tit. originale | The Long Day Closes |
regia, soggetto e sceneggiatura | Terence Davies |
fotografia | Michael Coulter |
musica | varie canzoni |
interpr. e pers. | Leigh McCormack Bud - Marjorie Yates la madre - Anthony Watson Kevin - Nicholas Lamont John - Ayse Owens Helen - Tina Maione Edna - Kirk McLaughlin l'operaio e Cristo |
origine | Gran Bretagna, 1992 |
durata | 84' |
genere | Drammatico |
video Pentavideo
L'undicenne Bud, di carattere malinconico e solitario, vive
serenamente ma anche faticosamente la sua adolescenza nella
Liverpool dei 1955, con la voglia e insieme la paura di diventare
adulto. Le sue giornate trascorrono tra la scuola,
abbastanza repressiva e con compagni che lo isolano o lo deridono
per la sua ingenua fragilità, e la casa.
Qui nonostante le ristrettezze economiche è più sereno,
soprattutto quando è vicino alla madre (cui è legatissimo)
quando ne ascolta la dolce voce che canta malinconiche canzoni,
oppure quando osserva incuriosito il mondo dalla finestra della
sua stanza.
Un giorno, proprio affacciato alla finestra, Bud è turbato dalla
vista di un giovane muratore in canottiera, dal plastico corpo,
che nella mente rivede nelle vesti di Cristo crocefisso. È
il primo segno di una diversità di cui Bud inizia ad accorgersi
e che inizia a pesargli come un fardello.
Il suo massimo divertimento è il cinema, in cui però può
entrare solo se accompagnato da un adulto. L'alternativa è
divertirsi a casa, quando ci sono parenti e amici e tutti insieme
si beve, si inscenano piccoli spettacoli e ci diverte in
allegria. Ma soprattutto quando si canta, perché
l'infanzia di Bud, così come i suoi ricordi, sono fatti
soprattutto di canzoni e di voci.
RARAMENTE SI PUÒ VEDERE UN CINEMA COSÌ AUTOBIOGRAFICO
come quello di Terence Davies che, a cominciare dalla splendida,
straziante Terence Davies Trilogy, non è mai riuscito a
staccarsi dai ricordi della propria vita.
Il lungo giorno finisce è di fatto il sequel dell'ottimo Voci
lontane... sempre presenti. In questo film Davies
rievocava la sofferta infanzia, caratterizzata dalla morte del
padre (rude e manesco con la moglie e con i figli) che, pur nella
sua tragicità, aveva però significato per la famiglia la fine
di un incubo.
Qui attraverso un alter ego, il piccolo Bud, Davies rievoca la
sua adolescenza, il periodo per lui più bello della sua
vita. Ora la madre colora la vita familiare trasmettendo a
tutti un palpabile senso di serenità, che trova la sua
esaltazione nel canto (più di cinquanta fra canzoni e musiche!):
un momento di sublimazione corale in cui tutti sfogano le loro
tensioni.
Per Bud è uno stato di pacatezza mai più ritrovato in seguito e
che avrà un traumatico, irreversibile arresto quando sentirà il
suo cuore in subbuglio alla vista dell'atletico operaio.
D'altra parte Davies ha più volte dichiarato (in barba ad ogni
discorso di orgoglio gay) di aver sempre sentito la sua
omosessualità come una disgrazia, un'ineluttabile condanna per
liberarsi della quale ha vanamente pregato Dio.
In realtà Bud non è mai veramente felice, venato com'è di un
senso di malinconia e solitudine. Tutto trova in lui una
delicatissima cassa di risonanza: la repressione della vita
scolastica, le angherie dei compagni, l'ossessiva educazione
cattolica, l'amato cinema che più di ogni altra cosa esalta le
sue fantasie.
Frammentato in flashback collegati da semplici associazioni,
l'universo un po' claustrofobico del film è offerto in uno stile
rigoroso ma ostico. Con una gamma coloristica che esalta il
marrone, come le fotografie dell'epoca, e con una mancanza di
profondità che rimanda alle iconografie cristiane così presenti
nell'immaginario di Bud, le immagini riescono a creare
magicamente un passato nostalgico che, al di là del profondo
senso di colpa che emerge, ha una sua intima poeticità e dà
sottili, raffinate emozioni.
Dello stesso regista:
La trilogia di Terence Davies (Bambini/Madonna e
figlio/trasfigurazione), 1976/80/83
Voci lontane... sempre presenti, 1988, General Video,
Sampaolo Audiovisivi