È Agosto e il sole è proprio il sole d'Agosto. L'ora? Devono
essere le undici, forse le undici e dieci.
Lungo la spiaggia, i piedi nella acqua, due ragazzine scherzano
con alcuni coetanei: una è poco più di una bambina, alta e molto
magra; l'altra ha qualche anno in più, capelli neri e lunghi, un
po' di seno e un bel sorriso.
Riabbasso lo sguardo e rileggo ancora una volta e quasi
sillabando: "Ventidue orizzontale: la capitale del Madagascar."
Tantissime lettere!
Chiudo la Settimana Enigmistica, la infilo sotto la mia camicia
mal piegata e mi risdraio al sole.
"La capitale del Madagascar!" Non la ricordo.
Le donne del Madagascar. La giungla del Madagascar. I pirati del
Madagascar. La frutta del Madagascar. La regina del Madagascar.
E la sabbia del Madagascar, calda come questa spiaggia.
Ma la capitale? Dodici lettere! Avrà davvero una capitale il
Madagascar?
Fa caldo, proprio caldo e sento la pelle che mi brucia
piacevolmente.
Sotto un ombrellone una famiglia di milanesi - odio i milanesi in vacanza! - litiga, urla al telefonino e si scola litri di acqua minerale e bevande gialle e arancioni.
Il figlio maschio più grande - una ventina di anni come me (io ne
ho ventidue) - zoppica mentre cammina e, sotto il ginocchio, porta lo sfregio profondo di una cicatrice.
La sua pelle, tutto il corpo, trasuda sudore gocciolando come una
spugna: va bene il caldo ma, per me, quello è malato!
La figlia dalla voce annoiata dice due parolacce e poi mi guarda e fa la faccia schifata. Io non piaccio a lei e lei non piace a me, e anche se non avesse i genitori a dodici centimetri non proverei neanche a parlarle.
Così la famiglia milanese resta compatta sotto l'ombrellone ed io
al sole, come al solito, solo come un cane.
Non ho l'abitudine di stare tutta la giornata in spiaggia: il sole
mi rimbecillirebbe più di quanto è accettabile. E poi, anche se
sono in vacanza, io sono al mare per studiare.
Così mi alzo tutte le mattine e cerco di stare sui libri almeno
un'oretta prima di andare in spiaggia; studio di nuovo, se
riesco, o di pomeriggio o la sera: non mi sembra di imparare
molto, ma la buona volontà ce la metto.
Cerco l'orologio nel taschino della camicia: undici e trenta.
Aspetto qualche minuto, raccolgo la mia poca roba, infilo
camicia e pantaloni e, facendo un giro più lungo del necessario
per costeggiare un gruppo di ragazze che non mi degnano di uno
sguardo - ma che non possono evitare di farsi guardare - lascio la spiaggia.
Strada facendo, le solite spese.
Tappa dal giornalaio che mi saluta con uno squillante "Buongiorno avvocato!" e mi porge il solito giornale. Chissà se un giorno io lo diventerò davvero avvocato: gli esami che devo ancora affrontare compaiono nei miei incubi simili ad una altissima e insuperabile muraglia:
"Avvocato!" Che musicalità! Che armonia!
Ma, per mio padre, il titolo che mi spetta attualmente è solo quello di "Mangia-pane-a-tradimento".
"A proposito: il pane!"
Panetteria: due ragazze graziose a servire, ed una donna brutta ed anziana che sembra una foca, con tanto di baffi neri e oleosi.
Naturalmente viene a servirmi la foca. Quando parla non pronuncia
le consonanti e, quando riesce a pronunciarne una, sputa o meglio
schizza come una fontana. Puà! Il mio povero pane!
Del pane comprato sono solito sacrificare una pagnotta, per
controllare non sia avvelenata, offrendola ai colombi del
giardinetto della stazione; ed oggi è un giorno che non fa
eccezione.
Il giardinetto è un posto simpatico e piacevolmente fresco: dopo
la sudata della spiaggia è il posto ideale per prendersi i
reumatismi e rovinarsi la schiena.
Credo che i colombi preferirebbero del pane più secco, più adatto
ai loro becchi granivori (sono granivori i colombi? Ho l'impressione che i colombi cittadini siano mutati in creature assolutamente onnivore) delle pallottole di mollica che tiro loro, ma la fame li
rende disponibili a rischiare il soffocamento con questi bocconi
troppo soffici. Fame per modo di dire: sono tutti grassocci e
arroganti questi miei colombacci, tanto che saltellano come polli
piuttosto che volare. Beccano e si beccano irascibili e arroganti mentre in disparte vigila un passero, pronto ad arraffare nella confusione un boccone grosso
come il proprio becco e volarsene via.
Ed è proprio mentre cerco di agevolare il pasto del passero con un lancio più lungo che lui non si lascia sfuggire che noto la
ragazza.
E' seduta su una panchina non troppo lontana, mezza sdraiata sulla propria sacca, e mi guarda. Occhi scuri, attenti, ma umidi come se si stesse appena svegliando dal sonno.
Ad essere sincero, attraversando il giardino la avevo notata e
avevo lanciato un'occhiata di valutazione alle sue gambe nude e
abbronzate: sei e mezzo, non di più! Ma non avevo visto i suoi
occhi e i suoi occhi non mi avevano guardato.
Il sei e mezzo sale al sette e prende anche un "+" di simpatia.
E adesso? Continuo a spezzettare distrattamente il pane per i
colombi: "Prendete e mangiatene tutti...".
Un colombo zoppo, la zampa destra ridotta ad un moncherino, palesa una fame probabilmente più vera di quella dei suoi simili ed arriva e beccarmi il pane dalle mani, anzi a beccarmi le dita per prendere il pane. Mi vendico gettandogli le briciole sulla
schiena, ma poi desisto, vedendo gli sforzi penosi della povera
bestia per accaparrarsi lo stesso il boccone e perché non voglio
sembrare crudele alla ragazza.
Già, la ragazza: prende la sua sacca e, facendo attenzione di non
spaventare i colombi e neanche me, viene a sedersi sulla mia stessa panchina, ma sul confine estremo, timidamente.
"Ciao!" tento, ma non ho risposta: mi guarda le mani, invece, e
guarda i colombi.
"Bambini e polli non sono mai satolli!" faccio e mi sento un po'
idiota. Lei mi guarda un istante senza un'espressione definita, mi fa sentire ancora più idiota e subito guarda i colombi.
E, di nuovo, le mie mani.
Mi chiedo se non mi capisce o se è scema: gli occhi sono svegli,
ma non troppo. Ed è giovane, ma non una bambina.
Provo a tenderle il resto della pagnotta che sto spezzettando
perché lo offra lei ai colombi.
"Prendi! Non vuoi?".
Mi guarda incerta ed io sento un salto al cuore e smetto di
respirare. Finalmente allunga la mano e prende il pane. La mano
che sfiora la mia è fredda, quasi gelata. Oppure è la mia pelle ha preso troppo sole.
La ragazza accarezza la pagnotta come a spolverarla e se la
mangia: due, tre bocconi e la mezza pagnotta non c'è più!
Resto in silenzio qualche istante poi mormoro, non sapendo che
commentare: "Poveri colombi! E loro?".