KOAN ZEN
 
 





Il koan è un espediente che può permettere al discepolo di ottenere l'illuminazione. Su un koan, che è largamente usato nel Buddhismo Ch'an e, più tardi, nello Zen Giapponese, si deve riflettere. Il koan si presenta come una sorta di enigma, del tipo: "Non mi ci raccapezzo!" Rappresenta una sfida alla mente, più che all'intelletto. Diverse sentenze, nel Ch'an e nello Zen, sono state usate come materiale per i koan. Il koan potrebbe essere imperniato sulle frasi dei maestri, sullo scambio verbale tra un maestro e i discepoli, su alcuni brani dei Sutra, e così via. In determinate circostanze, qualcuno ha raggiunto l'illuminazione. Il koan è un "caso", che attesta l'accesso a un altro piano di realtà. Colui che medita sul koan può rivivere le stesse esperienze dei suoi protagonisti. Un discepolo deve assegnare al koan un'importanza centrale in tutta la sua vita: deve concentrarsi costantemente su di esso, impedendo al pensiero di spingersi altrove. E' facile capire che il compito è piuttosto arduo da svolgere.

Esistono tre importanti raccolte di koan nel Ch'an e nello Zen: "La barriera senza porta" (cinese: Wu-men kuan), "La raccolta della roccia blu" (Pi-yen lu) e "Il libro della serenità" (Ts'ung-jung lu). Due koan sono particolarmente rilevanti, e vengono assegnati ai novizi nella scuola Rinzai. "Un discepolo domandò al patriarca (cioè a un maestro Ch'an/Zen): "Un cane ha la natura buddhica?" Il maestro rispose: "Wu" (No). Questo koan costituisce un problema. La natura buddhica è una componente che tutti gli esseri viventi posseggono. Come può un cane esserne escluso? Alcuni dicono che la risposta wu (giapponese: mu) dev'essere interpretata foneticamente, come imitazione dell'abbaiare d'un cane. Comunque sia, non c'è niente da fare: ogni chiave di lettura di un koan si rivela inadeguata. Ciò nonostante, un discepolo deve riflettere ugualmente sul koan, esaminando tutte le interpretazioni possibili: poi le sopprimerà una per una, per capire che sono tutte insignificanti e insoddisfacenti. Un altro koan è, se possibile, ancora più sconcertante: "Ascolta il suono di una mano sola" (fu elaborato da Hakuin, un maestro Zen). A riguardo, vale lo stesso discorso relativo al koan precedente.

Questa tecnica può essere usata con buoni risultati anche in psicoterapia. E' importante far capire al cliente che i suoi sintomi non posseggono né significato né consistenza. In questo modo, egli se ne sbarazzerà. Un esempio tratto dalla pratica clinica può essere stimolante a riguardo. Di volta in volta, un cliente insiste sullo stesso argomento: la sua fobia delle altezze, cioè dei luoghi elevati. Egli descrive perfettamente l'angoscia e i sintomi che lo assalgono in certe occasioni. E ora attende una risposta dal terapeuta. Dopo una lunga pausa, per tutta risposta, lo psicologo dice: "Dunque, mi par di capire che Lei ha paura dei luoghi elevati, e che in certe occasioni è assalito dall'angoscia." Tutto qui. A questo punto, si presentano al cliente due alternative: può andarsene, e cercare un altro terapeuta, ammettendo però, per il momento, di aver fallito; oppure, potrebbe capire che le parole del terapeuta posseggono un significato intimo, che va ponderato. In questo caso, il cliente può concentrare la sua attenzione sulla risposta, come se fosse un koan. E chissà...dopo qualche tempo, potrebbe persino arrivare a comprendere che esiste un altro piano di realtà, inaccessibile alla logica e al linguaggio!

(Ho sviluppato la questione in un articolo: "La pratica del Buddhismo Zen nella psicoterapia", "Studi Urbinati", B/2, 1983).

BIOGRAFIA


HOME 1