Da: Andersen
Data: luned́ 23 febbraio 1998 12.39
Il gusto
Fece scivolare gli slip ai suoi piedi. Li scalcio' lontano. Finirono sui blue jeans. Ricontrollo' tutto. Il bicchiere dal vetro sottilissimo era sistemato sull'angolo del tavolo, abbastanza dentro per non rovesciarsi sul pavimento in caso di goffaggine. La fotografia di Federica era a pochi centimetri, ben visibile, sorretta dalla cornice in ferro stile liberty. Federica era bella, lui l'amava. E sperava che anche lei amasse lui: ma era solo una speranza, perche' l'unica certezza lo affliggeva col suo peso enorme. Ragionava in modo scientifico. Se lei assume quel comportamento - si ripeteva - c'e' senz'altro una spiegazione logica. E da buon ricercatore, l'avrebbe scovata. Il bicchiere era del laboratorio... Sterilizzato con cura, sarebbe stato il suo strumento di verita'. Si sentiva un po' Hook, un po' Galileo... Un po' pazzo. Decisamente pazzo. Spalle al muro, lentamente, se lo dimeno'. Guardava Federica. Oh, com'era bella... Seduta compostamente sul divano buono, nel bel mezzo di quella festa, il flash maldestro le aveva sbiancato il volto e strizzato l'espressione in una risata cristallina. Inquietante ma bellissima. E il pene doleva, leggermente contrariato; la portata della sua scoperta poteva essere enorme, il gesto che si accingeva a fare era disgustoso, e i suoi sensi si ribellavano. Sto andando contro natura - rise - e il mio cervelletto non vuole. Da brava, Federica, adesso spogliati. Bene, cosi', sbottona la camicetta, cala la gonna, sfila il collant, getta via mutandine e reggiseno... Vieni... come sei bella... come sei ortodossa, figliola mia, ti amo, facciamo l'amore ti prego ne ho voglia non dirmi di no. Sfiora la sua pelle. Lei freme. Il suo respiro si fa piu' intenso. Si propaga l'odore della donna, forte, muschiato, animale. Lei e' fantastica tra le sue braccia, i capezzoli sfregano sul suo torace villoso e lui la stringe fino a schiacciarla, affondando le mani nella sua schiena delicata. Il pene accarezza la sua passera pelosa, s'ingrossa, s'inumidisce. Ma perche', adesso? Si', va bene, se ti fa piacere... Federica scivola nel suo abbraccio, come di plastica, in perlustrazione raggiunge il suo pene, allarga la bocca e lo ingoia con esasperante lentezza, tutto, fino al glande. Serra le labbra in una morsa quasi dolorosa - una giarrettiera orale: il pene inguainato in una calza calda e umida, quella sua seconda vagina. E' bello. Poi la lingua parte all'attacco. Punzecchia, accarezza, spinge, si torce, si ritrae. Per minuti. Ma perche', Federica, perche'... Ma perche' sempre cosi', lo sai che non sono invincibile, mi piace la tua bocca ma... Ecco, lo vedi, sei troppo brava, io gia' sto per venire, non e' colpa mia, ma perche' lo fai?... Orgasmi tristi. Lo sperma si riversa nella bocca, bloccato dalla tenuta stagna delle labbra. L'eiaculazione e' interminabile. Federica e' immobile e concentrata, gli occhi chiusi e i sensi allertati. Avverte il pene contrarsi, lo lascia fare come una mamma che osserva amorevolmente il suo bambino. Si dedica al suo nettare: ne impone la direzione, lo immagazzina sotto le guance, in un rapido ed esperto lavoro di lingua ne impedisce il precipitare in gola. Controlla il flusso finche' il pene si divincola, e ammortizza con le braccia le spinte incontrollabili del bacino di lui. Ora che il pene si e' calmato, che pulsa di fatica dopo il flusso, lei lo accarezza ancora un po'. E' stato bravo. Con le mani spinge piano sulle anche di lui, estrae il pene dalla bocca rimanendo immobile, senza mai rovinare la tenuta stagna. Quando esce la cappella, c'e' lo schiocco assordante delle sue labbra che si chiudono, serrandosi tra di loro. Federica, sei bellissima. Puoi stare minuti cosi', con quell'indefinibile sorriso di gioia stampanto sul volto, assaporando il mio fluido. Io sono esausto e ti ammiro, piccola idrovora silenziosa. Ma mille interrogativi mi impediscono di essere felice. Col dorso sul muro, le gambe molli, provo' l'impulso di lasciarsi andare. Scivolo' sui talloni e cadde in ginocchio. Il pene eretto puntava al suo naso, indebolendosi progressivamente. Si scopri' ad avere il fiatone. Il bicchiere era sporco, ma lui aveva fatto molta attenzione. Un lieve strato di liquido s'era posato sul'orlo e poi era scivolato fuori, lungo la parete esterna, in una stalattite traslucida. Tutto il resto era dentro, racchiuso in quell'urna sterilizzata prelevata dal laboratorio. E ora doveva portare a termine il compito che si era prefissato. Federica non poteva piu' aiutarlo, ormai. Era inquietante avvertire come i suoi sensi si ribellassero mentre avvicinava il bicchiere alle labbra. La prima cosa che lo colpi' fu l'aspetto. Da bambino aiutava spesso la mamma a fare i ciambelloni. La mamma prendeva le uova fresche, le rompeva sull'orlo del bicchiere e poi, aprendole leggermente, faceva cadere dentro l'albume trattenendo il tuorlo. Era un'operazione rapidissima e straordinariamente pulita. La mamma rompeva quattro uova, tutte sullo stesso bicchiere, fin quasi a riempirlo. Poi prendeva il bicchiere e ne versava il contenuto in un piatto molto fondo. Era il suo piatto. Lui, armato di forchetta, aveva il compito di montare l'albume per la crema pasticcera. Ma prima di iniziare a dimenare la forchetta nel liquido, trasformandolo in una spuma impalpabile, restava a fissarlo per un po', rapito dalla sua consistenza semigelatinosa e da quelle piccole impurita' biancastre, quei rivoli di sostanza piu' densa che si raggrumavano a caso nel piatto, scambiandosi di posto come in un minuetto. Non aveva mai creduto che lo sperma potesse somigliare tanto all'albume delle uova. Avrebbe preferito credere che nel suo bicchiere, adesso, la vecchia mamma avesse rotto un uovo freschissimo. E che quel liquido che si agitava sul fondo fosse albume da montare. Pero' si accorgeva che stava trovando delle giustificazioni. O delle illusioni per dare al suo gesto una portata meno innaturale e disgustosa... Aveva sempre sentito dire che lo sperma ha un suo odore caratteristico. Ne era convinto anche lui. Ma non avvertiva alcun odore, adesso. Solo il puzzo asettico del bicchiere sterilizzato. Un altro inganno dei suoi sensi. Portare l'orlo del bicchiere a contatto alle labbra fu molto faticoso. L'idea che un asettico pene di vetro stesse per eiaculargli in bocca lo repelleva nell'anima. Come faceva Federica? Chiudeva gli occhi e lo ingoiava lentamente... Ecco, la chiave del successo era li': accettarlo con tranquillita'. Non gli avrebbe arrecato alcun danno, in fondo. Conosceva Federica da tre mesi... E in tre mesi d'amore le aveva fatto ingerire litri di sperma. Ma Federica era viva e in perfetta salute. Federica lo voleva ancora. Federica voleva *solo* il suo sperma. Alzo' il bicchiere e attese tremando il contatto del suo seme con le labbra. Il vetro del bicchiere era freddo e questo aveva reso appena tiepido lo sperma, come un brodo caldo lasciato attendere troppo nel piatto. Mamma, non mi piace l'albume delle uova. Non ha sapore e poi mi fa venire il vomito. Identico. Nella consistenza, nell'odore metallico. E nel sapore. Chiuse gli occhi. Federica sembrava sorridere. Piano, coscienziosamente, lui ingoio' il suo seme finche' non ebbe male ai muscoli. Il cuore urlava di terrore. Impazziti, i suoi centri nervosi lo bombardarono di ricordi. Lui lascio' cadere il bicchiere, senza romperlo. Si irrigidi'. Era il prezzo della conoscenza. Andersen