MORTE A VENEZIA

regia Luchino Visconti
soggetto dal racconto omonimo di Thomas Mann (1912)
sceneggiatura L. Visconti, Nicola Badalucco
fotografia Pasqualino De Santis
scenografia Ferdinando Scarfiotti
costumi Piero Tosi
musica brani di Gustav Mahler
interpr. e pers. Dirk Bogarde Gustav von Aschenbach - Bjórn Andersen Tadzio - Silvana Mangano la madre di Tadzio - Nora Ricci la governante - Romolo Valli il direttore dell'hotel - Mark Burns Alfried - Marisa Berenson la  moglie di Aschenbach
origine Italia/Francia, 1971
durata 135'
genere Drammatico

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1911 - Il compositore Gustav von Aschenbach arriva a Venezia per trascorrere una vacanza al Lido.  Presso l'Hotel Des Bains, dove soggiorna, è fortemente attratto dalla bellezza efebica e asessuata dell'adolescente polacco Tadzio, in vacanza con la famiglia.
Una serie di flashback rivela la crisi artistica ed esistenziale che Aschenbach vive, nonché il dissidio tra arte e vita che lacera la sua coscienza.
Il turbamento procuratogli dal desiderio per Tadzio e la deludente ospitalità della città lo inducono a ripartire per Monaco.  Un disguido nell'invio dei bagagli lo costringe però a ritornare in hotel, come in realtà inconsciamente bramava.
Da allora Aschenbach seguirà con lo sguardo Tadzio in ogni occasione: in hotel oppure, a distanza, nelle sue passeggiate veneziane.  Appresa ufficiosamente la notizia di un'epidemia di colera in città, tenuta nascosta per non danneggiare il turismo, Aschenbach è indeciso se avvertire la famiglia polacca o tacere per non farla partire, ma alla fine opta per il silenzio.
Ammalato, si trucca pesantemente per mascherare il male e apparire più giovane ma, debilitato e allo stremo, muore sulla spiaggia, con il trucco che gli si scioglie sul volto, mentre Tadzio sul bagnasciuga sembra indicargli un punto indistinto all'orizzonte.

TRATTO DAL BELLISSIMO RACCONTO DI THOMAS Mann, il film se ne distacca solo per poche variazioni, peraltro mirate: Aschenbach è qui un compositore anziché uno scrittore, probabilmente per ricollegarsi alla figura di Gustav Mahler, a cui inizialmente Mann pensava e la cui raffinata musica è il leitmotiv del film.
L'approccio di Visconti è del tutto letterario; anzi, più dello scrittore tedesco ha insistito, soprattutto nei flashback, sulle grandi problematiche dell'arte e sulla posizione dell'intellettuale (qui acuite dal tipico scontro tra il razionalismo tedesco e il mito mediterraneo) risolte in una chiave affatto decadente.  La malattia e la morte sono l'inevitabile scotto che l'artista deve pagare per raggiungere l'amore e la bellezza assoluta e, in definitiva, l'Arte.
Tadzio è per Aschenbach l'inquietante angelo della morte che permette di raggiungere finalmente le vette agognate ma che, portando a galla tante pulsioni represse, smantella senza pietà i valori razionali, affogandolo in dubbi struggenti e irresolvibili.
La bellezza efebica e in sostanza asessuata di Tadzio (Visconti lo scelse tra centinaia di ragazzi, come si può vedere nel documentario alla ricerca di Tadzio) ripreso mentre si smarrisce nelle calli veneziane o tra le eleganti cabine color pastello, dà ad Aschenbach uno stupefatto senso di colpa ed uno smarrimento di fronte alla bellezza pura.
In effetti il suo amore è un sentimento vissuto solo interiormente. Su un piano squisitamente platonico che si contenta dei continui, bramati incontri di silenziosi sguardi col ragazzo.
D'altra parte il film non lascia altro spazio all'amore omosessuale, verso cui anzi non lesina qualche luogo comune, come il trucco che degrada Aschenbach riducendolo a una sorta di caricatura.
La complessità del film non ne limita la godibilità, soprattutto per l'intensa recitazione di tutti gli attori (Bogarde e Mangano in special modo) e per l'accuratissima ricostruzione di Venezia: una città esausta e fatiscente, preda essa stessa del morbo e perciò segnata da falò e disinfettanti, e nel contempo dalle spiagge affollate dai brusii di una società cosmopolita.


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