Saramago, Saggio
sulla luciditą
Di Saramago mi affascinano molte cose: il Portogallo e quel senso portoghese di un'eterna decadenza, il tono costantemente malinconico e pensoso dei suoi romanzi, il coraggio di scrivere dialoghi metafisici e coerentemente irrealistici, quel modo di raccontare storie che nelle parole sospese dei suoi protagonisti sembrano avviarsi stancamente, in qualche modo oscuro, verso il loro destino, quella capacitą di partire da una situazione paradossale (eppure semplice, come l'epidemia di cecitą di Cecitą o la deriva della penisola iberica ne La zattera di pietra: massimo risultato con minima quantitą di mezzi) e di dedurne le conseguenze con assoluta coerenza; quella saggezza, mi verrebbe da dire, che solo pochi e per poco seppero farsi bastare per vivere, uomini come Eraclito, Nietzsche, Spinoza. Le ho ritrovate tutte in questo Saggio sulla luciditą, dove Saramago torna alla scrittura fitta che aveva abbandonato ne La caverna. Che dire? Non vedo l'ora di leggere Le intermittenze della morte.
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