Ordine del giorno di minoranza alla Direzione nazionale 14 aprile 1999
La lotta contro la guerra della Nato asse centrale dell'impegno dei comunisti
Quello che segue è l'ordine del giorno presentato da Marco Ferrando, a nome della minoranza del Partito, nella Direzione nazionale del Prc del 13 aprile scorso. L'odg è stato respinto a maggioranza con 10 voti a favore.
La Dn assume la lotta contro la guerra della Nato nei Balcani come asse centrale di mobilitazione di tutto il partito.
La Dn denuncia innanzitutto la squallida ipocrisia delle motivazioni "umanitarie" fornite dalla Nato, dai governi occidentali, dalla loro diplomazia, per giustificare l'aggressione alla Serbia: la distruzione sistematica dell'economia e infrastrutture della Jugoslavia, i bombardamenti a tappeto sulle città, con ripetute stragi di civili, il drastico precipitare delle condizioni dello stesso popolo kosovaro, oggetto sia di atroci deportazioni da parte delle bande di Milosevic, sia dei bombardamenti occidentali, rappresentano la migliore smentita delle sensibilità "umanitarie" di un Occidente che continua a sostenere l'oppressione kurda, il genocidio antirakeno, l'oppressione del popolo palestinese. Demistificare questa ipocrisia, contrastare l'intossicazione bellicista, è dunque la prima necessità.
Ma al tempo stesso è essenziale denunciare le ragioni vere e materiali di questa aggressione. Questa è una guerra imperialistica, dettata da interessi strategici, economici, militari, delle potenze imperialistiche: interessi tra loro convergenti e al tempo stesso contraddittori.
L'imperialismo Usa, primo gendarme del mondo, mira con questa guerra sia ad assicurarsi una presenza militare nei Balcani in funzione antirussa, sia a ribadire la propria egemonia militare in Occidente per compensare la crescente potenza economica europea e prevenire le sue ricorrenti tentazioni di autonomia militare.
I capitalismi europei a loro volta ben lungi dall'essere ridotti a colonie americane, coltivano precisi interessi imperialistici nei Balcani: l'imperialismo tedesco che ha già assimilato la Croazia ha interesse a rimuovere l'ostacolo serbo per espandere ulteriormente la propria penetrazione; l'imperialismo francese che sino a ieri ha sostenuto e armato Milosevic in funzione antitedesca, mira ora alla sua sconfitta per partecipare alla divisione delle spoglie.
L'imperialismo italiano, seconda potenza dopo la Germania nei Balcani, mira a conservare ed allargare il proprio spazio balcanico in diretta concorrenza antitedesca.
E' dunque il neocolonialismo che si affaccia in questo fine secolo dall'Irak ai Balcani. Il crollo dell'Urss gli ha sgomberato il campo. La crisi economica ha moltiplicato i suoi appetiti. L'omologazione della socialdemocrazia europea gli ha fornito la necessaria copertura nelle retrovie. Ogni vecchia finzione diplomatica e "costituzionale" viene così stracciata e l'esibizione della forza viene assunta quale unica legge dell'ordine mondiale, entro un'autentica svolta d'epoca generale.
La lotta contro la guerra nei Balcani va apertamente connessa con la lotta aperta agli interessi imperialistici che l'hanno sospinta. I comunisti sono gli oppositori più irriducibili al regime di Milosevic, sia per ragioni democratiche, sia per ragioni di classe. Ne condannano senza riserve o minimizzazioni, il carattere oppressivo e spietato sia verso i lavoratori serbi, sia verso la popolazione kosovara. Denunciano la funzionalità della vecchia burocrazia dominante alla restaurazione capitalistica in Serbia e la sua trasformazione nella nuova borghesia. Ma il rovesciamento di Milosevic dovrà essere opera del movimento operaio serbo e delle masse oppresse non dei bombardieri occidentali e dei loro interessi coloniali. Una vittoria politico-militare degli interessi occidentali in questa guerra, sarebbe una vittoria sul popolo serbo e su tutti i popoli oppressi della regione (kosovari inclusi) entro una nuova spartizione di equilibri e zone di influenza. Una soluzione diplomatica che sancisse questa vittoria rappresenterebbe non la vittoria della "pace", ma dell'imperialismo, fonte prevedibile oltretutto di nuove convulsioni e nuove guerre.
Per questo i comunisti rivendicano la completa solidarietà al popolo serbo aggredito contro l'aggressione imperialistica e per la sconfitta dell'imperialismo. Per questo denunciano apertamente la politica di fronte comune dei vertici Uck con l'aggressione occidentale ai danni degli stessi diritti di autodeterminazione del popolo kosovaro che sono incompatibili con un protettorato coloniale.
In realtà il dramma dei Balcani è la riprova dei disastrosi effetti della restaurazione capitalistica in quella regione e del carico di barbarie che essa reca con sé. Per questo, alla restaurazione capitalistica e alla colonizzazione occidentale della regione, i comunisti oppongono la prospettiva strategica di una Federazione socialista dei Balcani quale unica possibile cornice per i diritti di autodeterminazione di ogni popolo balcanico e dello stesso popolo del Kosovo. In questo senso riprendono e attualizzano le posizioni originarie del movimento comunista jugoslavo e le posizioni espresse dagli stessi comunisti serbo-kosovari nel 1944.
I comunisti non solo non avallano, ma combattono le illusioni sull'Onu, tuttora diffuse nel movimento pacifista. Né l'Onu né "conferenze di pace" sui Balcani condotte dalla diplomazia imperialistica possono rappresentare un'alternativa all'imperialismo. Al contrario, prima la guerra dell'Irak, poi l'aggressione nei Balcani hanno chiarito definitivamente il ruolo reale dell'Onu come copertura diplomatica ipocrita delle mire occidentali. In alternativa alla diplomazia ufficiale dei padroni del mondo, i comunisti rivendicano l'iniziativa internazionale e di classe del movimento operaio e delle masse oppresse, lavorando a ricomporre un tessuto di solidarietà, un punto di vista comune, un'azione indipendente dei lavoratori.
E' un'impresa difficile, ma non ha alternative. Solo un movimento operaio occidentale che recuperi autonomia dai propri governi schierandosi contro l'aggressione alla Serbia può porsi come sponda per i lavoratori serbi aiutandoli ad opporsi al regime. Solo un movimento operaio serbo di opposizione al regime che assuma la difesa dei diritti di autodeterminazione del Kosovo può porsi come sponda sia dei lavoratori d'Occidente, sia dello stesso popolo kosovaro aiutando quest'ultimo a liberarsi dalle illusioni suicide nel colonialismo occidentale.
In questo quadro, la Dn impegna il Partito a lavorare, in tutte le forme possibili, per un'azione internazionale del movimento operaio dei paesi aggressori contro la guerra e a ricercare un dialogo diretto con le espressioni indipendenti del movimento operaio serbo.
I comunisti assumono la guerra in Europa come nuovo spartiacque all'interno del movimento operaio europeo. La guerra nei Balcani è la migliore dimostrazione della funzionalità delle socialdemocrazie europee agli interessi dell'imperialismo: non solo in politica interna, ma di riflesso nella stessa politica estera. Peraltro la guerra ha chiarito definitivamente l'inesistenza di qualsiasi contrapposizione, persino democratica, tra la linea Blair e la linea Jospin. Lo slancio di Jospin sul terreno della guerra è la migliore riprova della sua organica fedeltà agli interessi dell'imperialismo francese e Occidentale.
La costruzione di un'altra sinistra europea, nel segno di un'aperta alternativa alla socialdemocrazia e di un'opposizione aperta ai suoi governi si ripropone dunque tanto più oggi come compito centrale dei comunisti. Questo compito richiede un'immediata chiarificazione nello stesso attuale raggruppamento della "sinistra alternativa" europea. La Dn considera infatti gravissima la partecipazione del Partito comunista francese ad un governo guerrafondaio, ritenendola francamente incompatibile con una comune aggregazione politica. Per questo chiede pubblicamente ai compagni francesi di rivedere immediatamente la loro attuale posizione e collocazione. Più in generale l'atteggiamento verso la guerra e i governi che la promuovono va assunto da ora come terreno dirimente nella costruzione di un'altra direzione del movimento operaio internazionale, di un'altra sinistra.
La Dn, infine, impegna da subito l'intero partito e le sue organizzazioni sul terreno dell'azione politica immediata per la costruzione di un movimento unitario contro la guerra e contro il governo D'Alema. E' necessario costituire dunque comitati unitari contro la guerra non come cartelli di sigle, ma come comitati d'azione capaci di coinvolgere dal basso, al di là di ogni steccato, nei luoghi di lavoro e sul territorio, tutte le energie disponibili a mobilitarsi per la cessazione immediata dei bombardamenti. E' necessario promuovere in tutto il Paese e davanti alle basi e installazioni militari presidi e manifestazioni, portare in ogni sede istituzionale l'opposizione aperta alla guerra e al governo che la promuove, respingere o rivedere qualsiasi alleanza elettorale o di governo con le forze di centro sinistra, oggi schierate a sostegno della guerra.
E' necessario soprattutto sostenere la prospettiva dello sciopero generale contro la guerra, in opposizione frontale alla capitolazione delle burocrazie sindacali. In questo quadro va dispiegato il più vasto fronte di dialogo e interlocuzione con il popolo della sinistra entrando nella contraddizione enorme che la guerra ha aperto tra la cultura di intere generazioni e la politica militarista del governo. o
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