di Leonardo Arena
(da: La storia di Rama, citazione in calce)
Un dolore può trasformarsi
in versi…
Commentario al Ramayana
Colui da cui son sorti tutti
gli esseri,
e da cui tutto è pervaso
-
adorandolo, compiendo il suo
dovere,
attinge perfezione l'uomo.
Bhagavad-Gita, 18, 46
Valmiki era un famoso veggente. Il suo potere
di previsione varcava i confini del mondo.
Riusciva a spostarsi persino oltre il Meru,
la montagna sacra al centro dell'universo.
Ma neppure lui era capace di contemplare la
perfezione. Aveva cercato a lungo un uomo che la incarnasse, ma rimaneva
deluso. A suo dire, un simile modello non esisteva.
Allora si recò da Narada, il saggio
della foresta. Costui conosceva i segreti degli uomini. Leggeva nei loro
cuori come in un libro aperto, e sapeva soddisfare le aspettative di Valmiki.
"Ho bisogno di apprendere. Dimmi dove si trova
l'uomo autentico, emblema della completezza e dell'illuminazione.
Ne esigo il coraggio e la solidarietà,
accanto alla compassione e alla gentilezza. Né l'arroganza né
la prepotenza macchieranno mai il suo spirito!"
Valmiki si era espresso con voce perentoria,
quasi minacciosa.
Dopo una lunga pausa, Narada replicò.
Ricercava l'attenzione e la profonda comprensione dell'altro.
"L'uomo perfetto non è ancora al mondo.
Ma sta per arrivare, lo vedrai. Vorrei narrarti le sue avventure, però
ne lascerò a te l'onore. Tanto più che avrai la fortuna di
incontrarlo."
L'eremita riferì del grande Rama, l'incarnazione
della completezza. Ma fece solo cenni, suscitando la curiosità dell'interlocutore.
"E' tardi. Devo andare, la foresta mi sta
aspettando."
Valmiki si allontanò lentamente, nella
speranza che il saggio gli donasse una parola in più.
Quando calano le tenebre, nella boscaglia
si incontrano creature di ogni tipo. Camminano insieme o da sole, affascinate
dai bagliori del crepuscolo.
Valmiki ne intravide due. Sembravano uccelli,
ma erano uomini. Stupendi, nelle loro movenze leggiadre, tessevano una
danza. Coi passi non facevano rumore, e animavano l'aria.
"Forse sto sognando…Ma se anche fosse, non
vorrei svegliarmi!"
Il canto di quegli esseri bizzarri gli dava
i brividi. Valmiki si sentiva inebriato, come se gli dei lo portassero
in alto, tra le nubi del cielo.
Ma lo spettacolo fu interrotto da un grido
di dolore. L'imponente uomo uccello fu centrato da una freccia. E cadde
a terra, con la delicatezza di una fiamma che si spegne.
Fu un'agonia veloce. La sua compagna gli restò
accanto sino all'ultimo.
"Ti chiuderò gli occhi, vittima innocente
della follia degli uomini!"
La donna uccello era pronta a morire; senza
il suo amante la vita non aveva senso.
Fu Valmiki a raccoglierne l'amarezza, i pianti
sommessi e lo sconforto. Intanto un cacciatore si allontanava rapidamente.
Sogghignando, era appagato dal suo gesto assurdo. Chissà quanti
altri dardi avrebbe scoccato sugli inermi, per sete di violenza!
Nella sua capanna, Valmiki si mise a riflettere.
Un simile tormento era insopportabile: creature così incantevoli
non dovrebbero perire!
A un tratto, il dio Brahma apparve sulla soglia.
"Sei limitato, vecchio. Né sai apprendere
dall'esperienza!"
Ma Brahma non era lì per rimproverarlo.
Al contrario, voleva dargli un suggerimento. La sua vita sarebbe presto
cambiata.
"Cerca di ricordare. Quei lamenti…l'alato
trafitto…la sua dolce morte…Possibile che tutto ciò non ti dica
niente?"
Valmiki lo intuì. I sospiri dell'uomo
uccello rispettavano la cadenza di un verso. Ma si trattava di una metrica
nuova, non ancora sfruttata.
"Ti verrà accreditata l'invenzione
di una rima, lo shloka, con cui comporrai un poema…"
Ormai Valmiki aveva capito, ma voleva che
fosse Brahma a dirlo.
"Canterai le gesta di Rama, l'uomo perfetto,
su questa nuova cadenza. L'ignoto ti sarà rivelato, e il mondo non
avrà segreti. Sei adatto a celebrare questo eroe.
Un nuovo ciclo inizia, Valmiki, e ne sarai
il poeta. Finché i monti e le acque saranno al loro posto gli uomini
si ricorderanno della tua opera. Ne evocheranno i ritmi, piegandoli alle
esigenze della narrazione orale.
Non deludere, ti prego, la mia fiducia."
A quel punto il vecchio sapeva cosa fare.
Era buio, e nella foresta non si udiva neppure una voce. Gli uomini e gli
animali riposavano, mentre le piante e i sassi se ne stavano immoti. Nel
silenzio avvolgente Valmiki era pronto a srotolare il tappeto dei suoi
sogni. Avrebbe affiancato Rama, per seguirne le imprese. Avrebbe descritto
in tonalità soavi i desideri, i legami e gli affetti, che formano
il tessuto della vita umana. Nel cantarne, sarebbe stato attento alle minime
mosse degli dei, e alle creature ibride che lasciano i loro nascondigli
per recare sgomento o soccorso. Avrebbe abitato altri mondi, pur non appartenendovi.
Era diventato un altro, e lo attendeva un'epoca
indefinibile. Dove il divino è in agguato, per impartire insegnamenti
agli eroi o magari riceverne.
Le parole presero a fluire nella sua mente,
mentre le sillabe dell'alfabeto sanscrito si spargevano sulla carta.
Era come se i protagonisti, santi o malvagi,
gli scorressero davanti agli occhi. E recassero il frutto del suo sguardo.
Il viaggio iniziava.
(da: La storia di Rama, di Leonardo Arena, Milano, Mondadori 2000, pp. 29-32.) ©2000 Arnoldo Mondadori Editore