L’utopia dei Crass

 

I Crass, o meglio Penny Rimbaud, Steve Ignorant, Eve Libertine, Joy DeVivre, Hari Nana, Phil Free, Pete Wright, G. E. Sus e Mick Duffield, sono riusciti a creare insieme una delle utopie possibili, e a mantenerla in vita per quasi otto anni, riuscendo a concentrare attorno al loro progetto una grande quantit di energie, amori ed attenzioni.
Nel periodo dal 1977 al 1984 i Crass sono stati la stella cometa del Rock Politico più estremo. Difficili da costringere entro definizioni di “genere musicale” (è punk? E’ musica d’avanguardia? O, per dirla con loro, si tratta di “scrittori di canzoni d’amore”?), essi hanno sempre agito a sorpresa, al di sopra e al di fuori di qualsiasi schema concettuale preesistente, caratterizzando la loro attivit, più che in senso strettamente musicale, in un più ampio senso culturale e politico, nuovo e rivoluzionario, anarchico e pacifista.
Infatti, oltre che nella plastica dei dischi e sui palchi dei concerti -trasformati costantemente in iniziative a beneficio di progetti a sfondo sociale ed antagonista- l’opera dei Crass è dentro a numerosi libri, opuscoli e volantini, nelle manifestazioni di protesta spontanee e mai autorizzate, nell’occupazione abusiva degli spazi inutilizzati, nelle ingenue e clamorose imprese di sabotaggio tecnico ed intellettuale, nell’agitazione e nella protesta improvvisa ed improvvisata, incontrollata ed incontrollabile.
In questo scritto, servendomi di ritagli, appunti, ricordi, esperienze e contatti personali, ho cercato di raccontare una faccia della loro storia. Troppo difficile per me, direi impossibile, poterle raccontare tutte. Dagli esordi -il periodo è attorno all’agitato ‘77- all’orwelliano 1984, data “di scadenza” di un piccolo grande sogno che non è stato dimenticato, e tantomeno si è riusciti a “consumare”.

Marco Pandin

Best before 1984
Da consumarsi preferibilmente entro il 1984


I punks fanno troppo casino, un rumore insopportabile.
Che vergogna! Che vergogna!
Ecco quello che pensate, lo sappiamo bene.
Le cose che diciamo vi danno fastidio.
Noi lo sappiamo, ma le diciamo lo stesso...
(*1)

Quando, nel 1976, il vomito punk schizzò per la prima volta sulle pagine dei giornali col messaggio “fatelo da soli” noi, che in diversi modi e per diversi anni non avevamo fatto che quello, abbiamo creduto ingenuamente che i vari signori Rotten, Strummer e compagni intendessero lo stesso. Finalmente non eravamo più soli. L’idea di divenire un gruppo musicale non ci era mai venuta seriamente. Semplicemente, è successo. In pratica, chiunque era libero di unirsi al gruppo: le prove erano riunioni agitate che invariabilmente degradavano a poco più che festini di ubriachi.
Steve e Penny iniziarono a scrivere e suonare assieme all’inizio del ‘77, ma fu solo nell’estate di quell’anno che si riuscì a recuperare, a prendere in prestito o rubare un’attrezzatura tecnica sufficiente a poterci realmente definire un gruppo musicale, i Crass. Essendo finalmente riusciti a mettere in piedi un repertorio di cinque pezzi, ci avviammo sulla strada della gloria e del successo armati dei nostri strumenti e di una grossa quantità di alcolici, necessari per tirare avanti. Partecipammo ad un mucchio di concerti e manifestazioni, dimostrazioni caotiche di pressapochismo e di indipendenza. Fummo cacciati, boicottati, persino banditi dall’allora leggendario Roxy Club: ci dissero che volevano lì dentro solo ragazzi a posto. Fu così che ci si rese conto che i nostri colleghi punks, i vari Pistols, Clash eccetera, altro non erano che dei fantocci: ad essi faceva piacere illudersi di derubare le grosse case discografiche, ma nella realtà era la gente ad essere derubata. Non aiutavano altri se non sè stessi, dando vita ad un’altra moda facile. Portando una boccata d’ossigeno alla King’s Road modaiola di Londra, essi rivendicavano l’inizio di una rivoluzione. La solita vecchia storia: eravamo ancora da soli.
Una sera, tra i fumi dell’alcool, decidemmo che la nostra missione sarebbe stata la creazione di una reale alternativa allo sfruttamento dell’industria musicale. Volevamo riuscire a creare un qualche cosa che desse invece che togliere e, soprattutto, volevamo che durasse a lungo. Troppe promesse venivano fatte dai palcoscenici dei concerti, per essere poi dimenticate per la strada… (*2)

L’unico concerto che avevamo fatto a Londra quell’anno, assieme agli U. K. Subs, non aveva assolutamente ottenuto riscontro dalla gente. Noi suonavamo per primi, con i Subs che stavano lì a guardarci. Poi suonavano loro, e restavamo noi a guardare… (*3)

La situazione era proprio scoraggiante, ma di solito ci si divertiva. Nessuno che venisse a seccarti con storie assurde sui tuoi stivali di cuoio, o che si lamentasse se mettevi latte nel tè. Nessuno che volesse sapere come mai anarchia e pace potessero coesistere, nessuno che venisse a romperci i coglioni con lunghi monologhi su Bakunin, che a quel tempo noi si immaginava fosse probabilmente una marca di vodka... Le idee erano aperte: stavamo creando collettivamente la nostra vita. Erano anni gloriosi quelli, prima che le alternative libere che stavamo creando divenissero solo un mucchio di regole bigotte, prima che ci che stavamo definendo come “il vero punk” si rivelasse soltanto uno squallido ghetto.
Il nostro isolamento ci rese più duri. Fu così che decidemmo di smetterla definitivamente con l’alcool e di iniziare a prenderci più sul serio. Decidemmo di vestirci di nero per protestare contro il pavoneggiarsi narcisistico della moda punk, iniziammo a utilizzare video e filmati durante i nostri spettacoli, ci dedicammo alla stampa di volantini per spiegare le nostre posizioni e pubblicammo un giornale, “International anthem”.
Per smentire le voci messe in giro dalla stampa, secondo cui non eravamo altro che degli estremisti di destra e/o di sinistra, decidemmo di attaccare dietro il palco ai nostri concerti, una bandiera con il simbolo dell’anarchia. Ci ponemmo infine l’obiettivo di tirare avanti a tutti i costi almeno sino alla fine dell’allora mitico 1984... (*2)

Dopo qualche tempo dal disastroso concerto con i Subs, Pete della Small Wonder si mise in contatto con noi: aveva sentito un nostro nastro e voleva facessimo assieme un 45 giri. Siccome non riuscivamo a metterci d’accordo su quali canzoni scegliere ne abbiamo registrate tante: è così che è nato “The feeding of the 5,000”, ed ecco che con questo primo disco sono iniziati per noi i problemi.
Nessuno era disposto a stampare questo disco con “Asylum” dentro, quindi dopo molte discussioni tra di noi abbiamo deciso di toglierla. Il disco uscì senza quella canzone, e venne accolto dalla stampa musicale inglese in maniera estremamente negativa ed offensiva.
Qualche tempo dopo siamo riusciti a stampare “Asylum”: l’abbiamo riscritta e in parte modificata, e l’abbiamo messa in circolazione su di un disco pubblicato da un etichetta col nostro nome, Crass Records. Questo nostro lavoro venne premiato da una visita di Scotland Yard e da numerose denunce per oscenità e vilipendio alla religione... (*4)

Scendi dalla tua croce, adesso.
Scendi dalla tua altezza papale, dal tuo suicidio volgare.
Visionario suicida, violentatore, stupratore.
Tu porti la bandiera della nostra oppressione.
La croce è il corpo vergine della femminilità che tu profani.
Non ci sono parole per il mio disprezzo, non meriti niente.
Tu sei la pornografia portata all’estremo.
Sei morto per i tuoi peccati, non per i miei...
(*5)

Io sono nata libera: un corpo libero, una mente libera, fino al momento in cui ho respirato l’aria della moralità. Mi sono resa conto allora che il mio corpo “libero” era quello di una Donna (la colpa di Eva) e che la mia mente era “libera” solo di lottare contro definizioni di Bene e di Male che altri avevano stabilito e deciso. Nasciamo tutti peccatori? “Padre, perdona, poichè abbiamo peccato”: o è forse un potere più materiale quello contro cui noi pecchiamo? Un sistema, all’interno del quale il rifiuto di venire manipolati, comandati e plagiati è il nostro unico crimine? I reticolati, il filo spinato, i confini dividono la nostra Terra. In quale direzione sparano i cannoni? Dio è dalla nostra parte... Per il potere, per il comando. Il dolore viene inflitto nel suo nome, adesso come un tempo. Dio è dalla nostra parte.
Posso davvero credere in questo dio di Virilità, il primo di una serie di strutture odiosamente maschiliste (chiesa, stato, famiglia), e qual’è il mio posto in queste strutture di potere? Quali scelte ho? Martire-Madre-Vittima, Martire-Puttana- Vittima, Martire-Strega-Vittima... Quali scelte ho? Troverò dei nomi nuovi per me, ed un nuovo posto dove stare… (*4)

Appena pubblicato, “Asylum” ci procurò dei grossi problemi. Alcune denunce portarono ad ispezioni della polizia nei negozi di dischi di tutto il paese, e a una visita a casa nostra di una sezione della buoncostume. Dopo un pomeriggio piacevole trascorso bevendo tè in compagnia dei guardiani della morale pubblica, la minaccia di una denuncia venne a pesare sulle nostre teste: ci avvisarono che, nonostante fossimo formalmente “liberi”, sarebbe stato assai meglio per noi se una simile avventura non l’avessimo mai più ritentata. La natura stessa della nostra “libertà” ci ha invece imposto di andare avanti: si è messa in moto così quella continua serie di vessazioni da parte della polizia nei nostri confronti che dura a tutt’oggi.
E’ stato all’incirca in quel periodo che per la prima ed unica volta sono state trasmesse delle nostre canzoni alla radio nazionale da John Peel. Da allora, la nostra reputazione di bestemmiatori ci ha precluso qualsiasi spazio e procurato l’inclusione nella lista nera della BBC. (*2)

Abbiamo fondato l’etichetta Crass Records per consentirci di pubblicare il nostro secondo disco. “The feeding of the 5,000”, pubblicato da Small Wonder, aveva sino ad allora venduto all’incirca cinquemila copie, quindi preventivammo una tiratura simile per “Stations of the Crass”. A due settimane dall’uscita, ne risultarono vendute oltre ventimila copie: improvvisamente, ci si ritrovava con quello che per noi era un sacco di soldi. Lo slogan “fatelo da soli” era servito a illudere la gente con molte promesse: proprio allora le stelle del punk se ne stavano dimenticando, per iniziare la traversata dell’Atlantico. Ci proponemmo di mantenere almeno una parte di quelle promesse: gli incassi della Crass Records ne sarebbero stati il mezzo.
La maggior parte dei gruppi della nostra etichetta li abbiamo conosciuti per strada. Nel caso degli Zounds e dei Mob l’espressione è proprio da prendere alla lettera: il loro furgone ebbe un guasto nelle vicinanze di casa nostra, ed il nostro rapporto iniziale non fu come musicisti ma come pseudo-meccanici!
Sin dall’inizio decidemmo di distribuire i nostri prodotti al prezzo più basso possibile. E’ stata questa la politica che ci ha sempre contraddistinto, dai nostri concerti con i Poison Girls all’assoluto rifiuto di commercializzare magliette e spille con il simbolo del gruppo, sino a produrre dei dischi messi poi in vendita ad un prezzo inferiore al reale costo di produzione.
Nessuno si è arricchito negli anni di attività dell’etichetta. La maggior parte delle uscite è andata in pareggio, e siamo riusciti talvolta a pagare ai vari gruppi una percentuale. Il profitto non è mai stato il nostro scopo. L’idea era quella di dare un’opportunità a gruppi musicali che altrimenti non sarebbero mai stati in grado di registrare il loro materiale e farlo conoscere alla gente. L’etichetta Crass Records, invece che un’impresa commerciale è stata piuttosto una vetrina ideologica: tutti i musicisti che hanno contribuito con i loro lavori lo hanno fatto perchè per loro il messaggio era più importante del mezzo. Niente di queste musiche è stato fatto per soldi: questa è musica popolare, musica della gente, per la gente. (*6)

Nella primavera del 1980 abbiamo partecipato ad una serie di concerti a sostegno della difesa di alcuni anarchici detenuti. Al loro rilascio c’è stato chiesto se ci fosse interessato contribuire alla creazione di un centro anarchico. Registrammo così “Bloody revolutions”, con “Persons unknown” dei Poison Girls sul retro, e con gli incassi della vendita del disco finanziammo l’apertura di questo centro… (*7)

Per oltre un anno si trascinò una coesistenza difficile tra i “tradizionalisti” e gli anarcopunks: si giunse al punto in cui l’attrito ideologico si fece insopportabile, ed il centro chiuse. La relativa facilità con cui eravamo stati in grado di raccogliere dei fondi per il centro anarchico ci fece capire il nostro potere non solo di dare vita a nuove idee, ma anche di riuscire in qualche modo a realizzarle.
Veniva davvero molta gente ai nostri concerti, quindi il modo migliore di sfruttare la situazione fu il decidere che da allora in poi avremmo sempre suonato in manifestazioni a sostegno di qualcosa. (*2)

Con l’aiuto di qualche amico abbiamo occupato il Rainbow Theatre, allora vuoto, per organizzare un grande concerto gratuito. Ci sembrava importante fare un concerto nella capitale e non ce la sentivamo di suonare in un posto come il Lyceum o in una qualsiasi altra sala di quel genere. Sarebbe stato un concerto tipico dell’industria musicale, in una sala privata, con tanto di buttafuori, vendita di alcolici a prezzi elevati, eccetera. L’occupazione del Rainbow venne sospesa dopo due giorni, quando la polizia irruppe nel teatro e ci cacciò via con la forza. Un nostro secondo tentativo di rioccupare il teatro, due ore dopo, fallì miseramente. Per fortuna avevamo un progetto di ripiego: occupammo lo Zig Zag Club, anch’esso allora sfitto.
La notizia di questa seconda occupazione si diffuse per la città in un baleno anche perchè si era sparsa voce dei pestaggi della polizia al Rainbow. A mezzogiorno parecchie centinaia di persone si erano raccolte dentro e tutt’attorno allo Zig Zag occupato, e nel pomeriggio ebbe inizio un grande concerto collettivo gratuito.
La polizia tentò ancora una volta di di scacciarci, ma venne respinta da centinaia di ragazze e ragazzi seduti e stesi per terra sulla strada davanti al club. Solo un paio di agenti restò lì fuori a controllare la situazione, ma non ci furono altri tentativi di scacciarci. Intanto, la gente continuava ad entrare: tutti si sistemavano alla meglio per ascoltare i concerti dei vari gruppi che sostennero la nostra iniziativa.
Sul palco si alternarono Faction, Omega Tribe, Sleeping Dogs, Lack of Knowledge, Apostles, Amebix, Null and Void, Soldiers of Fortune, Mob, Poison Girls, Conflict, Flux of Pink Indians e Dirt… (*8)

Con cibo gratis e birra rubata abbiamo celebrato ancora la nostra indipendenza, stavolta assieme a tanti gruppi musicali, il meglio di quello che si poteva davvero chiamare punk. Insieme abbiamo dato vita ad un’esplosione di energia durata ventiquattr’ore che ha ispirato decine e decine di eventi simili in tutto il mondo.
Da tempo facevamo regolarmente concerti su e giù per l’intero paese, andando in posti dove nessun altro gruppo aveva mai suonato prima. Circoli di quartiere, tendoni, centri sociali, qualsiasi posto che non fossero clubs privati, discoteche, o il circuito universitario. Abbiamo diviso la nostra musica, films, letture, conversazioni, cibo e tè. Ovunque siamo andati abbiamo trovato facce sorridenti, persone disposte a creare delle alternative al grigiore generale.
Non è sempre stato facile: c’è sempre stato qualcuno che voleva distruggere ciò che eravamo riusciti a creare. Abbiamo tentato di partecipare allo Stonehenge Festival, ma siamo stati picchiati da una banda di motociclisti. Alcuni nostri concerti sono stati oggetto di incursione del National Front, siamo stati picchiati dal British Movement e dai Red Brigades a Londra. Molti problemi, che però non hanno mai controbilanciato la nostra gioia. (*2)

Non possiamo e non vogliamo ghettizzare le nostre uscite in pubblico. Se gli skinheads vogliono venire ai nostri concerti noi non ci opponiamo: non abbiamo intenzione di menare le mani, nè vogliamo litigare con nessuno. Molti, specialmente i più giovani, sono manovrati da gruppi politici: sono nelle mani di gente viscida e senza scrupoli che se ne frega dei problemi dei ragazzi e sfrutta il loro malcontento… (*9)

In quanto gruppo, deploriamo la violenza. E’ la violenza che ha portato il nostro mondo nella storia dell’orrore in cui ora si trova. Ma che cos’è la violenza? Non crediamo che, ad esempio, gli atti di sabotaggio siano atti di violenza. Dove il sabotaggio è diretto contro le istituzioni e le installazioni dell’oppressione, lo consideriamo completamente legittimo. Crediamo che la gente non debba accettare passivamente la violenza dello stato. Anzi, che dovrebbe essere pronta, se necessario, a difendere e a proteggere sè stessa. E’ chiaro che c’è chi è incapace di trattare con l’amore espresso apertamente: immancabilmente, la risposta è stata il fucile. Dobbiamo guardarci dall’essere solo dei bersagli. C’è chi cercherà di dimostrare che esiste una contraddizione tra l’amore e la rivoluzione. Dirà che non è amore definire i propri simili “nemici”, o esprimere ostilità nei loro confronti. Non dobbiamo dimenticare che agiamo per amore, che è perchè amiamo la vita che ci opponiamo a chi promuove la morte... (*10)

Credo abbiamo la capacità di centralizzare l’informazione e di essere al contempo una fonte di informazioni. Informazioni sovversive, informazioni che siano in grado di sovvertire. La nostra funzione, come gruppo, è essenzialmente quella di informare la gente della gravità della situazione, e sperare che contro la situazione la gente si mobiliti, formi una opposizione. Il modo in cui ciascuno di noi si muove è privato, personale, ed in molti casi va oltre a quanto noi possiamo fare come gruppo. Ci muoviamo all’interno dei media perchè è un settore che ci consente di irrompere ovunque in senso radicale, provocando dei danni ma senza fare male a nessuno. Noi offendiamo, sbeffeggiamo, magari facciamo paura, ma non facciamo fisicamente del male a nessuno... (*11)

Facciamo dell’attività sovversiva da almeno dieci, dodici anni. Dal ‘77 abbiamo formato questo gruppo: i Crass non sono per solo un gruppo musicale. Facciamo dei dischi perchè la musica è uno dei mezzi di espressione che vogliamo adoperare per far conoscere alla gente le nostre idee, per arrivare a chi ci ascolta. Non siamo per convinti di fare dei dischi normali, da ascoltare e canticchiare. Non è nelle nostre intenzioni. La musica è solo un pretesto... (*9)

Sin dall’inizio ci siamo costantemente impegnati in una guerra di graffiti sui muri del centro di Londra. Per celebrare il nostro successo con le bombolette spray abbiamo deciso di intitolare il nostro secondo disco “Stations of the Crass”: in copertina, la foto di alcune nostre scritte sui muri della metropolitana.
Il nostro disco successivo fu un attacco femminista: la pubblicazione di “Penis envy” confermò un sospetto che avevamo da tempo. Ad una settimana dall’uscita nei negozi, il nostro disco si era piazzato al quindicesimo posto nelle classifiche. La settimana successiva, invece, del disco nessuna traccia. Lo stesso era successo anche con “Nagasaki nightmare”.
E’ chiaro che è impossibile raggiungere in pochi giorni una posizione così elevata per poi scomparire la settimana successiva. Ovvio che se le compagnie discografiche sono in grado di pagare per far entrare i loro dischi nella hit parade, possono benissimo pagare per tenerne fuori i nostri... (*2)

Gli eserciti di sua maestà stanno arrivando: è un’altra farsa imperialista.
Un’altra pagina della gloriosa storia britannica con la quale pulire il culo alla nazione.
Avanti, soldati della Thatcher! E’ vostro dovere combattere!
E se il popolo ha fame? Dategli da mangiare merda...
Ma non vi rendete conto che avete giocato con migliaia di vite umane?
No, voi ve ne fregate del valore della vita, pieni come siete di odio.
Siete vecchi, malati: morirete presto lo stesso.
Delinquenti al governo, morirete presto!
(*12)

Durante il 1981 abbiamo registrato “Christ - the album”, che abbiamo poi pubblicato nell’estate del 1982. Questa volta, però, la nostra gioia venne annientata da una grande tragedia: la Gran Bretagna andava alla guerra. Il primo spillo era stato conficcato nel pallone anarcopacifista, uno spillo che di lì a pochi mesi ebbe a provocare il suo scoppio. Mentre centinaia di ragazzi morivano, le nostre canzoni, proteste e dimostrazioni, i nostri volantini, parole e idee improvvisamente sembrava avessero perso significato.
In realtà, noi sapevamo che quanto potevamo offrire aveva un suo valore, ma in quel momento tutto sembrava stupido, inutile. Le proteste contro la guerra erano virtualmente inesistenti. Il dissenso veniva zittito. Il silenzio faceva male.
A rischio di venire considerati pubblicamente per i “traditori” che siamo, per vie traverse riuscimmo a pubblicare in pochi giorni un disco contenente una canzone contro la guerra delle Falklands. La reazione fu immediata. Ricevemmo un ammonimento ufficiale da parte della Camera dei Comuni, dove ci si avvertiva di “badare a quanto stavamo facendo”, ma fu solo alla fine della guerra, quando pubblicammo “How does it feel” che la situazione per noi precipitò... (*2)

Cosa si prova ad essere madre di mille morti?
I ragazzi adesso riposano. Tombe fredde nella terra gelata.
Occhi scavati, orbite svuotate da una morte inutile.
La tua arroganza ha sventrato quei corpi, la tua falsità li ha ingannati,
convincendoli che il loro sacrificio è valso a qualcosa.
La tua crudele bestialità non ti fa capire il dolore che hai provocato,
che hai voluto a tutti i costi, che hai ordinato.
Sono stati i tuoi ordini che hanno massacrato questi ragazzi!
(*13)

Chi è il nemico? Il nemico siamo noi stessi, poichè nascondiamo in ciascuno di noi un nemico. Che cos’è la Storia? La Storia siamo noi, poichè siamo proprio noi quelli che nascondono dentro a sè stessi la Storia. La Storia è la continua e metodica razionalizzazione delle consuetudini e degli abusi del potere. Scopo della Storia è creare, al di là del caos naturale della vita, una parvenza di ordine. La Storia crea e rafforza i concetti nazionalistici di “amico” e “nemico”, e nel fare questo produce il nemico necessario a coloro che cercano delle giustificazioni alla guerra.
La Storia è la logica che dà alla guerra la sua credibilità. Armati di questa logica noi dobbiamo odiare e possibilmente uccidere nel nome e per il bene di quegli eterni oppressori che non solo scrivono i libri di Storia, ma che riservano per sè stessi il ruolo principale nelle farse del loro squallido teatro. La guerra è la finzione che essi creano, e che noi permettiamo divenga realtà. (*14)

L’ambiguità dei nostri atteggiamenti cominciava a darci fastidio. Era davvero possibile una rivoluzione senza spargimento di sangue? Eravamo davvero realisti? Stavamo per essere distrutti dalle nostre stesse contraddizioni? E’ stato allora che abbiamo spedito il famoso nastro del “Thatchergate” alla stampa di tutto il mondo. Si trattava di una registrazione veramente ben realizzata, studiata in forma di conversazione telefonica fra Reagan e la Thatcher, durante la quale veniva ammessa la sua diretta responsabilità nell’affondamento della Belgrano e sul conseguente bombardamento della Sheffield da parte dell’Invincible, notizie sulle quali la Thatcher aveva imposto l’assoluto silenzio stampa. E, visto che c’eravamo, abbiamo inserito una dichiarazione di Reagan nella quale veniva presa in considerazione l’idea di un conflitto nucleare in Europa nel caso fosse stata messa in pericolo la sicurezza negli Stati Uniti. Un’ipotesi che poi non è così assurda.
Il nastro passò sotto silenzio per circa un anno, prima di fare la sua comparsa in un ufficio del Dipartimento di Stato americano a Washington. Le smentite ufficiali che seguirono ci dimostrarono che il metodo che avevamo utilizzato per screditare Reagan e la Thatcher non era poi così diverso da quelli utilizzati dai vari servizi segreti. Come mai una registrazione evidentemente contraffatta veniva presa in così seria considerazione?
Il dito accusatore venne logicamente puntato sul Cremlino: parecchi giornali negli Stati Uniti, ed il Sunday Times in Inghilterra, riferirono ampiamente della faccenda come di un intrigo spionistico del KGB. Era quella la prima volta che la stampa collegava in qualche modo la Thatcher all’affondamento della Belgrano. Ci sentivamo euforici, ma anche un po’ impauriti: dovevamo confessare l’inganno, o aspettare ancora?
La nostra indecisione venne risolta improvvisamente, allorchè un giornalista dell’Observer ci contattò in relazione a “un certo nastro” su cui voleva delle informazioni.
All’inizio negammo tutto, poi decidemmo di riconoscere pubblicamente la responsabilità del fatto. Eravamo stati davvero molto attenti nella produzione e nella distribuzione di quel nastro, proprio perchè volevamo essere sicuri che nessuno venisse a sapere che era opera nostra. Come il giornalista dell’Observer sia venuto a sapere di noi è tuttora un mistero. Fu comunque un avvertimento serio: anche i muri avevano gli orecchi... Quanto era conosciuto della nostra attività? Dai giorni dei graffiti del ‘77 eravamo costantemente coinvolti in attività più o meno sovversive: dalle scritte con lo spray al taglio di reticolati, sabotaggi ed altre imprese del genere. Se ci fossimo scoperti con la faccenda del nastro tutte le altre storie sarebbero venute a galla. Ci eravamo esposti ad un grave rischio. Il telefono cominciò a squillare… (*2)

Se non ci fosse il governo sarebbe il caos:
tutti impazziti a correre di qua e di là a piazzare bombe incendiarie...
Se non ci fosse la polizia, ditemi,
cosa fareste se vi inseguissero trentamila teppisti agguerriti?
E se non ci fosse un esercito forte ad arrestare una probabile invasione?
Saremmo pieni di immigrati...
E i bambini? Chi insegnerebbe nelle scuole?
Chi farebbe rigare dritto gli studenti?
Chi insegnerebbe loro quali sono le regole del gioco?
(*15)

Abbiamo cercato di dimostrare con umorismo ed amore la nostra franchezza e sincerità. Abbiamo sempre trovato violenza, odio, ostilità in tutte le cose che abbiamo fatto, in tutte le nostre iniziative, e abbiamo cercato di reagire offrendo comprensione, ragione, intelligenza. Abbiamo sbagliato: ci siamo resi conto che lo stato, e quelli che operano entro ad esso, sono i nostri veri nemici. Ecco i nemici della nostra libertà. Dobbiamo cercare altre vie, non solo parole e bei ragionamenti, per costruire la nostra opposizione... (*8)

Spero che un giorno si riesca a creare una nuova filosofia di vita che non comprenda la sofferenza ed il dolore. Una filosofia che dia a tutti dignità ed integrità. Un giorno, me lo auguro, tutti potremo raggiungere questo modo di vivere, questa scelta. Per il momento. il mio senso di realtà mi dice che questa possibilità mi è preclusa, ma continuerò a cercarla e a sperare. Senza dimenticare il vero senso della vita, immaginando quanto questo sia auspicabile e bello, possiamo finalmente cominciare a guardare al senso della nostra lotta da un diverso punto di vista? (*16)

I giornali di mezzo mondo si interessavano a noi, a come mai un gruppo di punks si fosse preso gioco del Dipartimento di Stato americano: chiss cos’altro avevamo fatto... In tutti gli anni precedenti il nostro gruppo non aveva mai concentrato su di sè una tale attenzione. Il telefono squillava in continuazione. Abbiamo concesso interviste ad un sacco di gente: improvvisamente eravamo in prima pagina. Avevamo raggiunto una specie di potere politico, una nostra voce, eravamo trattati con una certa considerazione e rispetto.
Era davvero questo ci che volevamo? Era davvero questo ci per cui ci eravamo messi insieme tanto tempo prima? Dopo sette anni di attività eravamo diventati proprio quello che all’inizio volevamo combattere. Avevamo trovato sì una solida base per le nostre idee, ma qualcosa di quelle stesse idee si era come perso per la strada. Dove una volta eravamo generosi ed aperti, ora eravamo cinici e chiusi. Le nostre attività erano sempre state caratterizzate da un certo ottimismo, dall’allegria: ci eravamo progressivamente spinti verso la tristezza,verso una specie di cattiva militanza. Eravamo divenuti amari proprio dove una volta eravamo gioiosi, pessimisti quando era l’ottimismo la nostra causa... (*2)

Le parole, a volte, non hanno dei grossi significati, e noi ne abbiamo sempre adoperate troppe, più di chiunque altro. I sentimenti che vengono dal cuore sono stati distorti e fraintesi, sparsi e gettati tutt’attorno in questo spettacolo, nello spettacolo del grande circo di questa società. Quello che noi possiamo offrire per combattere i robots grigi che controllano la nostra vita può apparire fragile ed inconsistente. Mentre essi progettano la distruzione ed aumentano il loro potere, noi offriamo in cambio la nostra creatività. Per questo veniamo isolati. Non ci aspettavamo certo di ritrovarci qui a recitare questa parte. Ci interessavano le idee, non il rock’n’roll, ma adesso non possiamo più rifiutare questa arena: divenuta parte di noi, anche se non riusciamo a capire questa sfida. Nei loro appelli alla moderazione ci chiedono perchè noi non scriviamo qualche bella canzone d’amore. Ma cos’è allora che facciamo? Il nostro amore per la vita è totale, e tutto quello che facciamo è espressione di questo amore. Tutte le canzoni che cantiamo sono canzoni d’amore. Noi cerchiamo delle alternative, ma il potere dei mass media è così schiacciante che ci rende estremamente difficile costruire una base per comunicare. Le loro menzogne sono così spaventose che tutto ci che sfiorano diviene velenoso e corrotto. Noi potremo anche diventare dei personaggi famosi di cui si occupano la stampa e la televisione, ma sarà sempre nei loro termini ed alle loro condizioni che si parlerà di noi. Ci siamo stancati di vivere per quello che gli altri si aspettano da noi, quando le nostre aspirazioni sono ben più alte… (*15)

Il punk, certo. Ma cosa? In un modo o nell’altro è divenuto parte del grande circo della società. Musica da ballo per delle teste di cazzo, o l’espressione più genuina della nostra rabbia e della nostra disperazione? C’è una linea sottile che separa ci che semplicemente si aggiunge alle porcherie che strangolano la nostra vita, e ci che invece offre un senso, una speranza, dignità e un futuro. La sapete vedere la differenza?
Siamo stati traditi dalla stampa musicale e, peggio, dagli stessi gruppi punk. E’ una vecchia storia che abbiamo già sentito: la rivoluzione bussa alla nostra porta... Tanta gente con tante parole in bocca, ma a quanti importa davvero? E’ facile apparire radicali nelle pagine di Sounds ma non è altrettanto facile esserlo nel libro della nostra vita.
E’ mai stato, il punk, una forma di protesta? Non è forse sempre stato un’altra maniera di evadere? Il punk è diventato un surrogato di sè stesso, una fuga dalla realtà, una cosa essenzialmente noiosa.
Anni fa c’è stato offerto un contratto da una grossa casa discografica: quello stronzo che la dirigeva ebbe sul serio il coraggio di dirci che noi potevamo “vendere la rivoluzione”. Voleva che noi fossimo solo un altro prodotto a basso prezzo per la testa dei consumatori. Disse che avrebbe “trasformato la nostra rabbia in una fonte di guadagno”, che avremmo fatto parte di un pacchetto di “gruppi di protesta”. Al nostro rifiuto, disse che “non ce l’avremmo mai fatta” senza di lui. Fare che cosa? Un ufficio squallido in centro? Pagine e pagine di interviste sull’NME? Ne è passato di tempo: adesso lui fa il manager dei Culture Club. Ce l’ha fatta: intendeva questo? E’ plastica abbastanza, è vuoto, superficiale, disgustoso e renumerativo abbastanza. E allora, lui e gli altri ce l’hanno fatta, e come loro tutti quei porci che credono che il denaro e il successo siano la misura della vita... (*17)

Era arrivato il 1984, in maniera ancora peggiore di quella profetizzata da Orwell: disoccupazione, sfratti, povert, fame. Lo stato di polizia era divenuto una realtà: se ne sarebbero accorti ben presto i minatori in sciopero. La “morte accidentale” provocata dalla polizia, trasformata ormai in esercito personale della Thatcher, era divenuta un fatto normale accettato da tutti. L’equilibrio di un’intera societ era appeso al filo di una dittatura egoista e malvagia. La nostra situazione non era delle migliori: siamo stati trascinati in tribunale ancora una volta per una denuncia per oscenità (*18), un processo che ci ha quasi distrutto. “Abbiamo i mezzi per non farvi più parlare” - ci hanno detto.
Fu durante l’estate di quell’anno che si tenne il nostro ultimo concerto, una serata agitatissima a sostegno dei minatori del Galles in sciopero. Sul palco dichiarammo ancora una volta la nostra ferma intenzione di continuare a combattere per la libertà ma, nel ritornare a casa, quella sera, ci si rese conto che non potevamo piùandare avanti così. Il cammino che avevamo intrapreso sembrava giunto a un punto morto. Avevamo bisogno di nuove strade per raggiungere i nostri obiettivi.
Da quel giorno non abbiamo più avuto voglia di suonare. Non eravamo più convinti che questo avesse un senso, visto che i nostri concerti erano diventati praticamente un’occasione di trattenimento qualsiasi. Eravamo giunti a un punto vicino al nostro obiettivo, e se non ce l’avevamo fatta non era sinceramente perchè non ci si era impegnati abbastanza… (*2)

Cosa ne sapevi? Quanto te ne importava?
Atteggiamenti coraggiosi, nascosti da travestimenti bugiardi.
Girando lo sguardo cieco tutt’attorno verso le bugie, per tenerle insieme.
Qualche volta, quando sono solo come adesso,
mi chiedo se ne è davvero valsa la pena.
Sorridere e fare amicizia, filosofeggiare senza fine.
Consensi superficiali, luoghi comuni e stupidaggini
per provare che anche noi riusciamo a tirare avanti.
Cosa ne sapevi? Quanto te ne importava?
L’Anarchia è diventata un alibi per chiedere l’elemosina ai passanti.
L’Anarchia è diventata un altro slogan senza senso per nascondere la paura.
L’Anarchia è diventata un’altra istituzione, un’altra croce da sopportare…
(*15)

Non c’è alcuna autorità all’infuori di noi stessi, avevamo detto. Eppure, avevamo perso “noi stessi” divenendo “i Crass”. Dobbiamo rafforzarci, rimetterci in sesto rifiutando ciò che palesemente non funziona, essendo disposti ad accettare e fare nostre idee ed atteggiamenti positivi. Dobbiamo trovare un’individualità che possa realmente essere l’autorità che è. Dobbiamo riuscire a guardare oltre i reticolati e gli sbarramenti della polizia, in cerca di una visione della vita che sia realmente una nostra scelta, e non un’imposizione di cinici e despoti.
Abbiamo sprecato troppo tempo, troppa energia, troppo del nostro spirito tentando di scacciare le ombre maligne della violenza e del terrore dell’era atomica dal nostro cielo. E’ ora di uscire fuori, alla luce. Tutti abbiamo sbagliato, tutti abbiamo avuto ragione. Queste parole non sono dette con la coda tra le gambe. Sono un inizio fiero, anche se doloroso e confuso… (*2)

Se mi fermi per chiedermi “E adesso? Dove, adesso?”, aspetti davvero una risposta da me? Non è forse più semplicemente dalla tua coscienza che cerchi una risposta? Io posso solo dire qualche cosa e sperare che finchè tu ed io riusciamo a trovare un accordo, ciascuno riesca a conoscere di più sè stesso, e qualcosa l’uno dell’altro… (*19)

In una società dove l’ingordigia e l’interesse economico sono divenuti dei valori di comportamento accettabili, è naturale ci venga spontaneo volgerci indietro e ricordare i bei tempi andati. Il sogno non è finito, comunque: ha solo bisogno di trovare altre strade per esprimersi... (*6)

Crass, 1984. Sette anni, e non sembra sia successo granchè. Le stesse vecchie scimme nello stesso vecchio zoo. Cantiamo ancora delle canzoni, scriviamo parole, facciamo azioni, combattiamo battaglie, e tutt’attorno plastica che ribolle e scoppia, che si insinua insidiosa. Amici che sono venuti e che poi se ne sono andati. Alcuni, ora inghiottiti dalla plastica, urlano dall’arena vuota del circo. Altri, inghiottiti dalla paura e dall’alienazione, si sono immobilizzati nella loro stessa disperazione. Il 1983 è stato un anno triste. La Thatcher si è rafforzata, alta sulle onde di sangue delle Falklands. Una nazione si lamenta sotto le frustate della sua lingua e dell’indifferente brutalità della sua visione, ma non ci siamo ancora rivoltati contro il tiranno. Reagan, come il coltello di uno psicopatico, ha pugnalato la speranza e la decenza. I suoi missili sono vermi di metallo che rosicchiano e succhiano le dita ghiacciate dei nostri sogni. Non ci siamo ancora rivoltati contro il tiranno.
Abbiamo passato la maggior parte di questi ultimi anni in discussioni e dibattiti, sconforto e disperazione. Abbiamo dovuto guardare con occhi diversi ciò che stavamo facendo, chi eravamo, che cosa volevamo fare e perchè lo volevamo fare. Tutti noi siamo consapevolmente coinvolti nell’enorme opera di demolizione di questo stato e, finchè in quanto gruppo avremo qualche cosa da offrire in questa lotta continueremo a lavorare come tale.
Gli scritti qui raccolti descrivono molti degli eventi che hanno portato alla confusione ed alle discussioni che ci sono state tra di noi. Ognuno ha contribuito fornendo dei brani. Se ci sono delle ripetizioni e delle contraddizioni è perchè siamo innanzitutto individui, e poi siamo i Crass. Molta della nostra confusione è stata creata da chi ci vede innanzitutto come i Crass, e per niente affatto come individui. Da soli e insieme possiamo aggiungere e aggiungeremo fiamme ai fuochi della speranza e del futuro. E quelli che si oppongono? Sono già morti...
(*10)

Note

(*1) “What a shame”, da “The feeding of the 5,000” (1978)

(*2) da “In which Crass voluntarily blow their own”, testo allegato a “Best before 1984” (1986), tradotto integralmente su A/Rivista Anarchica n. 140

(*3) note tratte dalla copertina di “The feeding of the 5,000” (1980, ristampa)

(*4) dalla presentazione di “Reality asylum” (1979)

(*5) “Asylum”, da “The feeding of the 5,000” (1980, ristampa)

(*6) dalla presentazione di “A/Sides” (1992)

(*7) L’Autonomy Club di Wapping, a Londra. Il centro, oltre che per le reali difficoltà di co-gestione, chiuse per mancanza di fondi quando il proprietario riuscì a vietare l’organizzazione di concerti nel locale.

(*8) da un’intervista pubblicata da “Open Road” (1983)

(*9) dall’intervista contenuta nel libro “ANOK4U” (1984)

(*10) note tratte dalla copertina di “You’re already dead” (1984)

(*11) da un’intervista pubblicata da “Maximum rock’n’roll” (1984)

(*12) “Sheepfarming in the Falklands” (1983)

(*13) “How does it feel to be the mother of one thousand dead?” (1982)

(*14) note tratte dalla copertina di “Sheepfarming in the Falklands” (1983)

(*15) “Yes sir, I will” (1983)

(*16) dal volantino a firma “Un membro dei Crass” distribuito ai concerti del 1984, tradotto integralmente su A/Rivista Anarchica n. 120

(*17) dall’opuscolo “You’re already dead” (1985)

(*18) su denuncia dei genitori di un minorenne, ai primi di settembre del 1984 la polizia effettuò un’ispezione in un negozio di dischi di Norwich sequestrando tutte le copie di 17 dischi editi dalle etichette indipendenti Alternative Tentacles e Crass Records, perché ritenuti “contrari alla pubblica decenza”. Dopo un primo esame delle copertine e dei testi venne disposto il sequestro su tutto il territorio nazionale di otto dischi; seguì un processo per “commercio di materiale osceno” contro il proprietario del negozio, che si concluse con la sua condanna e con la conferma delle disposizioni per il sequestro dei dischi. Ricorsi in appello, i Crass ottennero la revisione del processo: nel gennaio 1985 il giudice ritenne il gruppo “un’associazione che opera al limite estremo della legalità” e, pur dichiarando che si tratta comunque di “materiali volgari e contenenti parole offensive”, prosciolse dalle accuse di oscenità tutti i dischi ad eccezione di “Penis envy”, disponendone quindi il definitivo sequestro. “Penis envy” viene tuttora diffuso sigillato in una confezione di plastica come una rivista pornografica.

(*19) “Ten notes on a summer’s day” (1985)

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