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1. Le navi sono sempre affidate alle persone giuste? 

2. Quale futuro per i medici di bordo e per la loro Associazione?

3. On unrealistic expectations and other minor problems  

4. Isn't it time we update the role of medical services on board?


 

 

1. Le navi sono sempre affidate alle persone giuste? 

Le navi infelici sono spesso quelle grandi o medie, né prestigiose né di scarto, i cui comandanti, non eccelsi ma neppure scadenti e che aspiravano a qualcosa di meglio, realizzano che quel comando è il segno ufficiale che la loro carriera sta raggiungendo il capolinea.
Le vecchie navi, riservate a comandanti ormai senza ambizioni che sperano di concludere la carriera quanto meno con serenità, sono spesso navi felici. Come lo sono le piccole, sia per la familiarità imposta dalle dimensioni, sia perché i loro comandanti sono ancora tanto giovani da avere illimitata fiducia in sé stessi e nel futuro.
Inutile dire che l'infelicità della testa filtra verso il basso e ben presto si estende a tutto l'equipaggio.
(Alberto Salvadori, La strana storia della HMS Glorious, Supplemento alla Rivista Marittima, n. 3, marzo 2002, p. 67)

L'Ammiraglio Salvadori si riferiva alle navi della Marina Militare, ma la sua osservazione mi ha colpito perché calza perfettamente con la mia esperienza delle navi da crociera. Il guaio è che sulle navi da crociera non c'è solo l'equipaggio... E un altro guaio è che nell'industria crocieristica l'auditing è limitato agli aspetti contabili, senza un serio tentativo di interpretare i numeri quando non sono in rosso. Cercar di capire i motivi di una sconfitta può essere utile, ma non molto: orami è troppo tardi. Più utile è cercar di capire i motivi di una vittoria, per verificare che non sia dovuta al caso piuttosto che ai nostri metodi. In questi ultimi anni le crociere "tirano", e così i consigli d'amministrazione presumono di aver operato scelte giuste e di avere a disposizione una struttura perfetta. Io non posso entrare nel merito di cose che non conosco, ma conosco gli uomini molto meglio di quanto non li conoscano i dirigenti dell'industria crocieristica, troppo impegnati in riunioni ad alto livello, troppo ossequiati e troppo abituati a veleggiare a due palmi da terra. Faccio il medico da oltre vent'anni, e quando incontro un malato di mente so di avere di fronte un malato di mente. Se non è furioso, non posso certo invocare il ricovero coatto, e qui purtroppo finisce il cinema, perché altre misure per chi non è furioso non ne esistono. Che cosa posso fare quindi se il malato di mente che mi trovo di fronte è al comando di una nave da crociera? Proporre che venga sottoposto a perizia psichiatrica o quantomeno a una batteria di tests psicologici? A che pro? Otterrei solo di essere escluso da futuri imbarchi. Io, non lui. D'altra parte, se certe cose non le dico io, medico, non le può dire nessun altro. E quindi, non ricevendo segnali di pericolo, i Consigli d'Amministrazione sono convinti che tutto vada bene. E in effetti, a riprova, ci sono le crociere fully booked se non addirittura overbooked. Ma da chi? Chi è che riempie le navi da crociera? Persone che, entusiaste, ritornano per una seconda, per una terza, e per una quarta volta? Certo, ne esistono, ma quanti sono in proporzione? Non è che le crociere "tirano" perché possono contare su un giacimento non ancora esaurito ma non rinnovabile? Un po' come con il petrolio, che andiamo avanti ad estrarre finché ce n'é, poi chi verrà dopo di noi ci penserà... Allo stesso modo, si ha l'impressione che la dirigenza dell'industria crocieristica sfrutti tutto quel che può, senza preoccuparsi troppo di cosa succederà quando tutti i vacanzieri avranno fatto il giro delle navi da crociera. Forse non sarebbe il caso di trasformare tutte le navi da crociera in Love Boats, ma non si può nemmeno dimenticare che quella serie di telefilm è esistita e molta gente l'ha guardata. Può darsi che delle crociere molti apprezzino l'aspetto di villaggio di vacanze, ma certamente esistono villaggi di vacanze che offrono più di quanto offre una crociera, e a minor prezzo: illudersi di poter riuscire vincenti in una gara su questo terreno è un suicidio. La realtà è che chi sceglie una crociera anzicchè un villaggio di vacanze ben fermo sulla spiaggia lo fa perché ha delle aspettative a proposito delle crociere, forse dei sogni, che si aspetta di veder realizzati. A questo proposito qualche anima semplice può sentirsi soddisfatta per aver stretto la mano al "Comandante" la sera delle presentazioni, e magari tanto più il "Comandante" è burbero e scontroso, tanto più memorabile può sembrare l'impresa. Ma gli altri? Quanti possono entusiasmarsi per un ambiente dove nessuno degli ufficiali porta il berretto? dove gli ufficiali fanno comunella tra di loro e dove il comandante invita al suo tavolo esclusivamente notabili in sovrappeso con le loro signore in decolté? dove è palpabile il disprezzo (che io ho sentito esprimere in chiaro italiano da qualche comandante) verso una clientela "che non è più colta e raffinata come una volta" (come se colto e raffinato fosse stato quel comandante...)? In effetti può darsi che convenga a tutti che certi comandanti si facciano vedere il meno possibile, quando càpita (e purtroppo càpita spesso) che si tratti di persone con grossi problemi caratteriali o psicologici, conseguenze comprensibili ma non per questo scusabili di una carriera logorante e di una selezione sbagliata. Ma non sarebbe amcor più conveniente invece rivedere quella carriera e soprattutto quella selezione, in modo da far giungere al comando solo persone valide sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo umano? E rivedere le norme di comportamento degli ufficiali fra di loro e con la clientela?

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2. Quale futuro per i medici di bordo e per la loro Associazione?

L'Italia è l'unico Paese che prevede una particolare abilitazione per poter imbarcare come medici di bordo. L'obiettivo della legge emanata nel 1895 era quello di garantire la qualità dei medici che avevano il compito di assistere i passeggeri, e soprattutto gli emigranti, durante le lunghe traversate transoceaniche. Senza questa legge, sarebbe infatti stato molto allettante per gli armatori risparmiare sulle spese mediche ignorando il problema oppure destinando agli emigranti medici senza adeguata preparazione.  Terminata l'era dei viaggi transoceanici, e non ancora esplosa quella delle crociere, per alcuni anni fra il 1960 e il 1990 i pochi medici che venivano abilitati periodicamente furono più che sufficienti. Con la trasformazione delle crociere da vacanze per pochi a vacanze per molti, e col conseguente aumento delle navi, il numero dei medici di bordo abilitati è divenuto man mano insufficiente, tenuto poi conto del fatto che un decreto del Ministero della Sanità del 13 giugno 1986 aveva esteso l'obbligo di avere un medico di bordo anche alle "navi traghetto, abilitate al trasporto di 500 o più passeggeri, in servizio pubblico di linea la cui durata, tra scalo e scalo, sia pari o superiore a 6 ore di navigazione". Il risultato è che la maggior parte delle navi traghetto fa attualmente uso di medici di bordo "supplenti", cioè non abilitati, e il fenomeno potrebbe prima o poi raggiungere anche le navi da crociera. È un problema?

Da una parte il problema non esiste: in fondo tutti gli altri Paesi ammettono l'affidamento dell'incarico di medico di bordo a qualsiasi medico. D'altra parte però, a livello almeno formale, il problema esiste: una legge non può essere disattesa. Se una legge può essere fatta rispettare solo in una data percentuale di casi, quella legge va abrogata, dato che mantenerla sarebbe sommamente ingiusto nei confronti di coloro che si sobbarcano l'onere di rispettarla. In sostanza dunque bisogna decidere se mantenere la legge, compensando però chi la rispetta e penalizzando gli altri, oppure abrogarla.

Personalmente sarei contrario ad abrogarla, dato che si verrebbe a perdere un prezioso bagaglio di esperienze accumulate lungo oltre un secolo, e si finirebbe inoltre, almeno a livello di Unione Europea, con l'adeguarsi al livello più basso, anzicchè mantenersi, e pretendere l'adeguamento degli altri Stati membri, al livello più alto.
Mantenerla, dunque, ma come? Esattamente così com'è, oppure con le modifiche necessarie a renderla attuale e a rendere possibile rispettarla e farla rispettare? Mantenerla così com'è ci riporta al problema iniziale, e non è quello che vogliamo. Vogliamo mantenere il principio, ma non i problemi. Dunque dobbiamo studiare delle modifiche e proporle ai nostri rappresentanti in Parlamento. Un primo ruolo per i medici di bordo e per la loro Associazione è proprio questo: siamo le persone meglio qualificate in Italia (e in Europa) per discutere e proporre un aggiornamento delle normative riguardanti l'assistenza sanitaria a bordo delle navi. Non ci resta che farlo.
C'è però anche un secondo ruolo, almeno per quanto riguarda l'Associazione, un ruolo che potrebbe far parte di quelle stesse proposte. Abbiamo visto, e lo sappiamo anche per generale esperienza di vita in questo Paese, che gli esami affidati a commissioni formate ad hoc, estemporaneamente, in occasione di scadenze di legge, funzionano poco. Gli esami per medico di bordo dovrebbero essere indetti regolarmente, e invece molte sessioni sono addirittura saltate, proprio per la farraginosità del meccanismo di formazione delle commissioni da parte del Ministero. Ed ecco dunque la proposta: perché non affidare all'Associazione il compito di certificare l'idoneità dei medici all'esercizio di bordo? E si potrebbe nel contempo affidare all'Associazione anche il compito della periodica ri-certificazione, nonché il compito di fornire opportunità di educazione continua per i medici abilitati e una preparazione minima di base anche per i medici supplenti. Naturalmente tutte queste funzioni potranno difficilmente essere esercitate da un'Associazione che si regge solo sul contributo dei suoi membri: sarà necessario che lo Stato si assuma l'onere dei finanziamenti necessari, eventualmente attingendo ad una apposita contribuzione da parte delle Società Armatrici. In alternativa, l'Associazione potrebbe stipulare accordi con qualche Società Armatrice particolarmente illuminata per la creazione di un programma privato di preparazione, certificazione e ri-certificazione dei medici di bordo.
Al di fuori di questi scenari, non solo sono in gioco la sopravvivenza dell'Associazione dei Medici di Bordo e la conservazione del suo patrimonio di conoscenze ed esperienze, ma sono in gioco anche la qualità dell'assistenza sanitaria di bordo e, in ultima analisi, la soddisfazione della clientela che ha fatto la fortuna dell'industria crocieristica.

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3. On unrealistic expectations and other minor problems

In appealing a court’s decision to hold it responsible for a ship doctor’s “mistake”, the lawyers of a cruise company stated that “the question is one of great public importance […] because of the effect that increased liability will have on the cruise industry”. Although this was not the main argument, it still deserves a comment. The risk of “increased liability” comes less from that court’s decision than from the mere fact that unrealistic expectations are allowed or even encouraged in order to embark as many passengers as possible, whether healthy, sick, or moribund.

Prospective passengers should not be misled into believing that state-of-the-art medicine on board is the same as state-of-the-heart medicine on land. A difference does exist, and it is huge. Let’s make just one example. Having an ECG machine on board does not guarantee cardiological diagnoses beyond reproach—automatic ECG interpretations are not fully reliable, and not all ship doctors are cardiologists. On the other hand, insisting on cardiology qualifications for all ship doctors would be futile. First, some cruise companies get to the point of boasting that their “doctors […] are full-time shipboard practitioners” and “are not retained on a short-term or a ‘services in exchange for passage’ basis”—well, we might hire all the cardiologists in the world, but such a policy would obviously deprive them of the practice necessary to maintain their professional proficiency, since the variety and turn-over of cardiological cases on board is incommensurably lesser than in the cardiology department of any hospital on land. Second, ensuring that all ship doctors be cardiologists would only change the name of the problem, as not all cardiologists are as good at setting fractures as orthopaedic surgeons. Also, insisting on ACLS/AED qualifications for all ship doctors is better than nothing, but it would be foolish to think that a family practitioner working on board would be as efficient as an ER doctor on land in recognizing dangerous arrhythmias and treating them with the appropriate drug or electric therapy, not even if he/she has been taught just a few months earlier and has been rehearsing more or less regularly. Let’s face it—a ship’s hospital is not the same thing as our local community hospital on land, and certainly not the same thing as a good teaching hospital. Prospective cruise passengers must be told that, even if it is an obvious truism. If cruise companies waste paint and money to write “mind your step” on staircases, they may as well invest some energy to remind people that, if they look for the intensive care unit, going to the harbour is the wrong direction.

Another important point to make clear is that it is in the very interest of cruise companies to side by their doctors. Siding by the passengers, just because “customers are always right” is not necessarily going to save the cruise industry’s image—it may just serve to toss embarrassing problems in the face of the media. The case mentioned at the beginning is quite interesting in this respect. It was about a girl who had appendicitis but was diagnosed by the ship doctor as having flu, for which he gave her antibiotics. Since she did not improve, her parents cut the cruise short and sought another opinion on land. The girl was admitted to a hospital, where she was operated upon, but as a consequence she became sterile. The family’s lawyers sued the cruise company, and the cruise company declined responsibility, claiming that only the ship doctor was liable. The result was a media uproar. Was it a wise conduct? Probably not. First, how was it proved that the cause of the sterility was not a faulty operation? Lone ship doctors have no one to defend them, but hospital doctors on land have many ways to cover mistakes. Okay, let's admit that it was not the surgeons’ faultthat doesn’t automatically prove that it was the ship doctor’s mistake that caused the sterility. If not by the surgeon, the sterility may have been caused by the appendicitis, but it would be quite awkward to say that the appendicitis was in turn caused by the ship doctor. What the ship doctor did was simply take appendicitis for a flue—and treat it as if it were appendicitis. He did two mistakes, the first when he said it was a flue, and the second when he treated a flue with antibiotics, but the two mistakes eliminated each other. In fact, antibiotics are a good choice when you want to—and quite probably on a ship have to—postpone an operation for appendicitis! Would other doctors in his place have behaved differently? Hardly. So, why this passing a time bomb to the one least able to handle it, instead of defusing it? Why this insane courting mass suicide?

And let’s go on to the next step—let’s see whether the existing policies can guarantee a good level of medicine on board. The chances of making mistakes on board are much higher than on land. Patients are new and change every week or so. There is no relying on records of previous consultations, and patients themselves may omit important facts in their medical histories, as the stress of falling sick on vacation in the unfamiliar setting of the ship may well interfere with their ability to recall every single medically relevant episode in their lives. On some ships there may be two doctors, but even that is not the same thing as having a wide choice of experienced colleagues to which a difficult case may be referred for a second opinion. The ship’s infirmary, often pompously called “hospital”, may be as much equipped as technology permits, but it cannot be run as smoothly as a small hospital on land, where the number and variety of patients make most procedures routine for both doctors, nurses, and technical personnel. If cruise companies decline taking civil responsibilities upon themselves, all these considerations, which any doctor with a functioning brain is bound to make, are likely to scare away most doctors but the utterly desperate, those who have nowhere else to go, nothing to loose, and nothing to pay for liabilities. Those lawyers who counsel cruise companies to refuse liability for ship doctors’ mistakes are ill advising their clients, as such a policy is going to backfire by decreasing the professional standing and proficiency level of doctors seeking jobs on board, thus increasing the probability of real mistakes, and consequently increasing passengers’ dissatisfaction, eventually leading to more litigations (and fewer and smaller compensations to plaintiffs due to doctors’ inability to pay), which is not going to improve the cruise company’s and the cruise industry’s image. Once you have started it, it’s a landslide. The saving in insurance costs is offset by the cost brought by passengers’ disaffection and bad publicity. Marketing analysts should be careful not to get caught in the post-hoc-ergo-propter-hoc fallacy—the fact that the number of cruise passengers is stable or even increasing is not necessarily due to their policy choices. It may be stable or even increasing notwithstanding their policy choices, as it would be expected to happen when an industry is tapping a very large customer reservoir. But “very large” doesn’t mean “infinite”, and soon or later customer dissatisfaction will surface and expand as an oil spill. In order to have satisfied customers, it is necessary to be absolutely clear with them about difficulties and limitations—those who cannot accept such difficulties and limitations will stay away, will not get in trouble, and will not go around saying we cheated them. Does the old, fat man with four coronary bypasses, hooked on oxygen and travelling on his wheelchair want to come on board? Great, but let us tell him that if he makes it to the end of the cruise he must thank God, not the ship’s medical service. Do we have reason to suspect that the fiftyish, hypertensive, hypercholesterolemic bank manager expects to find a coronary unit on board? Let’s tell him that he will find plenty of chances to get a good nice heart attack—long hours, lusty women, Pantagruelian meals, sun strokes, all that is needed—but let us also tell him that cardiologists and coronary units cost a lot and, although he is paying handsome money for the cruise, we would need ten times as much from all passengers to set up such units on board—if he is willing to put up the money and convince the other passengers to do the same, the purser's office is down the hall, on the left, with the big sign on the door...

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4. Isn't it time we update the role of medical services on board?

Sickness and accidents hit without warning, any time of day or night, anywhere, and often require prompt intervention. That is why ships sailing for long voyages have always carried some kind of "doctor" on board. When the big liners started to cross the oceans at the end on the Nineteenth Century, shore-side medicine was quite different from the kind we know today. Hospitals were unsafe places, with little or no equipment, where the poor were attended mainly by religious volunteers and where a limited number of surgical operations were carried out by surgeons in street clothes. Medicine was the domain of office physicians with no specialization, who did everything from examining urine by looks and taste to suturing wounds, to writing down diets for gout, to delivering babies, to prescribing leeches and enemas for a wide variety of human ailments, always exhibiting the manners and wearing the clothes typical of the higher class they belonged to. It was that kind of medical practitioner who ended up working on ocean liners, mixing with elegant passengers and high deck officers. His duty was to prevent the spread of contagious diseases and treat physical illnesses, employing limited means to meet the limited expectations of the times.

 Things have since changed in shore-side medicine, but the role of the ship's doctor has not. There still are distinguished doctors behind mahogany tables ashore, but when they are required to address emergencies, today's medics wear operating room attire, or orange emergency-team uniforms. They are not generals smoking cigars and sipping seasoned wine at the club, they are soldiers fighting a war in combat uniforms. Ship doctors are now required to be ready for emergencies as well, but they still wear dandy officers' uniforms, dinner jackets, shining shoes, and all the paraphernalia that the high life requires. More often than not their cabins are far away from the ship's hospital and, worse of all, they are still expected to treat physical illnesses only, and therefore see their patients in hospital rooms that look like—and in fact are—operating rooms. Shore-side medicine has spread to encompass the domain of mental and social distress, and most consultations today are originated by problems that are not physical. Treating those patients means listening to them, talking with them, putting them at ease and trying to find the deep root of their suffering. How can you do that in an operating room, while nurses go back and forth? To sum it up, today's ship doctors are professionals who make consultations in operating rooms, wearing parade uniforms, seeing patients who need no surgical operation and often have no physical problem altogether, and using only a small part of their knowledge and experience. Yes, that is one additional problem—preventing the spread of flu or the effects of high blood pressure is not all that there is to medical prevention. Preventing accidents is something that doctors, or at least European doctors, are trained to do. Yet, safety on board is now entrusted to a deck officer with no links whatsoever to the ship's doctor. Why?

Let us then make a proposal for a new role for the medical service on board. Let us stop seeing it as merely treating intestinal problems or suturing wounds. The new medical service should be pooled with the social service (now the domain of the chaplain) and the safety service (now the domain of the safety officer) into a kind of "welfare" service (of course, any other name will do). That does not mean that the chaplain and the safety officer must disembark—it just means that doctor, chaplain, and safety officer should be made to work together, with a continuous exchange of information, ideas, and actions. Their team should be closely linked with, but not confused with, the deck officers, and should be credited with the importance that it deserves—carrying people is not all that ships are expected to do. Most of all, ships are expected to carry people safely with full respect of their personalities.   

 

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