Di solito, il fatto che a una rivista si dedichi un'antologia fa pensare
che quest'ultima sia famosa o storicamente importante. Non è certamente
il caso di "Carmilla", una pubblicazione di cui sono usciti solo tre numeri e
che di certo non ha "fatto scuola" né pretende di farla. Si tratta di
una rivista semi-professionale, stampata in poche centinaia di copie e presente
solo in alcune librerie. Ha però una caratteristica oggi inconsueta: accanto
a racconti e articoli dedicati alla letteratura fantastica, conduce anche un proprio
discorso estremamente radicale sulla realtà sociale, nonché sul ruolo
che il fantastico e la letteratura "di genere" potrebbero giocarvi.
In pratica, "Carmilla" pretende di dare spessore critico e autocritico a quel tipo
di narrativa che, in Italia, fino a poco tempo fa veniva considerato "di serie B".
E lo fa non per chiedere alla "serie A" un qualche riconoscimento per la serie B,
ma rivendicando l'autonomia di quest'ultima categoria. In nome di una sua maggior
adeguatezza al mondo attuale, tale da fare del fantastico in tutti i suoi aspetti
l'unica possibile forma di realismo.
È un discorso complesso, per il quale rimando alla lettura della rivista.
Qui mi limiterò a un'altra riflessione. Non si troverà nessun critico
cinematografico che giudichi "alto" il cinema di Ingmar Bergman solo perché
si occupa di drammi psicologici in interni familiari e "basso" il cinema di John Ford
perché appartiene al genere western. Nell'ambito letterario italiano, invece,
questa distinzione viene costantemente praticata, nelle pagine culturali dei grandi
quotidiani come, a maggior ragione, nel grosso delle riviste specializzate. Le ombre
parallele di Croce e di Zdanov si distendono ancora oggi a segnare i confini di
ciò che è cultura e ciò che non lo è, a partire dalla
superiorità accordata per postulato, magari inconsapevole, allo stile narrativo
"realistico" (o poetico).
Per fortuna, una leva di giovani scrittori, in gran parte coincidente con quelli a suo
tempo etichettati come pulp, sta operando per sottrarre la letteratura italiana
al provincialismo asfittico in cui era rimasta confinata; e lo fa proprio aprendo gli
steccati agli apporti della narrativa "di genere", di cui riconosce il contributo
essenziale alla costruzione dell'immaginario moderno. I workshops annuali
della Scuola Holden di Torino sono anzi divenuti un importante momento di scambio e di
confronto, in cui autori di enorme cultura e di enorme talento come Dario Voltolini,
Niccolò Ammaniti, Tiziano Scarpa, Enzo Fileno Carabba e tanti altri dello stesso
calibro non si peritano di entrare in rapporto con gli esponenti della narrativa
"di consumo", innescando, al di là della naturale simpatia reciproca, forme di
fattiva collaborazione.
Ma si tratta ancora di eccezione, come è un'eccezione l'opera sinergica condotta
dalla rivista "Pulp". La distinzione tra "serie A" e "serie B" continua a pesare
come un macigno, quanto quella ancestrale tra anima e corpo di cui non è,
in fondo, che l'estrema proiezione. L'esito perverso è l'automatica glorificazione
di qualsiasi espressione del minimalismo imperante, sia pur letterariamente dubbia, e
l'oblio di tutto il resto. In perfetta controtendenza con quanto sta avvenendo in ogni
altro paese occidentale.
Ma tant'è. La letteratura popolare, "di genere", in fondo non ha bisogno di scoperte
nè di legittimazioni. È perfettamente autosufficiente. Riesce a condizionare
l'immaginario di intere generazioni, a contare su ristampe che si ripetono per decenni,
talora persino a innescare trasformazioni sociali e di costume, fin dai tempi del vecchio
Sue. Quando poi si tratta di letteratura fantastica, è capace persino di cambiare il
nostro modo di vedere le cose, dando evidenza all'invisibile e abituando all'individuazione
delle alternative.
"Carmilla" nasce dalla presa d'atto di questa forza latente ma innegabile, e tenta di
rifletterci sopra, anche con l'ausilio coraggioso di scrittori "complici" transfughi dalla
"serie A". Propone racconti non necessariamente "impegnati" (anche se spesso lo sono) ma che
piuttosto, o per i contenuti o per la loro bizzaria a prima vista gratuita, aiutino a
"destrutturare la quotidianeità alienata astratta", come diceva a suo tempo il sociologo
Pietro Bellasi - cioè a incrinare l'apparenza lucida e razionale della società
in cui viviamo per fare emergere le inquietudini nascoste sotto la sua superficie.
I racconti di questa antologia sono abbastanza rappresentativi di ciò che la rivista
offre. Non li ho "scelti": li ho chiesti a gente di cui mi fidavo e inseriti così
com'erano. L'esito è senz'altro diseguale, ma sono persuaso che la qualità
media (per non parlare delle punte di eccezionalità) sia abbastanza elevata da spingere
il lettore a chiedersi se l'emarginazione di cui soffre la narrativa fantastica italiana sia
giustificata. E se intelligenza, consapevolezza civica e politica, capacità di toccare
i gangli vivi del reale, siano davvero una prerogativa del solo mainstream. Per non
parlare delle doti stilistiche, che un luogo comune vorrebbe, ai piani bassi, normalmente
neglette.
Se poi alcuni racconti deluderanno, come è inevitabile, se ne consideri l'incidenza
percentuale. Quindi si facciano i confronti con ciò che il mercato letterario
comunemente offre. Ho pochi dubbi sul risultato.