I
Crass, o meglio Penny Rimbaud, Steve Ignorant, Eve
Libertine, Joy DeVivre, Hari Nana, Phil Free, Pete Wright, G. E. Sus e
Mick
Duffield, sono riusciti a creare insieme una delle utopie possibili, e
a
mantenerla in vita per quasi otto anni, riuscendo a concentrare attorno
al loro
progetto una grande quantit di energie, amori ed attenzioni.
Nel periodo dal 1977 al 1984 i Crass sono stati la stella cometa del
Rock
Politico più estremo. Difficili da costringere entro definizioni di
“genere
musicale” (è punk? E’ musica d’avanguardia? O, per dirla con loro, si
tratta di
“scrittori di canzoni d’amore”?), essi hanno sempre agito a sorpresa,
al di
sopra e al di fuori di qualsiasi schema concettuale preesistente,
caratterizzando la loro attivit, più che in senso strettamente
musicale, in un
più ampio senso culturale e politico, nuovo e rivoluzionario, anarchico
e
pacifista.
Infatti, oltre che nella plastica dei dischi e sui palchi dei concerti
-trasformati costantemente in iniziative a beneficio di progetti a
sfondo
sociale ed antagonista- l’opera dei Crass è dentro a numerosi libri,
opuscoli e
volantini, nelle manifestazioni di protesta spontanee e mai
autorizzate,
nell’occupazione abusiva degli spazi inutilizzati, nelle ingenue e
clamorose
imprese di sabotaggio tecnico ed intellettuale, nell’agitazione e nella
protesta improvvisa ed improvvisata, incontrollata ed incontrollabile.
In questo scritto, servendomi di ritagli, appunti, ricordi, esperienze
e
contatti personali, ho cercato di raccontare una faccia della loro
storia.
Troppo difficile per me, direi impossibile, poterle raccontare tutte.
Dagli
esordi -il periodo è attorno all’agitato ‘77- all’orwelliano 1984, data
“di
scadenza” di un piccolo grande sogno che non è stato dimenticato, e
tantomeno
si è riusciti a “consumare”.
Marco Pandin
Best
before 1984
Da consumarsi preferibilmente entro il 1984
I
punks fanno troppo casino, un rumore insopportabile.
Che vergogna! Che vergogna!
Ecco quello che pensate, lo sappiamo bene.
Le cose che diciamo vi danno fastidio.
Noi lo sappiamo, ma le diciamo lo stesso... (*1)
Quando,
nel 1976, il vomito punk schizzò per la prima volta
sulle pagine dei giornali col messaggio “fatelo da soli” noi, che in
diversi
modi e per diversi anni non avevamo fatto che quello, abbiamo creduto
ingenuamente che i vari signori Rotten, Strummer e compagni
intendessero lo
stesso. Finalmente non eravamo più soli. L’idea di divenire un gruppo
musicale
non ci era mai venuta seriamente. Semplicemente, è successo. In
pratica,
chiunque era libero di unirsi al gruppo: le prove erano riunioni
agitate che
invariabilmente degradavano a poco più che festini di ubriachi.
Steve e Penny iniziarono a scrivere e suonare assieme all’inizio del
‘77, ma fu
solo nell’estate di quell’anno che si riuscì a recuperare, a prendere
in
prestito o rubare un’attrezzatura tecnica sufficiente a poterci
realmente
definire un gruppo musicale, i Crass. Essendo finalmente riusciti a
mettere in
piedi un repertorio di cinque pezzi, ci avviammo sulla strada della
gloria e
del successo armati dei nostri strumenti e di una grossa quantità di
alcolici,
necessari per tirare avanti. Partecipammo ad un mucchio di concerti e
manifestazioni, dimostrazioni caotiche di pressapochismo e di
indipendenza.
Fummo cacciati, boicottati, persino banditi dall’allora leggendario
Roxy Club:
ci dissero che volevano lì dentro solo ragazzi a posto. Fu così che ci
si rese
conto che i nostri colleghi punks, i vari Pistols, Clash eccetera,
altro non
erano che dei fantocci: ad essi faceva piacere illudersi di derubare le
grosse
case discografiche, ma nella realtà era la gente ad essere derubata.
Non
aiutavano altri se non sè stessi, dando vita ad un’altra moda facile.
Portando
una boccata d’ossigeno alla King’s Road modaiola di Londra, essi
rivendicavano
l’inizio di una rivoluzione. La solita vecchia storia: eravamo ancora
da soli.
Una sera, tra i fumi dell’alcool, decidemmo che la nostra missione
sarebbe
stata la creazione di una reale alternativa allo sfruttamento
dell’industria
musicale. Volevamo riuscire a creare un qualche cosa che desse invece
che
togliere e, soprattutto, volevamo che durasse a lungo. Troppe promesse
venivano
fatte dai palcoscenici dei concerti, per essere poi dimenticate per la
strada…
(*2)
L’unico concerto che avevamo fatto a Londra quell’anno, assieme agli U. K. Subs, non aveva assolutamente ottenuto riscontro dalla gente. Noi suonavamo per primi, con i Subs che stavano lì a guardarci. Poi suonavano loro, e restavamo noi a guardare… (*3)
La
situazione era proprio scoraggiante, ma di solito ci si
divertiva. Nessuno che venisse a seccarti con storie assurde sui tuoi
stivali
di cuoio, o che si lamentasse se mettevi latte nel tè. Nessuno che
volesse
sapere come mai anarchia e pace potessero coesistere, nessuno che
venisse a
romperci i coglioni con lunghi monologhi su Bakunin, che a quel tempo
noi si
immaginava fosse probabilmente una marca di vodka... Le idee erano
aperte:
stavamo creando collettivamente la nostra vita. Erano anni gloriosi
quelli,
prima che le alternative libere che stavamo creando divenissero solo un
mucchio
di regole bigotte, prima che ci che stavamo definendo come “il vero
punk” si
rivelasse soltanto uno squallido ghetto.
Il nostro isolamento ci rese più duri. Fu così che decidemmo di
smetterla
definitivamente con l’alcool e di iniziare a prenderci più sul serio.
Decidemmo
di vestirci di nero per protestare contro il pavoneggiarsi narcisistico
della
moda punk, iniziammo a utilizzare video e filmati durante i nostri
spettacoli,
ci dedicammo alla stampa di volantini per spiegare le nostre posizioni
e
pubblicammo un giornale, “International anthem”.
Per smentire le voci messe in giro dalla stampa, secondo cui non
eravamo altro
che degli estremisti di destra e/o di sinistra, decidemmo di attaccare
dietro
il palco ai nostri concerti, una bandiera con il simbolo dell’anarchia.
Ci
ponemmo infine l’obiettivo di tirare avanti a tutti i costi almeno sino
alla
fine dell’allora mitico 1984... (*2)
Dopo
qualche tempo dal disastroso concerto con i Subs, Pete
della Small Wonder si mise in contatto con noi: aveva sentito un nostro
nastro
e voleva facessimo assieme un 45 giri. Siccome non riuscivamo a
metterci
d’accordo su quali canzoni scegliere ne abbiamo registrate tante: è
così che è
nato “The feeding of the 5,000”, ed ecco che con questo primo disco
sono
iniziati per noi i problemi.
Nessuno era disposto a stampare questo disco con “Asylum” dentro,
quindi dopo
molte discussioni tra di noi abbiamo deciso di toglierla. Il disco uscì
senza
quella canzone, e venne accolto dalla stampa musicale inglese in
maniera
estremamente negativa ed offensiva.
Qualche tempo dopo siamo riusciti a stampare “Asylum”: l’abbiamo
riscritta e in
parte modificata, e l’abbiamo messa in circolazione su di un disco
pubblicato
da un etichetta col nostro nome, Crass Records. Questo nostro lavoro
venne
premiato da una visita di Scotland Yard e da numerose denunce per
oscenità e
vilipendio alla religione... (*4)
Scendi
dalla tua croce, adesso.
Scendi dalla tua altezza papale, dal tuo suicidio volgare.
Visionario suicida, violentatore, stupratore.
Tu porti la bandiera della nostra oppressione.
La croce è il corpo vergine della femminilità che tu profani.
Non ci sono parole per il mio disprezzo, non meriti niente.
Tu sei la pornografia portata all’estremo.
Sei morto per i tuoi peccati, non per i miei... (*5)
Io
sono nata libera: un corpo libero, una mente libera, fino
al momento in cui ho respirato l’aria della moralità. Mi sono resa
conto allora
che il mio corpo “libero” era quello di una Donna (la colpa di Eva) e
che la
mia mente era “libera” solo di lottare contro definizioni di Bene e di
Male che
altri avevano stabilito e deciso. Nasciamo tutti peccatori? “Padre,
perdona,
poichè abbiamo peccato”: o è forse un potere più materiale quello
contro cui
noi pecchiamo? Un sistema, all’interno del quale il rifiuto di venire
manipolati, comandati e plagiati è il nostro unico crimine? I
reticolati, il
filo spinato, i confini dividono la nostra Terra. In quale direzione
sparano i
cannoni? Dio è dalla nostra parte... Per il potere, per il comando. Il
dolore
viene inflitto nel suo nome, adesso come un tempo. Dio è dalla nostra
parte.
Posso davvero credere in questo dio di Virilità, il primo di una serie
di
strutture odiosamente maschiliste (chiesa, stato, famiglia), e qual’è
il mio
posto in queste strutture di potere? Quali scelte ho?
Martire-Madre-Vittima,
Martire-Puttana- Vittima, Martire-Strega-Vittima... Quali scelte ho?
Troverò
dei nomi nuovi per me, ed un nuovo posto dove stare… (*4)
Appena
pubblicato, “Asylum” ci procurò dei grossi problemi.
Alcune denunce portarono ad ispezioni della polizia nei negozi di
dischi di
tutto il paese, e a una visita a casa nostra di una sezione della
buoncostume.
Dopo un pomeriggio piacevole trascorso bevendo tè in compagnia dei
guardiani
della morale pubblica, la minaccia di una denuncia venne a pesare sulle
nostre
teste: ci avvisarono che, nonostante fossimo formalmente “liberi”,
sarebbe
stato assai meglio per noi se una simile avventura non l’avessimo mai
più
ritentata. La natura stessa della nostra “libertà” ci ha invece imposto
di
andare avanti: si è messa in moto così quella continua serie di
vessazioni da
parte della polizia nei nostri confronti che dura a tutt’oggi.
E’ stato all’incirca in quel periodo che per la prima ed unica volta
sono state
trasmesse delle nostre canzoni alla radio nazionale da John Peel. Da
allora, la
nostra reputazione di bestemmiatori ci ha precluso qualsiasi spazio e
procurato
l’inclusione nella lista nera della BBC. (*2)
Abbiamo
fondato l’etichetta Crass Records per consentirci di
pubblicare il nostro secondo disco. “The feeding of the 5,000”,
pubblicato da
Small Wonder, aveva sino ad allora venduto all’incirca cinquemila
copie, quindi
preventivammo una tiratura simile per “Stations of the Crass”. A due
settimane
dall’uscita, ne risultarono vendute oltre ventimila copie:
improvvisamente, ci
si ritrovava con quello che per noi era un sacco di soldi. Lo slogan
“fatelo da
soli” era servito a illudere la gente con molte promesse: proprio
allora le
stelle del punk se ne stavano dimenticando, per iniziare la traversata
dell’Atlantico. Ci proponemmo di mantenere almeno una parte di quelle
promesse:
gli incassi della Crass Records ne sarebbero stati il mezzo.
La maggior parte dei gruppi della nostra etichetta li abbiamo
conosciuti per
strada. Nel caso degli Zounds e dei Mob l’espressione è proprio da
prendere
alla lettera: il loro furgone ebbe un guasto nelle vicinanze di casa
nostra, ed
il nostro rapporto iniziale non fu come musicisti ma come
pseudo-meccanici!
Sin dall’inizio decidemmo di distribuire i nostri prodotti al prezzo
più basso
possibile. E’ stata questa la politica che ci ha sempre
contraddistinto, dai
nostri concerti con i Poison Girls all’assoluto rifiuto di
commercializzare
magliette e spille con il simbolo del gruppo, sino a produrre dei
dischi messi
poi in vendita ad un prezzo inferiore al reale costo di produzione.
Nessuno si è arricchito negli anni di attività dell’etichetta. La
maggior parte
delle uscite è andata in pareggio, e siamo riusciti talvolta a pagare
ai vari
gruppi una percentuale. Il profitto non è mai stato il nostro scopo.
L’idea era
quella di dare un’opportunità a gruppi musicali che altrimenti non
sarebbero
mai stati in grado di registrare il loro materiale e farlo conoscere
alla
gente. L’etichetta Crass Records, invece che un’impresa commerciale è
stata
piuttosto una vetrina ideologica: tutti i musicisti che hanno
contribuito con i
loro lavori lo hanno fatto perchè per loro il messaggio era più
importante del
mezzo. Niente di queste musiche è stato fatto per soldi: questa è
musica
popolare, musica della gente, per la gente. (*6)
Nella primavera del 1980 abbiamo partecipato ad una serie di concerti a sostegno della difesa di alcuni anarchici detenuti. Al loro rilascio c’è stato chiesto se ci fosse interessato contribuire alla creazione di un centro anarchico. Registrammo così “Bloody revolutions”, con “Persons unknown” dei Poison Girls sul retro, e con gli incassi della vendita del disco finanziammo l’apertura di questo centro… (*7)
Per
oltre un anno si trascinò una coesistenza difficile tra
i “tradizionalisti” e gli anarcopunks: si giunse al punto in cui
l’attrito
ideologico si fece insopportabile, ed il centro chiuse. La relativa
facilità
con cui eravamo stati in grado di raccogliere dei fondi per il centro
anarchico
ci fece capire il nostro potere non solo di dare vita a nuove idee, ma
anche di
riuscire in qualche modo a realizzarle.
Veniva davvero molta gente ai nostri concerti, quindi il modo migliore
di
sfruttare la situazione fu il decidere che da allora in poi avremmo
sempre
suonato in manifestazioni a sostegno di qualcosa. (*2)
Con
l’aiuto di qualche amico abbiamo occupato il Rainbow
Theatre, allora vuoto, per organizzare un grande concerto gratuito. Ci
sembrava
importante fare un concerto nella capitale e non ce la sentivamo di
suonare in
un posto come il Lyceum o in una qualsiasi altra sala di quel genere.
Sarebbe
stato un concerto tipico dell’industria musicale, in una sala privata,
con
tanto di buttafuori, vendita di alcolici a prezzi elevati, eccetera.
L’occupazione del Rainbow venne sospesa dopo due giorni, quando la
polizia
irruppe nel teatro e ci cacciò via con la forza. Un nostro secondo
tentativo di
rioccupare il teatro, due ore dopo, fallì miseramente. Per fortuna
avevamo un progetto
di ripiego: occupammo lo Zig Zag Club, anch’esso allora sfitto.
La notizia di questa seconda occupazione si diffuse per la città in un
baleno
anche perchè si era sparsa voce dei pestaggi della polizia al Rainbow.
A
mezzogiorno parecchie centinaia di persone si erano raccolte dentro e
tutt’attorno allo Zig Zag occupato, e nel pomeriggio ebbe inizio un
grande
concerto collettivo gratuito.
La polizia tentò ancora una volta di di scacciarci, ma venne respinta
da
centinaia di ragazze e ragazzi seduti e stesi per terra sulla strada
davanti al
club. Solo un paio di agenti restò lì fuori a controllare la
situazione, ma non
ci furono altri tentativi di scacciarci. Intanto, la gente continuava
ad
entrare: tutti si sistemavano alla meglio per ascoltare i concerti dei
vari
gruppi che sostennero la nostra iniziativa. Sul palco
si alternarono Faction, Omega Tribe, Sleeping Dogs, Lack of Knowledge,
Apostles, Amebix, Null and Void, Soldiers of Fortune, Mob, Poison
Girls,
Conflict, Flux of Pink Indians e Dirt… (*8)
Con
cibo gratis e birra rubata abbiamo celebrato ancora la
nostra indipendenza, stavolta assieme a tanti gruppi musicali, il
meglio di
quello che si poteva davvero chiamare punk. Insieme abbiamo dato vita
ad
un’esplosione di energia durata ventiquattr’ore che ha ispirato decine
e decine
di eventi simili in tutto il mondo.
Da tempo facevamo regolarmente concerti su e giù per l’intero paese,
andando in
posti dove nessun altro gruppo aveva mai suonato prima. Circoli di
quartiere,
tendoni, centri sociali, qualsiasi posto che non fossero clubs privati,
discoteche, o il circuito universitario. Abbiamo diviso la nostra
musica,
films, letture, conversazioni, cibo e tè. Ovunque siamo andati abbiamo
trovato
facce sorridenti, persone disposte a creare delle alternative al
grigiore
generale.
Non è sempre stato facile: c’è sempre stato qualcuno che voleva
distruggere ciò
che eravamo riusciti a creare. Abbiamo tentato di partecipare allo
Stonehenge
Festival, ma siamo stati picchiati da una banda di motociclisti. Alcuni
nostri
concerti sono stati oggetto di incursione del National Front, siamo
stati
picchiati dal British Movement e dai Red Brigades a Londra. Molti
problemi, che
però non hanno mai controbilanciato la nostra gioia. (*2)
Non possiamo e non vogliamo ghettizzare le nostre uscite in pubblico. Se gli skinheads vogliono venire ai nostri concerti noi non ci opponiamo: non abbiamo intenzione di menare le mani, nè vogliamo litigare con nessuno. Molti, specialmente i più giovani, sono manovrati da gruppi politici: sono nelle mani di gente viscida e senza scrupoli che se ne frega dei problemi dei ragazzi e sfrutta il loro malcontento… (*9)
In quanto gruppo, deploriamo la violenza. E’ la violenza che ha portato il nostro mondo nella storia dell’orrore in cui ora si trova. Ma che cos’è la violenza? Non crediamo che, ad esempio, gli atti di sabotaggio siano atti di violenza. Dove il sabotaggio è diretto contro le istituzioni e le installazioni dell’oppressione, lo consideriamo completamente legittimo. Crediamo che la gente non debba accettare passivamente la violenza dello stato. Anzi, che dovrebbe essere pronta, se necessario, a difendere e a proteggere sè stessa. E’ chiaro che c’è chi è incapace di trattare con l’amore espresso apertamente: immancabilmente, la risposta è stata il fucile. Dobbiamo guardarci dall’essere solo dei bersagli. C’è chi cercherà di dimostrare che esiste una contraddizione tra l’amore e la rivoluzione. Dirà che non è amore definire i propri simili “nemici”, o esprimere ostilità nei loro confronti. Non dobbiamo dimenticare che agiamo per amore, che è perchè amiamo la vita che ci opponiamo a chi promuove la morte... (*10)
Credo abbiamo la capacità di centralizzare l’informazione e di essere al contempo una fonte di informazioni. Informazioni sovversive, informazioni che siano in grado di sovvertire. La nostra funzione, come gruppo, è essenzialmente quella di informare la gente della gravità della situazione, e sperare che contro la situazione la gente si mobiliti, formi una opposizione. Il modo in cui ciascuno di noi si muove è privato, personale, ed in molti casi va oltre a quanto noi possiamo fare come gruppo. Ci muoviamo all’interno dei media perchè è un settore che ci consente di irrompere ovunque in senso radicale, provocando dei danni ma senza fare male a nessuno. Noi offendiamo, sbeffeggiamo, magari facciamo paura, ma non facciamo fisicamente del male a nessuno... (*11)
Facciamo dell’attività sovversiva da almeno dieci, dodici anni. Dal ‘77 abbiamo formato questo gruppo: i Crass non sono per solo un gruppo musicale. Facciamo dei dischi perchè la musica è uno dei mezzi di espressione che vogliamo adoperare per far conoscere alla gente le nostre idee, per arrivare a chi ci ascolta. Non siamo per convinti di fare dei dischi normali, da ascoltare e canticchiare. Non è nelle nostre intenzioni. La musica è solo un pretesto... (*9)
Sin
dall’inizio ci siamo costantemente impegnati in una
guerra di graffiti sui muri del centro di Londra. Per celebrare il
nostro
successo con le bombolette spray abbiamo deciso di intitolare il nostro
secondo
disco “Stations of the Crass”: in copertina, la foto di alcune nostre
scritte
sui muri della metropolitana.
Il nostro disco successivo fu un attacco femminista: la pubblicazione
di “Penis
envy” confermò un sospetto che avevamo da tempo. Ad una settimana
dall’uscita
nei negozi, il nostro disco si era piazzato al quindicesimo posto nelle
classifiche. La settimana successiva, invece, del disco nessuna
traccia. Lo
stesso era successo anche con “Nagasaki nightmare”.
E’ chiaro che è impossibile raggiungere in pochi giorni una posizione
così
elevata per poi scomparire la settimana successiva. Ovvio che se le
compagnie
discografiche sono in grado di pagare per far entrare i loro dischi
nella hit
parade, possono benissimo pagare per tenerne fuori i nostri... (*2)
Gli
eserciti di sua maestà stanno arrivando: è un’altra
farsa imperialista.
Un’altra pagina della gloriosa storia britannica con la quale pulire il
culo
alla nazione.
Avanti, soldati della Thatcher! E’ vostro dovere combattere!
E se il popolo ha fame? Dategli da mangiare merda...
Ma non vi rendete conto che avete giocato con migliaia di vite umane?
No, voi ve ne fregate del valore della vita, pieni come siete di odio.
Siete vecchi, malati: morirete presto lo stesso.
Delinquenti al governo, morirete presto! (*12)
Durante
il 1981 abbiamo registrato “Christ - the album”, che
abbiamo poi pubblicato nell’estate del 1982. Questa volta, però, la
nostra
gioia venne annientata da una grande tragedia: la Gran Bretagna andava
alla
guerra. Il primo spillo era stato conficcato nel pallone
anarcopacifista, uno
spillo che di lì a pochi mesi ebbe a provocare il suo scoppio. Mentre
centinaia
di ragazzi morivano, le nostre canzoni, proteste e dimostrazioni, i
nostri
volantini, parole e idee improvvisamente sembrava avessero perso
significato.
In realtà, noi sapevamo che quanto potevamo offrire aveva un suo
valore, ma in
quel momento tutto sembrava stupido, inutile. Le proteste contro la
guerra
erano virtualmente inesistenti. Il dissenso veniva zittito. Il silenzio
faceva
male.
A rischio di venire considerati pubblicamente per i “traditori” che
siamo, per
vie traverse riuscimmo a pubblicare in pochi giorni un disco contenente
una
canzone contro la guerra delle Falklands. La reazione fu immediata.
Ricevemmo
un ammonimento ufficiale da parte della Camera dei Comuni, dove ci si
avvertiva
di “badare a quanto stavamo facendo”, ma fu solo alla fine della
guerra, quando
pubblicammo “How does it feel” che la situazione per noi precipitò...
(*2)
Cosa
si prova ad essere madre di mille morti?
I ragazzi adesso riposano. Tombe fredde nella terra gelata.
Occhi scavati, orbite svuotate da una morte inutile.
La tua arroganza ha sventrato quei corpi, la tua falsità li ha
ingannati,
convincendoli che il loro sacrificio è valso a qualcosa.
La tua crudele bestialità non ti fa capire il dolore che hai provocato,
che hai voluto a tutti i costi, che hai ordinato.
Sono stati i tuoi ordini che hanno massacrato questi ragazzi! (*13)
Chi è
il nemico? Il nemico siamo noi stessi, poichè
nascondiamo in ciascuno di noi un nemico. Che cos’è la Storia? La
Storia siamo
noi, poichè siamo proprio noi quelli che nascondono dentro a sè stessi
la
Storia. La Storia è la continua e metodica razionalizzazione delle
consuetudini
e degli abusi del potere. Scopo della Storia è creare, al di là del
caos
naturale della vita, una parvenza di ordine. La Storia crea e rafforza
i
concetti nazionalistici di “amico” e “nemico”, e nel fare questo
produce il
nemico necessario a coloro che cercano delle giustificazioni alla
guerra.
La Storia è la logica che dà alla guerra la sua credibilità. Armati di
questa
logica noi dobbiamo odiare e possibilmente uccidere nel nome e per il
bene di
quegli eterni oppressori che non solo scrivono i libri di Storia, ma
che
riservano per sè stessi il ruolo principale nelle farse del loro
squallido
teatro. La guerra è la finzione che essi creano, e che noi permettiamo
divenga
realtà. (*14)
L’ambiguità
dei nostri atteggiamenti cominciava a darci
fastidio. Era davvero possibile una rivoluzione senza spargimento di
sangue?
Eravamo davvero realisti? Stavamo per essere distrutti dalle nostre
stesse
contraddizioni? E’ stato allora che abbiamo spedito il famoso nastro
del
“Thatchergate” alla stampa di tutto il mondo. Si trattava di una
registrazione
veramente ben realizzata, studiata in forma di conversazione telefonica
fra
Reagan e la Thatcher, durante la quale veniva ammessa la sua diretta
responsabilità nell’affondamento della Belgrano e sul conseguente
bombardamento
della Sheffield da parte dell’Invincible, notizie sulle quali la
Thatcher aveva
imposto l’assoluto silenzio stampa. E, visto che c’eravamo, abbiamo
inserito
una dichiarazione di Reagan nella quale veniva presa in considerazione
l’idea
di un conflitto nucleare in Europa nel caso fosse stata messa in
pericolo la
sicurezza negli Stati Uniti. Un’ipotesi che poi non è così assurda.
Il nastro passò sotto silenzio per circa un anno, prima di fare la sua
comparsa
in un ufficio del Dipartimento di Stato americano a Washington. Le
smentite
ufficiali che seguirono ci dimostrarono che il metodo che avevamo
utilizzato
per screditare Reagan e la Thatcher non era poi così diverso da quelli
utilizzati dai vari servizi segreti. Come mai una registrazione
evidentemente
contraffatta veniva presa in così seria considerazione?
Il dito accusatore venne logicamente puntato sul Cremlino: parecchi
giornali
negli Stati Uniti, ed il Sunday Times in Inghilterra, riferirono
ampiamente
della faccenda come di un intrigo spionistico del KGB. Era quella la
prima
volta che la stampa collegava in qualche modo la Thatcher
all’affondamento
della Belgrano. Ci sentivamo euforici, ma anche un po’ impauriti:
dovevamo
confessare l’inganno, o aspettare ancora?
La nostra indecisione venne risolta improvvisamente, allorchè un
giornalista
dell’Observer ci contattò in relazione a “un certo nastro” su cui
voleva delle
informazioni.
All’inizio negammo tutto, poi decidemmo di riconoscere pubblicamente la
responsabilità del fatto. Eravamo stati davvero molto attenti nella
produzione
e nella distribuzione di quel nastro, proprio perchè volevamo essere
sicuri che
nessuno venisse a sapere che era opera nostra. Come il giornalista
dell’Observer sia venuto a sapere di noi è tuttora un mistero. Fu
comunque un
avvertimento serio: anche i muri avevano gli orecchi... Quanto era
conosciuto
della nostra attività? Dai giorni dei graffiti del ‘77 eravamo
costantemente
coinvolti in attività più o meno sovversive: dalle scritte con lo spray
al
taglio di reticolati, sabotaggi ed altre imprese del genere. Se ci
fossimo
scoperti con la faccenda del nastro tutte le altre storie sarebbero
venute a
galla. Ci eravamo esposti ad un grave rischio. Il telefono cominciò a
squillare… (*2)
Se
non ci fosse il governo sarebbe il caos:
tutti impazziti a correre di qua e di là a piazzare bombe
incendiarie...
Se non ci fosse la polizia, ditemi,
cosa fareste se vi inseguissero trentamila teppisti agguerriti?
E se non ci fosse un esercito forte ad arrestare una probabile
invasione?
Saremmo pieni di immigrati...
E i bambini? Chi insegnerebbe nelle scuole?
Chi farebbe rigare dritto gli studenti?
Chi insegnerebbe loro quali sono le regole del gioco? (*15)
Abbiamo cercato di dimostrare con umorismo ed amore la nostra franchezza e sincerità. Abbiamo sempre trovato violenza, odio, ostilità in tutte le cose che abbiamo fatto, in tutte le nostre iniziative, e abbiamo cercato di reagire offrendo comprensione, ragione, intelligenza. Abbiamo sbagliato: ci siamo resi conto che lo stato, e quelli che operano entro ad esso, sono i nostri veri nemici. Ecco i nemici della nostra libertà. Dobbiamo cercare altre vie, non solo parole e bei ragionamenti, per costruire la nostra opposizione... (*8)
Spero che un giorno si riesca a creare una nuova filosofia di vita che non comprenda la sofferenza ed il dolore. Una filosofia che dia a tutti dignità ed integrità. Un giorno, me lo auguro, tutti potremo raggiungere questo modo di vivere, questa scelta. Per il momento. il mio senso di realtà mi dice che questa possibilità mi è preclusa, ma continuerò a cercarla e a sperare. Senza dimenticare il vero senso della vita, immaginando quanto questo sia auspicabile e bello, possiamo finalmente cominciare a guardare al senso della nostra lotta da un diverso punto di vista? (*16)
I
giornali di mezzo mondo si interessavano a noi, a come mai
un gruppo di punks si fosse preso gioco del Dipartimento di Stato
americano:
chiss cos’altro avevamo fatto... In tutti gli anni precedenti il nostro
gruppo
non aveva mai concentrato su di sè una tale attenzione. Il telefono
squillava
in continuazione. Abbiamo concesso interviste ad un sacco di gente:
improvvisamente eravamo in prima pagina. Avevamo raggiunto una specie
di potere
politico, una nostra voce, eravamo trattati con una certa
considerazione e
rispetto.
Era davvero questo ci che volevamo? Era davvero questo ci per cui ci
eravamo
messi insieme tanto tempo prima? Dopo sette anni di attività eravamo
diventati
proprio quello che all’inizio volevamo combattere. Avevamo trovato sì
una solida
base per le nostre idee, ma qualcosa di quelle stesse idee si era come
perso
per la strada. Dove una volta eravamo generosi ed aperti, ora eravamo
cinici e
chiusi. Le nostre attività erano sempre state caratterizzate da un
certo
ottimismo, dall’allegria: ci eravamo progressivamente spinti verso la
tristezza,verso una specie di cattiva militanza. Eravamo divenuti amari
proprio
dove una volta eravamo gioiosi, pessimisti quando era l’ottimismo la
nostra
causa... (*2)
Le parole, a volte, non hanno dei grossi significati, e noi ne abbiamo sempre adoperate troppe, più di chiunque altro. I sentimenti che vengono dal cuore sono stati distorti e fraintesi, sparsi e gettati tutt’attorno in questo spettacolo, nello spettacolo del grande circo di questa società. Quello che noi possiamo offrire per combattere i robots grigi che controllano la nostra vita può apparire fragile ed inconsistente. Mentre essi progettano la distruzione ed aumentano il loro potere, noi offriamo in cambio la nostra creatività. Per questo veniamo isolati. Non ci aspettavamo certo di ritrovarci qui a recitare questa parte. Ci interessavano le idee, non il rock’n’roll, ma adesso non possiamo più rifiutare questa arena: divenuta parte di noi, anche se non riusciamo a capire questa sfida. Nei loro appelli alla moderazione ci chiedono perchè noi non scriviamo qualche bella canzone d’amore. Ma cos’è allora che facciamo? Il nostro amore per la vita è totale, e tutto quello che facciamo è espressione di questo amore. Tutte le canzoni che cantiamo sono canzoni d’amore. Noi cerchiamo delle alternative, ma il potere dei mass media è così schiacciante che ci rende estremamente difficile costruire una base per comunicare. Le loro menzogne sono così spaventose che tutto ci che sfiorano diviene velenoso e corrotto. Noi potremo anche diventare dei personaggi famosi di cui si occupano la stampa e la televisione, ma sarà sempre nei loro termini ed alle loro condizioni che si parlerà di noi. Ci siamo stancati di vivere per quello che gli altri si aspettano da noi, quando le nostre aspirazioni sono ben più alte… (*15)
Il
punk, certo. Ma cosa? In un modo o nell’altro è divenuto
parte del grande circo della società. Musica da ballo per delle teste
di cazzo,
o l’espressione più genuina della nostra rabbia e della nostra
disperazione?
C’è una linea sottile che separa ci che semplicemente si aggiunge alle
porcherie che strangolano la nostra vita, e ci che invece offre un
senso, una
speranza, dignità e un futuro. La sapete vedere la differenza?
Siamo stati traditi dalla stampa musicale e, peggio, dagli stessi
gruppi punk.
E’ una vecchia storia che abbiamo già sentito: la rivoluzione bussa
alla nostra
porta... Tanta gente con tante parole in bocca, ma a quanti importa
davvero? E’
facile apparire radicali nelle pagine di Sounds ma non è altrettanto
facile
esserlo nel libro della nostra vita.
E’ mai stato, il punk, una forma di protesta? Non è forse sempre stato
un’altra
maniera di evadere? Il punk è diventato un surrogato di sè stesso, una
fuga
dalla realtà, una cosa essenzialmente noiosa.
Anni fa c’è stato offerto un contratto da una grossa casa discografica:
quello
stronzo che la dirigeva ebbe sul serio il coraggio di dirci che noi
potevamo
“vendere la rivoluzione”. Voleva che noi fossimo solo un altro prodotto
a basso
prezzo per la testa dei consumatori. Disse che avrebbe “trasformato la
nostra
rabbia in una fonte di guadagno”, che avremmo fatto parte di un
pacchetto di
“gruppi di protesta”. Al nostro rifiuto, disse che “non ce l’avremmo
mai fatta”
senza di lui. Fare che cosa? Un ufficio squallido in centro? Pagine e
pagine di
interviste sull’NME? Ne è passato di tempo: adesso lui fa il manager
dei
Culture Club. Ce l’ha fatta: intendeva questo? E’ plastica abbastanza,
è vuoto,
superficiale, disgustoso e renumerativo abbastanza. E allora, lui e gli
altri
ce l’hanno fatta, e come loro tutti quei porci che credono che il
denaro e il
successo siano la misura della vita... (*17)
Era
arrivato il 1984, in maniera ancora peggiore di quella
profetizzata da Orwell: disoccupazione, sfratti, povert, fame. Lo stato
di
polizia era divenuto una realtà: se ne sarebbero accorti ben presto i
minatori
in sciopero. La “morte accidentale” provocata dalla polizia,
trasformata ormai
in esercito personale della Thatcher, era divenuta un fatto normale
accettato
da tutti. L’equilibrio di un’intera societ era appeso al filo di una
dittatura
egoista e malvagia. La nostra situazione non era delle migliori: siamo
stati
trascinati in tribunale ancora una volta per una denuncia per oscenità (*18),
un processo che ci ha quasi distrutto. “Abbiamo i mezzi per non farvi
più
parlare” - ci hanno detto.
Fu durante l’estate di quell’anno che si tenne il nostro ultimo
concerto, una
serata agitatissima a sostegno dei minatori del Galles in sciopero. Sul
palco
dichiarammo ancora una volta la nostra ferma intenzione di continuare a
combattere per la libertà ma, nel ritornare a casa, quella sera, ci si
rese
conto che non potevamo piùandare avanti così. Il cammino che avevamo
intrapreso
sembrava giunto a un punto morto. Avevamo bisogno di nuove strade per
raggiungere i nostri obiettivi.
Da quel giorno non abbiamo più avuto voglia di suonare. Non eravamo più
convinti che questo avesse un senso, visto che i nostri concerti erano
diventati praticamente un’occasione di trattenimento qualsiasi. Eravamo
giunti
a un punto vicino al nostro obiettivo, e se non ce l’avevamo fatta non
era
sinceramente perchè non ci si era impegnati abbastanza… (*2)
Cosa
ne sapevi? Quanto te ne importava?
Atteggiamenti coraggiosi, nascosti da travestimenti bugiardi.
Girando lo sguardo cieco tutt’attorno verso le bugie, per tenerle
insieme.
Qualche volta, quando sono solo come adesso,
mi chiedo se ne è davvero valsa la pena.
Sorridere e fare amicizia, filosofeggiare senza fine.
Consensi superficiali, luoghi comuni e stupidaggini
per provare che anche noi riusciamo a tirare avanti.
Cosa ne sapevi? Quanto te ne importava?
L’Anarchia è diventata un alibi per chiedere l’elemosina ai passanti.
L’Anarchia è diventata un altro slogan senza senso per nascondere la
paura.
L’Anarchia è diventata un’altra istituzione, un’altra croce da
sopportare…
(*15)
Non
c’è alcuna autorità all’infuori di noi stessi, avevamo
detto. Eppure, avevamo perso “noi stessi” divenendo “i Crass”. Dobbiamo
rafforzarci, rimetterci in sesto rifiutando ciò che palesemente non
funziona,
essendo disposti ad accettare e fare nostre idee ed atteggiamenti
positivi.
Dobbiamo trovare un’individualità che possa realmente essere l’autorità
che è.
Dobbiamo riuscire a guardare oltre i reticolati e gli sbarramenti della
polizia, in cerca di una visione della vita che sia realmente una
nostra
scelta, e non un’imposizione di cinici e despoti.
Abbiamo sprecato troppo tempo, troppa energia, troppo del nostro
spirito
tentando di scacciare le ombre maligne della violenza e del terrore
dell’era
atomica dal nostro cielo. E’ ora di uscire fuori, alla luce. Tutti
abbiamo
sbagliato, tutti abbiamo avuto ragione. Queste parole non sono dette
con la
coda tra le gambe. Sono un inizio fiero, anche se doloroso e confuso…
(*2)
Se mi fermi per chiedermi “E adesso? Dove, adesso?”, aspetti davvero una risposta da me? Non è forse più semplicemente dalla tua coscienza che cerchi una risposta? Io posso solo dire qualche cosa e sperare che finchè tu ed io riusciamo a trovare un accordo, ciascuno riesca a conoscere di più sè stesso, e qualcosa l’uno dell’altro… (*19)
In una società dove l’ingordigia e l’interesse economico sono divenuti dei valori di comportamento accettabili, è naturale ci venga spontaneo volgerci indietro e ricordare i bei tempi andati. Il sogno non è finito, comunque: ha solo bisogno di trovare altre strade per esprimersi... (*6)
Crass,
1984. Sette anni, e non sembra sia successo granchè.
Le stesse vecchie scimme nello stesso vecchio zoo. Cantiamo ancora
delle
canzoni, scriviamo parole, facciamo azioni, combattiamo battaglie, e
tutt’attorno plastica che ribolle e scoppia, che si insinua insidiosa.
Amici
che sono venuti e che poi se ne sono andati. Alcuni, ora inghiottiti
dalla
plastica, urlano dall’arena vuota del circo. Altri, inghiottiti dalla
paura e
dall’alienazione, si sono immobilizzati nella loro stessa disperazione.
Il 1983
è stato un anno triste. La Thatcher si è rafforzata, alta sulle onde di
sangue
delle Falklands. Una nazione si lamenta sotto le frustate della sua
lingua e
dell’indifferente brutalità della sua visione, ma non ci siamo ancora
rivoltati
contro il tiranno. Reagan, come il coltello di uno psicopatico, ha
pugnalato la
speranza e la decenza. I suoi missili sono vermi di metallo che
rosicchiano e
succhiano le dita ghiacciate dei nostri sogni. Non ci siamo ancora
rivoltati
contro il tiranno.
Abbiamo passato la maggior parte di questi ultimi anni in discussioni e
dibattiti, sconforto e disperazione. Abbiamo dovuto guardare con occhi
diversi
ciò che stavamo facendo, chi eravamo, che cosa volevamo fare e perchè
lo
volevamo fare. Tutti noi siamo consapevolmente coinvolti nell’enorme
opera di
demolizione di questo stato e, finchè in quanto gruppo avremo qualche
cosa da
offrire in questa lotta continueremo a lavorare come tale.
Gli scritti qui raccolti descrivono molti degli eventi che hanno
portato alla
confusione ed alle discussioni che ci sono state tra di noi. Ognuno ha
contribuito fornendo dei brani. Se ci sono delle ripetizioni e delle
contraddizioni
è perchè siamo innanzitutto individui, e poi siamo i Crass. Molta della
nostra
confusione è stata creata da chi ci vede innanzitutto come i Crass, e
per
niente affatto come individui. Da soli e insieme possiamo aggiungere e
aggiungeremo fiamme ai fuochi della speranza e del futuro. E quelli che
si
oppongono? Sono già morti... (*10)
Note
(*1)
“What a shame”, da “The feeding of the 5,000”
(1978)
(*2)
da “In which Crass voluntarily blow their own”,
testo allegato a “Best before 1984” (1986), tradotto integralmente su
A/Rivista
Anarchica n. 140
(*3) note tratte dalla copertina di “The feeding of the 5,000” (1980, ristampa)
(*4) dalla presentazione di “Reality asylum” (1979)
(*5)
“Asylum”, da “The feeding of the 5,000” (1980,
ristampa)
(*6) dalla presentazione di “A/Sides” (1992)
(*7) L’Autonomy Club di Wapping, a Londra. Il centro, oltre che per le reali difficoltà di co-gestione, chiuse per mancanza di fondi quando il proprietario riuscì a vietare l’organizzazione di concerti nel locale.
(*8) da un’intervista pubblicata da “Open Road” (1983)
(*9) dall’intervista contenuta nel libro “ANOK4U” (1984)
(*10) note tratte dalla copertina di “You’re already dead” (1984)
(*11) da un’intervista pubblicata da “Maximum rock’n’roll” (1984)
(*12)
“Sheepfarming in the Falklands” (1983)
(*13) “How does it feel to be the mother of one thousand dead?” (1982)
(*14) note tratte dalla copertina di “Sheepfarming in the Falklands” (1983)
(*15)
“Yes sir, I will” (1983)
(*16) dal volantino a firma “Un membro dei Crass” distribuito ai concerti del 1984, tradotto integralmente su A/Rivista Anarchica n. 120
(*17)
dall’opuscolo “You’re already dead” (1985)
(*18) su denuncia dei genitori di un minorenne, ai primi di settembre del 1984 la polizia effettuò un’ispezione in un negozio di dischi di Norwich sequestrando tutte le copie di 17 dischi editi dalle etichette indipendenti Alternative Tentacles e Crass Records, perché ritenuti “contrari alla pubblica decenza”. Dopo un primo esame delle copertine e dei testi venne disposto il sequestro su tutto il territorio nazionale di otto dischi; seguì un processo per “commercio di materiale osceno” contro il proprietario del negozio, che si concluse con la sua condanna e con la conferma delle disposizioni per il sequestro dei dischi. Ricorsi in appello, i Crass ottennero la revisione del processo: nel gennaio 1985 il giudice ritenne il gruppo “un’associazione che opera al limite estremo della legalità” e, pur dichiarando che si tratta comunque di “materiali volgari e contenenti parole offensive”, prosciolse dalle accuse di oscenità tutti i dischi ad eccezione di “Penis envy”, disponendone quindi il definitivo sequestro. “Penis envy” viene tuttora diffuso sigillato in una confezione di plastica come una rivista pornografica.
(*19) “Ten notes
on a summer’s day” (1985)
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