Da: Andersen
Oggetto: La polizza (parte 1 di 4)
Data: mercoledì 4 marzo 1998 15.05
Premessa Inizio a postare un mio racconto lungo (che ho diviso in quattro parti) nel quale parlo di una polizza assicurativa, di un'impiegata di banca carina e un po' porca e di un programmatore feticista. In questo episodio c'e' uno stupro, ma a ben vedere gli stupri sono due. Al diavolo le classificazioni meccaniciste. Sono particolarmente legato a questo lavoro: e' stato il mio primo racconto di genere erotico. Ho iniziato a scriverlo cinque anni fa, col glorioso WordStar, e ho terminato il mese scorso con Word 97. In mezzo c'e' stata la mia personale vita e i suoi cambiamenti. Considero questo racconto un "work in progress" dal sapore documentario. Lo ritengo pessimo sotto molti punti di vista: pieno di sbavature, di incongruenze, di cadute di stile. Ma l'ho scritto in cinque anni, mettendoci mano quando mi andava, abbandonandolo poi per mesi, riprendendolo quando sentivo che avevo qualcosa da cambiare o quando l'ultimo romanzo letto mi aveva stregato e trasmesso delle idee. Credo che questo si possa notare nello snodarsi dell'opera. Inizio con uno stile blando e diretto, proseguo con maggiore impegno, chiudo con echi di letture indimenticate. In questo racconto, non cercate sofismi e ricerche psicologiche. Non cercate nulla di pretenzioso. Ripeto, e' una specie di "log" della mia evoluzione - o involuzione - narrativa. E come tale (spero) lo vorrete accogliere. LA POLIZZA --------------------------------------------------------------------------- E cosi', era arrivata a casa di questo Marco. Barbara se lo ricordava solo vagamente, compagni d'universita'... Lui sempre in giro per i corridoi della Facolta', indaffaratissimo, con fasci di libri sottobraccio e neanche uno straccio d'amico... Lei che lo incrociava di tanto in tanto, qualche parola, ma lui andava sempre di fretta, e solo una volta le aveva chiesto di aiutarlo a preparare un esame. Strano tipo, effettivamente. Di certo non brutto, forse neanche stupido come poteva apparire. Lui si era laureato due anni prima di lei, e si erano iscritti assieme. Poi, chi l'aveva piu' visto in giro? Magari partito per il servizio militare... E lei, subito imbucata dal padre in quella banca di merda. Nella borsetta, obbligatoriamente, la sua tessera di partito. Ma la cosa finiva li'. E lui? Aveva trovato il portone aperto ed era entrata. Mentre saliva le scale, soprappensiero, mise male un tacco sul gradino e rischio' di rotolare di sotto. Si resse alla ringhiera, imprecando. Cominciava bene. Controllo' il tacco, e le calze. Tutto a posto, sembrava. Arrivo' al suo portone, suono'. Cerco' di mettere su un sorriso disinvolto. Lui apri' pochi istanti dopo, senza neanche chiedere prima. Era un bel ragazzone alto, non eccessivamente robusto, dai folti capelli biondi. Aveva aperto uno spiraglio di porta, s'era affacciato ed era rimasto interdetto a guardare lei. "Ciao, Marco!" disse radiosamente Barbara. "Ti ricordi di me?" aggiunse poi, sentendosi molto sciocca. Lui stento', quasi fosse molto miope, nonostante non portasse gli occhiali. La guardo' velocemente da cima a fondo. Poi azzardo': "Barbara?" "Si', io!" disse. "Quella dell'universita'..." Marco si illumino' in volto. "Mi ricordo, mi ricordo perfettamente!" esclamo'. Sembrava molto scosso, anche se felice. "Entra, dai! Che piacere!" Lei, ridendo e dicendo "permesso", entro' nell'appartamento e lui chiuse la porta. "Quanto tempo!" disse lui. "Quanto tempo e' passato..." "Eh gia'. Due anni, mi pare". Rideva molto, scioccamente. Non sapeva cos'altro fare. Lui sembrava piu' imbarazzato di lei. "Ti disturbo?" provo'. Lui sussulto'. "Eh? No, no, figurati! Stavo... leggendo. Ma dammi il cappotto", disse vedendo che lei se lo toglieva. Lo prese e senti' qualcosa scattargli dentro quando vide il suo abbigliamento. Portava una rigorosa giacca color melanzana sopra una camicetta bianca lavorata a merletti, un'aderente minigonna nera e scarpe coi tacchi. Anche le calze, velate e lucide, erano nere. "E' carino, qui" disse Barbara guardandosi attorno. "Ti sei sistemato bene". "Insomma", disse lui. La guardo' ammirato ancora un pochino, poi le disse: "Accomodati pure. A cosa debbo l'onore di questa bella visita?". Barbara si sedette sul divano in salotto, e accavallo' le gambe, scoprendone sette ottavi. Su di esse, le calze frusciarono rumorosamente. Aveva delle cosce da premio, osservo' Marco. Cominciava a non sentirsi bene. "Bevi qualcosa? Un amaro?" propose subito. Lei chino' il capo spostandosi i capelli da una parte. "Un goccio di Martini va bene, grazie", disse dolcemente. Poi, mentre lui preparava i bicchieri, disse: "Ti sembrera' strano, ma sono qui per motivi di lavoro". "Ah, si'?", fece lui versando il Martini. "Lavoro per una banca, adesso. Il Banco Ambroveneto, del quale tu sei da poco correntista..." Marco le porse il bicchiere e sedette sulla poltrona davanti a lei. "Davvero? A piazza Zama?" Lei annui', sorridendo. Poso' il bicchiere sul tavolino e apri' la borsetta, estraendone un cartoncino. "Il mio biglietto da visita", annuncio'. "Barbara Bellini, responsabile clienti..." lesse lui. "Pero'! Complimenti. Ma guarda che combinazione..." "Pensa che ho scoperto che abitavi qui solo perche' il direttore dell'agenzia mi ha incaricato di venirti a fare visita e di proporti un'assicurazione", spiego'. Alzo' il bicchiere, e brindarono. Bevve un sorso e prosegui': "Quando ho controllato la tua cartella ho visto la fotocopia della tua patente e mi sono detta: 'ma guarda un po' chi si rivede'..." "Sono i casi della vita", convenne Marco bevendo d'un fiato il suo Martini. "Ma non ti ho mai vista nell'agenzia, finora". Barbara scavallo' le gambe, allungandosi per poggiare il bicchiere vuoto sul tavolino. Sotto quelle sottili calze brillanti le sue gambe erano da capogiro. "Per forza. Io non lavoro agli sportelli, sto negli uffici chiusi al pubblico". "Be', e' un peccato..." azzardo' Marco facendosi vermiglio. Barbara rise, colpita. "Be', grazie", disse. Con calma prosegui': "Dal lunedi' al venerdi' lavoro li' dentro. Il sabato, invece, come oggi, lo dedico alle visite 'porta a porta', come si dice..." "Penso che sia un piacere per tutti i clienti ricevere la visita di una ragazza carina e gentile come te", disse Marco guardandole fissamente le gambe. Poi aggiunse, alzando lo sguardo: "Non sei cambiata molto dai tempi dell'universita'. Forse prima eri piu' ragazza, ora... sembri piu' matura, piu' donna". Fremette vedendola arrossire. "Basta, mi fai girare la testa!" rise lei. "Ma tu, dimmi, cos'hai fatto da allora? Lavori? Sei fidanzato?" L'ultima domanda fu un sussurro. Lui si fece pensieroso e assente, e il suo volto si ombro'. "Io... lavoro coi computer. Dopo la laurea ho fatto un corso, ora sono programmatore... e no, non sono fidanzato; non lo sono mai stato. Come vedi, vivo da single". Lei si guardo' ancora attorno. Soffriva degli sguardi insistiti di lui, e gli faceva tenerezza quel suo modo dimesso di presentarsi. Poi lui si alzo' e lei, istintivamente, si alzo' con lui. Fu tutto abbastanza strano. Nessuno dei due prese apertamente l'iniziativa, eppure a un certo punto entrambi si trovarono faccia a faccia, che si spogliavano. Mentre lo facevano non volava una parola. Solo fuori c'era il solito casino. Marco tolse i pantaloni e la camicia, restando in slip. Barbara sfilo' a fatica la minigonna, poi la camicetta, infine il collant. Ne aveva appena abbassato il corpino sotto i glutei che Marco l'assali', gettandosi su di lei e cadendo con lei sul letto. "Che fai!" grido' Barbara, che era sotto di lui. Rimbalzando, Marco tiro' giu' la parte anteriore dello slip rivelando un organo in piena erezione. Era turgido, pulsante, solcato da vene possenti, la cappella violacea. Barbara si irrigidi', spaventata. "Cristo", mormoro'. "Togliti le mutandine", ansimo' Marco. "Toglitele, per Dio". Si teneva il cazzo con le mani a coppa, e tremava. Aveva gli occhi di fuori per l'eccitazione. "Le calze", titubo' Barbara. "Fammi finire di sfilare le calze..." "Le mutandine!" urlo' Marco. Barbara ubbidi'. Si prese l'elastico delle mutandine di pizzo, tiro' giu'... esponendo in pieno la fica coperta di ispida e setosa peluria castana. Chiuse gli occhi. "Fai piano, pero'" chioccio'. Fu un lampo. Senti' il cazzo entrare in lei con violenza insuperabile, sfondandole la vagina. Era come se la stessero impalando. Urlo'. Marco comincio' a dare spinte sempre piu' forti, in rapida sequenza, ma si capiva che sentiva male anche lui. Lei non era eccitata e la sua fica non era lubrificata a sufficienza. Era tremendo per entrambi. Ma presto lui le eiaculo' dentro, e lei accolse il liquido con un brivido di purissimo terrore. Quando lui sembro' avvedersene, in pieno orgasmo, si fece violenza e tiro' indietro il cazzo che ancora eruttava. Glielo trascino' sul collant, sporcandolo a chiazze e grugnendo per la fatica. Ma a sorpresa, Barbara si alzo' a sedere e con uno scatto repentino ando' a succhiare il resto dello sperma che continuava a sprizzare fuori dal cazzo di Marco. Stupefatto, Marco sobbalzo' e riprese a godere intensamente. Barbara sembrava espertissima. Succhiava con voracita', mordendogli la cappella, come una bambina in allattamento. Poi la tensione prese a calare, i muscoli contratti si rilassarono, l'ec-citazione si spense. Marco e Barbara si adagiarono sul letto, uno sull'altra, mentre il calore dei loro corpi carichi di adrenalina li fondeva assieme rendendoli un'unica entita'. Forse si addormentarono, o forse per qualche tempo furono troppo felici per rendersi conto di essere vivi. Ma riprendendo lentamente coscienza ecco che si sentivano male, come se qualcuno avesse succhiato via loro l'anima, e quasi volevano piangere. Lo sperma era diventato gelido nella fica di Barbara, Marco sentiva il cazzo fargli male e le gambe che tremavano. Non dissero nulla. Barbara non dovette faticare molto per liberarsi dell'abbraccio di Marco e per sedersi sul bordo del letto. Lo sperma appiccicoso le dava fastidio in mezzo alle gambe e aveva una consistenza pastosa nella bocca. Si rendeva vagamente conto della gravita' di quello che aveva appena fatto. Si alzo', e senza lavarsi tiro' su le mutandine e il collant. Marco dormiva profondamente, spossato. Aveva ancora il cazzo di fuori, i peli pubici rappresi nella sborra, le lenzuola sotto di lui avevano chiazze scure e umide. Le dimensioni del suo organo erano pero' vistosamente diminuite. Ora il palo di poco tempo prima s'era rattrappito fino a diventare un minuscolo moncherino floscio tra la peluria del glande, un appendice di carne e pelle assurda e ridicola. Barbara prese i suoi vestiti e usci' dalla stanza senza far rumore. Termino' di vestirsi in soggiorno. Indosso' il cappotto, prese la sua borsa e fuggi' dall'appartamento. Il taxi era ancora li', parcheggiato davanti al portone del palazzo. Il tassista stava appoggiato al cofano e leggeva il giornale. Barbara aveva completamente dimenticato di essere venuta in taxi; non s'era ricordata di aver portato la macchina dal meccanico perche' il motore era andato fuori fase. Il primo pensiero che ebbe riguardo' il tassametro. Quanto tempo era stata da Marco? Guardo' l'orologio: mezzogiorno e venti. Il tassista la stava aspettando da piu' di un'ora. "E poi dicono che l'omini e violentano, ae donne!" sbotto' il tassista. Era un uomo pingue, grave, dall'aspetto volgare e dal fortissimo accento romanesco. "Ce l'ha con me?" sobbalzo' Barbara. "Co' lei? No, leggevo qui er giornale. Hanno violentato una, ieri, erano in sei, facevano a turno dice, l'hanno proprio riempita. Ma o sapeva questa come 'nnava vestita? Ciaveva a minigonna che nun se vedeva manco, tanto era piccola, e poppe de fori, li capelli jarivavano ar culo. Pe' forza che nun se so potuti trattene', poracci; so' omini, mica robbotte! A corpa e' de quaa mignottona..." "Una donna allora non puo' vestirsi come vuole?" fece Barbara entrando nel taxi. L'uomo si sistemo' al posto di guida. "Nun dico questo, signori', ma un minimo de rispetto pe' noiartri Cristi... se crede che vede' certi spettacoli nun ce provoca gnente dentro? Ao', mica saranno tutti froci a 'sto mondo!". Ingrano' la prima e si butto' nel traffico. "Senta, lasciamo perdere" disse Barbara. "Cerchi di tornare in fretta a casa mia. Sono molto stanca... La strada se la ricorda?" L'uomo rise. "Io cio' tutta Roma dentro a capoccia, signori'! So' quarant'anni che faccio er tassista a 'sta citta' der cazzo, mica 'n giorno..." "Be', mi scusi" disse Barbara. "Ho solo una gran fretta di rientrare". "A capisco, sapesse quanta ggente e' passata su quer sedile... omini, donne, regazzini, tutti che cianno sempre 'na fretta boia quanno stanno seduti li'. Tanto e' inutile core, signori', do' vo' ariva', a fine nostra e' sempre quella, che se crede?" "Ma io..." "Nun se preoccupi, signori'... se vede che nun e' piu' come prima... er lavoro, eh?" "Eh gia'" sorrise Barbara. "Un cliente un po' esigente..." Improvvisamente l'uomo scoppio' a ridere. "E l'avevo capito, io... n'ora de lavoro... Chissa' che ja' chiesto, quello..." "Ehi", salto' su Barbara avvampando. "Che cosa vorrebbe dire? Sta scherzando, spero". "Mamma mia, signori', e che ho detto! E' lei che pensa subito male: se sa che a gente oggi e' incontentabile, che nullo so, sapesse e richieste che me fanno a me tante vorte... Bisogna ave' pazzienza e esse professionali, come se dice, strigne li denti e anna' avanti." "Appunto. Dovevo aprire una polizza assicurativa un po' impegnativa, e ho usato il mestiere. Ognuno sa fare il suo, non crede?" "Me sa che lei er suo o sa fa' pure troppo bene", disse il tassista. "L'anima de li mortacci tua!" urlo' all'improvviso al conduttore di un furgoncino che gli aveva tagliato la strada per girare a sinistra. "Te piasse n'corpo, 'mbranato. Ma tu guarda che razza de fii de 'na mignotta ce stanno 'n giro. Poi dice l'incidenti. E te credo." Barbara si appoggio' al finestrino. Era distrutta, le facevano male le gambe e aveva la schiena indolenzita. In bocca sentiva ancora il sapore dello sperma di Marco. Aveva solo voglia di una lunghissima doccia calda. "Comunque signori', je posso di' 'na cosa?" fece il tassista, seriamente, dopo qualche minuto di silenzio. "Cosa?" disse lei. "Me scusi, sa, se joo dico. Ma quaa chiazza lucida 'ntorno aa bocca... Saa levi, je ce sta male. O dico pe' lei." In un istante di puro terrore, Barbara si guardo' nello specchietto dell'abitacolo. Una specie di strato gelatinoso e biancastro, ancora semiliquido, le formava un'aureola attorno alle labbra dal rossetto completamente sbaffato. Senti' come un artiglio che le stringeva il petto. "Ce so' i fazzoletti de carta dentro ar cassetto der cruscotto. I po' prenne, i tengo apposta pe' i passeggeri". Gliene porse uno senza togliere gli occhi dalla strada. "Io..." balbetto' Barbara. Avrebbe voluto cominciare a piangere. Strappo' il fazzoletto di mano al tassista e comincio' a sfregare attorno alla bocca. "La prego, non e' come pensa lei" comincio' lottando con le lacrime. "Oh, Cristo, come faccio a spiegare..." E intanto le scendevano le lacrime. "Avanti signori', nun faccia cosi', co' me nun c'e' bisogno. N'ho viste de cotte e de crude, io, in quarant'anni. Nun ce faccio caso a certe cose. L'ho detto solo pe' lei, sa, nun so tutti come me, certi ne potrebbero approfitta'... Er discorso che facevamo prima, se ricorda?". Il fazzoletto di carta era ormai fradicio delle lacrime di Barbara. Il tassista le porse il pacchetto intero, sempre senza guardarla. "La scongiuro, non si faccia ingannare, non e' come pensa lei" singhiozzo' Barbara. Adesso il tassista non parlava piu'. Guidava con scioltezza, ed era serissimo in volto. Per un istante Barbara penso' che avesse intenzione di portarla dalla Polizia. Si ricredette quando si fermo' proprio davanti il portone del suo palazzo, incurante del traffico, dopo aver fatto un giro che aveva velocizzato in modo impressionante l'arrivo. Lui usci', fece il giro del tassi' e le apri' cavallerescamente la portiera. Barbara gli allungo' tre biglietti da centomila dall'interno dell'auto. "La prego", disse. Il tassista prese le banconote e Barbara si allontano' in fretta, coprendosi la bocca e cercando di immaginare il tassista guardare altrove anziche' il suo sedere esaltato dalla minigonna. Fortunatamente il portone era aperto. Barbara attraverso' l'androne velocemente e non prese l'ascensore per paura di incontrarvi qualcuno dentro. Dopotutto si sentiva abbastanza malridotta. Fece le due rampe di scale che la separavano dal suo appartamento, tiro' fuori la chiave dalla borsetta ed entro'. C'era buio. Tutte le finestre erano chiuse e le tapparelle abbassate. Accese la luce del corridoio. Un'ombra. Dove? Sembrava aver attraversato il corridoio ed essere entrata in camera da letto... Barbara sussulto'. Immaginazione, si disse. Un'ombra, che assurdita'... In casa sua, in pieno giorno... Si reco' in cucina e spalanco' completamente la finestra. Il sole invase la stanza facendo risplendere gli ottoni e i metalli. Sotto di lei, il traffico di Roma, i marciapiedi pieni di gente, il trambusto di sempre. Ma quell'ombra... Accese il televisore. Sul canale memorizzato c'era una soap opera. Le erano sempre piaciute le soap opera... Alzo' il volume. Seguendo distrattamente i dialoghi, si tolse le scarpe e comincio' a spogliarsi. Faticosamente sfilo' la minigonna, poi tiro' giu' il collant. Tolse anche la camicia e il reggiseno. Quell'ombra. Getto' gli indumenti smessi nel cesto della biancheria sporca e con le sole mutandine sporche addosso si reco' in bagno, lasciando il televisore acceso e col volume alto. Il pavimento era ghiacciato sotto i piedi scalzi e l'atmosfera stessa dell'appartamento le sembrava fredda e ostile. Passando davanti alla porta della stanza da letto, si giro' da quella parte. Non c'era nessuno. Si chiuse in bagno e fece una lunghissima doccia calda, lavandosi meticolosamente la vagina e il sedere. Lo scrosciare dell'acqua copriva quasi completamente l'audio del televisore, ma non le importava troppo. Voleva solo purificarsi dopo quello che aveva fatto. Usci' avvolgendosi in un ampio accappatoio. Si vesti' in cucina, davanti al televisore acceso, seguendo il teleromanzo. Mise su uno slip piccolissimo, un reggiseno nuovo e un leggero collant blu sul quale fece scorrere uno strettissimo paio di jeans elasticizzati. Stava ancora laboriosamente comprimendo i fianchi nei jeans quando comincio' a squillare il telefono. Dal telecomando abbasso' il volume del televisore e cosi' come si trovava ando' a rispondere. "Si', pronto", disse. "Barbara, sei tu?". La voce di Marco, ansiosa, preoccupata. Sorpresa, lei disse: "Si', sono io... ma come fai ad avere il mio numero?". "Ho ricontrollato certe carte dell'Universita'." Per un attimo la voce parve farsi ghignante. "Cosa c'e'?" chiese lei. "Be', io...". Una pausa, poi: "Volevo solo dirti che mi dispiace per quello che e' successo. Davvero, non so cosa mi e' preso. Spero che tu non abbia pensato male di me. Non faccio mai cose del genere". "Oh", disse Barbara. "Non devi preoccuparti. Anzi, ti diro'... e' stato bellissimo". Arrossi'. "Sul serio. Non avevo mai provato una sensazione cosi' intensa". Un attimo di silenzio. Poi: "Barbara". "Si'?" "Ti amo". Lei, sorridendo appena: "Anch'io ti amo". "Rifacciamolo, ti prego. Rifacciamolo". "Sicuro... quando vuoi. Davvero." "Stanotte. Va bene stanotte?" "Perfetto. Stanotte a casa tua. Un bacione, Marco". "Ciao, bellissima". E giu'. Disorientata, anche Barbara attacco'. Improvvisamente, il televisore in cucina aveva il volume altissimo. Lei si giro', incuriosita, e urlo'. Un uomo sulla trentina, basso, stempiato, vestito di scuro, le puntava una pistola alla testa guardandola di sbieco. Le si avvicino' prendendole le mani mentre lei, paralizzata dal terrore, restava immobile accanto al telefono, tremando come una foglia. Strinse i polsi tra le sue dita facendola urlare per il dolore, e avvicinando la bocca alle sue orecchie le disse: "Finiscila di agitarti e non fare stronzate se hai cara la pelle. Soprattutto non urlare, tanto col televisore cosi' alto non ti puo' sentire nessuno. Se farai quello che ti dico io senza protestare ci sbrigheremo in pochi minuti e potrai tornare a guardarti il teleromanzo". Barbara mugolo'. Lui allontano' la mano con la pistola e con l'altra la spinse verso la stanza da letto. Adesso con la destra le teneva la pistola puntata sulla fronte e con la sinistra si slacciava la cinta dei pantaloni. Lei capi', e comincio' a piangere, ma senza ribellarsi. Sempre tenendole la pistola addosso, l'uomo si abbasso' i pantaloni e le mutande. Aveva un cazzo mostruoso, enorme e gia' bagnato di sborra. Barbara urlo' e si appiatti' contro il muro. "Non fare cosi'", le disse l'uomo tenendole la mano libera. "Sara' un attimo". Lei chiuse gli occhi, continuando a urlare disperatamente. "Stupida stronza" grido' l'uomo prendendola per un braccio e gettandola sul letto. "Ti divertirai, invece". Poso' la pistola sul comodino e le monto' sopra a cavalcioni. Le abbasso' un po' i jeans ancora non allacciati, poi cerco' di abbassarle anche il corpino del collant ma l'impazienza lo rendeva impacciato. Prese l'elastico e tiro' con tutte le sue forze verso il basso. Il leggero collant si strappo', lasciando come ultimo ostacolo il piccolissimo slip al di sotto di esso. L'uomo vi introdusse le mani e con uno strattone lo abbasso' alle cosce. Poi abbasso' il bacino e guido' il suo cazzo nella vagina scoperta di lei. Fu un attimo davvero. Lei si inarco' e quasi svenne, lui grugni' di piacere. Dopo pochi istanti la sborra schizzo' fuori bollente, impetuosa. Barbara urlo' con tutta la voce che aveva in gola. Poi si lascio' andare sul letto, mentre lui estraeva il cazzo gocciolante. Velocemente l'uomo tiro' su le mutande e i pantaloni e riprese in mano la pistola. Gliela punto' addosso e disse: "Sei stata brava. Ancora qualche istante e potrai tornartene al tuo teleromanzo". Mantenendo puntata la pistola l'uomo si giro' e frugo' nei cassetti della specchiera. Prese tutta la gioielleria e la mise in un sacchetto dei rifiuti che aveva tenuto in tasca. Era un bel pacchetto. Cerco' anche del denaro contante, ma non lo trovo' e ben presto si stanco' di frugare. Mise il sacchetto nella tasca del giubbino e per l'ultima volta si giro' verso Barbara, distesa a gambe larghe sul letto. "Adesso me ne vado", grido'. "Che non ti salti in mente di chiamare la polizia, altrimenti tornero' e nella fica ti ci ficchero' il fucile". Usci' dalla camera da letto. Barbara senti' la porta dell'ingresso che si apriva e si chiudeva rumorosamente. Pianse.

Da: Andersen Oggetto: [OF] La polizza (parte 3 di 4) Data: venerdì 20 marzo 1998 7.08 Riassunto delle puntate precedenti Barbara, giovane e piacente impiegata di banca, propone una polizza assicurativa a Marco, un suo ex compagno di universita'. Subito scopre che Marco e' un feticista represso e violento, che non sa trattenere i suoi istinti. Tra i due si consumano ripetuti e violenti rapporti sessuali, guidati dal feticismo di Marco. Barbara, sentendosi utilizzata come un oggetto di piacere, ma allo stesso tempo attratta dal suo vecchio amico, capace di momenti di straordinaria dolcezza, vive una situazione particolare di odio-amore nei confronti del ragazzo. Dopo l'ennesimo rapporto non consensuale in casa di Marco, pero', Barbara si ribella e aggredisce il ragazzo picchiandolo selvaggiamente e lasciandolo agonizzante sul pavimento. Parte terza ____________________________________________________________________________ Era come se fosse uscita da un sogno. Ora, il freddo della sera invernale le pungeva sulla pelle del viso e delle mani, dissipando l'atmosfera irreale della quale era stata ignara prigioniera quel giorno. D'un tratto, mentre camminava sul marciapiede semideserto (che ore erano? Le otto? Le undici?) si rese conto dell'assurdita' di tutto quello che le era capitato, della sua e dell'altrui pazzia... Avvicinandosi alla fermata dell'autobus, i fanali accesi delle auto che le lampeggiavano nel cervello, la faccia sudata di Marco le si sparo' negli occhi e lei ne fu terrorizzata. Ancora, di nuovo uscita dalla sua casa per la seconda volta quel giorno, dopo avergli ciucciato il cazzo e bevutone lo sperma caldo, dopo essersi fatta chiavare come una troia e dopo essersi prestata libidinosamente alle sue smanie feticiste, di nuovo, ancora, era a pezzi e aveva voglia di piangere. Doveva convincersi che Marco era un pazzo, un individuo pericoloso da evitare. Eppure, nonostante cercasse di odiarlo, non ci riusciva con tutte le parti della sua anima. Un angolino piccolo del suo Io non lo detestava... e Cristo, sembrava piuttosto amarlo. Questa tremenda consapevolezza la terrorizzava. La banchina salvagente della fermata era deserta. Chissa' quando sarebbe passato il bus, si chiese lei. Non se ne vedeva uno in giro. Sabato sera... le giovani donne della sua eta' erano a divertirsi coi mariti. Lei invece aspettava l'autobus, sola e in lacrime. Si strinse nel cappotto. Arrivo' a casa mezz'ora piu' tardi. Entrando nell'androne si ricordo' di avere l'orologio e lo guardo'. Le dieci e venti. Alle dieci e venti il sabato notte era appena cominciato: per lei invece finiva. Sali' le scale, le gambe doloranti. A letto, si', subito. Cristo, perche' l'indomani era domenica, e non lunedi'? Aveva voglia di andarsene in banca a lavorare, di riprendere subito il ritmo frenetico che le avrebbe permesso di dimenticare. Domenica! Forse sarebbe impazzita. Domenica, domenica... che programmi avevano le sue amiche? Tiro' fuori le chiavi di casa dalla borsetta. Che programmi avevano? Ma che le importava, erano tutte stronze, tutte antipatiche... Senti' qualcosa di strano nella borsa. Plastica. Sembrava cellofan. Aveva completamente dimenticato di aver portato con se' le calze che le aveva comperato Marco. Le aveva messe nella borsa. Si porto' le mani alla testa. Lui, lui, ancora lui! Ma perche' l'aveva fatto? Perche' si era portata un pezzo di Marco a casa? La sua faccia da porco l'avrebbe ossessionata. Il ricordo degli sculettamenti fatti davanti al suo sguardo arrapato l'avrebbe fatta vergognare finche' avesse avuto vita... Entro' in casa. Accese la luce del corridoio, e si senti' rabbrividire dal freddo. I termosifoni erano spenti da un pezzo, a causa del maledetto termostato digitale che faceva tutto da solo. Glielo aveva programmato l'elettricista, e lei aveva perso le istruzioni, cosi' non sapeva modificargli il programma. Imprecando, chiuse la porta e si rassegno a tremare. Appese la borsa all'appendipanni e tolse il cappotto. Una doccia, senz'altro, e poi subito a nanna. L'acqua bollente le lavo' via la stanchezza. Usci' dal box e infilo' un paio dei suoi slip, buttando quelli di Marco nel cesto della biancheria sporca. Mentre si faceva schioccare il sottile elastico di pizzo sull'addome si rese conto che il vuoto di stomaco che sentiva era dovuto alla fame. Non aveva mangiato niente, quel giorno! Aveva della carne in scatola nel frigo, e dell'insalata... Usci' dal bagno avvolta nell'accappatoio. Be', se voleva mangiare qualcosa prima di andare a letto doveva coprirsi, perche' non era piacevole battere i denti. Avrebbe indossato subito il pigiama. Certo il pigiama da solo non faceva granche'; avrebbe messo anche un maglione. E sotto, perche' no, un bel collant. Aveva da scegliere. Prese la borsa e tiro' fuori i collant che le aveva comprato Marco. Per essere un uomo, aveva buoni gusti in materia di calze, si disse. Tiro' fuori le quattro confezioni. Dunque: due velati, uno di cotone, uno effetto lucido. Quale avrebbe indossato? Rimase a pensarci un pochino, poi prese quello di cotone e lo tolse dalla confezione. Sedette in soggiorno, sul divano, chinandosi in avanti. Arrotolo' il collant, lo calzo' ai piedi e in fretta se lo srotolo' sulle gambe infreddolite. Era molto elastico e pesante, di un bel color castoro semicoprente, e teneva molto caldo. Mentre lo indossava, Barbara ripenso' con vergogna allo spettacolo offerto a Marco di lei che s'infilava sontuosamente le calze; aveva davvero fatto una cazzata a prestarsi. Solo l'eccitazione le aveva permesso di concedergli quella cosa. Non le importava tanto di essere stata inculata a freddo e impiastrata di sperma dappertutto, quanto di aver perduto la dignita' assecondando le smanie di un pazzo feticista. Si reco' in camera da letto e dal guardaroba trasse un ampio tubino di maglia che le arrivava poco sotto i glutei. Lo portava spesso quando era in casa, ma non aveva mai avuto il coraggio di uscirci. Presumeva che con quello le si vedessero senza sforzo le mutande. Tolse l'accappatoio e l'indosso'. Il pigiama avrebbe aspettato; le era passato il sonno. Infilo' le pantofole e col collant che frusciava si reco' in cucina. Accese il televisore e tiro' fuori dal frigo tutto quello che c'era di pronto. Malgrado si sforzasse di seguire la trasmissione in TV, mentre mangiava non poteva fare a meno di pensare a Marco e, di riflesso, a quell'assurdo sabato che aveva appena trascorso. Con tutto quello che le era capitato, non riusciva a capire come non fosse impazzita davvero, e come adesso si trovasse tranquillamente a mangiare anziche' dallo psichiatra. Ora, il suo unico desiderio era quello di andarsene a letto per fare in modo che quel sabato da manicomio finisse sul serio. La domenica, senza dubbio, l'avrebbe rilassata. Si sarebbe alzata tardi: le dieci, o anche le undici. Avrebbe fatto una doccia memorabile, si sarebbe messa una tuta e sarebbe uscita. Magari a trovare i genitori, fuori Roma. Non le andava molto di rivedere suo padre, ma... Ci vollero alcuni secondi perche' capisse che era sobbalzata e il boccone le era andato quasi di traverso. Il campanello. Maledizione, il campanello! Qualcuno... ma non finiva mai quella merda di sabato? Le dieci e quarantacinque di sera! Si alzo' e la prima cosa che fece fu quella di abbassarsi il piu' possibile il tubino. Si avvicino' alla porta e chiese con apprensione: "Chi e'?". "Carabinieri, signorina" disse una voce forte dall'altra parte. Barbara si senti' come mancare; dovette poggiarsi alla porta per non stramazzare sul pavimento. Se l'era sentito; Cristo, Marco era morto e lei sarebbe stata arrestata... Si senti' di nuovo inghiottita dall'incubo, come se un vortice oscuro la risucchiasse dalla punta dei piedi. Tutto cosi' in fretta, cosi' in fretta! Guardo' dallo spioncino. Deformate dalla lente, c'erano davvero delle persone in uniforme scura dietro la porta. "Che cosa e' successo?" chiese dissimulando la disperazione. "Lei e' la signorina Barbara Bellini, vero?" disse ancora la voce di prima. Non sembrava ostile. Per un istante Barbara penso' di negare, ma poi rispose: "Sono io..." "Abbiamo delle notizie importanti per lei, signorina. Se ci fa entrare noi..." "Avete un mandato?" lo interruppe lei. Ci fu un brusio; sembrava stessero consultandosi. Barbara attendeva dietro lo spioncino, col fiatone. Doveva fuggire, e farlo prima possibile. Non appena fosse comparso quel pezzo di carta... "Veramente, non abbiamo un mandato" disse la solita voce. "Volevamo solo avvertirla che abbiamo con noi la sua bigiotteria. Abbiamo incastrato il ladro qualche ora fa". Barbara grido' di gioia. Il ladro, lo stupro... si', era successo anche quello, oltre a tutto il resto. Si senti' risollevata come se qualcuno l'avesse lanciata in aria. "Entrate, entrate pure" disse affrettandosi ad aprire la porta. "E scusatemi". Erano in quattro, tutti di mezza eta'. Uno di loro aveva la barba, un altro portava gli occhiali. La guardarono a lungo, come incuriositi. Il piu' alto dei quattro, forse quello che aveva parlato, teneva in mano un sacco nero chiuso con uno spago. Fu lui che entro' per primo, sorridendole deferente. "Lei oggi ha subito una rapina a mano armata", annuncio'. La guardo' ancora intensamente, come cercando conferma a quello che aveva detto. Lei si affretto' ad annuire, sentendosi sciocca. Il ladro, il furto; si', era accaduto anche quello. "Ha ragione", disse con un mezzo sorriso. Era vero; non sapeva cos'altro aggiungere. Lo guardo'. Si rese conto che il suo non era lo sguardo di una che aveva subito da poco una rapina, ma non le riusciva di fingersi affranta. Il fatto che gli agenti non fossero li' per Marco le avrebbe permesso di mettersi a ballare e cantare. Il carabiniere alto induri' gli occhi. "Come mai non ha sporto subito denuncia?". Aveva una voce che sapeva essere inquietante. Barbara indietreggio'. La denuncia, certo... Che alibi poteva crearsi per non aver denunciato subito il furto? Il fatto che subito dopo fosse uscita per andare da Marco? Ma... Sarebbero andati a controllare da lui! Oh, no. Si rese conto di essere in una gabbia che aveva costruito lei personalmente con le sue assurde azioni di quel giorno. Prese tempo. "Io... ma come avete fatto a prendere il ladro?" Il carabiniere si volto' indietro a scoccare un'occhiata ai suoi colleghi, ritti in semicerchio davanti alla porta. Torno' a guardare Barbara. Disse: "Oggi pomeriggio alle quattro la portiera di questo stabile ha telefonato in caserma. Ha riferito di aver visto uscire uno sconosciuto dai modi sospetti verso le tre del pomeriggio, ma di non averlo visto entrare. Quindi, insospettita, ci ha telefonato indicandoci anche la targa della macchina sulla quale si e' allontanato. Abbiamo istituito subito dei posti di blocco nel quartiere e abbiamo acciuffato il ladro e la refurtiva. Pero' il ladro ha cercato di fuggire ed e' stato ferito, quindi non abbiamo potuto stabilire subito a chi appartenesse la refurtiva visto che lui non era in grado di parlare. Abbiamo aspettato fino a un'ora fa che arrivassero denunce di rapine nel quartiere. Nulla. Abbiamo interrogato il ladro, che ci ha parlato della rapina. Ha detto di averla anche violentata e che... lo rifarebbe". Barbara avvampo'. "Non e' vero niente", menti' lei, sentendosi stupidissima. "Voleva violentarmi, ma l'ho respinto..." disse col fiatone. "Be', meglio cosi'", disse il carabiniere sorridendo. "Resta il fatto che lei non ha sporto denuncia. Perche'?" "Non mi sono sentita bene", mormoro' Barbara. "La rapina mi ha un po' scioccata, capisce..." "Certo, certo" s'affretto' a convenire l'uomo. "Quindi lei non e' uscita piu' di casa dopo la rapina?" Per un istante terribile, Barbara penso' che quegli agenti fossero al corrente di Marco, e stessero tendendole una trappola. Negare forse l'avrebbe salvata, ma un "no!" improvviso e perentorio le sgorgo' dal cuore. Si senti' stordita. "Capisco", disse il carabiniere. Agito' il sacco nella mano, cercando un posto per poggiarlo. Barbara s'affretto a fare spazio sul divano, scansando la borsetta e la busta con le calze. "Poggi pure qui", disse. La busta scivolo' sul pavimento. Con una fitta di terrore, Barbara si vide preceduta dal carabiniere nel raccogliere le busta. L'uomo osservo' il contenuto, seriamente. "Sono calze", spiego' Barbara sorridendo. Lui stava leggendo lo scontrino. "Acquistate alla Standa di via Marocco alle ore 19 e 15 di questo pomeriggio..." disse con voce assorta. Poi rimase in silenzio a fissare il biglietto, mentre i suoi tre colleghi bisbigliavano tra loro. Barbara non aveva piu' la minima idea di cosa dire, e si limitava a fissarli stordita. Il carabiniere si rivolse a lei sibilando: "Dunque lei e' uscita, qualche ora fa". Lei nego' con la testa, cercando una scappatoia che non le riusciva di trovare, e le veniva da piangere. Marco maledetto, magari fosse morto davvero... lasciandola finalmente in pace. L'uomo rimase a fissarla severamente. "Allora, se lei non e' mai uscita, chi si e' recato alle sette dall'altra parte di Roma per comprare queste calze?" Di nuovo, Barbara penso' che fosse tutta una macchinazione per incastrarla con le sue stesse parole. Qualunque cosa avesse detto l'avrebbe messa nei pasticci. D'altronde, intui', se davvero i carabinieri stavano tendendole una trappola, non era intelligente continuare a negare tutto. La portiera l'aveva vista uscire, quel pomeriggio. E i carabinieri, avendola interrogata quale teste, non potevano non saperlo. Disse: "D'accordo, sono uscita io per andarle a comperare". "Alla buon'ora", disse il carabiniere. Poso' la busta sul divano, accanto al sacco, e le chiese: "Non era poi cosi' sconvolta dopo la rapina, se per acquistarsi le calze ha fatto tutta quella strada. Perche' allora non e' venuta in caserma per sporgere denuncia?" "Be', adesso basta", sbotto' Barbara. Sapeva che stava scavandosi la fossa, ma non le importava. Dopotutto, se Marco non era morto, lei non aveva fatto nulla di illegale quel giorno. "Non capisco perche' dobbiate rinfacciarmi cosi' questo fatto. Se ci sono problemi per la restituzione degli oggetti rubati, potete tenerveli. Ma non accetto di essere trattata io stessa come una poco di buono. Io il furto l'ho subito, non l'ho fatto." Gli agenti si scambiarono delle occhiate veloci. La protesta doveva aver fatto colpo, penso' Barbara con un senso di trionfo. L'uomo alto torno' a parlare. Sembrava l'unico in grado di esprimersi. "Signorina, la sua posizione non e' allegra", disse. Fu un colpo. All'improvviso le parve chiaro che gli agenti sapessero di Marco. Le manco' il fiato. Il carabiniere si tolse il berretto e sedette sul divano accanto al sacco. "Naturalmente", disse, "a tutto c'e' rimedio. Pure in divisa, noi siamo uomini di mondo..." Barbara si rese conto che le stava quasi perforando i seni con lo sguardo. Gli altri tre le guardavano le gambe con aria rapita. Il carabiniere prosegui': "Quei ragazzi sono molto lontani dalle loro case, sa. Non vedono la ragazza da mesi". Ridacchio'. "Quanto a me, sono vedovo da un paio d'anni, e infelice. Ecco, vede, basterebbe dare un po' di felicita' a chi ne ha bisogno per uscire dai pasticci". Barbara capi', ed ebbe un fremito. Aveva la possibilita' di salvarsi, di rinnegare per sempre Marco... E anche se questo avrebbe abbattuto ogni sua rispettabilita', era sempre preferibile al carcere. Percio' sorrise, annuendo, mentre il carabiniere, titubante, si abbassava la lampo dei pantaloni ed estraeva il cazzo duro. Lei si chino' in ginocchio. Il carabiniere mugolava. Gli altri tre agenti si avvicinarono, eccitatissimi e stupefatti, disponendosi a semicerchio intorno alla coppia. "Un po' di felicita' non si nega mai a nessuno", disse Barbara prima di ingoiare il cazzo del carabiniere. Lui sussulto': "Cristo!" Gli fece un accurato bocchino, ma lui eiaculo' molto presto lasciandola sul pavimento con la bocca sporca di sborra. L'uomo sembrava spossato sul divano, cosi' lei concentro' le attenzioni sugli altri tre. Si mise in ginocchio e a ciascuno di loro abbasso' la patta dei pantaloni estraendo gli uccelli. Gli agenti ansimavano e tremavano, pero' nessuno si opponeva; immobili, in piedi di fronte a lei, impietriti dal desiderio e dalla sorpresa. Lei li spompino' a turno, un po' a te e un po' a te, controllando che non venissero, e all'improvviso, quando i cazzi erano sul punto di eruttare, se li prese in bocca tutti e tre schiacciando i ragazzi attorno alla sua testa. Solo uno di loro venne, mugolando, e lei gli risputo' in faccia la sborra. Il carabiniere sul divano, ripresosi, si alzo' e si tolse l'uniforme. Il ragazzo che era venuto cadde sul pavimento, ansimando, mentre gli altri due cominciavano a prendere l'iniziativa schiaffeggiando Barbara coi peni duri. Il carabiniere alto, in mutande, le tolse con violenza il miniabito trascinandola per tutto il salone, finche' lei rimase seminuda sul pavimento. A quel punto lui si stese prono sul pavimento, abbassandosi le mutande. "Fammi una spagnola", disse. Lei sedette di fronte al carabiniere. Allungo' le gambe dai riflessi setosi e gli prese il cazzo in mezzo alle cosce. Comincio' ad agitarle. "Le piace cosi'?", chiese. Quasi ululando di piacere, l'uomo si distese con la bava alla bocca. La levigatezza del collant intorno alle cosce di Barbara era paradisiaca, e lo sfregamento del tessuto sintetico sul cazzo era l'essenza stessa del paradiso. "No, non voglio venire! Non subito!" grido' lui. Lei si fermo' e si alzo' in piedi. "Questo era il collant misto cotone", annuncio'. "Vuole sentire il tocco di quello a effetto lucido?" "Cristo, si'!" grido' il carabiniere. Barbara scanso' l'eiaculazione di un agente che s'era masturbato e prese la busta delle calze. Sedette sul divano, scarto' il collant effetto lucido e comincio' a infilarselo sopra a quello di cotone. Lo indosso' con cura, godendo della morsa di due collant di 40 denari l'uno sulle gambe, poi torno' dal carabiniere steso. Si sedette e gli riprese il cazzo fra le cosce. Sfrego' con vigore, mentre lui si contorceva in spasimi di piacere, rigagnoli di bava che scendevano giu' dalla bocca. "Sto per venire!" urlo' ansimando. Barbara fu lesta a rialzarsi in piedi. La pressione dei due elastici sovrapposti sulla pancia le dava molto fastidio, ma contemporaneamente la eccitava in modo animalesco. "Fermo li'", gli disse sistemandoseli "devi provarli tutti, prima". Torno' al divano e sopra agli altri infilo' uno dei collant velati; poi prese anche l'altro collant velato e lo indosso' con estrema cura. Adesso aveva su quattro collant tutti insieme, e sentiva le gambe come sottovuoto; i quattro elastici sulla pancia sembravano segarle lo stomaco, togliendole il respiro. Torno' dal carabiniere disteso, sedette con grande sforzo e ricomincio' la sua spagnola. Dopo pochi sfregamenti, l'uomo esausto eiaculo' con violenza sporcandole le cosce. Lei avrebbe voluto leccare lo sperma sui collant, ma uno degli altri carabinieri la prese per i capelli e prendendo la mira col pene gonfio le erutto' direttamente in faccia. Lei odiava la sborra sul viso, ma cerco' di soprassedere. Si stese sul pavimento e a fatica si tiro' giu' le quattro mutandine dei collant e gli slip. Si lascio' passivamente girare a pancia in giu', poi qualcosa di bollente le entro' nel culo. Caccio' un grido modulato di piacere, chiedendosi chi ancora avesse la forza di averlo duro. Il pene stantuffava lentamente, e lei era tutta bagnata. Poi venne fatta girare e pote' vedere in faccia il giovane che la stava chiavando. Si mise in posizione, e lui finalmente la penetro'. Gli altri fecero capannello, esausti ma ancora eccitati; grugnivano e ansimavano, mentre il loro collega dava botte secche col bacino. Duro' tantissimo, mentre lei sbrodolava di piacere e lui sudava come una belva. Infine, con uno scatto, lui le sborro' dentro. Lo sperma caldo le inondo' le viscere, facendola mugolare e inarcare come un giunco. Lui estrasse il pene e stramazzo' sul pavimento, ai piedi dei colleghi esausti. E poi fu il nulla.

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