regia | Pier Paolo Pasolini |
soggetto | dalla raccolta di novelle orientali Alf Laylah wa-Laylah (Le mille e una notte) |
sceneggiatura | P. P. Pasolini, con la collaborazione di Dacia Maraini |
fotografia | Giuseppe Ruzzolini |
scenografia | Dante Ferretti |
costumi | Danilo Donati |
musica | a cura di Ennio Morricone |
interpr. e pers. | Franco Merli Nur-ed-Din - lnes Pellegrini Zumurrud - Ninetto Davoli Aziz - Franco Citti il demone - Abadit Ghidei principessa Dunya - Alberto Argentino principe Shahzman - Salvatore Sapienza Principe Yuhan - Francesco Paolo Governale principe Tagi |
origine | Italia/Francia, 1974 |
durata | 130' |
genere | Favolistico |
video Ricordi Video, Vivivideo
Antico Oriente. La schiava Zumurrud sceglie come padrone
il giovane Nur-ed-Din. Ma un uomo dagli occhi azzurri la
rapisce e la consegna ad un mercante. Nur-ed-Din cercherà
per ogni dove la sua amata Zumurrud, per ritrovarla alfine, dopo
molte peripezie, sotto le spoglie del re Sair.
All'interno di questa storia principale se ne incastrano, a mo'
di scatola cinese, molte altre.
Quella di Hamud e Zeudi che, indecisi su chi sia più bello tra
un ragazzo ed una ragazza, fanno si che i due si innamorino.
Quella di Aziz che, irretito da una misteriosa donna da cui
verrà poi evirato, fa morire di dolore la sua promessa sposa
Aziza.
Quella di Shahzman e Yuhan, diventati monaci per penitenza: il
primo, figlio di un re, perché una principessa aveva sacrificato
la sua vita affinché ridiventasse uomo dopo che un demone lo
aveva trasformato in scimmia; il secondo perché, debellato un
crudele cavaliere di rame, aveva ucciso in trance un ragazzo
innocente così come voleva una profezia.
E per finire quella della principessa Dunya, ossessionata dal
sogno ricorrente di un colombo che lascia morire una colomba
catturata in una rete, che sposa il principe Tagi che le svelerà
il vero significato dei sogno, materializzandolo in un mosaico.
È IL TERZO ED ULTIMO CAPITOLO DELLA "TRILOGIA della
vita", dopo Il Decameron e I racconti di
Canterbury, in cui Pasolini, più che mai, esalta una
spigliata gioia del narrare ed un pieno godimento della vita, in
cui il sesso è finalmente affrancato da ogni tradizione
schiavizzante e dal senso frustrante del peccato.
Se già ne Il Decameron il regista aveva sentito il
bisogno di trasportare l'azione a Napoli (l'unico luogo in
Italia, a suo parere, ancora schietto) qui si è allontanato del
tutto dalla cultura occidentale, dove anche il sesso è entrato
in una logica mercificata, ed ha girato in nazioni, come il
Nepal, lo Yemen o l'Etiopia, lontane da ogni contaminazione. Come
negli altri due, inoltre, molti attori non sono professionisti,
in linea con la spontaneità popolare richiesta: un'umanità
semplice e sorridente, dai volti fortemente espressivi (all'uopo
doppiati in un dialetto salentino).
Se il discorso appare per certi versi un po' datato, tanto che lo
stesso regista abiurò la "Trilogia" per addentrarsi
negli ortori di Salò, il film è comunque è un'opera
straordinaria. Grazie alla raffinata fotografia, a una
musica suggestiva e ad eleganti riferimenti figurativi, si ricrea
magicamente l'atmosfera seducente de Le mille e una notte, che in
alcuni momenti raggiunge toni di altissima, commovente poesia
(come nella Favola di Aziz ed Aziza o nell'episodio di Yuhan e il
ragazzo).
Qui ogni cosa appare pregna di un significato più denso e
misterioso: da quello che è uno dei massimi libri di ogni tempo
Pasolini non ha mutuato infatti solo la struttura ad incastro
della narrazione di Sherazade (qui assente) ma anche la
profondità stratificata di lettura dei singoli racconti, come
un'esplicita citazione avverte all'inizio: «La verità non è in
un solo sogno, ma in molti sogni».
In questo Oriente mitico e simbolico, dove il sogno appare la
chiave per entrare nell'essenza delle cose e dove tutto è
possibile, ogni imbarazzo nei confronti del sesso è superato:
una divertita visione di corpi nudi, soprattutto maschili
(decisamente inusuali per l'epoca) libera finalmente l'eros in
una totale, coinvolgente letizia.