La fontana di Cassiodoro (foto web 8b), chiamata erroneamente Aretusa, non è da identificarsi con l’Aretusa di cui parla Cassiodoro nelle Variae (Var. …): vi si oppongono l’ubicazione, secondo l’autore "dove la spiaggia incontra la collina", cioè all’inizio della salita che porta in cima al monte Moscio, e le caratteristiche della fonte stessa, secondo Cassiodoro simile ad uno stagno, circondata da canne e con l’acqua normalmente cheta, che però improvvisamente si muove, come in ebollizione. Una sorgente con queste caratteristiche esiste, ma non è la fontana di Cassiodoro; si trova invece dietro il cementificio abbandonato sulla vecchia statale 106. I vecchi del luogo ricordano che vicino alla sorgente c’era una grotta capace di dar posto a dodici muli. Il sito, all’inizio della salita per Stalettì, si presta ad un luogo di sosta per mulattieri; oggi vi sostano lucciole e coppiette clandestine.

La fontana di Cassiodoro è relativamente moderna e coeva, nella facciata, (a giudicare dallo stile) alla cappellina di fronte al Casino Pepe, ora una rovina, datata al 1807 da un’iscrizione sovrastante l’altare. La maschera della fontana, in particolare, non è antica, ma è un’imitazione di gusto prettamente ottocentesco (foto web 8).[24] I dati veramente importanti dal punto di vista storico ed archeologico sono l’interno della fontana, la cebbia e le condutture d’acqua circostanti - quei dati, appunto, ignorati dal piano regolatore di Stalettì.

L’interno della fontana è una grotta naturale, visibile attraverso un’apertura rettangolare (foto web 8a), nel 1960 ancora chiusa da un pannello in argilla con una grande croce latina; ce ne resta una foto.[25] L’interno, evidentemente anteriore alla facciata della fontana, è una grotta naturale, ora riempita nella parte inferiore di sabbia e di detriti.[26] Nella parte superiore e nella volta le pareti sono rivestite di mattoni, e sui mattoni c’è un rivestimento che dal colore pare cemento idraulico. L’acqua che filtra dalla roccia si raccoglie un un pozzetto quadrangolare, nella cui parte inferiore è intagliato un foro da cui l’acqua passa nel bacino esterno della fontana. Nell’interno, scalfita nella parete, c’è un’iscrizione (figxxxx), per cui ho proposto la lettura : J[esus]C[hristus] III ou [monogramma greco di omicron + u].[27] Con la croce, ora scomparsa, sul pannello esterno, e le due croci nella cebbia sottostante, l’iscrizione indica che il sito della fontana era considerato sacro.

Alla fontana è annessa una cebbia (cisterna) rettangolare per l’irrigazione dei campi. (fig. …., foto web 9). Secondo Rosario Froio, già custode del luogo, condutture in mattoni portavano l’acqua dalla fontana alla cebbia; ora il fango copre tutto, e non ricordo che alcun grido di dolore si sia mai levato per la cebbia, che pure lo meriterebbe appieno. La parete est della cebbia sembra di età medievale; quella sud fu, dicono, rifatta pochi anni addietro (di là si irrigavano i campi); quella ovest è invisibile, perché ricoperta da spessi cespugli, quella nord non è accessibile. Nella parete est c’è un nicchia incorniciata da un bordo in intonaco d’argilla, sormontata da una croce e da un’iscrizione scalfita nell’intonaco, che ho trascritto (fig……).[28] Dallo stile (apertura di tipo ogivale) si può datare genericamente questa nicchia al Medioevo, e la croce può trovare corrispondenza nelle sculture rupestri dell’Italia meridionale (particolarmente la Basilicata) studiate da Marina Falla Castelfranchi.[29] Anche qui, come nella la fontana sovrastante, c’era una costruzione preesistente: questa parete della cebbia è costruita direttamente su roccia granitica, e la nicchia si apre su un lastrone della roccia stessa, in cui è intagliato un foro circolare per il passaggio dell’acqua, simile a quelli trovati comunemente in condutture romane (foto web 9a).

La terza croce è scalfita nel cemento sul lato ovest della cebbia (fig…..). Questo è il lato che fu rifatto in epoca moderna, ma la croce forse riproduce una preesistente (ora scomparsa), ed è un ulteriore elemento a favore dell’ipotesi che quello fosse considerato un luogo sacro.

Al complesso fontana-cebbia sembrano appartenere anche i frammenti di tubature d’acqua pochi metri a monte della fontana (fig…., foto web 9b, 9c).La conduttura portava acqua dal Fosso della Coscia in direzione della fontana, sfruttando il declivio naturale della collina. Benché visibilissima, la conduttura non è mai stata pubblicata dagli appassionati di storia locale. Questo complesso si trova a pochi metri dalla Viaranda, una strada romana ancora intatta nella sua parte superiore. Ad esso devono aggiungersi i numerosi frammenti antichi di materiale da costruzione (mattoni, pietre squadrate od intagliate) rinvenuti nei prati sottostanti alla fontana di Cassiodoro ed al Casino Pepe; e quelli (concio d’arco, pietre squadrate) reimpiegati per la costruzione del Casino Pepe ed incorporati nei suoi muri, visibilissimi a chiunque prima della malaugurata ristrutturazione del Casino con fondi della Comunità Europea ad opera del Comune di Stalettì che, senza preoccuparsi di porre un tetto sul Casino, si è affrettato a ricoprirne le pareti di cemento (foto web 10).

A conclusione, si può dire che è tempo per un’approfondita indagine archeologica. Intorno al Casino Pepe alla Coscia di Stalettì sono ancora visibili reperti tardoantichi e medievali. Di per sé, ciò non prova che essi siano fossili delle fondazioni di Cassiodoro modificate in epoca medievale; ma il fatto che essi si trovino nella zona topograficamente indiziata vivariense e luogo di culto rende tale ipotesi molto probabile. Essa va quindi verificata. Si aggiunge agli altri indizi la tradizione orale, ancora viva fra la popolazione locale e non viziata da fonti più o meno erudite, che ha da sempre chiamato la fontana vicino al Casino Pepe la "fontana di Cassiodoro," ben nota a tutti, mentre l’Aretusa, è nota solo agli eruditi. Il burrone del monte di Stalettì, direttamente in faccia al Casino Pepe, si chiama nella parlata locale "burrone di Cassiodoro." Guglielmo Pepe, l’ultimo della sua famiglia che fu proprietario del Casino Pepe alla Coscia di Stalettì, ricorda i resti di "antiche piscine di Cassiodoro" vicino al Casino.[..] Fossero la cebbia od altri monumenti ora scomparsi, essi venivano attribuiti senza esitazione a Cassiodoro. La stessa sicurezza d’attribuzione si ritrova negli affreschi all’interno di Casa Rusidu, una dimora signorile ad Ariavucati, oggi di proprietà della famiglia Zaccone-Vitali.[30] Quella casa è molto vicina al fiume Alessi, e lì sono affrescati sulle pareti monaci vestiti di nero fra scene di lavori campestri e peschiere che ancora hanno un’arcata -il che corrisponde all’illustrazione del codice di Würzburg. Evidentemente la memoria di Cassiodoro e dei suoi monaci e dei vivai era ben viva al tempo dell’affresco, di cronologia ancora indeterminata, forse 1500-1700.

Che cosa si fa in per valorizzare il sito del Vivariense? Lo stato italiano non è rimasto inoperoso, mentre a livello locale occhio non vede e cuore non duole. Per la tutela paesaggistica ed ambientale, volta a preservare il carattere di feudo rustico della Coscia di Stalettì, ci sono stati interventi da parte del Ministero ai Beni Ambientali. e della Soprintendenza ai Beni A.A.A.S. di Cosenza, che ha proposto il vincolo paesaggistico (ora in itinere presso il Ministero) per la zona di Stalettì, e fece fin dal 1995 sopraluoghi con ricca documentazione fotografica. Si deve alla Soprintendenza di Cosenza anche la sospensione dei lavori al Casino Pepe. La costruzione a scopi non determinati di due casotti di cemento, iniziata da Guglielmo Pappalea, è ferma dal dicembre 1999. [31].Dal punto di vista archeologico c’è ancora tutto da fare: solo una delle mie segnalazioni alla Soprintendente dott.ssa Elena Lattanzi ha trovato riscontro, ma non c’è ancora stato un sopraluogo. [32] I mass media si occupano periodicamente dell’esterno della fontana, di S. Maria del Mar, ed ultimamente del Casino Pepe, ma tacciono sui siti veramente importanti, il che equivale a un depistaggio.

Si è parlato di speculazioni edilizie, e dell’atavico attaccamento dei proprietari alle loro terre, ma ciò non spiega lo spiccato carattere anticattolico di certe iniziative ed episodi di desacrazione. Al primo si possono ascrivere la sistematica laicizzazione dei nomi: la fontana di Cassiodoro diventa Aretusa, Serra della Croce diviene Villa Ciluzzi, Maria Madre di Dio è ora S. Maria del Mar. Episodi di desacrazione sono la rimozione o distruzione di immagini sacre, quali la croce attestata alla fontana di Cassiodoro, la sparizione di un quadro della Madonna con una pastorella alla cappellina Pepe, l’incuria riguardo alla cappella ed il mucchio di rifiuti provenienti dal ristorante "Le Terrazze" gettati vicino all’immagine della Vergine delle Rocce presso il tunnel di Copanello. Questi episodi sono espressione di una mentalità anticattolica, probabilmente espressione di correnti massoniche locali. Una verifica è impossibile, perché la massoneria è una società segreta, storicamente forte in Calabria, particolarmente fra gli intellettuali e la nobiltà - non quella antica, ma quella importata in Calabria con la formazione del Regno d’Italia, come ad esempio i Lucifero, proprietari di gran parte della Coscia di Stalettì. A Stalettì vi sono da diversi anni regolari sedute spiritistiche, si è aperta recentemente una nuova loggia massonica; e certo la distruzione, per incuria od altro, di qualsiasi monumento di origine religiosa ben si inquadra nei programmi di un movimento ispirato al volteriano "Ecrasez l’infame." Comunque sia, bisogna proseguire lungo linee di indagine archeologiche, continuando nell’azione di tutela già iniziata.

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Updated: February 24, 2000


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