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Annibale Cressoni, nato a Brescia il 16 luglio del 1820, figlio di un cappellaio, a causa delle modeste condizioni economiche della sua famiglia non concluse neppure gli studi elementari. Nutriva però fin da ragazzo una forte passione per le lettere, le arti, il sapere: una passione a cui poté dare sfogo quando trovò lavoro come commesso in una libreria di Milano.
Si era ormai formato una discreta cultura da autodidatta quando, all’età di venticinque anni, arrivò a Como per rilevare il negozio di libri di Carlo Pietro Ostinelli, di fronte al Liceo. Entrò in confidenza con i liberali della nostra città, che presero a frequentare la sua libreria e ne fecero il loro punto d’incontro, il ritrovo dove si tenevano spesso riunioni sovversive e discorsi patriottici in chiave antiaustriaca.Arrivò il 1848 e, allo scoppio della rivoluzione, anche Cressoni imbracciò il fucile e scese in strada a combattere, contribuendo al successo delle Cinque Giornate. Quando, qualche mese dopo, tornarono gli Austriaci, la polizia tentò di arrestarlo. Si rifugiò a Folcino, presso gli amici Torriani, ed anche lì riuscì sempre a sfuggire alle improvvise visite notturne degli sbirri, traversando di corsa il vicino torrente Breggia e il confine svizzero: per non lasciare ai poliziotti il sospetto che lui si trovasse nelle vicinanze, un complice prendeva il suo posto nel letto, che, vuoto e tiepido, avrebbe costituito un indizio troppo eloquente…
Per maggiore sicurezza sua e degli amici, si ritirò poi a Vacallo, in Canton Ticino, finché la situazione politica, divenuta meno tesa, si normalizzò e Cressoni poté tornare definitivamente a Como, dove cominciò ad occuparsi del problema operaio e trasformò la preesistente Associazione di San Giuseppe in Società operaia di mutuo soccorso, dando un impulso decisivo all’associazionismo locale. E numerose furono anche le sue iniziative di carattere umanitario, come quando, con vivace intraprendenza, organizzando sottoscrizioni, lotterie, feste benefiche, riuscì ad istituire un fondo che elargiva sussidi alle madri lattanti povere.Nel 1850 prese l’importante e coraggiosa decisione di fondare un giornale, Il Corriere del Lario, che fu per decenni l’unico della città, formò l’opinione pubblica comasca ed oggi costituisce un documento prezioso del costume, della cronaca, della politica locale del secondo Ottocento. Di questo giornale Cressoni era contemporaneamente editore, direttore, redattore, cronista e correttore di bozze!
Scrisse numerose poesie, ma, modesto com’era, non volle mai raccoglierle in un volume e finirono in gran parte disperse; scrisse due libretti d’opera, Carlo Magno e Anna Campbell, che furono musicati da Eugenio Torriani e messi in scena alla Scala e alla Cannobiana; scrisse un libro per bambini, pubblicato con uno pseudonimo, che andò esaurito in poco tempo. Cominciò anche un romanzo, intitolato Da Lemna all’America, ma lo lasciò incompiuto. Le sue passioni erano intense e viscerali, ma spesso ad un interesse ne subentrava un altro, così che molti dei suoi progetti non venivano portati a compimento. Inoltre, il lavoro di giornalista assorbiva quasi tutto il suo tempo.Il suo vero sogno era comunque il teatro. Riuscì a realizzarlo da solo, grazie al suo entusiasmo, costruendo quello che poi si chiamò Teatro Cressoni. Organizzò con successo stagioni liriche e portò in città le più note compagnie drammatiche.
“Molti applausi ma pochi incassi”, scriveva. Non pensava certo di arricchirsi con questa iniziativa, ma neppure di finire in miseria. Invece la sua scarsa pratica degli affari e l’eccessiva fiducia nel prossimo gli procurarono delusioni e traversie che affrettarono la sua fine.
Morì a sessantun anni, la sera del 3 ottobre 1881, in un appartamento all’interno del suo Teatro, circondato dai familiari. Poco prima di spirare chiese al genero: “Va’, scendi in orchestra e dille che suoni il Trovatore!”. Ma quella sera si recitava una commedia e non c’era un’orchestra che potesse esaudire l’ultimo desiderio del povero Cressoni. Mentre si spegneva, una sonora risata echeggiò nella sua camera: era il pubblico che si divertiva allo spettacolo, inconsapevole del dramma che si stava svolgendo a pochi metri dal palcoscenico.
I funerali furono modestissimi. Non furono in molti ad accompagnarlo. Chi era sempre stato pronto a servili lusinghe, quando Cressoni era l’autorevole direttore del giornale locale, in quell’occasione non si fece vedere.
Colui che per decenni aveva saputo guidare l’opinione pubblica cittadina con equilibrio e onestà, senza mai approfittare del suo prestigio e della sua posizione (che oggi chiameremmo di monopolio dell’informazione), generoso e sincero, moriva povero e solo, abbandonato da tutti.
I pochi amici rimasti pensarono di dedicargli un busto marmoreo: si tenne nel suo Teatro una serata commemorativa e si aprì una sottoscrizione. I fondi raccolti furono rubati.Oggi, ad oltre un secolo di distanza, le spoglie di Annibale Cressoni riposano nel Cimitero di Como. Nel 1999 il modesto monumento funebre è stato amorevolmente ripulito dalle erbacce e dai rampicanti che lo avevano ricoperto in decenni di abbandono, ma la vera tomba di Cressoni, che si trova dietro la stele, nel lugubre corridoio seminterrato dei colombari, versa in condizioni di desolato squallore: la lapide si sta sfaldando ed è ormai quasi illeggibile. Inoltre, il sepolcro si trova in un settore del Cimitero in cui le concessioni delle sepolture sono scadute ed è fondato il rischio che, dopo il suo esempio ed il suo insegnamento (l’amore disinteressato per la città, per il prossimo, per la cultura, per l’arte), di Annibale Cressoni vengano disperse anche le ossa.
Il velario, che rappresenta il vecchio porto di Como. Il suo Teatro era stato progettato dall'ingegnere Pietro Luzzani e costruito da Battista Donegana; la volta fu affrescata da Vincenzo De Bernardi, mentre le decorazioni della sala erano di Luigi Borgomainerio (noto pittore e disegnatore satirico). Il Pessina, scenografo e costumista della Scala, dipinse le scene e il caratteristico velario, che rappresenta il vecchio porto di Como con diversi personaggi cittadini dell'epoca (nell'attesa dell'inizio dello spettacolo, gli spettatori si divertivano a cercare e ad individuare i ritratti di parenti, amici e macchiette locali). Quando il Teatro fu definitivamente trasformato in cinema, gli eredi di Annibale Cressoni offrirono la tela al Comune, che però non prese neppure in considerazione l'offerta. Il velario passò così al comm. Somaini di Lomazzo, presso i cui discendenti ancor oggi si trova.
Il Teatro Nuovo, poi Teatro Cressoni, fu aperto il 30 dicembre 1870 con la rappresentazione del dramma Il proscritto per opera della Scuola Filodrammatica. Si trattava in realtà di una prova generale, perché l'interno non era ancora completato (mancava il loggione, con i suoi 150 posti). Erano comunque presenti, scrive lo stesso Cressoni, 850 spettatori fra platea e palchi. L'inaugurazione ufficiale ebbe luogo la sera del 4 marzo 1871, con Il trovatore. Sotto la direzione del maestro comasco Eugenio Tagliabue cantarono Agnese Despuez, Luigia De Fanti, Giacomo Artoni, Nicolò Azzalini, Giacomo Sampieri. Il 18 marzo andò poi in scena Un ballo in maschera.
Da allora furono messi in scena circa novanta spettacoli lirici: opere oggi celeberrime e altre ormai cadute nell'oblio, come Le educande di Sorrento di Usiglio, Pipelet di De Ferrari, I falsi monetari di Lauro Rossi, Francesca da Rimini di Cagnoni, Il birraio di Preston di Luigi Ricci, Ruy Blas di Marchetti, Jone di Petrella, Don Procopio di Vincenzo Fioravanti. L'opera più rappresentata fu Il trovatore, seguita dal Barbiere di Siviglia e Un ballo in maschera; e parecchie volte comparvero in cartellone Ernani, Rigoletto, Crispino e la comare, Linda di Chamounix, La sonnambula, Lucia di Lammermoor. Fu proprio un allestimento di quest'ultima opera quello che unanimemente viene definito il migliore spettacolo della storia del Cressoni. La Lucia dell'ottobre 1901 aveva come interprete una cantante di livello eccezionale, la più grande virtuosa dell'epoca: Luisa Tetrazzini, che si esibì a Como nel periodo centrale della sua fortunatissima carriera, contrassegnata da successi in tutto il mondo, suscitando il delirio del pubblico, e ripetendo poi il suo trionfo, durante lo stesso autunno, nel Barbiere di Siviglia. L'ultima stagione lirica del Cressoni si concludeva trionfalmente la sera del 6 maggio 1907, con la tredicesima recita di una splendida Carmen interpretata da Maria Passeri.
Oltre a numerose compagnie di operette, giunsero al Cressoni le migliori compagnie drammatiche, nell'elenco delle quali emerge, per la frequenza quasi annuale, la Compagnia Milanese di Edoardo Ferravilla; ma troviamo anche, ad esempio, il grande Ernesto Rossi in Kean e Amleto; la compagnia di Luigi Duse (della dinastia a cui appartenne Eleonora); la Compagnia Goldoniana di Giacinto Gallina; la Compagnia Comica Italiana Dina Galli; la Drammatica Compagnia Gustavo Salvini; la compagnia appena fondata da Ermete Zacconi, che il 21 febbraio 1895 riempì il Teatro e ottenne un entusiastico successo (dicono le cronache che il famoso attore "rimase vivamente commosso") con Gli spettri di Ibsen. E questo testo non era neppure una novità per il Cressoni, nella cui programmazione, benché il Teatro avesse, rispetto al Sociale, una caratterizzazione più popolare, troviamo spesso vette elevate e scelte coraggiose. Come quando, il 29 marzo 1887, la Mandragola di Machiavelli fu rappresentata a dispetto del moralistico divieto della Prefettura. Spulciando la lunga e fitta cronologia degli spettacoli (il Teatro era aperto quasi tutte le sere), stupisce la varietà delle proposte: si esibirono lottatori, nani, prestigiatori; numerosi furono gli spettacoli di marionette e quelli di varietà. Un successo particolare ebbe la Compagnia lirica lillipuziana, formata da bambini di dieci o dodici anni, che metteva in scena opere come Il barbiere di Siviglia. E fra i tanti diversi spettacoli allestiti al Cressoni non possiamo dimenticare la prima proiezione comasca, il 12 maggio 1897, del Reale Cinematografo Lumière.