Da: Andersen
Oggetto: La polizza (parte 1 di 4)
Data: mercoledì 4 marzo 1998 15.05
Premessa Inizio a postare un mio racconto lungo (che ho diviso in quattro parti) nel quale
parlo di una polizza assicurativa, di un'impiegata di banca carina e un po' porca e di un
programmatore feticista. In questo episodio c'e' uno stupro, ma a ben vedere gli stupri
sono due. Al diavolo le classificazioni meccaniciste. Sono particolarmente legato a questo
lavoro: e' stato il mio primo racconto di genere erotico. Ho iniziato a scriverlo cinque
anni fa, col glorioso WordStar, e ho terminato il mese scorso con Word 97. In mezzo c'e'
stata la mia personale vita e i suoi cambiamenti. Considero questo racconto un "work
in progress" dal sapore documentario. Lo ritengo pessimo sotto molti punti di vista:
pieno di sbavature, di incongruenze, di cadute di stile. Ma l'ho scritto in cinque anni,
mettendoci mano quando mi andava, abbandonandolo poi per mesi, riprendendolo quando
sentivo che avevo qualcosa da cambiare o quando l'ultimo romanzo letto mi aveva stregato e
trasmesso delle idee. Credo che questo si possa notare nello snodarsi dell'opera. Inizio
con uno stile blando e diretto, proseguo con maggiore impegno, chiudo con echi di letture
indimenticate. In questo racconto, non cercate sofismi e ricerche psicologiche. Non
cercate nulla di pretenzioso. Ripeto, e' una specie di "log" della mia
evoluzione - o involuzione - narrativa. E come tale (spero) lo vorrete accogliere. LA
POLIZZA --------------------------------------------------------------------------- E
cosi', era arrivata a casa di questo Marco. Barbara se lo ricordava solo vagamente,
compagni d'universita'... Lui sempre in giro per i corridoi della Facolta',
indaffaratissimo, con fasci di libri sottobraccio e neanche uno straccio d'amico... Lei
che lo incrociava di tanto in tanto, qualche parola, ma lui andava sempre di fretta, e
solo una volta le aveva chiesto di aiutarlo a preparare un esame. Strano tipo,
effettivamente. Di certo non brutto, forse neanche stupido come poteva apparire. Lui si
era laureato due anni prima di lei, e si erano iscritti assieme. Poi, chi l'aveva piu'
visto in giro? Magari partito per il servizio militare... E lei, subito imbucata dal padre
in quella banca di merda. Nella borsetta, obbligatoriamente, la sua tessera di partito. Ma
la cosa finiva li'. E lui? Aveva trovato il portone aperto ed era entrata. Mentre saliva
le scale, soprappensiero, mise male un tacco sul gradino e rischio' di rotolare di sotto.
Si resse alla ringhiera, imprecando. Cominciava bene. Controllo' il tacco, e le calze.
Tutto a posto, sembrava. Arrivo' al suo portone, suono'. Cerco' di mettere su un sorriso
disinvolto. Lui apri' pochi istanti dopo, senza neanche chiedere prima. Era un bel
ragazzone alto, non eccessivamente robusto, dai folti capelli biondi. Aveva aperto uno
spiraglio di porta, s'era affacciato ed era rimasto interdetto a guardare lei. "Ciao,
Marco!" disse radiosamente Barbara. "Ti ricordi di me?" aggiunse poi,
sentendosi molto sciocca. Lui stento', quasi fosse molto miope, nonostante non portasse
gli occhiali. La guardo' velocemente da cima a fondo. Poi azzardo': "Barbara?"
"Si', io!" disse. "Quella dell'universita'..." Marco si illumino' in
volto. "Mi ricordo, mi ricordo perfettamente!" esclamo'. Sembrava molto scosso,
anche se felice. "Entra, dai! Che piacere!" Lei, ridendo e dicendo
"permesso", entro' nell'appartamento e lui chiuse la porta. "Quanto
tempo!" disse lui. "Quanto tempo e' passato..." "Eh gia'. Due anni, mi
pare". Rideva molto, scioccamente. Non sapeva cos'altro fare. Lui sembrava piu'
imbarazzato di lei. "Ti disturbo?" provo'. Lui sussulto'. "Eh? No, no,
figurati! Stavo... leggendo. Ma dammi il cappotto", disse vedendo che lei se lo
toglieva. Lo prese e senti' qualcosa scattargli dentro quando vide il suo abbigliamento.
Portava una rigorosa giacca color melanzana sopra una camicetta bianca lavorata a
merletti, un'aderente minigonna nera e scarpe coi tacchi. Anche le calze, velate e lucide,
erano nere. "E' carino, qui" disse Barbara guardandosi attorno. "Ti sei
sistemato bene". "Insomma", disse lui. La guardo' ammirato ancora un
pochino, poi le disse: "Accomodati pure. A cosa debbo l'onore di questa bella
visita?". Barbara si sedette sul divano in salotto, e accavallo' le gambe,
scoprendone sette ottavi. Su di esse, le calze frusciarono rumorosamente. Aveva delle
cosce da premio, osservo' Marco. Cominciava a non sentirsi bene. "Bevi qualcosa? Un
amaro?" propose subito. Lei chino' il capo spostandosi i capelli da una parte.
"Un goccio di Martini va bene, grazie", disse dolcemente. Poi, mentre lui
preparava i bicchieri, disse: "Ti sembrera' strano, ma sono qui per motivi di
lavoro". "Ah, si'?", fece lui versando il Martini. "Lavoro per una
banca, adesso. Il Banco Ambroveneto, del quale tu sei da poco correntista..." Marco
le porse il bicchiere e sedette sulla poltrona davanti a lei. "Davvero? A piazza
Zama?" Lei annui', sorridendo. Poso' il bicchiere sul tavolino e apri' la borsetta,
estraendone un cartoncino. "Il mio biglietto da visita", annuncio'.
"Barbara Bellini, responsabile clienti..." lesse lui. "Pero'! Complimenti.
Ma guarda che combinazione..." "Pensa che ho scoperto che abitavi qui solo
perche' il direttore dell'agenzia mi ha incaricato di venirti a fare visita e di proporti
un'assicurazione", spiego'. Alzo' il bicchiere, e brindarono. Bevve un sorso e
prosegui': "Quando ho controllato la tua cartella ho visto la fotocopia della tua
patente e mi sono detta: 'ma guarda un po' chi si rivede'..." "Sono i casi della
vita", convenne Marco bevendo d'un fiato il suo Martini. "Ma non ti ho mai vista
nell'agenzia, finora". Barbara scavallo' le gambe, allungandosi per poggiare il
bicchiere vuoto sul tavolino. Sotto quelle sottili calze brillanti le sue gambe erano da
capogiro. "Per forza. Io non lavoro agli sportelli, sto negli uffici chiusi al
pubblico". "Be', e' un peccato..." azzardo' Marco facendosi vermiglio.
Barbara rise, colpita. "Be', grazie", disse. Con calma prosegui': "Dal
lunedi' al venerdi' lavoro li' dentro. Il sabato, invece, come oggi, lo dedico alle visite
'porta a porta', come si dice..." "Penso che sia un piacere per tutti i clienti
ricevere la visita di una ragazza carina e gentile come te", disse Marco guardandole
fissamente le gambe. Poi aggiunse, alzando lo sguardo: "Non sei cambiata molto dai
tempi dell'universita'. Forse prima eri piu' ragazza, ora... sembri piu' matura, piu'
donna". Fremette vedendola arrossire. "Basta, mi fai girare la testa!" rise
lei. "Ma tu, dimmi, cos'hai fatto da allora? Lavori? Sei fidanzato?" L'ultima
domanda fu un sussurro. Lui si fece pensieroso e assente, e il suo volto si ombro'.
"Io... lavoro coi computer. Dopo la laurea ho fatto un corso, ora sono
programmatore... e no, non sono fidanzato; non lo sono mai stato. Come vedi, vivo da
single". Lei si guardo' ancora attorno. Soffriva degli sguardi insistiti di lui, e
gli faceva tenerezza quel suo modo dimesso di presentarsi. Poi lui si alzo' e lei,
istintivamente, si alzo' con lui. Fu tutto abbastanza strano. Nessuno dei due prese
apertamente l'iniziativa, eppure a un certo punto entrambi si trovarono faccia a faccia,
che si spogliavano. Mentre lo facevano non volava una parola. Solo fuori c'era il solito
casino. Marco tolse i pantaloni e la camicia, restando in slip. Barbara sfilo' a fatica la
minigonna, poi la camicetta, infine il collant. Ne aveva appena abbassato il corpino sotto
i glutei che Marco l'assali', gettandosi su di lei e cadendo con lei sul letto. "Che
fai!" grido' Barbara, che era sotto di lui. Rimbalzando, Marco tiro' giu' la parte
anteriore dello slip rivelando un organo in piena erezione. Era turgido, pulsante, solcato
da vene possenti, la cappella violacea. Barbara si irrigidi', spaventata.
"Cristo", mormoro'. "Togliti le mutandine", ansimo' Marco.
"Toglitele, per Dio". Si teneva il cazzo con le mani a coppa, e tremava. Aveva
gli occhi di fuori per l'eccitazione. "Le calze", titubo' Barbara. "Fammi
finire di sfilare le calze..." "Le mutandine!" urlo' Marco. Barbara
ubbidi'. Si prese l'elastico delle mutandine di pizzo, tiro' giu'... esponendo in pieno la
fica coperta di ispida e setosa peluria castana. Chiuse gli occhi. "Fai piano,
pero'" chioccio'. Fu un lampo. Senti' il cazzo entrare in lei con violenza
insuperabile, sfondandole la vagina. Era come se la stessero impalando. Urlo'. Marco
comincio' a dare spinte sempre piu' forti, in rapida sequenza, ma si capiva che sentiva
male anche lui. Lei non era eccitata e la sua fica non era lubrificata a sufficienza. Era
tremendo per entrambi. Ma presto lui le eiaculo' dentro, e lei accolse il liquido con un
brivido di purissimo terrore. Quando lui sembro' avvedersene, in pieno orgasmo, si fece
violenza e tiro' indietro il cazzo che ancora eruttava. Glielo trascino' sul collant,
sporcandolo a chiazze e grugnendo per la fatica. Ma a sorpresa, Barbara si alzo' a sedere
e con uno scatto repentino ando' a succhiare il resto dello sperma che continuava a
sprizzare fuori dal cazzo di Marco. Stupefatto, Marco sobbalzo' e riprese a godere
intensamente. Barbara sembrava espertissima. Succhiava con voracita', mordendogli la
cappella, come una bambina in allattamento. Poi la tensione prese a calare, i muscoli
contratti si rilassarono, l'ec-citazione si spense. Marco e Barbara si adagiarono sul
letto, uno sull'altra, mentre il calore dei loro corpi carichi di adrenalina li fondeva
assieme rendendoli un'unica entita'. Forse si addormentarono, o forse per qualche tempo
furono troppo felici per rendersi conto di essere vivi. Ma riprendendo lentamente
coscienza ecco che si sentivano male, come se qualcuno avesse succhiato via loro l'anima,
e quasi volevano piangere. Lo sperma era diventato gelido nella fica di Barbara, Marco
sentiva il cazzo fargli male e le gambe che tremavano. Non dissero nulla. Barbara non
dovette faticare molto per liberarsi dell'abbraccio di Marco e per sedersi sul bordo del
letto. Lo sperma appiccicoso le dava fastidio in mezzo alle gambe e aveva una consistenza
pastosa nella bocca. Si rendeva vagamente conto della gravita' di quello che aveva appena
fatto. Si alzo', e senza lavarsi tiro' su le mutandine e il collant. Marco dormiva
profondamente, spossato. Aveva ancora il cazzo di fuori, i peli pubici rappresi nella
sborra, le lenzuola sotto di lui avevano chiazze scure e umide. Le dimensioni del suo
organo erano pero' vistosamente diminuite. Ora il palo di poco tempo prima s'era
rattrappito fino a diventare un minuscolo moncherino floscio tra la peluria del glande, un
appendice di carne e pelle assurda e ridicola. Barbara prese i suoi vestiti e usci' dalla
stanza senza far rumore. Termino' di vestirsi in soggiorno. Indosso' il cappotto, prese la
sua borsa e fuggi' dall'appartamento. Il taxi era ancora li', parcheggiato davanti al
portone del palazzo. Il tassista stava appoggiato al cofano e leggeva il giornale. Barbara
aveva completamente dimenticato di essere venuta in taxi; non s'era ricordata di aver
portato la macchina dal meccanico perche' il motore era andato fuori fase. Il primo
pensiero che ebbe riguardo' il tassametro. Quanto tempo era stata da Marco? Guardo'
l'orologio: mezzogiorno e venti. Il tassista la stava aspettando da piu' di un'ora.
"E poi dicono che l'omini e violentano, ae donne!" sbotto' il tassista. Era un
uomo pingue, grave, dall'aspetto volgare e dal fortissimo accento romanesco. "Ce l'ha
con me?" sobbalzo' Barbara. "Co' lei? No, leggevo qui er giornale. Hanno
violentato una, ieri, erano in sei, facevano a turno dice, l'hanno proprio riempita. Ma o
sapeva questa come 'nnava vestita? Ciaveva a minigonna che nun se vedeva manco, tanto era
piccola, e poppe de fori, li capelli jarivavano ar culo. Pe' forza che nun se so potuti
trattene', poracci; so' omini, mica robbotte! A corpa e' de quaa mignottona..."
"Una donna allora non puo' vestirsi come vuole?" fece Barbara entrando nel taxi.
L'uomo si sistemo' al posto di guida. "Nun dico questo, signori', ma un minimo de
rispetto pe' noiartri Cristi... se crede che vede' certi spettacoli nun ce provoca gnente
dentro? Ao', mica saranno tutti froci a 'sto mondo!". Ingrano' la prima e si butto'
nel traffico. "Senta, lasciamo perdere" disse Barbara. "Cerchi di tornare
in fretta a casa mia. Sono molto stanca... La strada se la ricorda?" L'uomo rise.
"Io cio' tutta Roma dentro a capoccia, signori'! So' quarant'anni che faccio er
tassista a 'sta citta' der cazzo, mica 'n giorno..." "Be', mi scusi" disse
Barbara. "Ho solo una gran fretta di rientrare". "A capisco, sapesse quanta
ggente e' passata su quer sedile... omini, donne, regazzini, tutti che cianno sempre 'na
fretta boia quanno stanno seduti li'. Tanto e' inutile core, signori', do' vo' ariva', a
fine nostra e' sempre quella, che se crede?" "Ma io..." "Nun se
preoccupi, signori'... se vede che nun e' piu' come prima... er lavoro, eh?" "Eh
gia'" sorrise Barbara. "Un cliente un po' esigente..." Improvvisamente
l'uomo scoppio' a ridere. "E l'avevo capito, io... n'ora de lavoro... Chissa' che ja'
chiesto, quello..." "Ehi", salto' su Barbara avvampando. "Che cosa
vorrebbe dire? Sta scherzando, spero". "Mamma mia, signori', e che ho detto! E'
lei che pensa subito male: se sa che a gente oggi e' incontentabile, che nullo so, sapesse
e richieste che me fanno a me tante vorte... Bisogna ave' pazzienza e esse professionali,
come se dice, strigne li denti e anna' avanti." "Appunto. Dovevo aprire una
polizza assicurativa un po' impegnativa, e ho usato il mestiere. Ognuno sa fare il suo,
non crede?" "Me sa che lei er suo o sa fa' pure troppo bene", disse il
tassista. "L'anima de li mortacci tua!" urlo' all'improvviso al conduttore di un
furgoncino che gli aveva tagliato la strada per girare a sinistra. "Te piasse
n'corpo, 'mbranato. Ma tu guarda che razza de fii de 'na mignotta ce stanno 'n giro. Poi
dice l'incidenti. E te credo." Barbara si appoggio' al finestrino. Era distrutta, le
facevano male le gambe e aveva la schiena indolenzita. In bocca sentiva ancora il sapore
dello sperma di Marco. Aveva solo voglia di una lunghissima doccia calda. "Comunque
signori', je posso di' 'na cosa?" fece il tassista, seriamente, dopo qualche minuto
di silenzio. "Cosa?" disse lei. "Me scusi, sa, se joo dico. Ma quaa chiazza
lucida 'ntorno aa bocca... Saa levi, je ce sta male. O dico pe' lei." In un istante
di puro terrore, Barbara si guardo' nello specchietto dell'abitacolo. Una specie di strato
gelatinoso e biancastro, ancora semiliquido, le formava un'aureola attorno alle labbra dal
rossetto completamente sbaffato. Senti' come un artiglio che le stringeva il petto.
"Ce so' i fazzoletti de carta dentro ar cassetto der cruscotto. I po' prenne, i tengo
apposta pe' i passeggeri". Gliene porse uno senza togliere gli occhi dalla strada.
"Io..." balbetto' Barbara. Avrebbe voluto cominciare a piangere. Strappo' il
fazzoletto di mano al tassista e comincio' a sfregare attorno alla bocca. "La prego,
non e' come pensa lei" comincio' lottando con le lacrime. "Oh, Cristo, come
faccio a spiegare..." E intanto le scendevano le lacrime. "Avanti signori', nun
faccia cosi', co' me nun c'e' bisogno. N'ho viste de cotte e de crude, io, in
quarant'anni. Nun ce faccio caso a certe cose. L'ho detto solo pe' lei, sa, nun so tutti
come me, certi ne potrebbero approfitta'... Er discorso che facevamo prima, se
ricorda?". Il fazzoletto di carta era ormai fradicio delle lacrime di Barbara. Il
tassista le porse il pacchetto intero, sempre senza guardarla. "La scongiuro, non si
faccia ingannare, non e' come pensa lei" singhiozzo' Barbara. Adesso il tassista non
parlava piu'. Guidava con scioltezza, ed era serissimo in volto. Per un istante Barbara
penso' che avesse intenzione di portarla dalla Polizia. Si ricredette quando si fermo'
proprio davanti il portone del suo palazzo, incurante del traffico, dopo aver fatto un
giro che aveva velocizzato in modo impressionante l'arrivo. Lui usci', fece il giro del
tassi' e le apri' cavallerescamente la portiera. Barbara gli allungo' tre biglietti da
centomila dall'interno dell'auto. "La prego", disse. Il tassista prese le
banconote e Barbara si allontano' in fretta, coprendosi la bocca e cercando di immaginare
il tassista guardare altrove anziche' il suo sedere esaltato dalla minigonna.
Fortunatamente il portone era aperto. Barbara attraverso' l'androne velocemente e non
prese l'ascensore per paura di incontrarvi qualcuno dentro. Dopotutto si sentiva
abbastanza malridotta. Fece le due rampe di scale che la separavano dal suo appartamento,
tiro' fuori la chiave dalla borsetta ed entro'. C'era buio. Tutte le finestre erano chiuse
e le tapparelle abbassate. Accese la luce del corridoio. Un'ombra. Dove? Sembrava aver
attraversato il corridoio ed essere entrata in camera da letto... Barbara sussulto'.
Immaginazione, si disse. Un'ombra, che assurdita'... In casa sua, in pieno giorno... Si
reco' in cucina e spalanco' completamente la finestra. Il sole invase la stanza facendo
risplendere gli ottoni e i metalli. Sotto di lei, il traffico di Roma, i marciapiedi pieni
di gente, il trambusto di sempre. Ma quell'ombra... Accese il televisore. Sul canale
memorizzato c'era una soap opera. Le erano sempre piaciute le soap opera... Alzo' il
volume. Seguendo distrattamente i dialoghi, si tolse le scarpe e comincio' a spogliarsi.
Faticosamente sfilo' la minigonna, poi tiro' giu' il collant. Tolse anche la camicia e il
reggiseno. Quell'ombra. Getto' gli indumenti smessi nel cesto della biancheria sporca e
con le sole mutandine sporche addosso si reco' in bagno, lasciando il televisore acceso e
col volume alto. Il pavimento era ghiacciato sotto i piedi scalzi e l'atmosfera stessa
dell'appartamento le sembrava fredda e ostile. Passando davanti alla porta della stanza da
letto, si giro' da quella parte. Non c'era nessuno. Si chiuse in bagno e fece una
lunghissima doccia calda, lavandosi meticolosamente la vagina e il sedere. Lo scrosciare
dell'acqua copriva quasi completamente l'audio del televisore, ma non le importava troppo.
Voleva solo purificarsi dopo quello che aveva fatto. Usci' avvolgendosi in un ampio
accappatoio. Si vesti' in cucina, davanti al televisore acceso, seguendo il teleromanzo.
Mise su uno slip piccolissimo, un reggiseno nuovo e un leggero collant blu sul quale fece
scorrere uno strettissimo paio di jeans elasticizzati. Stava ancora laboriosamente
comprimendo i fianchi nei jeans quando comincio' a squillare il telefono. Dal telecomando
abbasso' il volume del televisore e cosi' come si trovava ando' a rispondere. "Si',
pronto", disse. "Barbara, sei tu?". La voce di Marco, ansiosa, preoccupata.
Sorpresa, lei disse: "Si', sono io... ma come fai ad avere il mio numero?".
"Ho ricontrollato certe carte dell'Universita'." Per un attimo la voce parve
farsi ghignante. "Cosa c'e'?" chiese lei. "Be', io...". Una pausa,
poi: "Volevo solo dirti che mi dispiace per quello che e' successo. Davvero, non so
cosa mi e' preso. Spero che tu non abbia pensato male di me. Non faccio mai cose del
genere". "Oh", disse Barbara. "Non devi preoccuparti. Anzi, ti
diro'... e' stato bellissimo". Arrossi'. "Sul serio. Non avevo mai provato una
sensazione cosi' intensa". Un attimo di silenzio. Poi: "Barbara".
"Si'?" "Ti amo". Lei, sorridendo appena: "Anch'io ti amo".
"Rifacciamolo, ti prego. Rifacciamolo". "Sicuro... quando vuoi.
Davvero." "Stanotte. Va bene stanotte?" "Perfetto. Stanotte a casa
tua. Un bacione, Marco". "Ciao, bellissima". E giu'. Disorientata, anche
Barbara attacco'. Improvvisamente, il televisore in cucina aveva il volume altissimo. Lei
si giro', incuriosita, e urlo'. Un uomo sulla trentina, basso, stempiato, vestito di
scuro, le puntava una pistola alla testa guardandola di sbieco. Le si avvicino'
prendendole le mani mentre lei, paralizzata dal terrore, restava immobile accanto al
telefono, tremando come una foglia. Strinse i polsi tra le sue dita facendola urlare per
il dolore, e avvicinando la bocca alle sue orecchie le disse: "Finiscila di agitarti
e non fare stronzate se hai cara la pelle. Soprattutto non urlare, tanto col televisore
cosi' alto non ti puo' sentire nessuno. Se farai quello che ti dico io senza protestare ci
sbrigheremo in pochi minuti e potrai tornare a guardarti il teleromanzo". Barbara
mugolo'. Lui allontano' la mano con la pistola e con l'altra la spinse verso la stanza da
letto. Adesso con la destra le teneva la pistola puntata sulla fronte e con la sinistra si
slacciava la cinta dei pantaloni. Lei capi', e comincio' a piangere, ma senza ribellarsi.
Sempre tenendole la pistola addosso, l'uomo si abbasso' i pantaloni e le mutande. Aveva un
cazzo mostruoso, enorme e gia' bagnato di sborra. Barbara urlo' e si appiatti' contro il
muro. "Non fare cosi'", le disse l'uomo tenendole la mano libera. "Sara' un
attimo". Lei chiuse gli occhi, continuando a urlare disperatamente. "Stupida
stronza" grido' l'uomo prendendola per un braccio e gettandola sul letto. "Ti
divertirai, invece". Poso' la pistola sul comodino e le monto' sopra a cavalcioni. Le
abbasso' un po' i jeans ancora non allacciati, poi cerco' di abbassarle anche il corpino
del collant ma l'impazienza lo rendeva impacciato. Prese l'elastico e tiro' con tutte le
sue forze verso il basso. Il leggero collant si strappo', lasciando come ultimo ostacolo
il piccolissimo slip al di sotto di esso. L'uomo vi introdusse le mani e con uno strattone
lo abbasso' alle cosce. Poi abbasso' il bacino e guido' il suo cazzo nella vagina scoperta
di lei. Fu un attimo davvero. Lei si inarco' e quasi svenne, lui grugni' di piacere. Dopo
pochi istanti la sborra schizzo' fuori bollente, impetuosa. Barbara urlo' con tutta la
voce che aveva in gola. Poi si lascio' andare sul letto, mentre lui estraeva il cazzo
gocciolante. Velocemente l'uomo tiro' su le mutande e i pantaloni e riprese in mano la
pistola. Gliela punto' addosso e disse: "Sei stata brava. Ancora qualche istante e
potrai tornartene al tuo teleromanzo". Mantenendo puntata la pistola l'uomo si giro'
e frugo' nei cassetti della specchiera. Prese tutta la gioielleria e la mise in un
sacchetto dei rifiuti che aveva tenuto in tasca. Era un bel pacchetto. Cerco' anche del
denaro contante, ma non lo trovo' e ben presto si stanco' di frugare. Mise il sacchetto
nella tasca del giubbino e per l'ultima volta si giro' verso Barbara, distesa a gambe
larghe sul letto. "Adesso me ne vado", grido'. "Che non ti salti in mente
di chiamare la polizia, altrimenti tornero' e nella fica ti ci ficchero' il fucile".
Usci' dalla camera da letto. Barbara senti' la porta dell'ingresso che si apriva e si
chiudeva rumorosamente. Pianse.
Da: Andersen