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MILLENOVECENTONOVANTADUE
... il cielo esplose sopra le nostre
teste, coprendo il mio slancio di dolore, perché
l'intera città si stava accendendo
a festa allo scoppiare delle ore zero e zero zero,
normalmente prive di significato come
il numero che le rappresenta, ma in questa
notte sempre cariche di mystero. Le grida
che provenivano da sotto, gli stappamenti
gioiosi e spumantini accompagnati da
baci schioccanti, erano lì a testimoniare che ci
eravamo "persi" qualche cosa, o ci eravamo
"persi" ...e basta. Mi sentivo gabbato &
infelice, come quel tale della barzelletta,
Mario Rossi, che in attesa del treno alla
stazione, per ore tenta di fregare una
bilancia elettronica super intelligente che analizza
l'identità del soggetto pesato,
travestendosi in ogni possibile maniera. Alla fine la
bilancia dice "se vuoi ti dico che sei
Camilla Verdi, ma sei sempre Mario Rossi e, tra
una stronzata e l'altra, hai pure "perso"
il treno.
Quando mi riebbi tornando nuovamente
a fissare Ade con occhi coscienti, era
ormai troppo tardi: con lo spray aveva
iniziato a scrivere una delle sue poesie,
esattamente al centro del mio graffito.
Non singhiozzava più. Sebbene
le lacrime scendessero comunque copiose, il
suo respiro sembrava essersi fermato.
Quella apnea letteraria era stata incredibilmente
produttiva, poiché non ebbe un
solo istante di pausa o tentennamento, non una
incertezza. Scrisse senza correggere,
di filato, per circa dieci minuti: soltanto quando
ebbe terminato si soffermò a pensare
guardando verso le stelle, poi, con semplicità
partorì il titolo della sua opera.
Concluse firmando in calce.
La scioltezza, la naturalezza,
la sicurezza con cui aveva plasmato le parole di
fronte al mio sguardo bagnato e corrucciato
nel contempo, avevano calato su di me un
disagio profondo, mutando la rabbia in
un pesante senso di inferiorità. L'ammirazione
per quel gesto artistico, a mio avviso
supremo perché spontaneo, era in grado di
colmare il vuoto creatosi per quello
stesso gesto deturpatore e scellerato.
Sorridendo, ma lasciando scorrere
le lacrime sui suoi zigomi, mi si affiancò
abbracciandomi e chiedendo una opinione
spassionata. Immediatamente riebbi
memoria di quel forte istinto omicida
che aveva animato il mio cuore sino a qualche
momento prima, ma lo trattenni e lessi
ad alta voce -ciò che sapevo avrebbe fatto
maggiormente vergognare Ellade, giacché
sosteneva che la poesia dovesse esser
recitata esclusivamente con le intonazioni
del cuore e non con quelle delle corde vocali
(ma una vendetta, sentendomi già
sconfitto in partenza, dovevo pur prenderla!)-.
Lessi, dunque: