Recentemente, in un ozioso pomeriggio di domenica, mi sono trovata a ripescare dalla mia collezione di fumetti un libro che non era stato aperto per anni e anni: un vecchio, glorioso “Io, Topolino” un po’ malandato, risalente ai tempi della mia infanzia (o addirittura a quella di mio fratello). Costretta a letto da un inizio di influenza, rileggevo per l’ennesima volta le storiche ed immortali avventure del piccoletto disneyano ed ecco che, dopo alcune pagine, mi imbattei in una storia sinistramente familiare. “Topolino sosia di re Sorcio”, disegnata da Floyd Gottfredson e apparsa nel 1938 (in originale, Mickey Mouse as His Royal Highness), è ovviamente ispirata al “Prigioniero di Zenda” (il libro di Anthony Hope ha originato un sorprendente numero di riduzioni cinematografiche, tra cui una parodia del 1979 con il grande Peter Sellers, anche se non nella sua forma migliore). La storia del prigioniero di Zenda è qui disneyanamente riadattata per un fine più lieto che nell’originale: Topolino viene rapito e gli viene richiesto di sostituire il godereccio, frivolo, spendaccione re Sorcio al governo di “Gran Tassonia” perché il paese possa avere una tregua e guadagnare nuova credibilità agli occhi degli investitori stranieri, che accondiscendano così ad accordare nuovi prestiti al paese. Mickey, toccato nelle sue corde di buon americano, accetta - non senza aver prima tentato di difendere l’onorabilità del re - e viene messo sul trono di Gran Tassonia, dove invece di limitarsi a recitare passivamente la parte del re e a fare ciò che gli viene ordinato dai suoi consiglieri e rapitori, prende (ancora una volta, da buon americano) in mano la situazione e decide di risolvere una volta per tutte i problemi economici, amministrativi e (perché no?) anche sociali del paese. Si rifiuta ostinatamente di comportarsi “da re”: rifiuta di mentire per diplomazia,
rifiuta di trattare i suoi sottoposti con alterigia,
rifiuta di sparare sulla folla inferocita. In poche parole, ogni suo atto pare improntato alla più vieta demagogia. Topolino naturalmente non si limita a questo, ma passa lunghe ore a compulsare i bilanci dello stato, sputando fuori le sue incredibilmente semplicistiche soluzioni, che nel fumetto risolvono ogni problema e rendono tutti contenti. “Dimezzeremo le spese: così potremo dimezzare anche le tasse!” proclama entusiasta il nostro eroe ai due smarriti ministri, leggermente contrariati nel realizzare che pure il loro stipendio sarà dimezzato. Tuttavia la demagogia topesca non manca il bersaglio neppure stavolta e i consiglieri lasceranno le stanze del re soddisfatti e orgogliosi di prendere parte alla sua missione.
Ora, fatta naturalmente eccezione per l’idea di ridurre gli stipendi ai membri del governo, che sicuramente né il nostro premier né nessun altro da quelle parti ha mai preso in seria considerazione, c’è una notevole somiglianza tra le soluzioni topoliniane e quelle del nostro capo del governo, nonché nell’atteggiamento dei due personaggi. Berlusconi pare altrettanto affezionato alle proprie tecniche demagogiche; topoliniana è la sua disarmante semplicità, il sorriso inossidabile quanto l’ottimismo (vero o ostentato), la mancanza di diplomazia o incapacità di nascondere i propri pensieri portata al limite, od oltre, della gaffe; l’atteggiamento da “uomo del popolo” del “presidente operaio” (contadino, pensionato, massaia etc.) di fronte alle complicazioni dell’economia, della finanza, della diplomazia. Per Berlusconi, come per Topolino, si tratta di semplici calcoli aritmetici: licenziare un milione di persone per creare un milione di posti di lavoro; aumentare le spese per dimezzare le tasse. Ma siamo sicuri che la sua matematica non sia un’opinione? O forse alla matematica il Cavaliere ama aggiungere un pizzico di magia, o tecnica di prestidigitazione. Le affinità tra i due personaggi sono innegabili e fanno sorgere il ragionevole sospetto che il nostro si sia ispirato al suo predecessore americano: la piccola statura, l’incancellabile sorriso, l’inguaribile ottimismo, l’incrollabile fedeltà coniugale, un innegabile, dirompente filoamericanismo. L’unico particolare stonato nel quadro è la totale mancanza di conflittualità con la legge che caratterizza Mickey. Nella realtà, purtroppo, la giustizia non trionfa altrettanto immancabilmente che nei cartoni disneyani. Ora, alla luce di questa interpretazione, viene spontaneo chiedersi ansiosamente: ciò che pare infallibile se applicato alla realtà di Gran Tassonia, funzionerà una volta messo in pratica nella nostra realtà? La logica del fumetto si lascerà adattare alle politiche economiche e sociali? Berlusconi sembra convinto di sì. Nella sua lieve forma di schizofrenia, da una parte è consapevole di essere se stesso, con tutte le sue responsabilità, i guai giudiziari, il suo impero economico da tenere in piedi contro gli attacchi di nemici instancabili, dall’altra si crede l’impavido Topolino, buono, ottimista, onesto e sincero, chiamato dagli alti consiglieri di Gran Tassonia a risollevare le sorti del Paese.
Bibliografia:
Floyd Gottfredson, Mickey Mouse as His Royal Highness, 9/8/’37 – 8/2/’38
Anthony Hope, The Prisoner of Zenda, 1894