Settimo di undici figli di Orsola Capasso e Gaetano
Durante, Francesco Durante nacque a Frattamaggiore (Aversa) il 31 marzo
1684. Suo padre, un pettinatore di lana, prestava anche servizio come sagrestano
è cantore presso la chiesa parrocchiale di S. Sosio a Frattamaggiore.
Non si sa che istruzione abbia ricevuto il piccolo Francesco fino al 1699,
anno della morte del padre. Dopo questa data egli si trasferì a
Napoli presso lo zio Angelo Durante è venne accolto come convittore
presso il Conservatorio di San Onofrio. Qui, oltre a seguire le lezioni
di contrappunto e composizione dello zio, studio anche violino con Gaetano
Francone. La sua permanenza al San Onofrio è comunque
attestata fino al 1705. Ancora avari di notizie
sono gli anni che vanno da questo periodo al 1628, quando venne nominato
primo maestro del Conservatorio dei Poveri di Gesù di Napoli. A
prestare fede a una lettera di Girolamo Chiti, maestro di cappella in San
Giovanni in Laterano, indirizzata a padre Martini, Durante avrebbe vissuto
per qualche tempo a Roma è sarebbe stato "scolaro di Pitoni" e,
forse, anche di Bernardo Pasquini. A rendere, se non certo almeno plausibile,
un contatto di Durante con l’ambiente musicale romano potrebbe essere l'attività
compositiva del musicista napoletano da questo momento in poi polarizzata
fra due generi - quello della musica sacra e quello della musica strumentale
- non certo i repertori musicali più "alla moda" in quegli anni.
Era infatti 1’opera in musica, il melodramma, il genere di maggior successo,
quello assiduamente praticato dai compositori coevi, al quale essi affidavano
la loro fama e il loro successo. Nel periodo anteriore al 1728 le sue tracce
si perdono ancora; testimonianze settecentesche fanno presumere ch’egli
abbia fatto ritorno per qualche tempo a Roma e che si sia anche recato
in Austria e in Sassonia. Bisogna dunque attendere il 1728 per trovare
altre notizie documentate sulla sua vita. All’ottobre di quell’anno risale
infatti la nomina a primo maestro presso il Conservatorio dei Poveri
di Gesù Cristo, in sostituzione del cembalista Gaetano Greco, molto
avanti negli anni; mentre nello stesso periodo compone i "cori" per la
tragedia Flavio Valente del duca Annibale Marchese (Napoli 1729).
L’assunzione del nuovo incarico al Conservatorio
dei Poveri contribuì senza dubbio a incrementare il prestigio di
Durante nell’ambiente culturale napoletano. Da questo momento infatti numerose
sue opere ci sono pervenute con indicata anche la data di composizione;
fatto questo assai importante ai fini della esatta collocazione temporale
dell’opera del Maestro. Cosi possiamo sapere che le celebri Sonate per
cembalo divisi [sic] in studi e divertimenti, furono dedicate
al marchese di San Giorgio e date alle stampe nel 1732; che il Requiem
in sol minore risale al 27 novembre 1738 e che la Missa in Palestrina
e del 1739. Non si conoscono le ragioni per le quali, nel settembre 1739,
dopo dieci anni ininterrotti di servizio, egli lascio l’insegnamento presso
il Conservatorio dei Poveri. Sempre avare di notizie le fonti documentarie
relative a questo periodo. Non si conosce più nulla di lui nel triennio
successivo all’abbandono dell’incarico al Conservatorio dei Poveri di Gesù
Cristo e i11742, anno in cui venne chiamato al Conservatorio di S. Maria
di Loreto per succedere nel posto di primo maestro, lasciato vacante
da Nicola Porpora, nel frattempo trasferitosi a Venezia per dirigere il
Coro dell’Ospedaletto dei SS. Giovanni e Paolo.
Anche il posto di secondo maestro si era
reso nel frattempo vacante con la morte di Giovanni Veneziano (13 aprile
1742). 11 25 aprile di quell’anno i governatori del S. Maria di Loreto
nominarono Durante primo maestro e Pietro Antonio Gallo,
suo assistente, nelle funzioni di secondo maestro, "ufficio retribuito
in quei tempi col meschino soldo mensile di ducati dieci". Per merito suo
questo Conservatorio riguadagno tosto quel prestigio e quella importanza
fra le istituzioni musicali cittadine che sotto la guida di Porpora si
erano andate un po’ offuscando. La qualità dell’insegnamento impartito
al Conservatorio di S. Maria di Loreto nei tredici anni in cui ne ebbe
la responsabilità didattica Francesco Durante fu sicuramente di
primissimo livello. Lo testimonia la nutrita schiera di allievi (in seguito
nomi illustri della vita musicale napoletana e non soltanto di quella)
che in questa scuola ebbero modo di portare a maturazione la loro preparazione
musicale e artistica. Meritano di essere ricordati i nomi di Pasquale Anfossi,
Tommaso Traetta, Pietro Guglielmi, Alessandro Speranza, Antonio Sacchini
e Fedele Fenaroli. Resosi vacante il posto di primo maestro al S.
Onofrio, in seguito alla morte di Leonardo Leo (31 ottobre 1744) che nel
1739 era succeduto a Francesco Feo, il sessantunenne Maestro di Frattamaggiore
concorse anche per questo incarico, che gli venne assegnato con delibera
governativa l’1 gennaio 1745.
Non pago del prestigio e della posizione assunti
nella vita musicale napoletana egli tento anche di ottenere il posto di
primo maestro, già del Leo, presso la Cappella reale. A questa
carica si accedeva per concorso. Insieme con Durante, vi presero parte
Giuseppe de Majo, Giuseppe Marchitti, Nicola Sala e altri ancora. La commissione
esaminatrice era formata da Giovanni Battista Costanzi (Roma), Giacomo
Antonio Perti (Bologna), Niccolò Jommelli e Johann Adolph Hasse
(Venezia). L’esame ebbe luogo il 21 aprile 1745. La prova effettuata da
Durante consistette nell’elaborazione, sopra un cantus firmus tratto
dall’Introito Protexisti me Deus della "Messa di un Martire" (Tempo
pasquale), di un mottetto a cinque voci (SSATB) in severo stylus antiquus.
Nonostante il parere favorevole espresso da Jommelli, che per questo lavoro
parlo di uno "stile proprio per la Chiesa e moderno; bene espresso, armonioso
e artificioso", il posto venne assegnato a Giuseppe de Majo, già
vice-maestro della Cappella reale. Durante conservo comunque gli incarichi
di primo maestro presso i Conservatori di S. Maria di Loreto e di
S. Onofrio, dedicando d’ora in avanti tutte le sue energie creative alla
composizione religiosa e all’insegnamento. Non a caso, vent’anni dopo la
sua morte, l’illustre storico inglese Charles Burney poteva osservare che
le sue "messe e i suoi mottetti erano ancora usati dagli studenti dei conservatori
di Napoli come modelli di scrittura e condotta delle parti". Francesco
Durante si spegneva a Napoli il 30settembre 1755, circondato dalla stima
e dalla venerazione di tutti. La sua fama aveva ormai superato i
confini del regno napoletano e quelli italiani per assumere risonanza internazionale,
come bene attestano i numerosi manoscritti delle sue musiche custoditi
nelle principali biblioteche d’Europa.
II Miserere a cinque voci, composto nel
1754, un anno prima della morte dell’autore, la chiesa di San Nicolò
di Bari, e una partitura di gran classe, dal robusto contrappunto e piena
di grazia, di cantabilità, di incontenibile lirismo. Non ci sono
note le circostanze che spinsero Durante a dedicare questa composizione
alla chiesa del patrono di Bari, non trattandosi di una composizione destinata
a fini votivi ma al servizio liturgico della Settimana santa. Il testo
letterario del Miserere e il salmo L. Quarto dei sette salmi penitenziali
attribuiti a Davide, re d’Israele, e il capolavoro della letteratura sapienziale
della Bibbia. I sentimenti espressi nei suoi versetti hanno un significato
universale. Forse per questa ragione, oltre che per quelle meramente liturgiche,
il salmo L suscito nei musicisti di ogni epoca un interesse grandissimo.
Nella liturgia cattolica romana viene intonato alle Laudi dell’Uffcio
dei Defunti e, durante la Settimana Santa, al termine di ciascun giorno
dell’Ufficio delle Tenebre. Il primo verso "Miserere mei, Deus" e il
"Gloria Patri" si trovano anche nell’antifona Asperges me che si
canta durante la "Messa della Domenica", fatta eccezione per il Tempo pasquale.
Nell’interpretazione del testo devozionale
del Miserere, Durante fa ricorso a schemi formali e tecniche di scrittura
differenziate fra loro ma che possono essere facilmente ricondotte ai classici
modelli dello stylus ecclesiasticus in voga nella seconda meta del
secolo XVIII, cioè a dire lo stylus antiquus/modernus o lo
stylus gravis/luxurians.La scelta dell’uno o dell’altro dei due stili
e vincolata dalla intonazione espressiva della parola e dalla ricerca del
più pertinente figuralismo affettivo destinato musicalmente a rappresentarla.
Non a caso il ricorso a segnature di tempo che oscillano fra
Lento, Largo, un poco Andante e Andante, e dunque con esclusione
di tempi agogicamente vivaci, va considerata in funzione di questo preciso
orientamento stilistico. Non va infatti dimenticato che per i musicisti
del Settecento le indicazioni di movimento possedevano un significato assai
diverso da quello attuale. In linea generale, queste didascalie esprimevano
stati d’animo, natura di sentimenti, emozioni psicologiche piuttosto che
rigide sequenze temporali. Era dunque il testo poetico a suggerire la giusta
cadenza agogica e nient’altro.
La scelta del movimento più pertinente
da imprimere agli episodi musicali (e nel Miserere di Durante sono
numerosi) derivava di volta in volta dal contesto musicale in quanto riproduzione
dei sentimenti, descrizione di conflitti, illustrazione di eventi emotivi,
mai rappresentati in logica successione ma con la simultaneità e
la molteplicità di tutte le innumerevoli, sfaccettate componenti
del poliedrico gusto barocco. Di grande suggestione emotiva e 1’inizio
del brano. Durante frange il quintetto vocale in due parti e, attraverso
un sapiente gioco di ritardi su armonie dissonanti che si distendono in
concise progressioni, bene descrive la condizione psicologica del peccatore
che si rivolge a Dio per averne misericordia. Più avanti, egli rifugge
dall’automatica equivalenza del verso poetico con il periodo musicale e
cerca di ottenere la massima fluidità prosodica che favorisca lo
scorrere del discorso musicale attraverso 1’incastonamento degli episodi
gli uni negli altri e la drammatizzazione musicale del testo salmodico
(Amplius lava me, quoniam iniquitatem). Il sapido gioco fra Soli
(Concertino) e Tutti (Ripieno) sulle parole Tibi soli peccavi,
di evidente derivazione strumentale, e un topos figuralistico da
manuale: il duo dei Soprani sopra un brioso "basso albertino"conferisce
emblematica icasticità alla recitazione musicale delle parole.
I versetti Auditui meo e Averte faciem
tuam, rispettivamente per due Soprani e Contralto-Tenore, di struttura
ariosa, sono esempi insigni di imitazione espressiva della parola. La condotta
delle due voci, all’esordio in imitazione alternata e poi procedenti per
moto parallelo, riconduce al modello del duetto da camera tardo barocco,
di cui Durante fu uno dei più assidui frequentatori. E in questa
scelta emerge una delle caratteristiche peculiari della personalità
di Durante: 1’idea di una ideale osmosi dell’antico con il moderno, "il
recupero attualizzante degli aspetti più insigni della tradizione,
filtrata al vaglio di un nuovo ideale estetico, ma tuttavia conservata
nei suoi elementi più validi" (Degrada).Qui l’arte di conferire
alla parola traslata in musica il massimo vigore espressivo, trova nel
musicista partenopeo un interprete formidabile; la sua fantasia immaginifica,
eccitata dalla poesia davidica, realizza un quadro musicale degno della
migliore gestualità teatrale. Nella poesia che si fa musica attraverso
il suono della lingua e nella musica che si popola di figure poetiche,
pulsa una vita a cui non sono imposti confini né di tempo né
di spazio: vi si riconosce una cifra estetica semplicemente universale.
Ma dove i tratti caratteristici dello stylus
ecclesiasticus del Nostro si fanno ancor più appariscenti e
nella scrittura omofonica delle sezioni conclusive del Miserere (Ne
proycias me, Libera me, Quoniam si voluisses, Sacrificium).Un’omofonia,
si badi bene, niente affatto statica e servilmente armonica. Al contrario,
pulsano in essa le tensioni causate da irti passaggi dissonanti oppure
da brevi episodi imitativi dalla spiccata fisionomia cromatica. Davvero
qui la sintassi armonica di Francesco Durante si fa impegnativa, ricca
di un vocabolario inedito e modernissimo, in cui già pulsano i segni
anticipatori del Classicismo. A un "ductus" stilistico più convenzionale
ma non per questo ingombro di significati, ci riconducono gli ultimi due
episodi (Benigne fac, Domine e Tunc imponent), quelli in
cui il Maestro di Frattamaggiore maggiormente indulge all’elaborazione
imitativa ovvero fugata delle voci. E qui il catalogo degli artifici contrappuntistici
da lui impiegati si fa davvero vasto e impegnativo. Il repertorio del contrappunto
vocale tradizionale fatto di passaggi imitati e fughe, nelle esperte mani
di Durante perde qualsiasi riflesso di esercizio accademico e si trasforma
in veicolo espressivo di forte tensione emotiva.
La sua scrittura contrappuntistica, lungi dall’assecondare
qualsiasi tentazione manieristica, e al totale servizio della forza comunicativa
della parola e della realizzazione di "figure" musicali finalizzate alla
sua migliore interpretazione. Si osservi invece con quale sicurezza e padronanza
dello stylus gravis egli realizzi questi due episodi conclusivi.
Qui davvero l’"ars subtilior" del Nostro ha modo di manifestarsi in tutta
la sua evidenza e il suo più profondo significato. Di ciò
doveva essere cosciente anche Francesco Florimo, quando un secolo fa scriveva
che "le sue fughe cominciano con un soggetto facile ed aperto, che molte
volte sembra un canto di poca o di niuna importanza, ma inoltrandosi nel
componimento, cioè nei rivolti, nelle imitazioni,
nelle stretti e particolarmente nelle fughe a due soggetti, contro
soggetti ecc., si rimane incantati e si vorrebbe che non finissero mai".
Ma la pur attrezzata officina compositiva del
musicista napoletano risulterebbe ben poca cosa se non fosse costantemente
arricchita del messaggio etico e spirituale che la sua musica e, in particolare
questa del suo commovente Miserere, ci trasmette. Essa infatti ci
ricorda ancora una volta e in maniera perentoria, come il compito dell’arte,
soprattutto quando essa e al servizio della parola di Dio, non sia semplicemente
quello di ornare la verità ma di parteciparne fin nelle sue latebre
più profonde.
Anche di Domenico Scarlatti (Napoli, 26 ottobre
1685; Madrid, 23 luglio 1757), sesto figlio del celebre Alessandro, fondatore
e rappresentante illustre della "Scuola napoletana", nulla sappiamo circa
la formazione musicale e gli anni antecedenti 1’incarico di organista e
compositore presso la Cappella reale di Napoli (1701). Nel 1702 segui il
padre a Roma e a Firenze; tre anni dopo si reco a Venezia dove strinse
amicizia con Francesco Gasparini, maestro di musica dell’ospedale della
Pietà e Antonio Vivaldi. Risalgono a questi anni due incontri memorabili:
quello con Georg Friedrich Händel e con 1’organista inglese Thomas
Roseingrave, entrambi protagonisti di memorabili sfide con il Nostro al
clavicembalo e all’organo.
Tra il 1709 e il 1719 Domenico soggiornò
a Roma: prima come maestro di cappella della regina Maria Casimira di Polonia,
per il cui teatro compose un considerevole numero di opere su libretto
di Carlo S. Capeci, "segretario della regina" e con gli apporti scenografici
del grande architetto messinese Filippo Juvarra; dal 1715, come successore
di Tommaso Baj alla guida della Cappella Giulia, la più prestigiosa
istituzione musicale religiosa dopo la Cappella Sistina. Egli mantenne
questo incarico fino al 1719. Risalgono a questo periodo alcune sue importanti
composizioni di musica sacra, tra le quali non si possono non nominare
una Messa con Ripieno a 8 voci in la minore, alcuni Miserere
a 4 e a 8 voci, lo straordinario Stabat Mater a 10 voci e anche
il Magnificat per 4 voci e basso continuo e l’antifona Salve
Regina per soprano, alto e basso continuo, che fanno parte di questo
disco.
Se si presta fede ad una annotazione registrata
nei Diari vaticani, dopo il settembre 1719, Domenico avrebbe lasciato
1’incarico presso la Cappella Giulia e si sarebbe trasferito in Inghilterra.
Il condizionale è d’obbligo, perché
fino ad oggi nulla sappiamo intorno a questo viaggio, né ci sono
pervenute fonti che attestino la presenza del Maestro oltre Manica. Soltanto
dopo il settembre del 1720 la biografia di Domenico ridiventa documentabile,
quando cioè egli venne nominato maestro della cappella reale di
Joao V, presso la corte di Lisbona. Oltre alle mansioni imposte dal nuovo
incarico, il musicista napoletano si occupo personalmente dell’educazione
musicale dell’infanta Maria Barbara, a quel che si dice, clavicembalista
di straordinario talento e, con ogni probabilità, destinataria dei
555 Esercizi per Gravicembalo che egli compose durante questo periodo.
Il Te Deum a 8 voci in due cori risale a questi anni. Come si legge
nella "Gazeta di Lisboa" dell’1 gennaio 1722, durante la celebrazione dell’Ufficio
di ringraziamento, nella chiesa di Sao Roque, la sera del 31dicembre1721,
"venne intonato 1’inno TeDeum laudamus, elegantemente composto e
distribuito tra vari cori del famoso Domingo Scarlatti. La chiesa
era decorata in maniera sontuosa e illuminata da una miriade di candele.
I musici erano seduti su tribune triangolari rialzate da terra e riccamente
addobbate".
Andata in sposa Maria Barbara all’infante Ferdinando,
secondogenito di Filippo V di Spagna, Scarlatti segui la futura regina
presso la corte spagnola di Siviglia e poi presso quella di Madrid, dove
egli mori il 23 luglio 1757, circondato dalla stima e dalla venerazione
di tutti.
I tre mottetti di Domenico Scarlatti raccolti
in questo CD e volutamente posti a fianco del Miserere di Francesco
Durante, sono un significativo esempio di quella armoniosa sintesi stilistica
operata dal musicista napoletana sul versante della produzione sacra e
che si identifica nella sapiente fusione fra sapienza contrappuntistica
e invenzione armonica. E se nel Te Deum e nel Magnificat
prevale una tecnica di scrittura contrappuntistica assai elaborata e sempre
tesa a far progredire il discorso musicale per linee di pura orizzontalità,
sia pure alimentate da un fantasioso e ricco basso continuo; nel Salve
Regina lo "stile sodo alla Palestrina" cede il passo all’espandersi
di profili melodici più definiti, di progressioni per terze di chiara
eco strumentale, di repentini quanto sorprendenti passaggi modulanti, di
ardite combinazioni armoniche che lasciano comprendere come anche nel versante
sacro 1’arte del Nostro sia geniale e fantasiosa e per nulla inferiore
a quella espressa nelle sue più note pagine per tastiera.
Resta comunque da osservare come le composizioni
musicali di Francesco Durante e di Domenico Scarlatti raccolte in questo
CD, oltre a rappresentare un’occasione di ascolto preziosa, offrano non
pochi motivi di approfondimento intorno ad uno fra i più significativi
periodi della storia della musica occidentale: il Barocco ovvero la categoria
estetica e storiografica più difficile da delimitare ma anche quella
in cui si realizzano le metamorfosi di stile, di forma, di linguaggio,
più radicali. Di questi mutamenti i nostri due musicisti sono interpreti
sensibilissimi e protagonisti indiscussi, perché con la loro arte
hanno saputo penetrare nel profondo dell’essenza musicale e trasformarla;
hanno saputo ricreare di continuo 1’immagine sonora perseguita incastonandola
in costruzioni musicali salde e definite e nelle quali la fantasia, "scherzo
ingegnoso dell’arte", domina incontrastata. E questo disco ne e vivida
quando perentoria testimonianza.