Sale, salette, salotti.
Sull'agonia del cinema.

1987, Los Angeles. Per la prima volta entro in un multiplex. Mezz'ora di taxi dall'albergo, senza traffico e senza uscire dalla città. Una cosa mai vista. Contiene bar, ristoranti, sala giochi. Si possono comprare gadget, poster, foto, libri, dischi. Tutto quanto, facendo riferimento al cinema, esalti il feticismo cinefilo. Contiene, soprattutto, nove schermi! Sono felice, scelgo "La bamba".
2009, Livorno. Da un'inchiesta del quotidiano "Il Tirreno" risulta che i giovani si rammaricano dell'ennesima annunciata chiusura di una sala cinematografica del centro cittadino, il Grande. Del resto, dicono, siamo noi i primi a non frequentare i cinema del centro. Preferiscono il multiplex Medusa ("ci si trova tutto"), a cinque minuti di motorino da qualsiasi ubicazione cittadina, e in quanto a motorini non siamo secondi a nessuno.
Nel secolo scorso, i giovanissimi affollavano piazza Attias e facevano le vasche in via Ricasoli, le famiglie preferivano via Grande, più giusta per il passeggino, più protetta dalle intemperie. Nell'epoca del "Truman show", dove tutto è fittizio, ci si cambia per fare due vasche all'Ipercoop: ci sono i negozi, le panchine, "piazze" con il tabaccaio, il gelataio, la parrucchiera e il clima è permanentemente equilibrato, né pioggia né sole, nemmeno il libeccio. Il percorso interno è circolare, come quello degli incubi: si torna sempre al punto di partenza. Chissà se qualcuno ha già pensato di dipingere il soffitto d'azzurro, con qualche lieve nuvoletta. Multiplex Medusa e Ipercoop sono a pochi metri l'uno dall'altro, vicinanza emblematica di un'epoca in cui sinistra e destra si distinguono a fatica. Il terreno d'incontro è la Porta a Terra, ai margini della città, dove si esalta l'edonismo di buona parte della popolazione labronica.
Come ogni giorno attraverso il centro cittadino, strade dissestate, discariche estemporanee, arredo urbano danneggiato. Traffico-multe-parcheggi-ticket-ztl-telecamere. "Pizza al taglio", "Tutto a un euro", franchising, hamburger. "Posso lasciarvi una locandina da mettere in vetrina, contiene il programma del cinema Kino-Dessé, qui dietro l'angolo. Guardi, c'è il timbro dell'ufficio affissioni". Non si può, deve chiedere al direttore e il direttore è a Milano. Aria un po' scocciata, un po' aggressiva. "Quando torna?" Non torna. È di Milano! Biascica il chewingum e non parla più.
Tanto abbiamo importato della cultura americana, anche il "Truman show", ma non tutto, sicuramente non l'amore per il bene pubblico, per l'organizzazione, per il rispetto delle regole.
Mi chiedo se fosse evitabile che un Multiplex aprisse a Livorno, quali strategie hanno permesso che il centro cittadino si svuotasse e fosse in preda al degrado, chi ne ha tratto giovamento. Spero che l'imminente campagna elettorale faccia chiarezza, spieghi ai cittadini che c'è un disegno ben preciso.
Apro il giornale e leggo che Cinema 4 Mori, cinema Grande, teatro Goldoni e amministrazione comunale stanno lavorando alla costituzione di un polo dello spettacolo. Per qualche giorno se ne parla, poi silenzio.
Apro il giornale e leggo che la Gran Guardia riapre e che in collaborazione con 4 Mori, Grande e, ovviamente, Teatro Goldoni e amministrazione comunale formerà un polo dello spettacolo per il rilancio del centro cittadino (ma forse era meglio prevenire anziché curare). Notizie a caratteri cubitali, consensi, smentite, dissensi, perplessità e poi silenzio.
Apro il giornale e leggo: "il cinema Grande chiude, forse no!"
La carta è qui, la carta è lì, dov'è la carta?
Sono un po' incazzato e un po' divertito. Bene! A questo punto bisognerebbe che qualcuno ci spiegasse.
Provo a farlo per quanto mi sia possibile. Un'evidenza da molti condivisa: Livorno aveva già un multiplex naturale. Nell'ultimo decennio del secolo scorso, in poche centinaia di metri, lungo le principali arterie del centro si distribuivano una mezza dozzina di sale cinematografiche e se si risale agli anni '70 il numero aumenta. Negli anni '80 fu l'ottimismo craxi-reaganiano a provocarne l'epidemia, oggi le più grandi, Metropolitan, Odeon e Gran Guardia sono state abbattute da una politica che identifica nei poli commerciali una strategia per soddisfare i bisogni del cittadino e per decongestionare il centro. I risultati sono parzialmente evidenti: gli esercizi commerciali del centro cittadino, e in questa categoria rientrano i cinema, chiudono. Via Grande, piazza Grande, via Cairoli, piazza Cavour, via Ricasoli, piazza Attias, dopo le 21.00 sono il deserto dei Tartari. Degrado e marginalità rimangono l'unico incontro possibile. Si sta a casa, il necessario la famiglia cerca di averlo tra le mura domestiche. Il cittadino ha lavorato e speso, il frigo è pieno, talvolta no, la televisione, comprata al centro commerciale, ci riempie le serate. La televisione che negli anni '50 e '60 ha unificato l'Italia più di qualsiasi governo, acculturato generazioni intere, ora separa le famiglie in stanze diverse. A ciascuno il suo apparecchio, a ciascuno il suo programma, per tutti la stessa cosa, spazzatura! I più temerari si spingono alla Porta a Terra, dove, dato l'orario, solo il multiplex Medusa è aperto. Lì, quantomeno si può parcheggiare a pochi metri dall'ingresso. Si entra, si respira burro fuso e ci si distribuisce per i corridoi che conducono alle sale semideserte. Benché abbia la priorità di scelta e programmi qualsiasi film sia suscettibile di incassi, non importa se parli di "Che" Guevara o esalti le bande armate, anche il Medusa non se la passa troppo bene.
L'olocausto ha avuto luogo, i luoghi d'aggregazione non esistono più. A chi giova che un cittadino isolato di fronte ad un piccolo schermo faccia indigestione di demenze? "La televisione ti spappola il cervello. Prova, prova, a guardarla per vent'anni e poi mi dici in che condizioni sei" mi sottolineava David Fedi, in arte Zeb, prima di scomparire. La televisione, un piccolo cavallo di Troia che entra nelle case e ti dice cosa pensare, cosa comprare, chi votare. Elimina possibilità dialettiche. Senza il confronto si è soli e inevitabilmente più stupidi.
Per fortuna qualcuno ci pensa e si batterà per il rilancio del centro cittadino a cominciare dalla riapertura della Gran Guardia e per impedire che il Grande chiuda. La verità (esistono dati numerici a dimostrarla) è che il Grande, benché gestito da abili e navigati professionisti, ha bilanci gravemente in perdita, il cinema 4 Mori se non fosse sostenuto dalla Compagnia Portuali non avrebbe margini per pagare lo stipendio ai dipendenti, il cinema Aurora, che ha visto scomparire anche la possibilità di parcheggio nello spartitraffico di viale Ippolito Nievo, sopravvive proponendo gli incontri di calcio del Livorno, il Kino-Dessé resiste in virtù di una romantica proprietaria, discendente di una famiglia di esercenti, i Gragnani, che anziché utilizzarlo per una speculazione edilizia, preferisce vedervi un cinema. "Effetto Notte", la società che lo gestisce, e il Circolo del Cinema Kinoglaz, con il quale esiste una convenzione, in sei anni (l’attività è stata rilevata nel 2003, quando il multiplex Medusa apriva e gli altri si apprestavano a chiudere) ha proiettato esclusivamente cinema di qualità, ha fornito uno spazio per rassegne alle istituzioni e a privati, ha svolto attività di didattica e cultura cinematografica per la scuola media, trovando spesso attenzione e sostegno nelle istituzioni e in enti privati, ha proposto seminari con professionisti del settore (registi, sceneggiatori, montatori, produttori, fonici, truccatori), ha fornito uno spazio espositivo a giovani artisti ma soprattutto ha visto aumentare costantemente il pubblico e fatto rimettere a chi lo gestisce qualche centinaio di migliaia di euro. Dio è morto, Marx è morto e anch'io non mi sento molto bene.
Non occorrono calcoli complicati per capire che qualsiasi riapertura sarebbe economicamente nefasta e che all'entusiasmo iniziale farebbero seguito perdite e frustrazione, che una strategia di recupero e rilancio dei luoghi di spettacolo e aggregazione necessita di una seria e partecipata riflessione piuttosto che di boutade preelettorali, che il sistema dello spettacolo di una città non può concentrarsi in due poli, multiplex Medusa e Teatro Goldoni, che potremmo ribattezzare Teatro Macedonia, viste le disparate attività che mescola.
Occorre sostenere le sale cinematografiche rimaste, non solo con forme di contribuzione ma illuminando le strade, incrementando i trasporti pubblici, favorendo la sosta e la circolazione, proteggendo i centri sociali e i circoli culturali che formano il pubblico, incoraggiando l'apertura di esercizi commerciali che creano opportunità di lavoro e cooperazione e che "accendono" il cuore della città ma soprattutto occorre fare un lavoro in profondità educando le nuove generazioni ai linguaggi della contemporaneità. Non è un caso che la scuola italiana ignori l'educazione al linguaggio audiovisivo, il linguaggio precipuo del nostro tempo. Un popolo analfabeta è facilmente soggiogabile ed oggi non occorrono più le catene, la dittatura corre nell'etere, è strisciante, ha il sorriso della corruzione.
Nel 1987 Los Angeles non era ancora una città fortificata. Oggi i quartieri più abbienti sono circondati da mura, protetti da polizia privata e permanentemente video sorvegliati. Quartieri che come i multiplex e i centri commerciali iper e mega contengono tutto quel che necessita, anche le emozioni ma non si parla con nessuno, si va dritti a prendere la nostra dose di necessità e alla cassa ci presentano il conto. Che l'euforia di quella serata del 1987, innaffiata da "La bamba", fosse l'inizio di una dipendenza?

Per Cinema Kino-Dessé
Serafino Fasulo
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