Si vestono quasi in divisa: pantaloni e giacconi
di pelle nera, scarponi anfibi, spille appuntate sul petto come medaglie
al valor militare, capelli tagliati nei modi più impossibili e tinti
peggio: a volte usano simboli di sinistra memoria (svastiche), girano in
branchi, usano linguaggio e comportamenti aggressivi fra loro e verso gli
altri. Sono i punk, uno dei nuovi fenomeni metropolitani che, nato in Inghilterra
alcuni anni fa', si va estendendo in altri paesi europei.
La caratteristica che colpisce di più chiunque
si avvicini ai punk è l'aggressività, la violenza che permea
molti dei loro atteggiamenti; una violenza ostentata, portata come una
bandiera, ma che in effetti, ad un esame più approfondito, sembra
più rivolgersi all'interno, nei rapporti che hanno tra di loro,
o al massimo, verso le altre bande (mods e ska) che sono nate in questo
periodo nelle metropoli, piuttosto che verso polizia e istituzioni. Una
violenza, quindi, più apparente che reale, più introiettata
che rivolta verso l'esterno: una risposta autodistruttiva alle frustrazioni
subite quotidianamente? I punk appaiono come una delle manifestazioni con
cui si scarica la rabbia, il senso di impotenza dei giovani nelle metropoli:
niente di nuovo rispetto alle bande degli anni '50 (mods, teddy boys, rockers),
ai quali del resto si richiamano coscientemente, almeno in parte, hanno
portato alle estreme conseguenze la carica autodistruttiva, proprio perché
la situazione oggi presenta meno sbocchi. In effetti colpisce il pessimismo
che sottende molte loro affermazioni: la quasi certezza dell'impossibilità
di risolvere i loro problemi, l'inutilità quindi di qualsiasi tentativo.
A questo senso di impotenza si ricollega il rifiuto
deliberato di discutere, di cercare di chiarire i problemi che nascono
all'interno del gruppo, il vivere senza porsi domande, scaricando le proprie
frustrazioni, la propria aggressività nelle azioni. La ricerca di
una nuova "cultura del vissuto" o più semplicemente il rifiuto di
risposte che possono essere angoscianti? In ogni caso questa impostazione
rischia di far rinascere la legge del più forte, il mito del "duro",
l'instaurarsi di puri rapporti di forza.
Il pericolo maggiore di questa mancanza di chiarezza
è un altro: l'ambiguità di alcuni atteggiamenti ad esempio
l'uso inaccettabile della svastica. Ciò che sottende questo comportamento
è la convinzione che ribellarsi, opporsi al potere voglia semplicemente
dire comportarsi in modo esattamente contrario a quello corrente: una concessione
da "mondo alla rovescia" che non può che rimanere all'interno dello
schema stato, i cui modelli non vengono cambiati, ma solo ribaltati e quindi
rimangono quelli vigenti, statali, letti all'incontrario. Di qui l'ambiguità
del messaggio, la sua impossibilità ad uscire dagli schemi, anzi
la facilità con la quale può essere recuperato dal potere,
diventando così funzionale al sistema che voleva combattere. Per
meglio comprendere questo fenomeno ci siamo incontrati con alcuni compagni
che si riconoscono nel punk (tra l'altro hanno fatto uscire in queste settimane,
il secondo numero di Nero). Per essere precisi, due di loro si sono definiti
"post-punk". Che cosa pensino e vogliano, lo chiariscono nell'intervista
che segue. Certo è che se il movimento punk ha delle radici di ribellione
questo non basta qualificarlo libertario, tanto più che i contenuti
espressi fino ad ora sono abbastanza ambigui e contraddittori. Chi vivrà,
vedrà.
Da quanto tempo sei punk
e come ci sei arrivato?
Daniele (20 anni, anarchico) - Ho cominciato a
frequentare i punk circa 4 mesi e mezzo fa, 5 mesi fa, perché il
tipo di vita che facevo, il tipo di cultura che avevo alle spalle (ero
già fricchettone), erano superate, non mi davano soddisfazione,
non riuscivo ad esprimere le ribellioni o l'aggressività che avevo
dentro. In effetti ci sono arrivato per curiosità, poi mi sono reso
conto che questa cosa valeva la pena di essere vissuta perché era
nuova, qualcosa andava realmente ad incidere.
Oggi per te essere punk
cosa vuol dire?
Daniele - va beh questa domanda è abbastanza
assurda , se vuoi ci sono le solite analisi socio politiche...
No, non voglio analisi,
vorrei una risposta a livello personale. Seuno1 fa una scelta, prima di
ogni analisi, c'è, secondo me, un livello di coinvolgimento emotivo.
Insomma a te cosa dà il punk?
Daniele - Con tutti i casini che abbiamo, in questo
periodo non è molto divertente, né gratificante essere quello
che siamo, però sono convinto che il tipo di ribellione che vivo
sia incisivo rispetto a tutto quello che c'è in giro, non riuscirei
a vivere altrimenti la mia aggressività, la mia rivolta in senso
valido. Adesso non abbiamo più certe possibilità di esprimerci
per la strada, di provocare la gente; però quando queste cose ci
e sono state veramente valide era una grande soddisfazione, mi sfogavo
di tutta la mia aggressività e sapevo che provocavo.
Hai detto che prima cercavate
di provocare la gente, mentre ora vi hanno chiuso gli spazi, cosa fate
adesso? Quali sono le attività che svolgete insieme?
Daniele - Ora stanno venendo i nodi al pettine,
stiamo vivendo una fase di stasi che sta mettendo a dura prova tutti, io
sto cercando, con altra gente di conquistarmi degli spazi nuovi, fare in
modo che non ci mandino nel ghetto. Molti di noi, al limite, ci stanno
già cascando, nel senso che pensano che ci sia svaccamento e tirano
le giornate alla "brutto dio".
All'esterno il messaggio
punk risulta violento, violenza nella musica come nei comportamenti. È
veramente così, e in questo caso la violenza che senso ha? E' violenza
istintiva oppure è un uso cosciente e motivato della aggressività?
Daniele - Per me è istintiva. Anch'io ho
I MIEI comportamenti violenti, tranquillamente. Molti di noi sono incazzati
e quindi fanno casino, non è che io mi incazzi per questo comportamento,
so che esiste anche questo tipo di violenza istintiva e l'accetto. Al limite
preferisco che uno abbia un comportamento violento piuttosto che passare
la sera a giocare a carte. All'inizio lo criticavo, adesso mi va anche
bene perché in fin dei conti, è una delle nostre componenti.
Non mi interessa costituirmi una morale del tipo: questo è giusto,
questa è sbagliato anche se io queste cose non le faccio. Quando
eravamo davanti New Kerry avevo fatto un volantino (ero il periodo delle
botte tra noi e i mods e viceversa) in cui dicevo che queste cose sono
tornati utili al sistema, perché servono a costruire un'immagine
di violenza fine a se stessa.
L'uso di un certo modo
di vestirsi e di comportarsi (l'uso di certi vestiti, l'andare in giro
in bande) da un'immagine abbastanza paramilitare, questo, unito all'ostentazione
di certi simboli piuttosto che altri, può dare una lettura di violena,
addirittura di destra. Come pensate di evitare questa ambiguità?
Daniele -A parte il fatto girare in branco, anche
a livello psicologica, è una forma di sicurezza, noi quando giriamo
in gruppi di 40, con i giubbotti di pelle ci sentiamo forti, sicuri, se
vuoi è un comportamento che incide perché nessuno ci permette
di venirci a rompere il cazzo a parte che poi arriva il primo, con la pistola,
dice polizia e ti mette con le spalle al muro. Le forme di provocazione
che usiamo sono ben precise, cerchiamo di superare certe forme culturali.
L'uso della svastica ed il fatto di girare in branchi è stato parallelo
ad una pratica di controinformazione.
Che rapporti hanno i punk
anarchici con il movimento anarchico organizzato ?
Daniele - Io vengo qua (sede anarchica) da quattro
anni, sono conosciuto, non sono il primo che passa per strada, ma con un
certo tipo di vestiario, certa gente mi ha sputato in faccia, non letteralmente,
ma mancava poco che mi levava anche il saluto. Adesso i mesi passano, la
rivista si interessa, però sono sicuro che l'atteggiamento contro
di noi andrà avanti in ogni caso.
Questo atteggiamento non
è forse è dovuto forse a carenza d'informazione e anche a
certa ambiguità dei vostri comportamenti?
Daniele - Si, può essere. L'ambiguità,
se vuoi, è quella che ha creato casino; all'inizio il punk voleva
avere solo questa immagine, non gli interessava di controinformare, perché
era vissuta in termini di provocazione totale autodistruttiva. Infatti
il discorso dell'autodistruzione è presente, l'ho presente anch'io.
Chi si vuole salvare dalla autodistruzione o pensa che quella divisa non
lla porterà addosso per altri dieci anni si pone il problema del
futuro; cerca di controinformare proprio perché non vuol vivere
solo il momento della provocazione fine a se stessa.
Quali prospettive avete
per il futuro?
Daniele - In questo momento c'è il momento
della ghettizzazione, la chiusura di ogni possibilità di esprimerci,
magari le prossime persone che verranno saranno organizzata. Ci tengo a
precisare che purtroppo una definizione nostra, come movimento è
impossibile, non siamo omogenei ed è molto diffuso tra noi un certo
tipo di comportamento individuale.
Il rifiuto di parlare,
di discutere in generale il fatto che preferite vivere le vostre esperienze
piuttosto che analizzarle che significato? Un tentativo di costruire una
nuova forma di "cultura del vissuto" o un rifiuto della cultura in genere?
Daniele - La risposta nonna è semplice;
io per esempio, di cultura mi interesso; siccome però ho passato
il tempo e piangermi addosso su tutta una serie di problemi e frustrazioni,
allora a questo punto preferisco bruciare questi mesi, magari mi sto tirando
la zappa sui piedi, piuttosto che stare a chiudermi nelle menate o nelle
discussioni profonde sul perché di certe cose.
Che differenze ci sono
tra il movimento punk all'estero e in Italia?
Daniele - La situazione è la stessa per
tutti perché la merda la vivi qua, come a Zurigo o Londra. Ma a
Zurigo, Vienna il fenomeno punk è legato al movimento, a delle forme
attive di ribellione, qua non c'è niente. Il nostro limite è
che la nostra ribellione è un atto a se stante, quin siamo in piena
batosta per cui anche un tentativo di liberarci è stroncabile. Per
assurdo, noi abbiamo fatto più casino, in certi momenti dei "compagni".
Per esempio abbiamo volantinato i concerti contro le struttture, mentre
invece i compagni non hanno fatto nulla; quelli che 5 anni fa tiravano
i sassi alla polizia sono quelli che ora organizzano i concerti che si
comportano da bottegai.
A questo punto arriva Paolo (25 anni, militante
anarchico, non si definisce punk propriamente, ma post-punk).
Come ti sei avvicinato
al movimento punk?
Un anno fa sono andato a Londra, eravamo in un
periodo abbastanza confuso, c'era una situazione che vivevo molto male;
una Milano o in cui le cose principali erano le menate, il riflusso (Bob
Marley, spinelli, eroina), tutto questo confrontata con la realtà
che mi sono trovato a Londra si era totalmente assurdo. Il punk poteva
essere considerato se non una risposta anche per Milano, almeno una cosa
che poteva vivacizzare l'ambiente, dirompente, intelligente in un certo
senso. Non mi definisco punk perché non ci credo fino in fondo anche
se penso che sia l'unica possibilità per uscire dalla noia, inoltre
nella sua spoliticizzazione ha anche delle idee di base che mi sembrano
molto anarchiche.
Tu dici che il punk, almeno
alla base, è libertario in che senso? Quali sono le radici libertarie
del punk?
Paolo - Il punk ha delle fondamenta anarchiche,
nel senso che è un rifiuto in blocco della società; rifiuto
del potere non in senso politico, non c'è un'analisi teorica, una
pratica militante, ma in senso viscerale. C'è la volontà
di colpire, magari in maniera sbagliata, magari anche se stessi.
" Nero ", il giornale
che fate, come si inquadra nelle attività punk?
Paolo- Nero che una cosa pre-punk, anche se ci
lavorano alcuni punk. Nero è fatto da alcune persone che sono interessate
al punk e sono andate a cercarsi i contatti, ora vogliamo andare avanti
con questo discorso. Abbiamo in programma di fare una mostra sul Punk,
un paragone tra quello che pensa il potere e quello che riusciamo a racimolare
noi come realtà, in pratica controinformazione. A Nero vogliamo
parlare della metropoli che è l'unico discorso distruttivo e costruttivo
parallelamente al punk.
Che differenze ci sono
tra il punk anarchici e per quelli che si definiscono solo punk ?
Paolo - Secondo me quelli che si definiscono punk-anarchici
sono arrivati alla seconda fase di una tendenza punk, la prima fase è
la rottura, la seconda e la costruzione.
Nei Punk la violenza è
molto più evidenziata, secondo te è una forma istintiva di
rabbia o e una violenza cosciente, usata per scopi precisi?
Paolo - Per me è il discorso che ci deve
essere è chiaro: la violenza in senso punk la usi ragionata, se
vieni provocato ti ribelli, ma non è violenza fine a se stessa,
non è la violenza della stupido, perché allora si risale
al ragazzotto di periferia che siccome è ubriaco spacca il vetro
della macchina. La violenza deve avere una ragione anche se esiste una
componente punk che accetta la violenza fine a se stessa.
Che rapporti ci sono tra
i punk, almeno quelli anarchici e il movimento?
Paolo - Atroci, atroci in tutti i sensi. Come collettivo
di Nero ci trovavamo qui, quando si sono uniti i punk i tipi la situazione
era più o meno a livello di e zoo, cioè sembravamo tutti
animali strani. È storico, inoltre, che il movimento anarchico viene
sempre dopo. Se noi che eravamo anarchici non ci fossimo legati a queste
situazioni penso che all'interno del movimento non se ne sarebbe parlato
o quasi.
Le differenze tra il movimento
punk in Europa e in Italia quali sono?
Paolo - Bisognerebbe avere più informazioni,
comunque c'è una tendenza generale europea a politicizzarsi. Anche
qui si potrebbe rilanciare, con il coordinamento delle case occupate, un
tentativo di prendere uno spazio, bisogna vedere quanta gente aggregata.
E tu, come sei diventata
punk?
Daniela (19 anni, anarchica) - Io non sono punk,
sono post-punk, ci tengo a precisarlo. Comunque provengo dall'esperienza
di Paolo, prima di interessarci al punk eravamo anarchici. Potrei dire
che ci sono arrivata per contagio. La prima volta è stato un rifiuto
netto e totale, una musica che non avevo mai ascoltato, un insieme di suoni
rozzi e venuti male, poi ho cominciato ad ascoltare i Crass e a entrare
nel discorso politico, alla musica sono arrivata dopo. Il punk ha significato
per me rompere con certi schemi miei tradizionali sia di far politica che
di ascoltare musica.
Come sono i rapporti uomo-donna
tra i punk?
Daniela - Io sono un po' al di fuori comunque per
quello che ho potuto vedere, c'è stato un riproporre la vecchia
immagine della donna come sex-simbol, cioè la donna del tale, però
un sex-simbol degenerato, provocatorio.
Daniele - Un momento. Magari fosse così,
secondo me i rapporti uomo-donna fra di noi sono abbastanza normali, tipici...
Tipici in che senso, quali
sono oggi nella nostra società?
Daniele - Bisogna tener presente che le esperienze
tra di noi sono diverse, per cui anche i rapporti che instauriamo sono
diversi, se vuoi non sono neanche dei veri rapporti: sono delle cose così
che nascono, finiscono.
Paolo - Non sono rapporti libertari...
Daniele - Secondo me il problema della sessualità
al nostro interno è abbastanza forte ed è una cosa che non
si discute mai, guarda caso. Non esiste chiarezza e non ci interessa neanche
averla.
Paolo - Una mia opinione personale è che
un buon 50 % dalla realtà punk sia un recupero, una reinvenzione
di quello che erano i Rockers degli anni 50. Esattamente le donne dei Rockers
erano le donne.
Daniela - Infatti: la donna del tipo.
Daniele - C'è sempre nei nostri rapporti
questa maledetta aggressività che tiri fuori: infatti noi ci picchiamo,
ci sputiamo.
Capisco questo discorso, però uno può
essere aggressivo, ma avere dei rapporti paritari o almeno cercare di averli.
Il discorso della donna nei Rockers non era proprio un discorso paritario
...
Daniele - Ma infatti non lo è, non esiste
parità fra i punk; dipende anche dalle tue esperienze, perché
non c'è omogeneità tra noi, comunque esiste una grande violenza
nei rapporti. Una cosa che manca è la chiarezza, ma non ci interessa
averla, a me non interessa farmi menate perché non stiamo bene assieme.
L'amicizia, il rapporto fra di noi si basa su certe cose che abbiamo vissuto
in comune: una sera ci siamo sbronzati insieme o anche esperienze di un
attimo.
Paolo - Una cosa importante tra i punk sono i rapporti
di forza, non è che la donna rivive la situazione degli anni 50,
vive una situazione di forza. Se sa imporsi viene accettata come persona,
altrimenti diventa un vero e proprio oggetto. Comunque è una situazione
diversa dalla realtà d'oggi perché lì anche se cerca
di imporsi la donna non riesce mai.
Maria Teresa Romiti