Anthropotes, anno X, n.2(1994), pp.205-215

(English Translation)

Octavio Paz: amore, famiglia e matrimonio

Rafael Jiménez Cataño

Non è frequente che un premio Nobel (Letteratura, 1990) dedichi un lungo saggio all'amore. Forse è altrettanto infrequente -- e in questo vorrei sbagliare -- che l'antropologo, il filosofo, il teologo, il moralista si aspettino un contributo speculativo da uno scrittore, da un letterato. Queste pagine si propongono di rilevare alcuni punti salienti della visione dell'amore che si rivela nel recente libro di Octavio Paz La duplice fiamma (1), così come gli accenni fatti qui e altrove intorno al tema della famiglia e del matrimonio. Al valore intrinseco di tali concetti si aggiunge il peso della traiettoria intellettuale seguita da Paz -- inserito nella tradizione liberale e con un passato, seppure ormai lontano, di simpatia per il marxismo -- e le vaste cerchie di lettori che alcune sue opere raggiungono (La llama doble, apparso nel mese di novembre 1993, è entrato sin dall'inizio nelle liste dei libri più venduti in Spagna dove era ancora possibile trovarlo dopo più di sei mesi). Siccome prevedo che quest'esposizione possa interessare i lettori principalmente per il valore di testimonianza di Paz, mi limiterò quasi esclusivamente ad introdurre e a collegare i suoi testi, formulando proposte personali solo nella misura in cui queste possano servire ad illuminare le sue.

 

L'amore

E' possibile distinguere nel libro due grandi argomenti: un'esposizione storica della formazione della nostra immagine dell'amore e una riflessione sul ruolo che essa svolge nella nostra società. Ho evidenziato le parole "nostra immagine" perché determinano l'argomento del saggio: la fisionomia dell'amore nella civiltà occidentale. Si tratta, nello specifico, dell'amore umano in quanto diverso dall'erotismo e dalla pura sessualità. Per completare questa presentazione generale è bene mettere in evidenza che l'atmosfera dominante lungo i nove capitoli nasce da una spiccata sensibilità per l'unità dell'uomo, quasi da uno stupore che si genera in seguito all'esperienza dell'unità anima/corpo. Un'esperienza, infine, che attinge alla testimonianza della letteratura e che lascia intravedere qua e là una forte componente personale.

L'esperienza poetica è descritta nell'esordio come la "testimonianza dei sensi", una rivelazione dell'unità dell'uomo: lo sguardo dello spirito trova, attraverso gli occhi della carne, "un altro mondo dentro questo mondo, il mondo "altro" che è questo stesso mondo" (2). Nel senso più stretto di "poesia", quell'esperienza è la ricreazione dell'opera poetica a partire dal testo scritto; nel caso dell'amore umano è l'accesso alla persona attraverso il suo corpo. Dopo questa introduzione, Paz procede alla distinzione fra sesso ed erotismo. "L'erotismo non è pura sessualità animale: è cerimonia, rappresentazione. L'erotismo è sessualità trasfigurata: metafora" (3). Ma l'attenzione di Paz si rivolge subito all'elemento che determina il passaggio dall'erotismo all'amore: la persona. In questo senso non c'è nell'antica Grecia una filosofia dell'amore vera e propria. L'"amato" è oggetto, non soggetto, è uno scalino verso la contemplazione e i suoi sentimenti non vengono mai alla luce. "In realtà, per Platone, l'amore non è propriamente una relazione: è un'avventura solitaria" (4). Tuttavia Platone è da tenere fra i fondatori della nostra filosofia dell'amore grazie alla nozione di anima che fonda quella di persona: "Senza la fede in un'anima immortale inseparabile da un corpo mortale, non avrebbe potuto nascere l'amore unico né la sua conseguenza: la trasformazione dell'oggetto desiderato in soggetto desiderante. L'amore esige come condizione a priori la nozione di persona, e questa, a sua volta, la nozione di un'anima incarnata in un corpo" (5).

Nei primi quattro capitoli viene esposta l'evoluzione fino alla maturità, nel secolo XII, dell'idea occidentale dell'amore, le cui note essenziali vengono poi ricapitolate nel quinto. Esse sono: a) esclusività; b) sovversione; c) dominio e sottomissione; d) fatalità e libertà; e) persona;

--l'esclusività ha il primato conoscitivo, cioè dal punto di vista del nostro riconoscimento di ciò che è amore, anche se dal punto di vista del suo fondamento la nota principale è la persona;

--la sovversione allude all'autonomia della passione amorosa nei riguardi degli schemi sociali: di classe, di razza, di età, ecc.;

--dominio e sottomissione evidenziano che non è più in vigore lo schema erotico soggetto/oggetto bensì quello soggetto/soggetto, cioè il rapporto fra due libertà, perché l'amore "non nega l'altro e non lo riduce a un'ombra, ma al contrario nega la propria sovranità. Questa autonegazione ha il suo contrappeso: l'accettazione dell'altro. (...) E' una scommessa che nessuno è sicuro di vincere perché dipende dalla libertà dell'altro (...); è la ricerca di una reciprocità liberamente concessa. (...) La cessione della sovranità personale e l'accettazione volontaria della servitù comportano un vero e proprio cambio di natura: grazie al ponte del desiderio reciproco l'oggetto si trasforma in soggetto desiderante e il soggetto in oggetto desiderato" (6);

--fatalità e libertà costituiscono di nuovo un abbinamento audace di fronte alla ragione. E' un'idea molto antica ma ancora viva: "l'amore è una malia, e l'attrazione che unisce gli amanti è un incantesimo. La cosa straordinaria è che questa credenza coesiste con l'idea opposta: l'amore nasce da una libera decisione, è l'accettazione volontaria di una fatalità" (7). In altre parole: "L'amore è attrazione involontaria verso una persona, e volontaria accettazione di questa attrazione" (8);

--il carattere personale dell'amore, infine, è senza dubbio il contributo centrale di questo saggio.

Il centro di questa testimonianza si trova nel suddetto "stupore" di fronte all'unità dell'uomo, che è una sfida nei riguardi di molti nostri schemi razionali, soprattutto quelli dualisti della modernità che invitano a prendere partito per l'anima o per il corpo. L'esperienza poetica, che in tanti altri campi viene vissuta come un'evidenza di unità sufficientemente forte per respingere, con l'autorità della vita, le ragioni che vogliono imporre scissioni nel nostro essere, è anche qui un'appello a fare affidamento sulla nostra sensibilità.

Per "sensibilità" si intende qui la percezione immediata, non alterata da formulazioni ragionate, quella capacità di comprensione che spesso non viene accompagnata dalla capacità di giustificare ciò che è stato compreso. Se è possibile parlare di sensibilità in questo senso, e cioè aldilà di un ambito strettamente sensibile, è grazie all'unità dell'uomo, intuizione che sta alla base del saggio di Paz: "Quando parlo della persona umana non evoco un'astrazione: mi riferisco a una totalità concreta. Ho già utilizzato varie volte la parola anima e mi confesso colpevole di un'omissione: l'anima, o come si voglia chiamare la psiche umana, non è solo ragione e intelletto: è anche sensibilità. L'anima è corpo, sensazione; la sensazione diventa affetto, sentimento, passione" (9).

Ogni volta che rifiutiamo il nome di amore per qualcosa che si spaccia per tale c'è di mezzo la presenza/assenza della persona. Se, per esempio, il partner può essere sostituito indifferentemente da un altro che offra lo stesso risultato, è chiaro che l'attenzione non era rivolta alla persona. E' questa appunto "la linea che marca la frontiera fra l'amore e l'erotismo. L'amore è attrazione per una persona unica: per un corpo e per un'anima" (10). Diversi anni fa Paz aveva scritto precisamente che "l'erotismo tende a esaltare non il carattere unico dell'oggetto erotico ma le sue singolarità ed eccentricità" (11). Paz è ben consapevole delle implicazioni dell'espressione "oggetto erotico" e della distanza che essa instaura fra il puro erotismo (12) e il carattere personale dell'amore: "La nozione d'anima costituisce la persona e, senza persona, l'amore ritorna al puro erotismo" (13).

Ne La duplice fiamma troviamo due affermazioni complementari di particolare importanza perché convergenti nella loro formulazione: "C'è un nesso intimo e causale, necessario, tra le nozioni di anima, persona, diritti umani e amore" (14), e "C'è un nesso intimo e causale tra amore e libertà" (15). Da queste premesse si possono desumere molte conclusioni rilevanti. Una conseguenza di questo nesso era già stata enunciata da Paz in un'intervista rilasciata nel 1978: "Né il concetto di anima né quello di persona né tanto meno quello di libertà compaiono nell'erotismo" (16). Perché allora l'erotismo si spaccia così facilmente per libertà? E' una delle fallacie, uno degli effetti perversi della modernità -- lo snaturamento del mercato libero, dei partiti politici, dei mass media, ecc. (17) -- che, nella fattispecie, consiste nel chiamare "libertà erotica" una servitù (18).

Quel che a mio avviso si delinea qui è una libertà in senso forte: la libertà è vera nella misura in cui si dispiega in dei valori oggettivi. Questa presa di posizione di Paz è chiaramente apprezzabile nella sua critica al mercato puro, al relativismo, ad una certa concezione di democrazia. Per questo motivo, prima di passare all'esposizione di quanto esplicitamente egli dice a proposito della famiglia e del matrimonio, mi sembra opportuno presentare il contenuto queste sue idee.

 

La libertà

Il carattere non assoluto della libertà è la base della critica di Paz di cui sopra (19). E' illusoria e non desiderabile una "libertà" priva di ogni orientamento. Una simile libertà sarebbe una condanna, come vide lucidamente Sartre, il quale, con memorabile coerenza, "in un momento di disperazione disse: "L'inferno è gli altri". Frase terribile perché gli altri sono il nostro orizzonte: il mondo degli uomini. (...) Forse dimenticò che il noi è un tu collettivo: per amare gli altri bisogna amare prima l'altro, il prossimo. Noi moderni abbiamo bisogno di riscoprire il tu (...)" (20).

A rendere possibile questa nozione di libertà è la concezione relazionale della persona delineata da Paz anche se non sempre applicata con tutte le sue virtualità (21). El laberinto de la soledad contiene, a partire dalla sua seconda edizione, un'appendice che, nel primo paragrafo, afferma: "La solitudine è il fondo ultimo della condizione umana. L'uomo è l'unico essere che si sente solo e l'unico che è ricerca d'un altro. (...) L'uomo è nostalgia e ricerca di comunione. Perciò ogni volta che sente sé stesso si sente come mancanza d'un altro, come solitudine" (22). Egli poteva così puntualizzare, nel ricevere il Premio Cervantes (1982), che "la libertà, che comincia per essere l'affermazione della mia singolarità, si risolve nel riconoscimento dell'altro e degli altri: la loro libertà è condizione della mia. Nella sua isola Robinson non è realmente libero; benché egli non subisca una volontà estranea e nessuno lo costringa, la sua libertà si dispiega nel vuoto. La libertà del solitario è simile alla solitudine del despota, colma di spettri. Per realizzarsi, la libertà deve incarnare e mettersi di fronte ad un'altra coscienza e ad un'altra volontà: l'altro è, contemporaneamente, il limite e la fonte della mia libertà" (23). Perciò Paz può finire il summenzionato commento a Sartre -- un omaggio in memoriam, del 1980 -- con una parafrasi: "la libertà è gli altri" (24).

Questa libertà finita, condizionata (25), che si dispiega davanti ad altre libertà, sembra destinata al calcolo, all'equilibrio di libertà, al patto sugli ambiti di azione. Ma la realtà è un'altra. Le libertà non possono essere oggetto di addizioni e sottrazioni. In questo consiste la critica che Paz rivolge a certi modi di concepire la democrazia che ne deformano il vero senso. "La democrazia non è una panacea: è una forma di convivenza, un sistema per evitare che la gente si ammazzi, per far sì che i governi si rinnovino pacificamente e i presidenti entrino nel palazzo presidenziale dalla porta del voto. La democrazia ci insegna a convivere e nient'altro" (26).

La necessità che la libertà abbia un criterio oggettivo di azione appare ormai da tempo, ma soprattutto negli ultimi anni, nelle riflessioni di Paz sulla democrazia e sul mercato. Particolarmente degno di nota è in questo senso Itinerario (27). Nel saggio autobiografico che dà nome al libro egli afferma che il sistema democratico dominante è contrassegnato dal relativismo, il quale consiste, fra l'altro, nel non segnalare alla società alcuna meta o codice di valori. Perciò "questo sistema non risponde alle domande fondamentali che si sono posti gli uomini sin da quando sono apparsi sulla terra. Esse sono sintetizzate nella seguente: qual'è il senso della mia vita e dove vado? In breve, il relativismo è l'asse della società democratica: assicura la convivenza civile delle persone, delle idee e delle credenze; al tempo stesso, nel centro della società relativista c'è un buco, un vuoto che incessantemente si allarga e rende le anime deserte" (28).

A quella domanda fondamentale Paz si era riferito più volte in precedenza, e in Itinerario scende in particolari provocatori (29), ma qui vorrei soffermarmi soprattutto sul ricupero del vincolo fra libertà e virtù (30), che porta Paz a rimpiangere i tempi in cui la salute politica si basava sulla virtù dei cittadini. La virtù "denota sempre dominio su noi stessi. Quando la virtù infiacchisce e siamo dominati dalle passioni -- quasi sempre quelle inferiori: l'invidia, la vanità, l'avarizia, la lussuria, la pigrizia -- le repubbliche periscono. Quando non possiamo più dominare i nostri appetiti, siamo pronti per essere dominati dall'estraneo" (31).

La democrazia non può essere in sé stessa un ideale di vita (32). Evidentemente, non lo può essere neanche il mercato, che non conosce misericordia (33). Ma non dobbiamo pensare soltanto al dramma di coloro che sono condannati a vivere nella miseria ma anche alla disgrazia, non minore, di coloro che nell'agiatezza menano una vita meno umana poiché, "a parte le ingiustizie e le disuguaglianze che produce, il mercato nuoce moralmente e spiritualmente gli uomini perché sostituisce all'antica nozione di valore quella di prezzo. Ora, le cose più alte e migliori -- la virtù, la verità, l'amore, la fraternità, la libertà, l'arte, la carità, la solidarietà -- non hanno prezzo" (34).

Torna ora quell'intimo nesso fra anima, persona, diritti umani, amore e libertà. Paz si colloca chiaramente controcorrente quando mette in connessione la moralità pubblica e i diritti umani: "E' strano che in un'epoca in cui si parla tanto di diritti umani, si permetta l'affitto e la vendita di immagini del corpo di uomini e donne per esibizirli come adescamento commerciale, senza escludere le parti più intime. Scandaloso non è tanto il fatto che si tratti di una pratica universale e ammessa da tutti, quanto quello che nessuno se ne scandalizzi: le nostre molle morali si sono arrugginite" (35).

 

La famiglia

Paz afferma che la famiglia "è il nucleo e l'anima di ogni società" (36), la quale non può perciò sussistere senza la famiglia (37). Su questo carattere essenziale della famiglia Paz non si sofferma perché gli appare indubitabile, almeno se si presuppone l'indole sociale dell'uomo. Ciò che a mio giudizio costituisce il contributo più rilevante di Paz è la considerazione della famiglia come veicolo di cultura. L'umanizzazione dell'uomo oltrepassa l'ambito biologico ed è giustamente la famiglia il mezzo ordinario attraverso il quale la natura riceve il suo compimento di cultura che essa intrinsecamente esige. Sul caso concreto del Messico Paz affermava nel 1975: "Nel fondo della psiche messicana ci sono realtà ricoperte dalla storia e dalla vita moderna. Realtà nascoste ma presenti. (...) La famiglia è una realtà molto potente. E' il focolare nel senso originale della parola: centro e riunione dei vivi e i morti, al tempo stesso altare, letto dove si fa l'amore, forno dove si cucina, ceneri che seppelliscono gli antenati. La famiglia messicana ha attraversato quasi indenne diversi secoli di calamità e solo adesso comincia a dissolversi nelle città. La famiglia ha dato ai messicani le loro credenze, valori e concetti sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sul maschile e sul femminile, sul bello e sul brutto, su ciò che si deve fare e ciò che è vietato. Nel centro della famiglia: il padre" (38).

Undici anni più tardi Octavio Paz si pronunciava diversamente sulla figura centrale della famiglia: "La società ispanocattolica è comunitaria e il suo nucleo è la famiglia, piccolo sistema solare che gira attorno ad un astro fisso: la madre" (39). Questo suo cambiamento è un approfondimento. Il protagonismo del padre ha una validità superficiale, risponde con dei dati esterni alla domanda su "chi comanda". Ma quegli atti di comando non configurano le persone ed i popoli in profondità come l'azione della madre. Paz pensa che la famiglia sia sufficientemente forte per conservare l'identità di un popolo, purché essa sia veramente famiglia. A proposito dei latinoamericani che abitano negli Stati Uniti afferma: "La famiglia è il centro culturale; finché ci sarà famiglia ispanica, famiglia chicana (40), famiglia portoricana e famiglia messicana negli Stati Uniti ci sarà sopravvivenza culturale dell'elemento ispanico negli Stati Uniti" (41).

Sui valori familiari si può anche perdere il senso della misura, ma questo non potrebbe mai essere un motivo sufficiente per esautorare in pieno l'istituzione familiare: "Nel dominio dell'economia è anche urgente svegliare energie e forze non utilizzate. Per esempio, la famiglia. Nel Giappone essa è stata un centro di creazione economica e culturale. Nel Messico potrebbe pure diventarlo. E' vero che la famiglia messicana ha avuto un influsso negativo perché è stata l'origine del patrimonialismo e del nepotismo. I legami familiari e di amicizia sono stati più forti di quelli ideologici e delle considerazioni tecniche. I nostri paladini hanno protetto i loro parenti con posti e prebende. Ma è impossibile dimenticare che la famiglia messicana è stata il centro della solidarietà sociale e la depositaria dei valori tradizionali" (42).

I testi precedenti, illuminati da quelli sulla libertà, mostrano una concezione della famiglia basata su una configurazione dell'essere umano data, non convenzionale, creatrice di cultura, non frutto di essa. Certo, è una peculiare natura che esige decisamente un'autorealizzazione, un'autocreazione, fino all'estremo che è assolutamente impossibile trovare una natura umana allo stato puro: gli uomini appaiono sempre ricreati da sé stessi. Il ruolo della famiglia in questa ricreazione è articolato. La famiglia offre svariate conformazioni a seconda delle culture, ma essa stessa, in generale, appartiene alla configurazione data dell'uomo. L'uomo è un essere in cui il dato comprende l'esigenza del non-dato, e il non-dato forma un patrimonio suscettibile di trasmissione (di essere dato), nella quale il primo anello è ordinariamente la famiglia. In essa il dato e il non dato sono talmente intrecciati da sembrare indiscernibili, come si può vedere nelle dimensioni sessualità/erotismo/amore di cui sopra, che sono proprio quello: dimensioni d'una realtà unica. Dire che l'erotismo (cultura) nega la sessualità (natura) è un modo di parlare: esso la nega nel senso che la oltrepassa mentre in realtà la sta assumendo. Altrettanto avviene nella trasfigurazione dell'erotismo per opera dell'amore. A ragione dice Paz che non si tratta d'un passaggio dal corporale allo spirituale ma al personale, che consiste in un'unità anima/corpo.

A questo punto si insinua nell'orizzonte delle nostre considerazioni un passo che Paz non fa e potrebbe rendere ancor più avvincente il suo canto all'unità della persona umana. L'esperienza poetica gli permette di superare la visione razionalista di chi nel sessuale percepisce soltanto una realtà biologica o, con l'aggiunta dell'elemento culturale, un rapporto soggetto/oggetto; egli la supera fino a tratteggiare la nozione di amore sopra esposta. Perché non applicare la stessa esperienza alla genesi di ogni persona umana? Confinare la riproduzione all'ambito della natura, non significa togliere umanità all'inizio dell'umanità? Se l'atto coniugale non è pura sessualità ma anche erotismo ed amore, perché pensare che il figlio proviene soltanto dall'accoppiamento biologico e non da tutta quell'unità?

L'autosufficienza del biologico per suscitare nuove vite umane facilita la considerazione riduttiva. Ma è questo ciò che noi chiamiamo "portare un uomo al mondo"? Se, al contrario, prendiamo l'unità della persona fino in fondo, ne risulta che la persona, il cui costitutivo radicale è la vocazione alla comunione, ha la sua origine, sfolgorante di bellezza, nella comunione di persone: amore che, per via della condizione umana -- corpo e anima, natura e cultura --, è anche erotismo e sesso. "Portare un uomo al mondo" comprenderà dunque tutte e tre le dimensioni: comunicargli la vita biologica, trasmettergli un'identità -- un ethos -- ed accoglierlo in una comunione di persone.

La duplice fiamma non dice quasi niente sui figli e sulla paternità/maternità. Un brano che suscita in alcuni lettori l'aspettativa d'una considerazione sul figlio sembra poi eludere la questione: "il sesso è la radice, l'erotismo è lo stelo e l'amore il fiore. E il frutto? I frutti dell'amore sono intangibili. E' questo uno dei suoi enigmi" (43). Nella logica interna del libro tutto ciò è perfettamente coerente: l'Autore ha sottolineato più volte che non si occupa di sesso ma di amore. La considerazione dell'unità della persona nella genesi della persona farebbe del figlio un tema d'amore.

 

Il matrimonio

Sull'essenza del matrimonio, che in passato Paz ritenne un nemico dell'amore (44), ci sono nei suoi ultimi scritti diversi punti significativi in cui si riflettono le concezioni sopra esposte sulla libertà, l'amore e la famiglia. Ne metterò in evidenza due.

Da una parte, del suo matrimonio non parla in quei termini. "L'India mi mise di fronte all'amore: lì ho conosciuto mia moglie" (45). Frase breve, lasciata cadere in un'intervista, che non potrebbe essere più lontana dall'antagonismo postulato prima. Come può egli dire che è stato messo di fronte all'amore, già oltrepassati i 50 anni, quando non gli è mancato prima quel che chiunque chiamerebbe amore? Ed è proprio quell'amore che, assunto sotto la forma di matrimonio, egli presenta da allora come una realtà sociale e, contemporaneamente, come fulcro della sua identità personale: "--Quegli anni nell'India, che influsso hanno avuto in lei? --Innanzitutto di ordine personale. Nell'India ho trovato mia moglie, Marie-Jo. Dopo l'essere nato è la cosa più importante che mi sia capitata. --Vi siete sposati lì? --Sì, sotto un grande albero. Un nim molto esuberante" (46).

Il secondo punto è la confluenza tra il realismo e la constatazione che l'amore dell'uomo e della donna, diventato società -- o in altre parole, la comunione diventata comunità --, sia un bene. Quando ne El laberinto de la soledad Paz considerava il matrimonio un nemico dell'amore non faceva altro che formulare un'esperienza, del resto non soltanto sua: amore e vincolo non si mantengono in armonia senza sforzo. Siamo di fronte ad un mistero, simile peraltro a quello segnalato da Paz nel descrivere la condizione umana: siamo chiamati alla comunione, ma essa sembra rivelarsi impossibile. In quest'antinomia egli aveva ravvisato un intimo bisogno di redenzione. Nel caso del matrimonio, il problema non viene focalizzato negli stessi termini ma ad essi si ricorre quando si segnalano le modalità della possibile soluzione. "La contrapposizione tra amore e amicizia non è assoluta: non solo hanno molti elementi in comune, ma l'amore può trasformarsi in amicizia. E', direi, uno dei suoi sbocchi" (47). "L'amicizia fra i coniugi -- un fatto che possiamo constatare ogni giorno -- è uno degli elementi che redimono il vincolo matrimoniale" (48).

La convinzione che l'amicizia sia in grado di redimere il vincolo denota un ottimismo che ha la forza del vissuto. Essa poggia sull'esperienza poetica nel senso più largo e profondo possibile: unità dell'uomo e degli uomini, esperienza della possibilità di un amore fedele. Tutto ciò è senza dubbio collegato a due prese di posizione de La duplice fiamma che hanno molto stupito non pochi lettori di Paz: in favore della spiritualità dell'anima e in favore della fedeltà nell'amore. A me non stupisce il loro stupore: queste convinzioni di Paz sono una sorpresa, anche se a mio avviso hanno più dell'evoluzione che non della sterzata. Né mi stupisce che chi spezzi una lancia in favore dell'anima e della fedeltà nell'amore sia in grado di offrire luci allettanti sulla libertà, sulla persona e sulla famiglia.


(1) La duplice fiamma. Amore ed erotismo, Garzanti, Milano 1994, 173 pp. Edizione originale: La llama doble. Amor y erotismo, Seix Barral, Barcelona 1993, 223 pp. -^

(2) Ibid., p.11. Ho cercato di cogliere il modo in cui l'esperienza poetica illumina l'essere dell'uomo nel mio libro Octavio Paz. Poética del hombre, EUNSA, Pamplona 1992. -^

(3) Ibid., p.12. -^

(4) Ibid., p.39. -^

(5) Ibid., p.102. -^

(6) Ibid., pp.98-99. -^

(7) Ibid., p.100. -^

(8) Ibid., p.99. -^

(9) Ibid., p.134. -^

(10) Ibid., p.29. -^

(11) El ogro filantrópico, Joaquín Mortiz, México 1979, p.233. -^

(12) L'espressione "puro erotismo" lascia aperta la possibilità di conservare il termine "erotismo" per significare, in una considerazione integrale dell'amore umano, la sua dimensione corporea. A questa sfumatura fa allusione il seguente testo: "Senza erotismo -- senza forma visibile che penetri attraverso i sensi -- non c'è amore, ma l'amore trapassa il corpo desiderato e cerca l'anima nel corpo e, nell'anima, il corpo. La persona intera" (La duplice fiamma, p.29). -^

(13) Ibid., p.102. -^

(14) Ibid., p.102. -^

(15) Ibid., p.124. -^

(16) Pasión crítica, Seix Barral, México 1985, p.171. -^

(17) Cfr. La duplice fiamma, p.126. -^

(18) Paz segnala tra i principali fattori della crisi della nostra società, "la licenziosità sessuale, la morale permissiva: ha degradato Eros, ha corrotto l'immaginazione umana, ha inaridito le sensibilità e ha fatto della libertà sessuale la maschera della schiavitù dei corpi" (La duplice fiamma, p.126). "Le nostre società hanno sostituito (...) la libertà con la promiscuità" (Convergencias, Seix Barral, Barcelona 1991, p.15). "In certi gruppi e ambienti [nell'Europa fra 1920 e 1930] regnava addirittura la promiscuità, mascherata da libertà. (...) Non c'è niente di più difficile che difendere la libertà dai libertari" (La duplice fiamma, p.110). "Penso che il libertinaggio, contro quanto il suo nome dice, sia una vera e propria prigione" ("Genealogía de un libro: Libertad bajo palabra", Vuelta, 145[1988], p.18; Vuelta è una rivista diretta da Paz). -^

(19) "Non appena la libertà diventa un assoluto, cessa di essere libertà: il suo vero nome è dispotismo" (Hombres en su siglo y otros ensayos, Seix Barral, México 1989, p.14). -^

(20) Ibid., p.123. -^

(21) Il testo riportato in seguito ne è un ottimo esempio. La duplice fiamma offre altre lucide formulazioni: "il vero amore consiste precisamente nella trasformazione della brama di possesso in dono di sé" (p.93); "l'amore (...) è un paradigma, un ideale di vita fondato sulla libertà e sul dono di sé" (p.128). In questo secondo brano si presenta l'amore come il vero rimedio contro l'AIDS ("cioè contro la promiscuità", dice). Tuttavia Paz pensa che la specificità della nozione cristiana dell'amore risieda nell'unità anima/corpo. -^

(22) El laberinto de la soledad, Fondo de Cultura Económica, México 1950, p.175. C'è una versione italiana de Il Saggiatore, 1982. -^

(23) "La tradición liberal", in Hombres..., p.14. -^

(24) Ibid., p.125. -^

(25) "In tutte le sue varianti l'idea di libertà condizionale implica la nozione di responsabilità personale: ognuno di noi conquista e, letteralmente, fa o disfa la sua libertà. Una libertà sempre precaria" ("Tiempos, lugares, encuentros. Entrevista con Alfred MacAdam", Vuelta, 181[1991], p.15). -^

(26) Pequeña crónica de grandes días, Fondo de Cultura Económica, México, 1990, p.131. Il corsivo è mio. -^

(27) Fondo de Cultura Económica, México 1993. -^

(28) Itinerario, p.126. -^

(29) "La democrazia moderna postula una prudente neutralità in materia di fede e di credenze. Tuttavia non è possibile né prudente ignorare le religioni né confinarle nel dominio riservato della coscienza individuale. Le religioni possiedono un aspetto pubblico che è loro essenziale, come si vede in una delle loro espressioni più perfette: il rito della messa" (Ibid., p.135). -^

(30) "La virtù, qualunque senso si dia a questa parola, è innanzitutto un atto libero" (La duplice fiamma, p.116). -^

(31) Itinerario, p.132. -^

(32) "Non mi illudo sulla democrazia: non ci darà né la felicità né la virtù" (Ibid., p.270). -^

(33) "Il trionfo dell'economia di mercato -- un trionfo per abbandono dell'avversario -- non può essere unicamente motivo di esultanza. Il mercato è un meccanismo efficace ma, come tutti i meccanismi, non ha coscienza né misericordia" (Convergencias, p.20; è il discorso a Stocolma con occasione del Nobel). -^

(34) Itinerario, p.235. -^

(35) La duplice fiamma, p.125. Anche qui Paz fa appello all'unità della persona: "I primitivi credevano che pitture e sculture fossero i doppioni magici delle persone reali. Ancor oggi in alcune zone appartate del mondo ci sono contadini che si rifiutano di farsi fotografare perché credono che chi s'impadronisce dell'immagine del loro corpo s'impadronisce anche dell'anima. In una certa misura non si sbagliano: c'è un nodo indissolubile tra ciò che chiamiamo anima e ciò che chiamiamo corpo" (Ibid., pp.124-125). E' possibile vendere il corpo e conservare l'anima? -^

(36) Itinerario, p.173. -^

(37) "In tutte le società esiste un insieme di proibizioni e tabù -- ma anche di stimoli e incentivi -- destinati a regolare e controllare l'istinto sessuale. Tali regole servono contemporaneamente alla società (cultura) e alla riproduzione (natura). Senza queste regole la famiglia si disintegrerebbe e con essa la società intera" (La duplice fiamma, pp.16-17; il corsivo è mio). -^

(38) El ogro..., p.23 = Pasión crítica, p.111. C'è un'interessante presa di posizione sul ruolo che avrebbe potuto svolgere la famiglia nella lotta contro l'AIDS: "Uno specialista nell'argomento scrive: "(...) La nostra unica speranza per riuscire a frenare l'AIDS è la prevenzione (...); l'unico vaccino di cui disponiamo per ora è l'educazione". Ebbene, oggi la nostra società non ha l'autorità morale per predicare la continenza, non diciamo la castità. Lo Stato moderno, per motivi buoni e meno buoni, cerca di astenersi dal legiferare in materia. La morale familiare, quasi sempre associata alle credenze religiose tradizionali, si è sgretolata" (La duplice fiamma, p.128). -^

(39) "Arte e identidad (Los hispanos en los Estados Unidos)", in Convergencias, p.109 (il saggio è stato pubblicato prima nel n.126 di Vuelta, marzo 1986). -^

(40) Vengono chiamati chicanos gli statunitensi d'origine messicana e a volte, per estensione, i messicani residenti negli Stati Uniti. -^

(41) "Historias, tiempos, civilizaciones", en Krauze, Personas e ideas, Ed. Vuelta, México 1989, p.160. L'intervista è del 1983. -^

(42) Pequeña crónica..., p.138. -^

(43) La duplice fiamma, p.32. -^

(44) "La società concepisce l'amore, contro la natura di questo sentimento, come un'unione stabile e destinata a creare figli. L'identifica con il matrimonio. (...) La protezione del matrimonio implica la persecuzione dell'amore e la tolleranza della prostituzione, se non la sua promozione ufficiale" (El laberinto de la soledad, pp.179-180). -^

(45) "Poesía de circunstancias", Vuelta, 138(1988), p.21. Paz è nato a Città del Messico nel l914; il suo soggiorno in India comprende gli anni 1962-1969. -^

(46) Pasión crítica, p.74. -^

(47) La duplice fiamma, p.92. -^

(48) Ibid., p.91. -^

 

 

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