SALÒ 0 LE 120 GIORNATE DI SODOMA

regia Pier Paolo Pasolini
soggetto e sceneggiatura P. P. Pasolini, Sergio Citti (da Le centoventi giornate di Sodoma di Donatien-Alphonse-François de Sade)
fotografia Tonino Delli Colli
scenografia Dante Ferretti
costumi Danilo Donati
musica a cura di Ennio Morricone
interpr. e pers.    Paolo Bonacelli il Duca - Giorgio Cataldi il Monsignore - Uberto Paolo Quintavalle L'Eccellenza - Aldo Valletti il Presidente - Caterina Boratto sígnora Castelli - Elsa De Giorgi signora Maggi - Hélène Surgère signora Vaccari - Sonia Saviange la pianista - Franco Merli una delle vittime
origine Italia/Francia, 1975
durata 117'
genere Drammatico

video Ricordi Video, Vivivideo

1944, ultimi giorni della repubblica di Salò.  Il racconto si svolge in quattro parti, un prologo e tre gironi.  Nell'Antinferno, il prologo, quattro libertini (un'eccellenza, un duca, un monsignore e un presidente) fanno sequestrare per i loro piaceri dei ragazzi di ambo i sessi.  Rastrellati nelle campagne circostanti dai soldati, i ragazzi vengono portati in una villa dove viene letto loro il ferreo regolamento che dovranno rispettare.  I signori, dal canto loro, recitano frasi dotte sul potere, affermando che i veri anarchici sono i fascisti.
In ciascuno dei tre gironi (della Mania, della Merda e del Sangue) una narratrice, accompagnata da una pianista, racconta le esperienze erotiche più bizzarre e perverse per eccitare i quattro signori, che poi applicano sulle loro vittime ciò che hanno ascoltato.  I ragazzi sono costretti a sottomettersi ad ogni desiderio, anche perché le infrazioni, scoperte grazie alle delazioni, sono punite con la morte.
Si passa così dalle manie ai rapporti scatologici, che vedranno tutti mangiare escrementi, fino alle esperienze più cruente che termineranno con un'orgia di sangue in cui alcuni ragazzi saranno seviziati e uccisi da tre signori, mentre un quarto osserva a distanza con un binocolo.  Nell'ultima scena due ragazzi collaborazionisti ballano assieme.

VIENE LETTO COME IL TESTAMENTO DI PASOLINI, SIA perché è il suo ultimo film, uscito postumo (subito caduto nelle grinfie della censura, è poi riuscito a circolare con molti tagli tuttora esistenti) sia per la sua terribilità che, soprattutto in alcune scene decisamente efferate, spiazzano lo spettatore impreparato.
D'altra parte l'aver voluto sfondare i limiti della tollerabilità così come l'estrema cura di ogni particolare (la ritualità di ogni gesto, l'ostentata cultura alto-borghese dei signori, l'elegante scenografia, la fredda fotografia) è un fatto perseguito proprio per esaltare il significato del film che appare, nel complesso, di non difficile leggibilità.  Sposando il libro maledetto per eccellenza del marchese de Sade alla repubblica di Salò, ossia uno dei governi più nefandi mai esistiti, Pasolini ha voluto sottolineare, ben al di là del contesto storico, come nulla sia più anarchico del potere e come esso sia capace di trasformare i corpi in cose e in oggetti di piacere.
Anche una lettura più puntuale fa acquistare ad ogni simbolo un suo significato: il suicidio della pianista è l'arte che si ribella finalmente alla propria prostituzione, la ragazza di colore ed il sovversivo di sinistra appaiono l'unica speranza di catarsi o ancora gli escrementi sono i prodotti della società capitalista da cui veniamo sommersi e che si è costretti ad ingurgitare e così via.
Ma al di là di ogni possibile giudizio, e travalicando la connotazione negativa (ma temperata dal forte umorismo) che ne informa tutti i gesti, resta il fatto che il film è il trionfo della sessualità che, pur degradata a consumo, è goduta sadianamente in ogni sua forma.
I nudi, gli accoppiamenti, i momenti pruriginosi (come il concorso sul più bel culo, vinto da un attraente ragazzo) vedono proprio nell'omosessualità l'espressione più convinta ed esaltata.  E gli stessi momenti sadici, per orribili che siano, possono interessare non pochi spettatori (come molto probabilmente lo stesso regista, che non deve esserne risultato immune).  Del resto, anche in ciò Salò si propone come un caso limite nella storia del cinema, che mai ha visto una radicalità così trasgressiva.  Proprio come Sade in letteratura.


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