Il Carnevale fornisce unaltra prova della tenacia con cui i samughesi conservano e trasmettono le loro tradizioni, ne sono esempio le maschere dei mamutzones e degli urtzus con gli omadores. Il mamutzone, maschera muta con il volto annerito dal sughero bruciato, indossa sopra un abito di fustagno nero, una mastruca fatta con pelli di capra attorno alla quale è legata una cintura da cui pendono diverse file di campani e sul petto quattro grossi campanacci. Ciò che differenzia questa maschera da quella di altri paesi è lacconciatura che porta sulla testa. Il copricapo detto casiddu o moju, è un recipiente in sughero munito di corna e rivestito allesterno da pelli di capra a cui si attribuiscono particolari significati di prosperità. Il termine moju, deriva da modius, recipiente adibito a contenere miele o latte ed a misura per il grano; tale contenitore in testa a Plutone era simbolo di fertilità ed abbondanza. Le corna che lo sormontano le si fanno risalire a Dionisio, divinità che mandava la pioggia, condizione necessaria perché prosperità ed abbondanza si realizzassero. I mamutzones avanzano in gruppo, mimano il combattimento delle capre in amore e saltellando provocano il tintinnio ritmico dei campanacci. Ogni tanto si tolgono i copricapi, mettendoli uno affianco allaltro ed improvvisano attorno ai recipienti una danza ancestrale propiziatoria. In netto contrasto caratteriale con il mamutzone, surtzu, figura tragica del carnevale. La maschera indossa la pelle intera di un caprone nero ed al collo un grosso campanaccio fissato ad una catena. Accompagnato dal suo guardiano, su omadore, che lo tiene legato a sé con una catena e lo pungola, esegue una danza zoppicante tipica delle feste dionisiache.