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Il Mazzone degli antichi Romani si ebbe il famoso appellativo di <Campo Stellato> per la spontanea vegetazione di erbe aromatiche, di fiori di ogni specie e particolarmente di margherite primaverili, che costellavano la zona a guisa di stelle boccheggianti dal suolo.
Tito Livio nel 9° Libro parla di incursioni fatte dai Sanniti "in Campum Stellatem"; nel 22° libro narra che Annibale, dopo essersi insediato a Capua, venne col suo esercito a predare nel Campo Stellato: "In Campum Stellatem descendit". La colonizzazione del Campo Stellato comincia da Giulio Cesare e da Augusto. Infatti la legge di dividere il Campo Stellato fra la plebe romana fu proposta dal console Ruffo verso l'80 a.C.. Cesare distribuì le terre ai suoi legionari. E di questo troviamo conferma da lapidi rinvenute fra i ruderi, così fa fede anche una pietra confinale tuttora murata nella Torre del Frascale fra Capua e Grazzanise con la scritta leggibile nonostante l'offesa del tempo:"Caius Iulius Caesar Diomedi Campano donavit pedes...". Una lapide rinvenuta nella Torre di Augusto, in agro di Grazzanise e riposta nel Museo Campano di Capua recita: "Veneri Genitrici et Genio Augusti Caesaris Colonia Iulia - Fel. Pace Composita - Dedicavit IV Kal. Dec. ecc"
La denominazione di Mazzone origina dal Medio Evo e dai re Aragonesi, che ivi avevano Reali Tenute e Casini di Caccia. Il Panormitano parla del Re Alfonso I d'Aragona, che andava a caccia nel Mazzone delle Rose: "Venabatur rex in campis, quos rosarum vocant". A questo proposito è molto suggestiva la storia del miracolo ad opera di S. Massimiliana Bona e di cui questo re fu testimone. Lo stesso Re Ferdinando I°, che era assiduo nella caccia nelle selve di Grazzanise e alla Real Tenuta di Carditello, concesse alla città di Capua il diritto di pascolare e di fienare nel Mazzone delle Rose "senza pagare cosa alla Regia Corte".
Però come dagli antichi Romani il Campo Stellato fu lasciato incolto (fu descritto da Cicerone "basso, paludoso e inarato e solo abbondante di buon pascolo per gli armenti), il Mazzone delle Rose, tranne una piccola porzione coltivata per i bisogni delle popolazioni locali, fu tenuto allo stato selvaggio in preda all'acquitrino e alla malaria, ingombro di selve e di boschi, dove si custodivano le fiere e la selvaggina per le battute di caccia dei Re e dei nobili del Regno napoletano.
(...) Ed è chiaro che il Mazzone era in gran parte una plaga infeconda, malsana e insicura, dove indisturbato pascolava il bufalo selvaggio e nelle inaccessibili tenute, cintate da argini folti, viveva il buttero bufalaio e non arrivava l'eco della civiltà e del lavoro, conferendo a queste contrade uno sfondo tragico, se pur qualche volta esagerato, in cui si annidavano e prepotentemente spadroneggiavano la delinquenza e la teppa, che all'imboscata e alla macchia insidiavano e danneggiavano il prossimo in mille guise, con lettere anonime di minaccia, di ricatto e di vigliaccheria, con incendi di casolari, di porte e di portoni, di fienili, di biche di grano, di foraggio e di paglia, con uccisone sistematica di animali, fucilate alle finestre delle abitazioni, tagli di frutteti, risse cruente e sparatorie nelle campagne e nei paesi, ed anche non rare volte con furti e omicidi terrificanti.
(...) Il Mazzone, visto nella leggenda, emerge dalla fantasia suggestionata come la livida palude, satura di miasmi esiziali, intricata da boscaglie pestilenziali e paurose e abitata da uomini fuori legge senza scrupoli, senza morale, associati a delinquere! Invece il Mazzone guardato nella realtà storica e nella sua vera anima è un'altra cosa.
Il Mazzone nella sua verde, lussureggante vegetazione, che si perde a vista d'occhio nelle apriche distese campestri, offre uno stupendo spettacolo d'incanto allo sguardo ammirato. In mezzo alla terra in fiore, alla campagna in canto e in amore, si partecipa alla bellezza esuberante del Creato: fremiti immensi di vita rampollano dalle vive membra, che si perdono lentamente all'infinito nella sconfinata pianura libera e feconda del Mazzone, tra effluvi agresti, nitriti, muggiti, belati, grida, scalpitii in un meraviglioso spettacolo semplice, grande e solenne di fecondità, di forza e di lavoro. Chi immaginasse il Mazzone in ben altra maniera si ingannerebbe, e non risponde alla verità e alla storia voler in malafede vedere la tradizione e il folclore locale nel tipico mazzonaro malfamato, con stivaloni di cuoio e cappellaccio a tesa, piantato sul fido cavallo...
...Gli abitanti, i Mazzonari, come con ingiustificato, malcelato disprezzo spesso ci si noma, sono autenticamente puri, insospetti, ardimentosi e generosi... Il mazzonaro è nemico della doppiezza e dell'ipocrisia, espansivo, ospitale, generoso, benigno, sociale, intelligente: quindi portato naturalmente al sentimentalismo, all'entusiasmo, all'affetto eccessivo, all'emotività, alle soddisfazioni spirituali, morali e materiali e, di conseguenza, alle reazioni in difesa del pane e dell'onore e perciò stesso alle inevitabili delusioni e depressioni di spirito che incidono sull'animo sensibile, nobile ed elevato, per innominabili malvagità e animosità...Così come forte è la terra argillosa del Mazzone, maschie e forti sono le figure dei suoi abitanti: gli uomini bruni, robusti, vivaci e intelligenti, le donne rosee, prolifiche e formose, la sanità della stirpe e la vera ricchezza della carne e del sangue.(...)
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