Mandello in «Descriptio Larii Lacus»
Mandello del Lario è una terra
sulla riviera orientale del lago di Como, al centro del ramo di Lecco; con circa
quindicimila abitanti costituisce it comune più popoloso della riviera.
Alessandro Manzoni, col suo capolavoro, rese celebre questo ramo di lago mediante la
descrizione iniziale del suo romanzo, rendendolo conosciuto ed apprezzato in Italia ed
all'estero.
Le visioni panoramiche, la salubrità dell'aria, la mitezza del clima, fanno di Mandello
un territorio assai favorito e preferito come località di soggiorno.
Facilità di cornunicazioni permettono la linea ferroviaria Milano-Sondrio, la strada
statale del lago di Como e dello Spluga, il servizio lacuale dei piroscafi ed aliscafi,
tanto con le città lombarde che con le terre del lago e dintorni.
Favorita di un'insolita pianura alluvionale, difficilmente trovabile nelle altre terre del
lago, Mandello si presenta dalle colline e dai monti come una piccola, graziosa città,
variata dai larghi sprazzi verdi che ornano le ville.
Dal lago invece l'aspetto è ancora quello che può offrire un borgo, con le case
provviste di portici, le piazze, le strade, la chiesa plebana con l'antico suo campanile,
la torre pretoria, alberati e giardini a contatto del lago e lo sfondo maestoso dei monti
e delle Grigne, presenta panorami di continua varietà e di rara bellezza.
Col capoluogo si sono ormai fuse le frazioni di pianura: Molini, Tonzanico, Motteno,
Molina, Palanzo, mentre sui declivi dei monti e dei colli attornianti stanno le frazioni
di Luzzeno, Rongio, Somana, Maggiana; Maggiana e Rongio dominate dalla loro torre ben
conservata e meglio custodita; Olcio in riva al lago e attraversata dalla statale. |
L'insieme
del territorio, magnificamente circoscritto da confini naturali, l'antichità delle torri,
la presenza degli avanzi del castello, l'antica torre campanaria della chiesa matrice,
rivelano passato storico importante e rango di antico, nobile borgo.
Riassume ciò assai bene Guido Olivieri nel suo « Il lago di Como e le sue vallate »
-- Mandello dall'800 al 1788 quasi ininterrottamente capoluogo d'un feudo detto « la
Riviera » che comprendeva quasi tutta la riva orientale del lago, fu teatro di vicende
storiche e specialmente nel 1531 d'una battaglia tra il Medeghino e le forze del duca di
Milano Francesco II Sforza, dalla quale tutt'e due le parti uscirono con gravissime
perdite e che segnò la fine del novennale dominio dei Medici sul lago --.
In antiche mura dello spessore di qualche metro, dette « la torre », sulle quali si
eleva una casa moderna, nella piazza di fronte al lago, sussistono gli avanzi dell'antico
castello.
Delle torri che sorgevano nel territorio una tra le
rimaste, quella di Maggiana (a 148 metri sul lago) è specialmente notevole per aver
ospitato nel 1158, come attesta un'antica lapide, ora illeggibile, che vi si trova,
Federico Barbarossa nella sua seconda scesa in Italia.
Ma chi cantò mirabilmente Mandello fu lo scrittore comense Paolo Giovio, (1483-1552)
nella sua « Descriptio Larij Lacus». Con appropriate parole latine egli
magnificò Mandello e il suo castello, la sua posizione, il suo cielo e l'ubertà del suo
suolo con espressioni che hanno del cantico:
"Mandellum oppidum, positura, coelo,
campis, ubertate nullis postferendum, despectar subjectum portum eximii operis quadrangula
turris
instar praetoriae domus.."
Rare volte infatti accade di trovarsi in
una terra variata ed incantevole come il mandellasco; ma se alle bellezze naturali si
aggiunge l'interesse storico e un passato glorioso, ecco che maggiormente l'animo si
inclina e addentra per indagarne le vicissitudini.
I ritrovamenti archeologici, le origini romane, i riferimenti longobardici, l'antichità
degli edifici, la presenza della chiesa matrice e collegiata di fondazione anteriore al
mille, l'esistenza degli statuti comunali propri medioevali, le podesterie pretoriali
viscontee e sforzesche, la dignità di capoluogo, la nobiltà di contado e di feudo, sono
ragioni che invitano a conoscere dettagliatamente la storia del borgo e territorio di
Mandello. |
|
Il rinvenimento degli Statuti di Mandello e pieve del
XlV secolo
Presso la biblioteca civica di
Rimini sono stati rintracciati gli statuti del borgo di Mandello e pieve, compilati sulla
fine del quattordicesimo secolo, sotto la dominazione del magnifico ed eccelso signore, il
signor Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, conte di Virtù, vicario generale
dell'imperatore.
Gli statuti, redatti in latino, recano in principio
la scritta: D IV 309 - Statuta oppidi Mandelli. Constano di trecentocinquantacinque
capitoli più gravi venivano comminate pene maggiori ed assai gravi che dovevano
essere sentenziate dal «rector Mandelli et plebis».
Il rettore di Mandello era il magistrato che amministrava la giustizia nel borgo e nella
pieve nel nome del signore di Milano; perciò era indicato col titolo di vicario del duca
e podestà.
Perlopiù era la nobiltà milanese e lombarda che veniva assunta all'ufficio podestarile;
nel termine di due anni il rettore doveva però essere sostituito o rieletto
dall'amministrazione centrale milanese.
Nei giorni riconosciuti festivi, elencati con scrupolosità al capitlo 92° il
podestà non ascendeva il banco, non pronunciava sentenze e non si procedeva ad
esecuzioni.
Scorrendo i diversi capitoli si leggono quelli riguardanti le pene per i reati di
omicidio, adulterio, falso, plagio, incendio, falsa scrittura e testimonianza, furto;
quelli riguardanti le multe per i bestemmiatori, per i rissosi, per i calunniatori, per i
portatori d'armi vietate, per i ricettatori di persone bandite; e poi quelli, alquanto
curiosi, relativi alle multe per chi avesse preso persona pei capelli, per chi avesse, con
animo irato, afferrato il berretto o cappuccio dal capo di qualcuno, per chi avesse
chiamato aiuto senza causa.
Seguono i capitoli prevedenti le pene per i
venditori non osservanti le norme statutarie; norme per i coloni, pene contro coloro che
avessero rimosso il termine di confine di proprietà (n. 284) con l'obbligo di restituirlo
allo stato primitivo.
Il capitolo n. 307 informa che i comuni facenti capo a Mandello «Communia et
universitates terrarum» dovevano nominare un console, un canevario e due estimatori
per ciascun comune. Il capitolo n. 306 stabilisce che i consoli dei comuni del distretto
di Mandello dovevano presentare al rettore denuncia scritta dei malefici ed eccessi entro
cinque giorni dall'accaduto.
Il capitolo n. 320 stabilisce la multa per i notai comunali che avessero ricusato di
scrivere le denunce.
Il capitolo n. 324 dispone che il rettore della terra di Mandello e pieve era tenuto a far
riattare le strade e i ponti bisognevoli di riparazione che si trovavano nei comuni della
sua giurisdizione.
Al capitolo n. 332 è stabilita la multa per i consiglieri comunali non intervenienti al
consiglio.
Il n. 337 prevede la multa per i tavernarii che avessero venduto vino dopo il segno
serale della campana; al a. 338 il salario di chi avesse preso un lupo o una volpe e
l'avesse presentato al rettore.
Altri capitoli riguardano obblighi famigliari di vedovanza, procedure di eredità, di
successione, di dote, di testamento, di tutorietà, di usufrutto, di emancipazione,
d'obbligo di prestazione alimenti, di debitori e di creditori, di ricorsi e di appelli.
Gli statuti, nel loro insieme, costituiscono una
documentazione completa di leggi locali le quali, codificate e ufficialmente promulgate
nella seconda metà del secolo quattordicesimo, furono però vigenti e osservate anche nei
secoli anteriori assegnando con fondata probabilità la loro origine all'epoca della
formazione dei comuni lombardi, comune che a Mandello appare già ben stabilito e agente
nel 1160.
Certo, non solo Mandello possedeva i suoi statuti, ma sulla riviera orientale del lago di
Como, altri antichi borghi possedettero i propri: tali Lecco, Bellano, Dervio, la
Valsàssina.
Viene spontanea la domanda come mai gli statuti di Mandello rimasero per tanto tempo
sconosciuti e introvabili tanto da dubitare se essi fossero realmente esistiti e il come
siano andati a finire a Rimini.
La probabile spiegazione è che sul finire del secolo sedicesimo un ramo della nobile
famiglia Bertòla di Mandello, discen dente di quell 'Alcherio Bertòla che nel 1160 fu
creato conte e feudatario di Mandello da Federico Barbarossa, si era trasferito a Rimini.
Codesta famiglia possedeva copia degli statuti del borgo originario che col tempo passò
in proprietà del comune di Rimini.
Gli statuti di Mandello, copiati a cura di Vittorio Adami e del notaio E. Anderloni, sono
stati stampati, insieme a quelli di Bellano, dall'editore Ulrico Hoepli - Milano - 1932.
Comunque l'importante ritrovamento genera soddisfazione e desta negli studiosi e nel
popolo stesso desiderio di conoscere più da vicino il passato di Mandello.
Ciò stante, per quanto sarà possibile, si vedrà di dare particolareggiata relazione di
quanto finora s'è potuto raccogliere e comporre sulla scorta di documenti d'archivio e,
per tenere un ordine nella narrazione, incominceremo dalle origini per scendere,
attraverso i secoli, fino a noi. |
Oppidum Mandelli
Arcis, burgum, castrum, oppidum
Mandelli, sono le denominazioni con le quali viene citato il nostro borgo tra le
vecchie carte e libri dell'archivio arcipretale, denominazioni che trovano il loro
riscontro nei volumi dell'archivio storico lombardo, ove il borgo di Mandello trovasi
elencato tra i più importanti contadi rurali dell'alto milanese e menzionato tra quelli
famosi di Castel Seprio, Lecco, Gera d'Adda, la Martesana, Stazzona e pochi altri.
Parlare delle origini di Mandello è cosa alquanto difficile, chè tutto è ancora nel
campo delle ipotesi.
Per stendere qualche accenno diremo che in tempi antichissimi il torrente Meria, che nasce
ai piedi della Grigna, aveva con le sue piene trascinato in basso, verso il lago, ingenti
quantità di macigni e ciottoli e cumuli di ghiaia smossi dalla veemenza delle onde.
La sua foce andò sempre più protendendosi nel lago e un ampio delta si venne formando
con i materiali depositati dalle acque.
Il sottosuolo, nella maggior parte, presenta infatti un alto strato di terreno ghiaioso
che denota la sua origine alluvionale, mentre, verso la vallata del Meria, si rinvengono
massi che nemmeno la furia delle onde aveva potuto sospingere oltre e che rimasero
interrati da nuovo materiale sopravvenuto.
Su questo territorio pianeggiante e circondato da fertili colli, sul finire del settimo
secolo a. C. si stabilirono dei popoli primitivi sopravvenuti dalle Gallie econosciuti col
nome di « celti », i quali invasero le regioni lariane spingendosi per tutta la terra
lombarda (Insubria).
I celti fondarono numerosi villaggi sulle nostre riviere e pare si possa sicuramente
ascrivere a questi la fondazione di Mandello.
In diverse località della nostra plaga, preferentemente in prossimità delle alture, si
rinvennero tombe di questi uomini primitivi, facilmente riconoscibili per la loro forma
triangolare e per gli oggetti di terracotta ivi rinchiusi con i resti umani.
Sorsero le prime spelonche, i primi casolari e si ebbe così il piccolo villaggio di
uomini dediti alla pastorizia, all'agricoltura, alla pesca, i quali, non di rado, dovevano
brandire le loro armi rudimentali per difendersi contro la numerosa feroce fauna che
infestava le nostre regioni. |
Frattanto,
i latini si venivano costituendo in un popolo forte e saggiamente governato finché, dopo
la prima guerra punica, Roma rivolse le sue armi verso il nord vincendo i gallo-celti a
Casteggio (Pavia) sottomettendoli, estendendo poscia la supremazia romana fino alle Alpi
(222 a.C.).
Il condottiero romano che assoggettò a Roma la città di Como fu Marco Claudio Marcello
console la prima volta nel 195 a.C. Egli agì in Lombardia a più riprese soverchiando
ovunque i gallo-celti.
La storia romana dice che fu console per la quinta volta, e che nella occupazione di Como
assoggettò anche il suo lago Lario sul quale si arresero ben ventotto castelli già
esistenti sulle sue rive. L'elenco nominativo di questi gruppi abitati lariani non è
conosciuto e neppure riportato nelle Historìe di Tito Livio XXX, 36, ma è
naturale ammettere che essi erano i già noti e antichissimi di: Como, Nesso, Isola
comacina, Lenno, Bellagio, Menaggio, Nobiallo, Rezzònico, Dongo, Gravedona,
Sòrico, Dervio, Corenno, Bellano, Varenna, Mandello, Olonio, Pescallo, Lecco, Argegno.
Confermando così l'esistenza umana alle rive dei laghi fin dalla preistoria.
Nella divisione della campagna che i romani
compirono dipoi, Mandello fu annoverata tra i «pagi» ossia capoluoghi, mentre le
località minori furono denominate «vici» o villaggi.
Tombe
preistoriche gallo-romane scoperte a Mandello
La
testimonianza che la nostra terra fu abitata nei tempi preistorici, preromani e romani è
data dai ritrovamenti tombali del sottosuolo.
Nel periodo 1840-1845, Ferdinando Keller, svizzero, paleontologo, dimorando a Mandello,
eseguendo degli scavi nella zona dello stabilimento vellutificio già Keller, scoperse
delle tombe preistoriche, gallo-romane e anche del terzo secolo dell'impero romano.
Vi si ritrovò:
I. Coppa elegante in terracotta, a forma di trottola, con pareti molto sottili, ben cotta
e giallognola. Il suo ventre è ornato con impressioni a stampo, poste in serie formanti
come un reticolato. E alta cm. 5, larga cm. 10.
2. Altra coppa pure in terracotta liscia, frammentaria, alta cm. 4, larga cm. 10,5.
3. - Altra coppa fittile, simile, alta cm. 3,5, larga cm. 9,5.
4. - Piccola lampada in terracotta, con beccuccio molto prominente e manico forato,
infundibulo approfondito e circondato da una corona di foglie. Diametro cm. 4,5.
5. - Grossa fibula dei pi'imi tempi dell'impero romano, con molla a spirale arco diritto e
senza alcun ornamento, lunga cm. 12. Fu cavata da una tomba di donna, dice il catalogo;
tomba contenente anche alcune monete romane del IV secolo dell'era cristiana. E' tipo La
Tène III secolo.
6. - Una fibula in bronzo cosiddetta serpeggiante, senza spirale, tipo Villanova.
7. - Un lagrimataio di vetro a pareti molto sottili, collo cilindrico. Intorno all'orlo
dell'imboccatura corre un margine prominente. Larghezza inferiore cm. 2,8, altezza cm.
9,5.
8. - Altro lagrimatoio simile, ma frammentato.
S'occupò di questi ritrovamenti mons. dott.
Giovanni Baserga, arciprete del duomo di Como e protonotario apostolico, che pubblicò un
opuscolo appositamente stampato, illustrando l'importanza archeologica del materiale
rinvenuto.
La scoperta delle tombe e l'elenco degli oggetti vennero pubblicati nel fascicolo 94 - 95
anno 1928 della Rivista Archeologica della Provincia e antica Diocesi di Como,
periodico della società storica comense.
Dal complesso si vede che parecchie dovevano essere le tombe ed anche di diversa epoca.
Perché la fibula tipo serpeggiante doveva appartenere a qualche tomba della prima età
del ferro, mentre la fibula con molla a spirale del III periodo gallico richiama tombe del
pieno periodo romano imperiale, come pure le monete associate accennano a materiale e
civiltà d'epoca affatto distinta e più recente, come poteva essere il terzo secolo
dell'età imperiale.
Tutto il materiale archeologico sopradescritto è stato trasportato nel museo nazionale di
Zurigo, dove si trova tuttora.
Commento:
Tentare di dare un nome ai resti umani per identificare le persone di appartenenza, è
certo una utopia. Si può tuttavia avvicinare la strada inserendo che tali persone, se
furono inumate sulla riva di Mandello, di certo vissero la loro vita in sito. Quindi loro
vista furono le montagne e il lago di Mandello che noi tal quali vediamo.
Che, per la religione, gli inumati dell'epoca imperiale romana, furono pagani, non avendo
ancora abbracciato il cristianesimo benché già fiorente in Como ma in ritardo nei pagi,
o mancando alcun segno cristiano come ad esempio una crocetta indicativo, considerato pure
il luogo stesso dell'inumazione fuori del sagrato cristiano.
Che, riguardo alla tomba preistorica, l'inumato era persona dimostrante la possibilità di
esistere in luogo avendo a disposizione il cespite della pesca, la prospettiva della
caccia, la prestazione del terreno alla coltivazione, e soprattutto esibendo esatta la
supposizione che l'uomo primitivo sceglieva a preferenza la riva dei laghi per ivi
stabilirsi, onde poter utilizzare l'acqua dolce per la preparazione dei cibi, facilità di
fornire d'acqua l'armento, e per la pulizia personale. Ragioni queste indiscutibili ed
ovvie per l'uomo. |
Sul lago di Como primeggiava nel tempo romano la gens Oufentinae, i cui capi risiedevano
in Como, Menaggio, Isola Comacina, Mandello, Pescallo, Rezzonico, ed in alcuni altri
centri; a tale gente, che rappresentava in corpo la romanità e la cittadinanza romana sul
Lario, vediamo siglate le lapidi romane rinvenute nei centri anzidetti o ad essi relativi,
che recano le sigle iniziali di: O. V. F. che s'interpretano alla gens Oufentinae.
Si potrà dedurre da tutto ciò che pure altre persone furono abitatori preistorici del
nostro lago, e a Mandello quindi, le quali trovarono dimora in primitive casupole di sasso
a vista, rivierasche, a stento sutficienti per ripararsi alla meglio dalle intemperie.
Forse, chissà, alcuna persona di queste, dal parlare limitato e gutturale proprio degli
uomini della preistoria, avrà pronunciato per primo il vocabolo « Mandèl » dando poi
così principio con la casa romana dei Mandello a stabilizzare, e ad autenticare
consolidalmente tal nome sulla località rivierasca lariana.
E' risaputo che altri ritrovamenti tombali nel sottosuolo sono stati dispersi per incuria,
ed anche durante lo smuoversi o lo scavarsi del terreno, accadde più volte di rinvenire
isolatamente monete romane.
Una di queste è stata trovata a Mandello il 5 aprile 1946 dal sig. Carlo Bacchi nel
terrena di proprietà Micheli, già dimora dei conti Airoldi, a sfondo di piazza Roma. Si
tratta di una moneta di Germanico tiglio di Tiberio e nipote di Augusto. Nel recto al
centro reca: S C (Senatus Consulto) ed attorno la legenda: GERMANICUS CAESAR TI AVG F DIVI
AVG N. Nel verso: C. CAESAR DIVI AVG PRON AVG PM TR IIII PP e l'effige.
Altra moneta romana con l'effige di Massimiano (286-305) fu trovata a Mandello in luogo
imprecisato.
Una terza, ancora più antica delle due precedenti. consistente in un asse romano con la
figura di Giano bifronte, è stata rinvenuta pure a Mandello durante lo sterro nella zona
dei giardini pubblici circa nel 1936, a un cento metri di distanza dal luogo ove si
scoprirono le tombe preromane. |
Né è a credersi che, caduto
l'impero romano nel 476, la gente romana decadesse o mutasse ]e tradizioni di famiglia,
che anzi, ancora nel decimo secolo, come vien letto negli atti notarili di quell'epoca
riguardanti il lago comense e i nostri paesi, vi si conservava il diritto a definirsi di
famiglia romana, e con tali tradizioni secolari si viveva.
Dopo la firma apposta agli atti, sia come venditori o acquirenti o testimoni, si scriveva:
vivente a legge romana; « de lege romana vivent » o « de lege romana viverunt ».
Queste famiglie viventi a legge romana, e che erano le più, godevano di una certa
precedenza sugli altri in quanto residenti da prima sul lago; perché di comune contegno
civile ed evoluto; perché ritenenti la regolare proprietà terriera e la padronanza delle
case di abitazione, nonché per l'abilitazione allo scrivere ed al parlare.
Codesta precedenza derivava da diritto naturale e dalla assoggettazione imposta con la
forza dagli imperatori Tiberio e Druso che a loro tempi, cioè nel I secolo, e in più
riprese, sottomisero all'impero di Roma i Reti che dal nord scendevano ad invadere,
disordinando e danneggiando, i litorali del Lario, siccome ne fà fede la seguente legenda
latina: DXLIX - Lacus
Larius
LARIO LACU
SUBUECTI TIBERIUS ET DRUSUS
RHAETOS AGGRESSI
IN SUIS SALTIBUS
COEGERE
ROMANUM IMPERIUM PATI
* * *
Gli abitanti viventi a legge
longobarda, oppure a legge sàlica, oppure a legge franca ripuaria, che tali si
definiscono negli atti al predetto periodo, erano derivati invece dai popoli barbarici e
nòmadi del V e VI secolo, i quali, pur avendo diritto di dimora sul lago, riconosciuto
loro legalmente dai romani per scopi di ripopolamento e di incremento naturale, spettando
loro la dimora anche per diritto di conquista, erano tuttavia guidati dalla gente romana
che li addestrava al remo ed alla navigazione, giusta la loro robustezza fisica e
resistenza alla fatica del remare: fatica richiesta continuamente per il trasporto delle
persone, delle cose, dei prodotti, per il recapito degli ordini vocali o scritti, fra una
sponda e l'altra dei vari litorali; o per necessità di commissioni urgenti con diversori
discontinui di indirizzo imposti dalla forma triangolare del lago comense; oppure per
affidar loro la cura e la custodia delle navi di giorno e di notte specie in tempo di
intemperie e di variazione di stagione; in generale poi per l'adibizione di quegli uomini
ancora rozzi ai lavori pesanti, col risultato del vantaggio generale e della tacita
graduale loro coimmissione nel produttivo umano consorzio civile.
Ancora: erano tempi ne' quali, per diversi secoli prima e dopo il X, ciascuno dei paesi
lariani disponeva di barche, gondole e barcaioli propri, che servivano per il trasporto
delle persone a Como tanto in occasione di occorrenze religiose quanto per le incombenze
civili. |
Allo scadere dei trent'anni di
regno ecco che nella Palestina, la notte del 25 dicembre dell'anno 754 di Roma, nasce
Gesù Cristo il fondatore della nuova religione della verità.
Ma, non vi sarà qualche collegamento fra il medio-oriente e l'occidente; fra la Palestina
e l'Italia; fra Betlemme e Roma; considerato che il Figlio di Dio doveva regnare da Roma e
a Roma insediarsi il suo Vicario?
Sì. Vi sarà il collegamento! A nostro conforto, nel mondo pagano di Roma nel mezzo del
gentilesimo, una visione appare, e proprio per quell'augusto imperatore che aveva saputo
conservare la pace per lungo periodo di anni, da per tutto il mondo. E la visione di Roma
era non solo per Roma ma per tutto il mondo pagano e gentile, premio e preludio alla
predicazione del vero Dio portata a Roma da Pietro e da Paolo cittadino romano, ambedue
principi degli apostoli e propagatori del regno di Dio.
Era l'anno 27, ancora innanzi Cristo. Ottaviano è riconosciuto augusto e quasi al popolo
non sembra bastantemente onorato. Ma egli convoca la sibilla tiburtina e da lei, dopo tre
giorni, sà che dovrà nascere il vero re dell'universo anzi, proprio sul colle capitolino
invita l'imperatore a guardare in alto ed egli ha la visione di una Donna con nelle
braccia un Bambino. Vi è memoria di tanto avvenimento nella basilica di Santa Maria in
Ara Coeli sul Campidoglio, ove nella navata di sinistra si trova un tempietto circolare a
colonne, in cui è rappresentata lo visione avuta da Augusto, completata dalla iscrizione
latina rievocante l'avvenimento.
Il mirabile argomento è stato pubblicamente trattato in modo ampio nella sala dei
convegni del Centro di cultura del Mandellasco presso la sede della fondazione Carcano la
sera del 26 febbraio 1970, svolgendo il tema: «I primordi della romanità sul lago di
Como e i collegamenti con Roma » (In atti in archivio storico locale).
Le più antiche citazioni di Mandello
L'esistenza di Mandello viene accertata sotto i
romani, quando Roma mandava i suoi generali per combattere i Reti che frequentemente
calavano sulle sponde lariane a compiere ruberie e saccheggi.
I nomi dì Mandellum (Mandello), Ancium (Olcio), Hibernia (Lierna), Reboretum
(Regoledo) ed altri, ricorderebbero il dominio romano su queste terre.
Roma stabilì nel « pago di Mandello» un presidio militare a sicurezza, a difesa,
a salvaguardia della colonia romana ivi vivente, e non è escluso che, come accerta il
cronista locale Pini nel 1700, la torre di Mandello, come dimostra la sua stessa
struttura, rimonti all'epoca romana.
Come nel « Municipio Romano» che per noi fu Como, si stabilì la diocesi, così
nel « pago di Mandello » fu stabilita la pieve.
Ma le prime menzioni scritte che riguardino Mandello le troviamo sotto i longobardi; da
essi Mandello fu classilicata « corte regia » ossia terra di proprietà reale.
Di Mandello, corte regia, si occupò il pontefice Gregorio I che fu poi san Gregorio
Magno, il quale, forse per una di quelle serie contese che ebbe a sostenere col re
longobardo Agilulfo, con suo diploma dell'anno 603 avrebbe direttamente concesso ad
Aliono, conte di Angera, che aveva il predominio sulle terre del lago Maggiore, tutte le
corti regie esistenti nel comitato di Milano, e cioè:
Monza e Treviglio, Rho, Legnano, Gessate, Civate, Porlezza, Barzanò, Lesa, Mandello,
Locarno, Cannobio, Arona, Angera, Ossona, Lonate-Pozzolo, Castelletto, Sondrio, Vedano,
Cantù, Varenna, ecc. - così in ordine elencate in Archivio storico lombardo, volume anno
1911, pag. 10.
Ma il documento più certo in cui sia menzionata la nostra Mandello è dell'agosto
dell'anno 769 pubblicato dal Frisi e riprodotto al foglio 74 del Codice diplomatico
longobardo. Al nome: Mandellum - Mandello com. 39 - XXXIX.. Si tratta del testamento del
diacono Grati, con il quale egli istituiva gli ospitali di san Salvatore e san Fedele in
Como. Fra i beni lasciati per tale intento, consistenti in case, terreni, vigne e ogni sua
proprietà, nomina: « ...et oliveta mea quam habeo in Mandello et Vareno... ».
Il Giulini, nella sua opera « Memorie spettanti alla città e alla campagna di Milano»
dice che nell'anno 833, l'arcivescovo di Milano Angilberto, aggregò il monastero di san
Pietro di Mandello al monastero san Vincenzo in Prato di Milano.
* * *
Lamberto, che fu arcivescovo di Milano dall'anno
921 al 931, possedette dei beni di terre in Mandello e nel suo territorio, beni che alla
sua morte assegnò ai custodi della chiesa maggiore di Milano.
I cataloghi ambrosiano e beroldiano ne fanno menzione in questi termini: «XIII Kal.
Julii (931) Obiit Lambertus Archiepiscopus, qui indicavit Custodibus Majoris Ecclesiae
quidquid habent in Mandello, vel in eius territorio».
Lo storico milanese Giulini nelle sue « Memorie spettanti alla città e campagna di
Milano » viene a precisare meglio la donazione scrivendo: «L'arcivescovo Lamberto
lascia ai Custodi della Basilica Metropolitana di Santa Maria, detta Jemale, molti beni e
Territorio di Mandello presso al lago di Como». Così trovasi scritto in un antico
calendario.
In argomento è ancora più esatto lo scrittore Sassi Giuseppe Antonio, nella sua latina
serie degli arcivescovi di Milano, al tomo II - pag. 329 - Lamberto, in cui si spiega come
segue:
...adnotatum siquidem legimus in Calendario vetustissimo, edito a clar. Muratorio tom.
IV Rerum Italicarum judicasse Lambertum Custodibus Majoris Ecclesiae quidquid juris sui
erat in Mandello, vel in ejus Territorio, ut religiosius ea Basilica coleretur, Collegium
istud XVI. Custodum antiquitus erectum abolevit Sanctus Carolus Borromeus, substituto
Ostiariorum Collegio. Anno 931.
Questa notevole nota invita ad una riflessione, consistendola nei possedimenti che la
famiglia del vescovo Lamberto deteneva in Mandello, costituiti certo da una casa di
abitazione con annesso terreno, con in più altri terreni nel territorio. Quindi tali
beni, essendo privati, risalivano agli ascendenti di Lamberto, e ciò permette di avanzare
l'ipotesi che l'arcivescovo fosse nativo di Mandello. Arrivati qui, si può quasi
ammettere l'adolescenza e l'avvio religioso in Mandello di Lamberto, guidato dalla chiesa
battesimale locale.
* * *
Presso l'archivio di Stato di
Milano, al Codice diplomatico longobardo, si rinvengono alcuni atti antichi di
compra-vendita che si riferiscono a Mandello; li riportiamo.
- n. 52 - Anno 854 - febbraio - indizione II
Vendita di alcune pezze di terra in Lierna fatta da Lupo q.m. Gundione, a Guiderisso
figlio di Agemondo di Capiano.
- n. 98 - Anno 879 - 18 novembre - indizione 13a
Breve di sicurezza a favore dell'abate di S. Ambrogio dei beni in Limonta ed in Olcio
donati dall'imp. Lotario al Monastero di S. Ambrogio di Milano - atti pagensi.
- n. 167 - Anno 992 - settembre - indizione 6a
Vendita di una casa in Trizonago fatta da Giovanna di Molina in Mandello, a Martino di
Dervio - Isola Comasca - 295. Atti pagensi.
- n. 289 - Anno 1040 - maggio - indizione 8a
Vendita di una vigna situata in Mandello fatta da Atto ed Amiza jugali, a favore di Gezo
q.m. Gezone di Intercorte - Isola comasca - 622 - Atti pagensi. |
Lago di Como
I Paesi del ramo di Lecco innanzi l'anno 1000Pare che convenga portarsi alla comune riflessione la "presenza" dei
paesi specchiantisi nelle acque del Lario al ramo di Lecco in tempi molto lontani da noi,
perché s'abbia memoria ravvivata di essi, e captare dalle note che li riguardano qualche
nuova cognizione.
Di questi abitati traspare l'antichità d'esistenza ed anche del loro nome dalle pagine
autentiche del Codice diplomatico longobardo, santambrosiano, composto dall'abate Angelo
Fumagalli, e pure in quelle delle "Antichità medievali" di Lodovico Antonio
Muratori. Il che vuol dire che sull'esempio degli antichi monaci, i due anzidetti
religiosi ci hanno lasciato trascritti, passati alle stampe, e quindi facilmente
leggibili, i documenti pergamenacei degli antichi notai.
Grazie a questi e ai primi, conosciamo nomi e cognomi di persone esistite or son mille
anni sottoscriventi ai contratti di compra-vendita di terreni e di case, di disposti
testamentari, e, di comune importanza, i nomi dei nostri paesi che appunto da mille anni e
più, conservano lo stesso nome preciso col quale oggi sono additati.
Gli accenni classificatori emergono per quasi tutti i paesI del ramo di Lecco, e noi
vogliamo provare ad accennarli brevemente commentando gli atti notarili nei quali i nomi
appaiono.
Onno e Limonta - nominate in un atto dell'anno 835 a motivo del raccolto delle olive e
delle destinazioni dell'olio ricavato, che doveva essere mandato a Pavia, a Missaglia, e
altrove;
- Olcio e Lierna - nominate in un atto dell'854, ove appare che certo Lupo fu Gundione, da
Olcio, vende un pezzo di terra situata a Lierna a certo Guiderisso di Agemundo da
Cassiago, al tempo degli imperatori Lotario e Ludovico Il, atto redatto da «Robertus
clericus et notarius»;
- Mandello e Varenna - nominate nel testamento del monzese diacono Grato che nel 769
lascia i suoi oliveti, appunto situati in Mandello e in Varenna, per la fondazione di un
ospitale in Como;
- Vassena - nominata essa pure all'anno 992 insieme con Nesso, nel testamento del prete
Pietro, officiale della basilica di S. Vittore al Corpo in Milano, disponente dei beni
suoi siti appunto iii Vassena e in Nesso, alla predetta chiesa di S. Vittore che allora si
diceva al teatro.
Vi è pure qualche atto di compra-vendita strettamente privato, come quello dell'anno 992
mese d'aprile, sotto la qual data una Giovanna fu Anzeverti, del luogo di Molina di
Mandello, vende una casa con corte, sita a Trizonago, a Martino da Dervio. (Atto n. 167).
Da notarsi negli atti la mancanza dei cognomi di famiglia, in quel tempo non ancora
stabiliti.
All'anno 915 vi sono inoltre atti riguardanti i paesi di: Delebio, Sòrico, Isola
Comacina, Gravedona, Chiuro, Primaluna, Limonta, Bellagio, nomi di comuni tutti del
comasco e dintorni.
***
Fra tutti questi, l'atto più interessante per il
nostro territorio è senza dubbio quello dell'anno 854, accennato alla seconda posizione,
ove si leggono le coerenze verso le quali confinava la pezza di terra, a Lierna, venduta
da Lupo a Guiderisso.
Tal terreno si chiamava « Mandronio » e confinava a monte con la strada; a ponente con
la proprietà di certo Flodeberto; a levante e a mezzogiorno confinava con terreni
denominati « Sancti Laurenti ».
Se a prima vista tale accenno sembra trascurabile, riflettendo, si viene invece a
conoscere che il terreno detto di san Lorenzo, situato o Lierna, era stato quasi
certamente assicurato dalla arcipretura di Mandello appunto titolata a tale santo, per
serbarlo a disposizione della parrocchia di Lierna che in futuro sarebbe venuta ad
edificarsi.
Da notare e sottolineare che nei secoli del basso medioevo, e fino al 1491, la parrocchia
era una sola (la pieve) per tutto il territorio, e solo a Mandello esisteva la chiesa
pievana presso la quale soltanto veniva amministrato il battesimo.
A Lierna, sul posto dell'attuale chiesa parrocchiale, esisteva già nel 1500 una chiesa
del titolo di Sant'Ambrogio che certamente fu edificata sul terreno che nell'854 si
chiamava di san Lorenzo.
Per noi di Mandello e del mandellasco tutto, è confortevole assai il conoscere che il
sacro titolo, illustre ed insigne di san Lorenzo martire, abbia radici così fonde nel
tempo tanto da apparire nel IX secolo così chiaramente; e felicemente constatare che tale
titolo è tuttora inalterato e vigente nel complesso dell'onorifica sede del vicariato
foraneo mandellese. O, si scusi; si dimenticava di dire che l'atto è stato felicemente
redatto a Leoquo (Lecco), in vico Aurolinico (fraz. Arlenico), presenti testi abitanti a
Quade (Acquate), dal chierico e notaio Roberto, come già 's'è detto.
(In Codice diplomatico Santambrosiano di A. Fumagalli, pag. 295-296 - presso Biblioteca
Ambrosiana, Milano).
* * *
Se può interessare il saperlo, esistono degli
avanzi di quei secoli ad Onno, nei pressi di sant'Anna: interrate in un orto alberato, si
possono ancora osservare diverse macine di sarizzo che servivano alla frantumazione delle
olive; a Limonta alta, l'ambiente che costituiva la "corte" medioevale feudo
dell'abate di sant'Ambrogio in Milano; ad Olcio le abitazioni poco differenziate da quei
tempi; a Mandello, ove nel borgo abbonda ancora il complesso ambientale del
"castrum" e del pretorio; solo a Lierna non vi è più il terreno che portò il
nome di san Lorenzo, assorbito come sopra s'è detto.
Ma da per tutto, invece, uliveti: a boschi, ad alberati, a filari, a gruppi o a piante
isolate; ulivi dappertutto, anche se non v'è più la ferace esuberanza del periodo
longobardo, ma che dànno tuttora una larga tinta argèntea alle sponde, sempre belle e
tranquillanti, del poetico Lario. |
Il feudalesimo e il
contado di Mandello
Il regime feudale ereditario istituito da Carlo
Magno imperatore verso l'anno 800 e continuato sotto i discendenti si costituì anche nel
borgo di Mandello che divenne un contado rurale dell'alto milanese, feudo comitale e
residenza del conte o capitàneo della terra.
I conti di Mandello, che trassero, come allora fu consuetudine, il cognome di famiglia dal
nome del borgo, furono i « dì Mandello » o « Mandelli » casato antichissimo, come
vedremo, distinto e di primaria nobiltà lombarda, i cui personaggi mantennero e portarono
gelosamente il cognome del borgo originario ed il capitanato di Mandello anche quando il
casato, fecondissimo, si divise in diversi rami e si sparse per le terre e città della
Lombardia.
Il castello feudale di Mandello era costituito dal fabbricato dalle mura quasi ciclopiche
che s'elevava a guisa di baluardo sull'ampio promontorio nel punto più proteso nel lago.
Il popolo lo chiamò la torre, ma la sua forma rettangolare, la sua ampiezza, l'uso al
quale era adibito di residenza del feudatario e della guarnigione, lo facevano uno dei
più fortificati castelli della Lombardia e il nome di torre gli si addiceva soltanto per
la eccessiva altezza delle mura. Queste, dello spessore di qualche metro, erano da ogni
parte solcate da numerose feritoie, bifòre, trifòre come ancora oggi è dato osservare
nella torre campanaria della chiesa plebana.
In alto, nella facciata verso il lago, la torre era munita di due aperture rettangolari a
guisa di finestroni, dominanti tutto il lago da Lecco a Bellagio, mentre la sommità
involtata e pianeggiante, permetteva l'accesso e l'osservazione anche dalla parte del
territorio.
La giurisdizione del feudo aveva un'estensione assai vasta. A est e nord-est i confini
erano segnati dalla catena di montagne componenti il gruppo delle Grigne, ...usque in
summitatem montis... Ad ovest e sud-ovest il lago, con terreni anche sulla sponda
occidentale (Moregge).
A sud il confine del feudo andava oltre la torraccia, verso Lecco: a Pradello, dove sbocca
la valle della Farina; verso nord invece dapprima si limitò a Lierna, ma più tardi e
segnatamente col dominio visconteo e sforzesco, comprese anche i borghi di Varenna,
Bellano, Dervio, Corenno, Dorio e la montagna d'lntrozzo, come si vede dalle investiture
del secolo quindicesimo.
Ludovico Antonio Muratori dà un'esatta definizione del feudo medioevale indicandolo con
parole che in Mandello trovano il più appropriato riscontro:
« .. un borgo, con vasto territorio, circoscritto da confini naturali, avente chiesa e
talvolta un castello, governato da un conte o da un capitano ».
E' utile ora una spiegazione specifica sulle definizioni di: borgo, castello, parole che
si incontrano frequentemente nei libri antichi per indicare i paesi, specie nei riguardi
della nostra terra.
Il borgo di Mandello, che è detto tale fin dal secolo decimo, comprendeva esattamente le
case, la chiesa, la pretura, le contrade, le piazze, i portici, in una parola tutta la
parte abitata racchiusa dal fosso. Per castello s'intendeva invece una classificazione
notevolmente piò ampia del borgo, in quanto comprendeva le vigne, i prati, i campi che
attorniavano il borgo, e che, specie nelle vicinanze, erano tutti cintati da muri alti
anche tre metri. Ciò si spiega nel fatto che esse mura, nel caso di eventuale assedio,
costituivano già di per sè ostacoli che facilitavano la difesa del borgo, ostacolandone
l'accesso. Nel caso invece di permanenza di truppe, le mura formavano riparo
all'accampamento.
Nella più generale terminologia, castello voleva anche dire tutta la terra compresa nella
zona fino alle propaggini difensive dei monti.
Torri si ergevano nei villaggi sparsi sulle colline circostanti, alle località di confine
e, più massiccie, nel capoluogo. Diverse ne vennero demolite, altre sussistono ancora
intatte e ben conservate, mantenendo a Mandello e alla sua terra le testimonianze della
sua antichità e del suo passato: la torre di Maggiana, la torre di Rongio, la torre di
Lierna, la torraccia oltre l'Abbadia.
* * *
Par di vedere un giorno sulla piazza di Mandello
radunati il conte, il capitàneo, l'ecclesiastico, con nelle mani la bacchetta,
attorniati dagli « amministratori della pieve » e dagli esecutori, guardare in ogni
parte l'orizzonte e definire il territorio e i monti gravitanti su Mandello per assegnarli
allo giurisdizione del borgo. Così a nord il limite di Mezzedo nell'alpe Lierna (che vuol
dire in dimezzo fra Mandello e Varenna), dove, in salita verso l'Ortanella, si rivede il
borgo di Mandello.
Così a Monte di Mandello detti oggi Piani Resinelli verso sud, dove, alla località
Forcellino, a circa mille metri d'altezza, si rivede Mandello.
Così alla Bressina, sulla piccola riva occidentale, mantenuta comune di Mandello anche
quando fu eretto il comune di Abbadia.
La guerra decennale tra Como e Milano
Nel 1117 si accese una guerra fra Como e Milano
che doveva coinvolgere tutti i paesi del Lario e durare per dieci anni.
L'origine del conflitto si dovette alla elezione del vescovo di Como. L'antipapa Gregorio
VIII aveva eletto vescovo di quella città il milanese Landolfo Carcano, mentre papa
Urbano Il aveva nominato Guido dei Grimoldi scomunicando il primo. I comaschi che
parteggiavono per il secondo, non appena avvenuta la scomunica del Carcano, lo scacciarono
da Como e lo assediarono nel castello di san Giorgio in pieve di Agno presso Lugano, dove
erasi rifugiato, facendolo prigioniero.
I milanesi che sostenevano il loro concittadino, e che avevano avuto anche l'appoggio
dell'imperatore Enrico IV, colto il pretesto della prigionia del Carcano, mossero guerra
ai comaschi: si schierarono coi mi]anesi gli abitanti dell'isola Comacina, le Tre Pievi
(Dongo, Gravedona, Sorico), nonché altri borghi del lago come Bellagio, Bellano, Perledo,
Varenna e Dervio.
In questa faccenda, a nostro onore, troviamo Mandello schierata con Como e dalla parte del
vescovo e del papa legittimo.
Le vicende di questa guerra fratricida sono narrate nel "Liber Cumanus" composto
da uno scrittore noto solo col nome di "anonùno Cumano".
Anche a Mandello si ebbero delle scaramucce e fatti d'arme, e un episodio tra i più
notevoli fu quello dell'anno 1126 quando i lecchesi e milanesi, per rifarsi di due
sconfitte subite sul lago ad opera dei comaschi, salparono nottetempo da Lecco coi loro
navigli dirigendosi verso Mandello. Giunti presso la riva, appiccarono il fuoco a delle
cataste di legna ch'eran ivi, indi, entrando nel borgo per diverse vie, sorpresero i
soldati comaschi di guarnigione, mentre altri assalirono il naviglio comasco riuscendo a
farsi cedere la nave più grossa detta "Lupo" che venne solo più tardi
ricuperata restituendo in cambio ai lecchesi il castello di Dervio.
Maggiana e la sua torre
"Dove nel Lario vedesi addentrare
La punta circolare di Mandello
In forma quadra adamantina appare
Di Maggiana sul colle ampio castello
Degno che serbi di quello la storia
Scritta nei fasti suoi l'alta memoria"
(Poema antico inedito).
A 148 metri sopra Mandello sta il villaggio di
Maggiana che con Mandello divise tutte le vicende dei secoli ed ancora oggi è frazione
del comune.
Solo nel 1621, erigendosi lo parrocchia di Crebbio, Maggiana fu assegnata
ecclesiasticamente alla nuova parrocchia sottraendola a quella matrice di Mandello.
Il villaggio appare assai pittoresco, e da qualunque parte venga osservato, si scorge
dominato dalla imponente mole dello vecchia torre che, ritta e ringiovanita, sta a sfidare
i secoli.
La sua forma è quadrata, l'altezza è di quaranta braccia e la larghezza di dieci. Le
mura hanno da ogni parte finestre ogivali che si alternano con delle feritoie. Si accede
per un ampio portone medioevale che immette in un cortiletto d'ingresso dal quale, per una
comodo scala, si entra al primo piano della torre. Quivi, immurata nel camino, si osserva
una lapide che porta incisa una dicitura su Federico Barbarossa or resa illeggibile dagli
anni, dalla fuliggine e ancora dagli uomini, poiché la pietra ora è scomparsa forse per
tre quarti nella base del camino e la poca emergente non lascia scoprire altro che qualche
consonante sconnessa.
Dal primo piano si sale ai piani superiori fino all'ultimo un tempo tutto ornato di
affreschi che ora si sono andati affievolendo fin quasi a scomparire: solo dei trofei
d'armi dipinti negli angoli resistono ai tempi quasi a testimoniare ai visitatori odierni
il soggiorno che vi fece l'imperatore Federico I.
Verso il 1800 la torre passò in proprietà del signor Francesco Alippi, il quale,
orgoglioso di possedere un monumento tanto storico, la restaurò, ornando la sommità di
un comodo terrazzo con quattro pilastrini granitici agli angoli congiunti fra loro da
riquadri in ferro lavorato, sormontata in un angolo dal parafulmine, mettendo così
l'interno al riparo dall'azione corrompitrice delle intemperie.
Il 5 maggio 1828 il muratore stava smurando il camino al primo piano, quando rinvenne
addossata al muro una lapide di granito tutta annerita dal fumo; pulita e lavata
convenientemente vi si lessero le parole:
FRIDERIC - IMPERAT - GERMAN
HIC - TUTUS - QUIEVIT - ANNO 1158
(Federico, imperatore di Germania, qui sicuro
riposò - anno 1158).
Non è a dire la gioia dell'Alippi al rinvenimento di una documentazione tanto sicura del
soggiorno di Federico Barbarossa a Maggiana, e da quel giorno accrebbe a dismisura la sua
considerazione per la torre di cui, orgoglioso, si sentiva proprietario.
Dal 19 marzo 1910, la torre è notificata al signor Tomaso Comini fu Ignazio, i familiari
del quale, se richiesti, con la già sperimentata cortesia, sono lieti di fare da guida
nella visita alla torre fino al terrazzo, dal quale l'occhio si posa compiacente sui colli
finitimi, sui pendii, sulla sottostante Mandello e sul lago fino a Bellagio. |
Il lungo brano fin qui riportato utilizza il più noto ed
esauriente lavoro pubblicato sulla storia di Mandello ma, per ovvie ragioni di copy-right,
non sarebbe corretto riportare il libro intero, che peraltro è tuttora disponibile per
chi lo volesse acquistare.
Questa pagina è comunque aperta ai contributi di tutti
coloro che, avendo notizie o informazioni sulla storia di Mandello, antica o recente,
desiderano farne partecipe il vasto pubblico di Internet.
L'indirizzo è: mandello@mandello.net
|