cosa significano le strane impronte che ho trovato sulla mia finestra e che collegamenti vi sono tra queste e il sangue sul muro. La donna emette un sospiro, come se dovesse prepararsi a narrare qualcosa che le incute un particolare timore, qualcosa che mi è rimasto fino ad ora celato. Finalmente inizia a parlare. Il suo è un tono di voce lento, ma di una tranquillità che è solo apparente, poiché in certi momenti ella si fa il segno della croce. Passano dieci minuti. Mi ha detto tutto.

Scoppio in una fragorosa risata, la prima da quando sono qui. E' troppo esilarante, a tal punto che metto in discussione la sanità mentale della donna. E' dunque questa la verità? E' di questo che hanno tutti paura? Non ci posso credere. La terribile minaccia, l'orrore per il quale è necessario farsi il segno della croce ad ogni istante saerebbe un vampiro! Una favola per bambini! "Ma andiamo!" le ho risposto io. Siamo nel 1927! Chi è che crede ancora a queste fiabe? Vampiri? Non-morti? Fossimo in Transilvania capirei, ma in Siberia! E invece no. Lei è convinta di tutto! Ha dato loro anche un nome: "Vrlak"! Ha detto che ce n'è più di uno e che vivono qui da centinaia d'anni, nascosti chissà dove. Andrà a finire che il cadavere per il quale sono venuto qui è quello di un vampiro! Sono capitato in una gabbia di matti, che probabilmente hanno inscenato tutta questa storia per attirare turisti, stampa e chissà chi altri. Pazzesco!

Basta. Domattina torno indietro, ne ho abbastanza. Non mi va di essere preso in giro dopo aver viaggiato per quattromila chilometri. I cinque uomini non hanno digerito la mia risata ed ho avuto modo di sentire più volte l'appellativo "miscredente" pronunciato nei miei confronti. La donna ha poi scosso la testa in segno di disapprovazione. Non ammette che io non creda alle sue favole! Come se mi importasse quello che pensano! Ne ho abbastanza. Torno in camera a preparare le valigie.

Capitolo IV

Ho passato l'intero pomeriggio a pensare in quale assurda situazione sono capitato: Dopo aver compiuto un viaggio di una lunghezza esasperante arrivo in un luogo inospitale che si rivela essere il teatro di una messinscena compiuta da sei persone le quali si divertono a divulgare notizie assurde. Solo il mio capo poteva cascarci. Certo, anch'io non ho brillato di scaltrezza, poiché mi sono precipitato qui come se, una volta arrivato, venissi scortato fino al cadavere e una volta esaminatolo... scoprissi chissà cosa.

E' quasi ora di cena, ma non ho fame. Credo che andrò a letto subito, poi domani, una volta alzatomi, farò venire una carrozza per andare alla stazione più vicina. Fuori nevica e fa freddo. Posso sentire il gelo penetrare qui dentro, che non è sicuramente una sensazione piacevole. Accenderò la stufetta a gas vicino al letto per stare più caldo.

Capitolo V

Credo che mi occorrerà prendere un sonnifero, altrimenti non vedo proprio come potrò addormentarmi. La luce della luna che riflette sulla neve illumina l'intera stanza, facendomi capire solo ora quanto sia piccola in realtà. Di giorno ho come l'impressione che sia più grande, ma da qui posso vederne ogni singolo particolare sotto una diversa prospettiva: la valigia, gli abiti appoggiati sulla sedia, i muri, la finest.... Oh mio Dio! No! No! Fuori dalla finestra... due occhi gialli mi stanno fissando! All'istante ogni mio pensiero cessa di esistere!

Devo cercare il crocifisso! Me l'ero tolto nel pomeriggio, irritato dalla donna... e non ricordo dove l'ho messo! Frugo dappertutto, cerco in ogni angolo della stanza, che all'improvviso si è fatta enorme, ma non riesco a trovarlo. Sento raschiare contro il vetro, ma ho troppa paura per guardare... Ad un tratto in un cassetto vedo il crocifisso: devo prenderlo immediatamente! Appena lo tocco volgo lo sguardo alla creatura, la quale dapprima emette un grido strozzato, poi cade all'indietro, rovinando malamente nel cortile. Mi precipito a vedere, ma dell'essere non c'é traccia. Allontanatomi dalla finestra barcollo un po' per la stanza, fino a trascinarmi sul letto. Sento dei rumori provenire dal salone: dev'essere la donna... forse ha udito tutto. Le braccia e le gambe mi tremano... aveva ragione! I vampiri sono reali!

Capitolo VI

Quando riapro gli occhi mi accorgo di non essere solo. Distinguo almeno tre persone attorno a me, e mi sembra che altrettante stiano confabulando poco distante. Pian piano la vista si fa più chiara, cosicché capisco di trovarmi nel mio letto in compagnia della donna e degli altri cinque. Uno di loro mi si rivolge in russo: "Siorei were luckied", ...sei stato fortunato. Il ricordo di ciò che ho vissuto durante la notte mi fa gelare il sangue nelle vene. Quasi svengo nuovamente. L'aver visto quella cosa sul mio davanzale e sapere che vi era già stata la notte prima ha fatto cadere ogni mio pregiudizio sull'esistenza di quelle creature menzionate dalla signora, facendomi piombare in un baratro di terrore. Quegli occhi! Gialli oltre l'inverosimile! Non riesco a capire dove ho trovato le forze per cercare il crocifisso: ero terrorizzato dalla paura! Per fortuna la donna mi aveva riempito la testa con quelle storie sui vampiri, informandomi sulla loro avversione verso tutto ciò che è sacro, altrimenti non so cosa avrei... cosa mi avrebbe fatto! La mia ignoranza andava di pari passo con la mia stupidità. Non credevo in ciò che non conoscevo. Ora però la verità è un'altra e spetta a me decidere se fuggire o rimanere ad indagare. Il cadavere dellíumanoide era sicuramente quello di un qualche vampiro, uno di quelli dei quali mi ha parlato la donna.

Cosa vogliono da me? Appena starò meglio scenderò in paese a cercare notizie di questi strane creature e una volta tornato a Londra le divulgherò al mondo intero.

Nel frattempo la signora mi ha preparato un'altra tisana delle sue. Sono sicuro che non mi farà altro che bene, come quella precedente. Le chiedo se è la prima volta che quei maledetti vampiri fanno la loro comparsa in questa locanda, ma lei risponde negativamente. Sono già stati qui! Uno dei cinque mi si avvicina e indica un punto preciso del suo collo, dove vi sono tre lunghe cicatrici. "Vrlak!, Vrlak!" urla. Un altro mi dice di avere perso una figlia, uccisa da quegli esseri mostruosi. E così via... ognuno di essi mi racconta un episodio della propria vita in qualche modo legato alla figura dei vampiri, finché ad un certo punto la donna li zittisce, dicendo che devo riposare. Ha ragione, sono ancora piuttosto stanco. E' strano come dopo aver capito che ora credo all'esistenza di quei mostri i cinque uomini mi abbiano narrato le proprie vicende. Forse ci eravamo malgiudicati: essi hanno solo bisogno di un po' di fiducia, dopo averne passate tante. Non gliel'ho data di sicuro, comportandomi così da stupido... da 'miscredente', volendo dirla alla loro maniera. Anche la donna... mi ha raccontato cose che nessuno prima di me aveva avuto la possibilità di conoscere e io le ho riso in faccia! Devo in qualche modo rimediare. Tra qualche ora andrò giù in salone, pagherò due giorni anticipati e cercherò di farmi indicare fonti per il mio prossimo viaggio in paese. Ora è meglio che dia ragione alla donna e mi riposi.

Capitolo VII

E' una fredda mattinata quella che mi si presenta fuori dalla porta della locanda. Un sole pallido fatica ad illuminare la radura, interamente avvolta dalla nebbia e un'aria gelida pervade sia me che chi mi è vicino, cioè la donna e gli altri. Ho saputo che lei si chiama Dubrovnik, ma ancora non so i nomi dei cinque uomini. Spero di poterli conoscere al mio ritorno. La signora mi ha spiegato il percorso per giungere il più rapidamente possibile in paese: dovrò farmi a piedi circa cinque chilometri in direzione nord, poi una volta arrivato ad un bivio, seguire la stradina che un cartello indica essere quella per il centro cittadino di Hanty-Mansijsk.

Spero proprio di non perdermi. La Dubrovnik mi raccomanda di stare attento, poiché a suo avviso "le apparenze ingannano." Tengo così il crocifisso a portata di mano. Anche gli altri mi incoraggiano, a modo loro... facendomi rivedere ciò che quelle creature hanno fatto sui loro corpi. Mi incammino nella radura, tra la nebbia, stando attento a dove metto i piedi, poiché essendo difficile vedere il terreno, un passo falso potrebbe rallentare il mio viaggio. Non so bene cosa sto cercando: non posso certo stanare una comunità di vampiri e andarmene come se niente fosse... cosa posso fare? Ucciderli tutti? E come, poi? Non ho la stoffa dell'ammazza-vampiri: sono solo un giornalista. Certo però che se anche trovassi ciò che cerco, cosa farei dopo? Lo divulgherei al mondo, ma chi ci crederebbe, chi sarebbe disposto a darmi ragione? L'idea di tornare indietro mi passa più volte per la testa, ma cerco di respingerla, in nome della mia innata curiosità... che però stavolta potrebbe rivelarsi pericolosa. Il percorso si fa tortuoso e un freddo sempre più pungente inizia a congelarmi letteralmente le vene, ma resisto allungando il passo. Passata mezz'ora mi accorgo di essere arrivato al bivio. Il nome Hanty-Mansijsk è riportato in cirillico su una freccia di legno consumato che indica di prendere la strada di destra. L'altra é per un paese sconosciuto che dovrebbe sorgere ai piedi della valle sulla quale sono ora. Hanty-Mansijsk è invece sul pendio di una collina, avvolta totalmente dalla nebbia. Ha un aspetto davvero minaccioso. Credo di non rendermi conto di cosa sto facendo. Seguo la ripida stradina che mi porterà in questo luogo con un senso di timore che cresce mentre mi avvicino. Comincio a scorgere le prime case: il loro aspetto sembra rispecchiare l'atmosfera di desolazione che si respira qui in Siberia. In pochi minuti raggiungo il centro del paese, che conta non più di cinquanta case. Al centro di una piccola piazza scorgo alcune persone, le prime che vedo da quando sono arrivato, che parlano e si guardano intorno. Ad un certo punto uno di loro mi vede e comunica la mia presenza agli altri, che mi scrutano curiosi. Mi avvicino per scambiare due parole, consapevole del fatto che quei quattro uomini potrebbero non essere quello che sembrano. Avvicinatomi, chiedo dove posso trovare un locale dove dissetarmi, ma non ricevo risposta. Insisto, ma sempre moderando i termini. Niente, vengo ignorato completamente. Alzo la voce, sottolineando il fatto che vengo da Londra e ho fatto quattromila chilometri per venire ad Hanty-Mansijsk.

"Non vogliamo forestieri" risponde uno.

"Perché?" replico.

"Se ne vada" continua un altro.

"Perché?" insisto.

"Se ne vada, è nel suo interesse!" mi dice un altro.

Sono tentato dal rivelare che so tutto, che sono a conoscenza dell'esistenza dei Vrlak, che ne ho visto uno, ma la ragione mi trattiene. Per quanto ne so potrebbero essere quattro vampiri. Siccome non sono gradito proseguo il mio cammino deciso ad arrangiarmi da solo nel cercare un luogo dove bere una birra fresca. Magari servitami da un vampiro. Ora che ci penso mi rendo conto che oltre al crocifisso non ho nient'altro per difendermi dai Vrlak. Avrei dovuto portare con me che so... dell'aglio, acqua santa, frassino.... Sto vagheggiando. Avrei fatto prima a portarmi dietro un prete, a questo punto. Un momento. Mentre camminavo sovrappensiero sono giunto davanti ad un locale (anche se definirlo così è un'impresa) che fa giusto al caso mio. Ha un nome strano: "Bylind Top" e anziché una normale porta ha un paio di ante da Far West. Entro. Il luogo è immerso nella penombra, sicché un brivido freddo mi percorre la schiena, come se il mio sesto senso volesse dirmi "Ehi Michael! Sei in un locale dove sono tutti vampiri!" In effetti l'aria degli avventori non è certamente delle più felici. Tre persone, ma non distinguo se sono uomini o donne, sono seduti in fondo alla stanza, intenti a scrutarmi, come ormai qui sembrano fare tutti. Il luogo non è molto grande: vi sono cinque... no, sei tavoli, ma solo due sono occupati da altrettante persone. Al banco vi è una donna, che sinceramente ha un aspetto poco rassicurante. Mi faccio forza ed avanzo verso di lei. Ordino una birra, ma la donna non si muove e continua a guardarmi. Alla seconda richiesta vengo servito, sempre sotto l'occhio vigile della donna. Prendo il boccale, mi siedo e comincio a bere. L'aria si fa tesa. Tutti mi guardano, ma nessuno proferisce parola. Decido di accettare la sfida: anch'io comincio a fissarli alla loro maniera, sperando che in questo modo smettano di osservarmi.

"Cosa cerchi straniero?" mi domanda la donna.

Dopo un attimo di esitazione le rispondo che sono un turista alla ricerca di un posto dove dormire per le prossime due notti poiché devo subito ripartire per Novosibirsk.

Mi guardo intorno per accertarmi che la mia scusa sia risultata credibile, ma non riesco a capire se ci siano cascati o meno. Fatto sta che la donna mi si rivolge nuovamente, stavolta dicendomi:

"C'é una piccola locanda poco più avanti. Potrà trovare alloggio lì... o ripartire immediatamente".

Sono stupito dalla sua franchezza. Che sia un chiaro invito ad andarmene... o c'é sotto qualcosa d'altro? Potrebbe essere benissimo una di loro... o magari... non c'entrare nulla. In quest'ultimo caso mi avrebbe esortato ad andarmene per salvaguardare la mia vita...

"La ringrazio. Vedrò di cercare questa locanda".

Se prima l'atmosfera era tesa ora è di pietra. La mia risposta ha colpito l'intero locale, che ora mi fissa più intensamente che mai. Con passo rapido mi allontano salutando la donna e successivamente rivolgendo un cenno agli avventori. Una volta uscito dalla locanda riesco addirittura a considerare familiare la nebbia che aleggia su tutta la cittadina. La situazione che si era venuta a creare là dentro era ormai insopportabile. In pratica non ho concluso nulla, tranne che passare un quarto d'ora in un luogo dove tutti avrebbero volentieri brindato con il mio sangue. Non è detto che fossero tutti necessariamente dei Vrlak, ma come posso esserne sicuro? Posso ancora negare líevidenza dopo quelo che mi è successo líaltra notte? Sono venuto qui in Siberia per fare un servizio su un cadavere e mi ritrovo invischiato in una faccenda che ruota attorno a mostri usciti da leggende popolari. Non ho mai avuto un benché minimo interesse per queste storie e ora ci sono in mezzo!

A proposito del cadavere... devo cercare la camera mortuaria per poterlo vedere (sempre che non l'abbiano già sepolto) e magari immortalarlo con la macchina fotografica a lastre che ho portato con me. Fermo un passante e gli chiedo dove posso trovare l'obitorio del paese, ma egli dopo avermi fissato con occhi sbarrati allunga il passo e se la da a gambe. Sono forse tutti pazzi qui? Provo a fermarne un altro e questa volta ho fortuna: è un vecchio estremamente cordiale ed ha l'aria di sapere molte cose. Glielo leggo negli occhi: vorrebbe dirmi qualcosa ma ne ha paura. Si limita a dirmi di proseguire dritto per circa trecento metri poi voltare a sinistra poco prima del piccolo ospedale. Lo esorto a venire con me, per spiegarmi e mettermi a conoscenza dei suoi segreti, ma con la mano mi fa cenno di tacere e sottovoce mi dice:

"Ci rivedremo".

Líha detto in inglese! Avrà più o meno ottant'anni... come fa a conoscere la mia lingua? Resto dell'idea che non sia chi fa credere di essere. Proseguo tra la nebbia finché arrivo in prossimità dell'ospedale, così volto a sinistra; dopo pochi metri leggo un'insegna in cirillico: "LUOGOA DEIMORTI", ìcamera mortuariaî. Estraggo la tessera del giornale, il 'Times' e mi accingo ad entrare. Un tanfo misto a disinfettante mi investe appena varco la soglia. Resto un attimo disorientato. Un infermiere mi si avvicina: gli mostro il tesserino e gli chiedo del presunto cadavere. Egli mi guarda male e mi dice che non c'é nessun cadavere del genere, abbozzando un sorriso. Insisto e dico di esserne venuto a conoscenza tramite il direttore del giornale che mi ha inviato per un servizio. L'infermiere continua a guardarmi, poi increspa il volto e mi dice di attendere. Forse ci siamo! L'uomo ritorna accompagnato da un altro infermiere, o forse un dottore, gli dice qualcosa e mi indica. Leggo il tesserino di riconoscimento che ha attaccato al taschino: "NIKOLAJ SARATOV, MEDICO CHIRURGO". Mi dice di seguirlo. Insieme percorriamo un corridoio piuttosto malandato, finché giungiamo davanti ad una porta chiusa con una grossa catena di ferro. Saratov prende una chiave dal taschino ed apre il lucchetto. Tolta la catena è il turno della serratura: con un'altra chiave la apre, spalancando così la porta. Entriamo. La stanza è piuttosto piccola e impregnata di un forte odore di disinfettante. Vi è un unico tavolo, dove giace un corpo coperto da un lenzuolo grigio. Che sia lui? Saratov comincia a parlarmi in tono confidenziale: "Ecco, questo è quello che cerca. Prima mi lasci dire qualcosa a riguardo."

"Certamente"

"E' il primo cadavere di uno di loro che troviamo"

"Uno di loro chi?" chiedo.

"Credevo lo sapesse già. Non ne ha forse già visto uno?"

"Beh, in effetti sì... Ma come fa a saperlo?"

"La signora Dubrovnik non le ha parlato dei Vrlak?"

"Come sa che ho alloggiato dalla Dubrovnik?"

"E' l'unica locanda vicina alla ferrovia dalla quale lei è sceso. I cocchieri non vanno più in là. Hanno paura."

"Dei vampiri?"

"Certo. L'unico modo per raggiungere il centro di Hanty-Mansijsk è quello che ha fatto lei. Percorrere a piedi sei-sette chilometri con il rischio di essere attaccati dai Vrlak."

"Cosa? Io avrei corso tale rischio?"

"Sì. Pensavo lo sapesse."

"No! Non lo sapevo affatto! Credevo che il vampiro da me visto fuori dalla finestra fosse solo uno che... che magari si era spinto fin lì... pensavo fosse solo..."

"Niente affatto, sono ovunque. E' stato fortunato."

"Ma quale fortuna! Ho corso un rischio inutile. Pensavo che i Vrlak fossero in prevalenza qui, nel centro, non dappertutto."

"In effetti qui ce n'é la maggior parte. Direi una ventina. Il resto è sparso nelle vicinanze."

"Ma in tutto quanti sono?"

"Circa una cinquantina."

"Così ho rischiato di venire ucciso da trenta vampiri?"

"Sì."

Capitolo VIII

Dopo aver discusso con me ancora per qualche minuto, il dottor Saratov si è deciso a mostrarmi il cadavere. Mi ha spiegato perché è il primo che trovano: non ne è mai morto uno. Non che siano immortali, vivono finché trovano il sangue che li mantiene in vita. Saratov è convinto che una parte di essi sia uscita dai confini della Siberia ed abbia contagiato anche una parte dell'Europa! Non può essere vero! Il dottore appoggia la mano sul lenzuolo e lentamente lo alza. Trattengo un urlo di disgusto ed orrore: sul tavolo giace un essere che ha da tempo perso la propria umanità, un fardello immondo. Mentre preparo la macchina fotografica per immortalare il vampiro rabbrividisco pensando che una cosa simile era attaccata alla mia finestra col solo proposito di bere il mio sangue. L'intero corpo è di un colore biancastro, le braccia e le mani sono estremamente lunghe e robuste, le unghie sembrano quelle di un animale, i piedi affusolati completano quella che è una figura grottesca. Il volto è scarno, contornato da capelli radi e lunghi e... quegli occhi... spalancati... gialli! gialli oltre l'inverosimile! Mi è sembrato di rivivere quella terribile notte...in cui la morte ha danzato con la mia anima... Effettuo dei primi piani sulla bocca, dove risaltano i canini, esageratamente lunghi e la lingua, esile ed appuntita. Oserei dire che bevessero sangue utilizzando sia quest'ultima che i denti. Saratov mi chiede che fine faranno le foto che sto scattando. Beh, gli rispondo che figureranno sulla prima pagina del 'Times' appena avrò fatto ritorno a Londra. Mi dice di temere la reazione che avrà il mondo intero quando verrà a sapere che tali esseri esistono e minacciano l'umanità.

"Subito non ci crederà nessuno" gli rispondo.

"Come?" ribatte lui.

"Si, andrà esattamente così. Dapprima vi sarà una reazione che andrà dall'ilarità all'indifferenza generale, poi pian piano i Vrlak cominceranno a fare passi falsi, sentendosi scoperti. Sarà allora che usciranno allo scoperto. Sono sicuro che da lì in poi sarà semplice scovarli e distruggerli per sempre."

"Semplice? Non crede che se fosse come dice lei qui ad Hanty-Mansijsk avremmo già fatto qualcosa?"

"Certo, ma credo che non ne abbiate i mezzi"

"Perché, con cosa crede di eliminarli?"

"Non so... con armi adatte.."

"Che non servirebbero a niente! Ci vuole roba specifica."

"Tipo?"

"Certi tipi di legno, reliquie consacrate...î

"Perché non le avete mai usate, allora?"

"Cosa crede, che avremmo dovuto organizzare plotoni anti-vampiro? Chi sarebbe disposto a partecipare ad un'eventuale caccia?"

"Vede? E' meglio che ci pensiamo noi..."

"Non ha capito? Si scatenerebbe una caccia all'uomo, dove chiunque fosse sospettato di essere un Vrlak verrebbe ucciso!"

"Con cosa? Con l'acqua santa? O forse con una croce?"

"No! No! Se quei metodi non funzionassero, se ne adotterebbero altri, come armi da fuoco..."

"Ma nessun umano correrà dei rischi..."

"Lo dice lei! Siccome con l'acqua santa non si otterrebbe nulla, sarebbe più facile sparare al presunto "vampiro", con la sola conseguenza di uccidere un innocente. Crede che ne varrebbe la pena?"

"Allora perché mi ha mostrato il cadavere? Non ha immaginato la mia reazione?"

"Credevo e credo ancora di poterle far capire la gravità del problema. Se lei se ne fosse andato a mani vuote altri sarebbero venuti dopo di lei, con chissà quali conseguenze. Se invece dicesse pubblicamente che qui non c'é nulla, nessuno correrebbe rischi."

"A mio avviso la mette troppo sul disastroso. L'esercito, una volta venuto a conoscenza di ciò vi libererebbe da questa grande piaga."

"L'esercito? Ho veramente sbagliato opinione su di lei. Mi dia le sue fotografie e se ne vada."

"Non ci penso neanche!"

Alla mia ultima frase Saratov mi balza addosso, cercando di strapparmi di mano la macchina fotografica, ma con il corpo la proteggo, non lasciandogliela prendere. Con entrambe le mani ora mi afferra per le braccia. Ma... sta per spezzarmele! Con uno strattone riesco a fargli mollare la presa, ma finisco per cadere a terra. Con Saratov sopra di me.

"Doveva accettare quanto le proponevo."

All'improvviso il suo volto inizia a cambiare... contorcendosi, allungandosi... diventa più pallido.... i canini aumentano a dismisura e la lingua.... la lingua è come quella del vampiro sul tavolo! Saratov è uno di loro! Uno di loro! Cerco freneticamente il crocifisso... ecco, l'ho trovato! Alla vista della sacra icona l'essere che ho davanti indietreggia, coprendosi la faccia. E' il momento che aspettavo! Mi scaglio addosso a Saratov che cade sotto di me, indifeso e ansimante. Mi avvicino con la croce in mano e gliela appoggio sulla fronte. Uno sfrigolio che ricorda l'olio che frigge comincia ad emanarsi mentre il vampiro si contorce in preda al dolore. Persisto, poiché vedo che quando sto facendo sortisce un qualche effetto... finché ad un tratto l'essere cessa di muoversi e si irrigidisce completamente. Che sia morto? O forse è solo un trucco?

"Oh Dio!"

Il corpo del vampiro ha una nuova mutazione... questa volta al contrario... torna ad essere Saratov. Dal naso... dalle orecchie... comincia ad uscire sangue! Rivoli rossi scendono lentamente, finché l'intero volto viene ricoperto del sangue maledetto del non-morto. Che ora è morto definitivamente. L'infermiere deve aver sentito i rumori della lotta, poiché è fuori dalla porta che sta chiamando a gran voce il dottor Saratov. Che sia anche lui un vampiro? Mi guardo intorno per cercare una possibile uscita, ma l'unica apertura è data da una finestra alla quale sono state applicate delle sbarre. Spero che la porta chiusa trattenga l'infermiere mentre cerco una soluzione. Sul tavolo vi sono alcuni attrezzi che vengono usati per le autopsie... bisturi, pinze... una sega circolare! Potrei usarla per tagliare le sbarre della finestra in modo da poter uscire e fuggire. Ho bisogno di tempo, però. Con uno sforzo riesco a spostare un tavolo contro la porta, poi mi assicuro che essa sia ben chiusa. Collego líattrezzo alla corrente attraverso il cavo e dò inizio all'operazione. Quando tocco la sbarra un mare di scintille mi investe gli occhi, ma non desisto, anzi, mi faccio forza. Il ferro comincia a cedere, così in pochi minuti riesco a tagliare quattro sbarre. Con un calcio dovrei riuscire a spezzare del tutto l'intera inferriata. Prendo un adeguato slancio e con un colpo ben dato vedo le sbarre crollare oltre la finestra e cadere in terra, fuori. E' il momento. Devo solo scavalcare il davanzale e saltare da non più di due metri... Sento la porta cedere sotto i colpi degli infermieri: devono essere arrivati i rinforzi... è meglio sbrigarsi. Con un salto esco finalmente dalla morgue, non senza aver portato con me le lastre che provano l'esistenza del vampiro. Una volta sviluppate saranno la prova finale, quella che aprirà gli occhi a tutti. Proseguo la mia fuga senza voltarmi indietro finché mi ritrovo nuovamente nella piazzetta principale. E' totalmente deserta... come se ad un tratto tutta la cittadina si fosse rifugiata nelle proprie case. Se sono l'unico in giro vuol dire che sono anche una facile preda per qualche Vrlak affamato... E' meglio trovare rifugio da qualche parte. Mi incammino verso ovest sperando di trovare la locanda che mi aveva indicato la donna al " Bylind Top ". La nebbia si fa più fitta, segno che il piccolo sole pallido sta per lasciare posto all'oscurità. E alla morte.... La mia se non mi sbrigo. Tutte le porte sono chiuse, e della locanda non v'é trac... eccola!

A venti metri da me scorgo l'insegna della mia possibile salvezza. Mi dirigo là...

"Venite, presto!"

Qualcuno mi chiama... in inglese! Non può che essere il vecchio di prima, quello che mi aveva dato alcune informazioni. Infatti, dietro di me sulla soglia della porta di una casa c'é lui che mi esorta ad entrare.

"Non c'é tempo, sbrigatevi!"

Appena varco l'entrata egli chiude la porta e comincia a sprangarla con catenacci di ogni tipo.

"Sono là fuori?" domando.

"A decine. Hanno saputo della sua comparsa in paese e sono venuti per assicurarsi che non lo lasci."

"Che significa?"

"Che la vogliono ammazzare."

"Questo l'ho intuito. Il dottor Saratov ha cercato di azzannarmi all'obitorio, poco fa."

"Come? Anche Nikolaj è diventato uno di loro?"

"A quanto pare... sì."

"Se è così siamo rimasti davvero in pochi..."

"Si spieghi meglio, vecchio."

Capitolo IX

La casa dellíuomo è completamente rivestita di croci, aglio e immagini sacre. Dovrei fidarmi di lui, poiché un Vrlak non resisterebbe alla vista di tante icone e lui si muove completamente a suo agio. Mi ha detto di chiamarsi Dimitrj.

"Ho fatto male a mandarla all'obitorio senza sospettare che qualcuno là dentro potesse essere un vampiro. Non avrei potuto immaginare poi che proprio Nikolaj..."

"Lo conosceva bene?"

"Era... era mio figlio."

"Mi... mi dispiace, non sapevo..."

"Lasci stare. Era in gioco la sua vita... quella di Nikolaj ormai non aveva più valore..."

"Cosa intendeva prima dicendomi che ormai siete in pochi? Pochi cosa?"

"Pochi esseri umani..."

"Ma se suo figlio mi aveva detto che qui c'erano solo una ventina di Vrlak..."

"Mentiva. L'intera città è popolata da vampiri! Sono gli esseri umani ad essere in minoranza, non il contrario."

"Non può essere! In ogni istante ho rischiato si venire ucciso... in ogni istante!"

"Non si allarmi. I Vrlak di giorno si muovono poco, solo i più temerari affrontano la luce del sole."

"Ma se sono così tanti, perché lei è ancora umano?"

"Non lo so. Nessun vampiro mi ha mai attaccato."

"Non può essere solo fortuna."

"Lo credo... tutta la mia famiglia è stata contagiata da quei maledetti... prima mia moglie, poi tre miei figli... e ora anche Nikolaj, l'ultimo."

"E'... è terribile!"

"Già... credo che ora tocchi a me, così mi sono premunito. Qui non possono entrare..."

"Lo vedo."

"Senta, signor Jones... deve promettermi una cosa..."

"Mi dica."

"Quando sarà di nuovo in Inghilterra dovrà divulgare al mondo intero l'esistenza dei vampiri di Hanty-Mansijsk, cosicché finalmente qualcuno sappia e venga a distruggerli... per sempre."

"Con suo figlio parlavo dell'esercito..."

"Qualunque cosa pur di annientarli..."

"Mi dica una cosa, Dimitrj... perché se Nikolaj era uno di loro mi ha indicato il modo per ucciderli?"

"Forse l'ultimo barlume di umanità in lui per un attimo ha avuto la meglio sull'essenza malvagia..."

"In modo tale da illuminarmi..."

"Già"

"E ora cosa dobbiamo fare? Staranno lì fuori tutta la notte ad aspettarmi?"

"Sì. L'unica è attendere che sorga il sole, poi dovrà ripartire immediatamente con le fotografie e tornare dalla signora Dubrovnik."

"Anche suo figlio mi ha parlato di lei..."

"Qui la conosciamo tutti. Ha deciso di aprire una locanda vicino alla ferrovia per poter mettere in guardia gli stranieri e scoraggiarli dal venire ad Hanty-Mansijsk."

"Ma se è così importante, come mai non l'hanno attaccata? Hanno paura di qualcosa?"

"La locanda sorge su un terreno consacrato. Una volta lì vi era un cimitero, benedetto alla fine del 1840 da Papa Gregorio XVI. E' difficile per loro avvicinarsi a tale luogo..."

"Ma se io ne avevo uno sul davanzale della mia finestra, che cercava di entrare..."

"Doveva aver fame, molta fame. Di solito non si spingono così vicino alla locanda."

"Beh, l'ho scacciato con un crocifisso, ma rischiato di pagarne le conseguenze..."

"Posso immaginare quali..."

"Ho una domanda da farle... mi chiedevo come fa a conoscere così bene la mia lingua..."

"In gioventù facevo parte della Marina sovietica. Una volta ci assegnarono una missione sulla costa irlandese... ma qualcosa andò storto. Al nostro arrivo l'esercito inglese era già schierato e fece fuoco contro di noi, distruggendo l'intera flotta senza che potessimo rispondere al fuoco. Furono pochi quelli che si salvarono... io ero uno di essi! Non potendo fare ritorno in patria rimasi in Irlanda, vagabondando per alcuni anni, finché un giorno incontrai lei... Judith... la mia dolce Judith. Ci innamorammo... e dopo poco il matrimonio fu il legittimo coronamento del nostro amore... Le promisi che un giorno l'avrei portata con me in Russia, a casa mia, dove avremmo potuto mettere su famiglia. Era il 1869, avevo vent'anni... non potevo sapere che questo posto sarebbe stato la sua tomba... Dio mi perdoni... ce l'ho portata io! I primi tempi però furono felici: Hanty-Mansijsk era ancora un paese abitato da gente normale, nel quale si viveva nella più completa armonia. Poi, ad un tratto, vi furono i primi omicidi... Si pensò ad un qualche squilibrato... nessuno diede retta agli anziani, che parlavano di terribili leggende... Chi credeva ai Vrlak allora? Gli omicidi continuarono... sempre più numerosi, finché nell'estate del 1884 ne venne catturato uno. Tutti ebbero modo di vederlo... In seguito si scatenò un vero esodo, che però venne bloccato dagli stessi esseri dai quali si voleva fuggire. Massacrarono gran parte dei miei compagni, nutrendosi avidamente del loro sangue... Eravamo in trappola, non potevamo scappare e per giunta sapevamo che prima o poi la fine sarebbe arrivata per tutti... anche Judith lo sapeva, ma non era preoccu pata per se stessa, bensì per i nostri quattro figli... Aleksej, Dimitar, Oleg e Nikolaj, che al tempo erano ancora giovani... Dimitar fu il primo ad essere ucciso... per poi tornare come vampiro... Judith non resistette al dolore e finì per essere contagiata da nostro figlio mentre cercava di parlargli. Poi fu il turno di Oleg, infine toccò ad Aleksej... tutti nel giro di tre anni... dal 1891 al 1893... Da allora sono passati più di trent'anni,così io e Nikolaj credevamo di essere stati in qualche modo risparmiati... poi, un giorno mio figlio decise di cercare un modo per sconfiggere il contagio, così prese il posto di Aleksandr Grigor'evich, il medico chirurgo, anch'egli vittima dei Vrlak. Questo fino a ieri, quando come mi dice lei, anche Nikolaj è caduto vittima di quei mostri..."

"Oltre a noi chi è ancora umano?"

"La Dubrovnik e i suoi cinque avventori, io, lei e due del posto... Bereznik e Nikolajevic, che però non vedo da due giorni..."

"Oggi in piazza prima di incontrare lei ho parlato con alcune persone..."

"Erano vampiri."

"Anche al " Bylind Top " ve ne sono, quindi."

"Se ve ne sono? É il loro ritrovo..."

"E come mai non mi hanno assalito?"

"Forse perché vogliono assaporare il suo sangue pian piano. Ucciderla subito non li soddisferebbe appieno."

"A questo punto cosa consiglia di fare?"

"Un sano riposo non può fare che bene. Lei sarà stanco dopo tutto ciò che ha passato..."

"In effetti..."

"Bene. Dorma pure di là... io riposerò qui, sul divano."

Capitolo X

É l'alba. Ho passato un altra notte in questa terra maledetta e non so ancora quando e come me ne andrò. Stanotte ho sentito rumori terribili fuori dalle finesstre, fuori dalla porta... erano le unghie di quei vampiri immondi che cercavano di vincere la repulsione all'aglio che circonda la casa per potersi spingere qua, all'interno. Sussurri e voci sommesse provenivano dalle persiane... frasi terrificanti...

"Come hai passato la notte, figliolo?"

"Da incubo, signor Dimitrj... erano là fuori che mi parlavano, con le loro voci demoniache..."

"E' ora di muoversi. Ho pensato di accompagnarti dalla signora Dubrovnik, così le spiegheremo che hai raccolto le prove necessarie per attirare l'attenzione verso questo paese infestato da vampiri."

"Una cosa. Perché la Dubrovnik non è mai fuggita?"

"Come ti ho detto, dopo le sciagure capitatele ha deciso di dedicarsi ai forestieri che capitano nella sua locanda, col proposito di metterli in guardia…"

"E allora perché non mi ha impedito di venire qua?"

"Questo è un periodo nel quale i Vrlak uccidono raramente di giorno, anzi, quasi mai."

"Un rischio calcolato, quindi."

"Esattamente."

Detto questo Dimitrj prende un sacco dicendomi che contiene il necessario per far fronte ad un eventuale assalto dei vampiri, dopodiché apre la porta, togliendo i catenacci che aveva messo ieri sera.

"Andiamo!"

"Un attimo. Devo prendere le lastre."

"Mi raccomando… non dimenticare niente."

"Stia tranquillo."

Quando usciamo ci troviamo di fronte un grave imprevisto: la nebbia. Fitta oltre l'umana comprensione, essa nasconde ogni cosa alla nostra vista, provocando un certo timore.

"Questa non ci voleva!" sbotto.

"Già... così loro sono avvantaggiati, poiché non possiamo vederli arrivare…"

"Torniamo dentro e aspettiamo che se ne vada?"

"No. Ci vorrebbe troppo tempo. Almeno quattro ore… Dobbiamo partire ugualmente, stando molto attenti…"

Non sono del tutto convinto che sia una buona idea incamminarci con questa nebbia, ma se Dimitrj è sopravvissuto in questo luogo per quarant'anni dopo la morte della moglie e dei figli, dovrebbe sapersela cavare… Il vecchio si muove perfettamente a suo agio, nonostante la sua età avanzata, guardandosi circospetto, pronto a scattare al minimo rumore. Dopo qualche tempo giungiamo al bivio che avevo incontrato durante il mio viaggio d'andata. Siamo vicini ala locanda.

"Ecco, manca poco!" mi dice Dimitrj.

Infatti, neanche un'ora dopo vediamo tra la nebbia la locanda della Dubrovnik, così affrettiamo il passo e raggiungiamo l'ingresso principale. Dimitrj bussa violentemente, finché ad un tratto la porta si apre.

"Entrate, presto!"

La Dubrovnik sembra tesa e spaventata, come se fosse successo qualcosa... Dimitrj le parla, cercando di rassicurarla. Non è che io capisca molto di quello che dicono, ma ad un tratto il vecchio si rivolge a me:

"É accaduta una disgrazia, Michael. Durante la notte due Vrlak sono riusciti a penetrare qua dentro ed hanno ucciso quattro di quelle cinque persone che alloggiavano qui. Solo uno si è salvato, ed è in stato di shock. Mi ha detto di aver portato i loro corpi esanimi in cantina… sai cosa bisogna fargli, no?"

"Beh, sinceramente non ne ho idea…"

"Vieni con me, allora."

La donna apre una porta sprangata con un catenaccio dalle dimensioni inusitate. Dall'oscurità esce un fetore di muffa che per un attimo mi intontisce.

"fren siatsza..." dice la Dubrovnik nella sua lingua.

Adagiati su un tavolo umido e decrepito vi sono i quattro corpi dei quali si parlava prima. Il soffitto, con il suo frenetico gocciolare, dona all'ambiente un aspetto tenebroso, nel quale l'oscurità inghiotte avidamente i raggi di luce provenienti dalla porta aperta.

"Dammi una lanterna, Natasha."

La Dubrovnik ne prende una dalla mensola vicino a me, poi l'accende e la porge a Dimitrj.

"Stai bene attento, Michael. Se mai ti capitasse d'imbatterti nel cadavere di una vittima dei Vrlak, devi riservargli questo trattamento…"

Dalla sua borsa il vecchio estrae un'accetta… no… spero non voglia fare ciò che penso… La avvicina alla gola di uno di quei poveretti… leva il braccio in aria… no!!! Con un colpo secco Dimitrj lo ha decapitato… gli ha tagliato la testa!

"Cosa le è saltato in mente? Profanare così il cadavere

di un uomo!" urlo improvvisamente.

"Michael! Cosa stai dicendo? Quest'uomo era contagiato dal morso dei Vrlak… destinato a tornare dalla morte come vampiro! Era l'unica cosa da fare!"

"No! c'era… ci dev'essere un'altra soluzione…"

"Ah sì? E quale?"

"Non… non lo so..."

"E allora dai retta a me: l'unica maniera per scongiurare il pericolo che tornino come vampiri è quella di tagliar loro la testa. Solo così saremo al sicu…"

Mentre Dimitrj stava parlando uno dei quattro cadaveri si è mosso improvvisamente.

"Vedi? Dovevamo essere più rapidi! Dobbiamo fermarlo!"

Il vecchio si scaglia contro il non-morto, ma quest'ultimo lo scaraventa dall'altro capo della cantina con un colpo poderoso. I suoi occhi sono stranamente luminosi.

"Prendi l'accetta, Michael!" urla Dimitrj.

Mentre la cerco il vampiro comincia a muoversi più rapidamente, abituandosi alla sua nuova condizione. Non riesco a trovare l'accetta, che è balzata di mano a Dimitrj quando è stato colpito. M'imbatto nella sua borsa e, come d'istinto, inizio a frugare alla ricerca di qualcosa. Ecco! Un crocifisso d'oro! Lo estraggo e mi volto verso il vampiro, il quale alla vista di tale icona indietreggia vistosamente.

"Ora! Ora! Colpiscilo!" urla il vecchio.

"Con che cosa? Cosa?" sbraito io.

Ad un tratto interviene la Dubrovnik che con un fracasso assordante scaglia una bottiglia addosso al Vrlak. É forse impazzita? Non è certo con dell'alcol che uccideremo tale oscenità. All'improvviso intuisco però le intenzioni della donna e corro verso la lanterna.

"Bravo Michael! Tiragliela addosso!"

Dopo un volo di circa cinque metri la lanterna va ad infrangersi contro il corpo del vampiro fradicio, infiammandosi all'istante. Una vampata di fuoco sommerge la creatura che urla e si dimena in preda al dolore.

"Nella borsa! Guarda nella borsa!" urla Dimitrj.

Seguendo le sue istruzioni trovo l'occorrente per eliminare il vampiro in fiamme: un paletto di legno.

"Piantaglielo nel cuore!" urla nuovamente il vecchio.

Con il dovuto slancio mi fiondo addosso al Vrlak ed affondo il paletto nel torace, stando attento alle fiamme. Istantaneamente egli cade in terra, esalando l'ultimo respiro. Mentre il fuoco finisce di divorare le sue carni mi raggiunge Dimitrj, che pare essersi ripreso dal colpo subito poco fa.

"Presto, dammi l'accetta! Dobbiamo finire ciò che abbiamo iniziato."

Detto questo si dirige verso i restanti due cadaveri, che effettivamente cominciavano a dare segni di agitazione. Con due colpi ben assestati il vecchio recide il loro ultimo legame con l'esistenza terrena, facendoci tirare un sospiro di sollievo.

"Ora più che mai dobbiamo sbrigarci a raggiungere la stazione, dove potrai fuggire da qui con quelle prove."

"Ma senza carrozza ci metteremo un'eternità!"

La Dubrovnik dice qualcosa a Dimitrj.

"Natasha dice che ce n'é una nascosta nella stalla. Dobbiamo affrettarci ad utilizzarla al più presto."

Risaliamo le scale velocemente, diretti verso le stalle. Quando giungiamo sul posto la donna ci mostra un telo che ricopre qualcosa. Sollevatolo, si presenta ai nostri occhi un piccolo carretto.

"Andrà benissimo! Tieni Michael, lega questa fune alle briglie del cavallo." dice il vecchio. Mentre eseguo l'operazione mi chiedo come possa sopravvivere un animale alla furia dei Vrlak. Che essi bevano solo sangue umano? La domanda rimane senza una risposta, poiché Dimitrj è già pronto a partire.

Capitolo XI

L'aria si fa sempre più fredda, come per ricordarci che non è ancora tutto finito, e che i Vrlak non ci permetteranno certo di lasciare Hanty-Mansijsk indenni. Dimitrj sprona al massimo il cavallo che mi sta portando verso la salvezza: se io riuscissi nel mio compito egli vedrebbe compiersi quella vendetta che attende da decenni nei confronti di coloro che hanno falcidiato la sua famiglia. Un motivo in più per non mollare.

"Forza Michael! Manca poco ormai… ed è ancora giorno… abbiamo un gran vantaggio su di loro!"

Già, un gran bel vantaggio... ma sapremo sfruttarlo a dovere?

Dopo circa mezz'ora la nebbia comincia a diradarsi, finché intravediamo la sagoma della stazione, poi, pian piano essa si rivela ai nostri occhi nella sua interezza. Diroccata, lugubre ed estremamente piccola. É proprio qui che sono sceso al mio arrivo. Corriamo alla ricerca del capostazione, ma ciò che troviamo ci raggela il sangue nelle vene. I Vrlak ci hanno preceduto. Un corpo totalmente martoriato giace ai piedi di una scrivania per gran parte devastata…

"Devono aver intuito i nostri piani, ma non è detto che sappiano che siamo qui ora."

Mentre Dimitrj parla cerco sulla tabella degli arrivi l'orario del prossimo treno che passerà di qui… alle tre di questo pomeriggio! Tra quattro ore! Saremo già morti allora… non c'é più nulla da fare…

"Calmati Michael… troveremo il modo di sopravvivere finché il treno sarà qui, te lo prometto."

"Non mi prometta nulla, Dimitrj… io le promisi che avrei trovato una soluzione al problema dei Vrlak, ma tutto ciò che potrò fare sarà morire qui, assieme a lei…"

"Non devi dire così… credimi… andrà tutto bene."

Cerco di far sembrare vere le parole del vecchio, ma non ci riesco. Continuo a pensare che moriremo qui, in questa terra dimenticata da Dio…

Sono passate due ore da quando siamo arrivati in questa stazione ma non si è ancora visto nessun vamp…

"Michael! Sono qui!"

L'urlo di Dimitrj era talmente agghiacciante che sono trasalito dalla paura.

"Sono in tre, fuori dalla porta. Credo che le croci non li fermeranno per molto… prendi un paletto e vieni qui."

Il vecchio mi spiega il suo piano... attaccarli prima che si organizzino per un assalto.

"Potrebbe funzionare… ma non credo siano così ingenui".

"Io invece credo che la loro presunzione li abbia spinti a mandare qui un'esigua avanguardia, sicuri come sono del loro successo…"

Dall'esterno giungono voci immonde, simili a quelle che sentii di notte a casa di Dimitrj. Non riescono ad entrare… sembra che le croci facciano il loro dovere…

"Michael, non perderti nei tuoi pensieri e aiutami!"

"Sì, Dimitrj…"

Con fare preciso estrae dalla sua borsa alcune bottiglie di alcol… presumo voglia riservare loro lo stesso trattamento del Vrlak di ieri in cantina, ma…

"Con cosa daremo loro fuoco? Non abbiamo lanterne!"

Da una tasca del giaccone Dimitrj tira fuori una pistola.

"É ad avancarica. In dotazione alla Marina sovietica nel 1860… calcia come un mulo."

"Okay. Sbrighiamoci a far fuori quei tre lì. Manca poco più di un'ora all'arrivo del treno. Sicuramente verrà qualche altro Vrlak"

In un attimo Dimitrj mi spiega il piano. Lui aprirà di colpo la porta per farmi scagliare le bottiglie, dopodiché farà fuoco. Speriamo.

"Pronto…? Vai!"

Con un gesto rapidissimo la mano di Dimitrj spalanca la porta, cosicché io possa vedere i Vrlak… tutti e tre appoggiati ad una finestra priva di crocifisso.

"Ora! Ora!"

I tre vampiri paiono effettivamente disorientati dal nostro attacco, così le due bottiglie che lancio loro addosso li centrano in pieno. Una serie di spari assordanti abbatte all'istante i due Vrlak in fiamme, mentre il terzo spicca il volo, rifugiandosi sul tetto, al riparo dai nostri colpi. Nel frattempo gli altri due sono praticamente carbonizzati ai nostri piedi ed emanano un fetore nauseabondo.

"Ci è sfuggito!" esclamo.

"No, è là in alto. Sono sicuro che sta per chiamare gli altri in suo soccorso" risponde Dimitrj. Infatti l'essere assume una posizione inumana ed emette un grido soffocato che fatico a percepire.

"Presto! Li sta chiamando!"

Dimitrj mira verso il Vrlak ed esplode un colpo. Il vampiro scivola dall'altra parte del tetto, cadendo a terra. Aggiriamo la stazione, circondando il Vrlak, che è al suolo ansimante.

"Tra qualche secondo si riprenderà" urla Dimitrj "devi piantargli questo nel cuore!"

Prendo il paletto e lo conficco nel torace del vampiro prima che egli abbia il tempo di assalirmi.

"Bene Michael. Dovremmo essere salvi… per ora."

Un fischio lontano squarcia per un attimo l'oscurità che pervade i miei pensieri. É il treno!

"É in anticipo. Forse dovrà sostare qualche tempo prima di ripartire…"

In pochi minuti il treno ci raggiunge, fermandosi. Corriamo dal macchinista, che si sorprende della nostra agitazione.

"Presto! Deve ripartire immediatamente!" urla Dimitrj.

"Cosa sta dicendo?" ribatte l'uomo.

"Guardi là" dice Dimitrj indicando il Vrlak impalato.

"Per lo Zar!!! Cos'é quell'abominio?"

"Un Vrlak… un vampiro" risponde Dimitrj.

"E ce ne sono altri?"

"No, ma arriveranno presto" rispondo in russo.

"É per questo che deve portar via questo giovane da qui. É l'unica speranza che abbiamo contro di essi."

"Come, Dimitrj… lei non verrà via con me?"

"No, Michael… ormai sono troppo vecchio. Sarò felice di morire qui, nella mia terra, mentre i Vrlak verranno distrutti dai soccorsi che invierai ad Hanty-Mansijsk."

Il treno è pronto a ripartire. Mentre salgo su una carrozza cerco di convincere Dimitrj, ma lui è irremovibile.

"Addio allora, signor Dimitrj…"

"No, Michael… dasvidania… "

In pochi istanti il treno ha già preso velocità. Mi affaccio al finestrino e scorgo Dimitrj che mi saluta. Saprò ricompensare la sua fiducia? Salverò Hanty-Mansijsk?

Capitolo XII

Un brivido mi pervade mentre penso che sono riuscito a sfuggire ad una situazione assurda, dove non-morti cercavano di impadronirsi di una città, prosciugandola dai suoi abitanti. É da un'ora che sono sceso dal treno e l'aria di mare mi ricorda che tra poco arriverà la nave che mi riporterà in Inghilterra, a Londra. Qui, al porto di Calais mi sembra di essere lontano da

ogni insidia e da ogni possibile preoccupazione. Ma ho una missione… salvare una città. La nave sta attraccando. In poco più di quattro ore sarò

a Dover, poi a Londra. Dovrò recarmi dal direttore e far pubblicare le foto,

affinché tutti conoscano la verità e mandino soccorsi in Siberia. Ho il terrore della Siberia… dei Vrlak… Salgo sulla nave pensando ancora una volta a Dimitrj, alle sue speranze riposte in me… al suo dolore…

Capitolo XIII

La carrozza mi scarica in Abbey Road, a due isolati da casa. Finalmente a casa. Credevo che non vi sarei mai tornato. Affretto il passo, cosicché in pochi minuti arrivo davanti al mio cancello. Mentre entro e salgo le scale i miei pensieri sono concentrati unicamente sulle fotografie che dovrò sviluppare. L'unica prova per condannare quei maledetti. Apro la porta della camera oscura, portando con me le lastre. Una volta preparati gli acidi sarà questione di poche ore. Sono le tre del pomeriggio. Prima di sera potrò già presentarmi al giornale con in mano le foto... Mentre aspetto che le immagini compaiano, credo che una doccia possa ristabilirmi un poco. Mentre mi rilasso sulla poltrona penso all'intera vicenda nella quale sono stato coinvolto… Il direttore che mi incarica di andare in Siberia per un articolo su un cadavere secolare (che poi si è rivelato uno dei pochi Vrlak morti che abbia fatto in qualche modo notizia), io parto immediatamente, scettico come pochi… finché giungo in quella locanda dove mi è acca-

duto di tutto… persino un vampiro sul davanzale! Poi, la verità. L'intera Hanty-Mansijsk è disseminata di vampiri, che non vogliono altro che il sangue umano. Dapprima non ci credo, poi, fortunatamente senza danni sono costretto a constatarne l'evidenza. Mi reco in quella cittadina poco distante dalla locanda e scopro che il cadavere esiste, eccome! Tenuto a bada da un medico vampiro, che cerca di azzannarmi. Scampo anche a questo e conosco un vecchio, che si rivela uno dei pochi umani superstiti, il quale mi racconta la sua vita… una disgrazia dietro l'altra… Infine la fuga con le prove… Direi che ho avuto non solo fortuna. Qualcuno mi proteggeva dall'alto.

Le fotografie sono pronte. Ora non mi resta che presentarmi al giornale per farle pubblicare. La redazione si trova poco dopo Hyde Park… circa un quarto d'ora in carrozza. Il cocchiere sprona i cavalli che galoppano senza sapere che probabilmente contribuiranno alla salvezza di un paese. Quando scendo mi sento particolarmente turbato. Sarà che sono ad un passo da un'importante svolta nella mia vita... Saluto il portinaio e salgo le scale.

Il direttore è al terzo piano… vi arrivo in un istante. Come sempre, Anne la segretaria mi saluta con un cenno del capo.

"Può annunciarmi, per favore?"

"Subito."

Il direttore dovrebbe essere impaziente.

"Ecco. Può entrare."

Mentre apro la porta mi tornano alla mente le parole di Saratov all'obitorio:

"Credo che siano usciti dalla Siberia ed abbiano contagiato una parte dell'Europa…"

É veramente strano... me ne ricordo solo adesso... L'ufficio è immerso nell'oscurità. Mi pare che il direttore qui non ci sia… Ad un tratto sento un rumore…

"É lei signor Wrightson?" chiedo.

"Sì, sono io."

Il direttore si avvicina, finché posso vederlo in faccia…

Mio Dio! I suoi occhi! Gialli oltre l'inverosimile!

Fine

 

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