Efelanti e noddole Il bird-man ha il proprio archetipo in Dedalo ed Icaro, uomini-uccello dall’opposto destino, perché il volo può mutarsi con identica facilità dal sogno all’incubo. Daidalos, "il cesellatore", dall’accadico dullu (lavoro), è legato sin dalle origini ad Efesto, il fabbro degli dei, ad indicare la conquista epocale dell’arte metallurgica, grazie alla quale l’uomo, non più solo ospite della natura, comincia a dare forma antropomorfica al mondo. Dedalo è anche colui che si lancia in volo verso il sole, verso la sua fiamma eterna (dal sumero dedal, "fiamma") grazie al sapere acquisito, mentre Icaro è ancora ikkaru ("contadino"), uomo della terra e che alla terra appartiene, incapace di elevarsi dal livello della propria naturalità. Dedalo è l’umano battezzato alla civiltà, ingegnoso non tanto per gli espedienti e i manufatti che riesce a realizzare quanto per la capacità di adattarsi alla nuova dimensione che il pensiero e le capacità tecniche dischiudono all’uomo; non lo tocca mai, né lo turba, l’idea che le proprie ali siano altro che artifici per raggiungere lo scopo; ne conosce il valore puramente funzionale e il grado di astrazione, che non muta la sua natura di animale terrestre. Icaro invece è uomo prefilosofico, e, incapace di simili astrazioni, vive il volo come mutamento ontologico della propria natura: questa l’inconsapevole ingenuità che lo porterà alla morte. L’immaginazione sa imbandire pasti sontuosi con ingredienti semplici; cucina popolare, certo, ma varia e gustosa. Non è indispensabile dare fondo alla propria fantasia, basta sorprendere la quotidianità con accostamenti sfasati nel tempo e nello spazio per dare luce ad animali straordinari: "La scimmia dell’inchiostro. Quest’animale abbonda nelle regioni settentrionali, è lungo quattro o cinque pollici, ed è dotato di un istinto curioso. […] E’ amantissimo dell’inchiostro di Cina: quando uno scrive, lui si siede con una mano sull’altra e le gambe incrociate, aspetto che quello abbia finito, e si beve il resto dell’inchiostro. Poi torna a sedersi accoccolato e resta tranquillo." (Wang Ta-hai) "E’ scossa per tutto il tempo da un fremito insistente. Al tremito sottentra poi un lieve palpitare, mentre sul corpo spunta una lieve peluria, crescono delle robuste penne, il naso si incurva e si indurisce, le unghie si ispessiscono e si fanno adunche. E così Panfile diviene un gufo" (Ovidio, Le metamorfosi o l’asino d’oro). E’ il desiderio, la passione per un uomo, la molla che induce Panfile a ricorrere al sortilegio che la muta in uccello. E’ il desiderio nella sua forma estrema, l’amore, ed il volare è suo simbolo e strumento, come insegnano le ali immacolate di Eros. Non è solo il medioevo ad essere fantastico, come nella felice definizione di Baltrusaitis. Un curioso bestiario moderno è, per esempio, quello creato da Woody Allen in Citarsi addosso. Mentre la ragione assopita genera mostri, la fantasia, dall’altra parte, se la spassa. Qualche chicca: "Il weal è unico tra i roditori in quanto lo si può prendere in braccio e suonare come una fisarmonica. Simile al weal è la lunetta, un piccolo scoiattolo che sa fischiare e conosce il sindaco di Detroit personalmente. […] Il nurk è un uccello lungo cinque centimetri che sa parlare ma continua a fare riferimento a se stesso in terza persona, per esempio ‘E’ un gran bell’uccellino, no?’. Il nurk appare anche nella mitologia babilonese; là è molto sarcastico e continua a dire: ‘Dai, piantala’". Sfogliando il Manuale di zoologia fantastica di Borges scopriamo che una parte consistente di quello scintillante bestiario è riservata alle fantasie di esseri volanti: simbolo tra i più universali, il volo evoca da sempre la libertà, l’affrancamento dai nostri limiti e dalla pesantezza della terra, ma anche la conoscenza, la rapida diffusione del sapere, nonché la potenza di chi domina dall’alto, di chi non ha nulla sopra di sé ed è sempre e solo soggetto del vedere, mai oggetto (come dimostra il ricorrere dell’aquila come simbolo del potere, dalle aquile dei Cesari a quella degli Stati Uniti, dall’aquila bicipite degli Asburgo fino a quella di Zeus). Come insegnano i voli pindarici, volare è questione mentale più che fisica. Eccone qualche esempio: il pèrito, secondo un testo arabo scomparso nell’incendio della Biblioteca d’Alessandria nel 640, ha la sua dimora in Atlantide ed è un ibrido di cervo ed uccello, testa e zampe del primo, resto del corpo del secondo; quando il sole lo illumina non proietta la propria ombra ma quella di un essere umano; secondo un oracolo della Sibilla Eritrea, i pèriti sarebbero stata la causa della distruzione di Roma. Le più note arpie sono animali alati velocissimi; l’iconografia virgiliana attribuisce loro viso di ragazza, artigli ricurvi ed un ventre perennemente insaziabile; invulnerabili, vere furie infernali, devastano ogni cosa trasformandola in escrementi. Nella fauna mitologica cinese si trova invece il ti-chang,, un uccello che abita le montagne celesti, vermiglio, con sei zampe e quattro ali ma né faccia né occhi. Alla fantasia dei boscaioli nordamericani si devono il Goofus Bird , uccello che costruisce il nido a rovescio e vola all’indietro perché gli importa non dove va ma dove stava, il Gillygaloo, che deposita uova quadrate perché non si perdano rotolando, e il Pinnacle Grouse: ha un’ala sola per cui ruota perennemente compiendo sempre lo stesso periplo attorno ad una montagna conica; il colore delle sue piume varia secondo le stagioni e la condizione dell’osservatore. Infine, la Fenice: la leggenda egizia parla di un uccello immortale che risorge periodicamente dalle proprie ceneri, ma Tacito, con la pragmaticità dei latini, parla di una vita di millequattrocentosessantuno anni, che Plinio estende ad un intero anno platonico (circa dodicimila anni). Destino esemplare, quello della fenice, tanto da guadagnarle quella vita e quell’immortalità che gli zoologi le hanno rifiutato: risorta dalle ceneri in Ovidio, Dante, Shakespeare, Pellicer, Quevedo, Lattanzio, Milton, il filosofo cristiano Tertulliano ne fece addirittura una prova della resurrezione della carne. Altra razza di creature zoomorfe sono quelle che si generano dalle pieghe del linguaggio e che, al contrario di animali mitologici come il centauro o la chimera, si sostanziano proprio dell’assenza di sostanza, né alti né bassi, né vertebrati né invertebrati, né piumati né implumi, informi creature dalla pelle di parole. Per questi strani animali verbali la nostra epoca, dedita al culto della concettualità più che alla passione tassonomica degli antichi, ha avuto un gusto particolare: come il lonfo delle poesie metasemantiche di Fosco Maraini, bestia curiosa che "non vaterca né fluisce e molto raramente barigatta", "frusco" e sempre "pieno di lupigna"; "se cionfi ti sbiduglia e t’arrupigna/se lugri ti botalla e ti criventa"; volentieri "gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto/t’alloppa, ti sbernecchia, e tu l’accazzi". Identico habitat puramente verbale è quello del sarchiapone, protagonista di un noto sketch televisivo degli anni Cinquanta riportato in auge dalla lettura semiotica di Eco in Kant e l’ornitorinco: in uno scompartimento ferroviario, un passeggero invita a non fare rumore per non disturbare il sonno del sarchiapone nella sua cesta; Walter Chiari, volendosi mostrare disinvolto, finge di conoscere l’animale e comincia a descriverne con prosopopea le caratteristiche, in un crescendo surreale dove all’ostentata perplessità del passeggero fa eco l’imbarazzo di Chiari, costretto ad una continua ed affannosa rettifica delle sue affermazioni, negandole, ritrattandole, fino ad esplodere in un’invettiva finale di fronte a questa bestia "schifosa" che non ha becco, zampe, zoccoli, penne, squame, peli, coda, occhi, lingua (essendo, come si viene a scoprire subito dopo, pura invenzione verbale del suo interlocutore). Un animale fantastico, fatto di niente. |