L'analisi di Michel Chossudovsky

Il ruolo del Fmi nello smantellamento della ex Jugoslavia

A che cosa si deve la disintegrazione dell'ex Jugoslavia e il seguito di scontri sanguinosi e barbarici che si succedono da un decennio in questa regione dell'Europa?

La tesi meno semplicistica diffusa dai media occidentali — e cioè che tutto ciò sia il prodotto di storiche divisioni etniche, religiose e culturali di cui si alimenta la peste del nazionalismo (la tesi più semplicistica si limita a caricare ogni colpa sulle spalle di Hitler-Milosevic) — in realtà non spiega un granché. Essa non spiega, ad esempio, perché questi retaggi storici non hanno impedito la formazione ad opera di forze "interne" assolutamente "multietniche" (i partigiani comunisti di Tito, e non l'Armata rossa sovietica) della federazione jugoslava e a quest'ultima di conseguire rilevanti risultati non solo in campo internazionale, ma anche in campo interno e in particolare nel miglioramento dei rapporti fra le varie comunità e anzi l'incontestabile formazione di un nuovo senso comune — di una comune identità "jugoslava" — che per vari decenni è stato in grado di mitigare, se non di superare del tutto, i vecchi odi e rancori ereditati dalla storia.

E non spiega, soprattutto, perché questi vecchi conflitti si siano riaccesi e siano diventati incontrollabili proprio a partire dalla metà degli anni ottanta e poi negli anni novanta, e cioè in relazione con il processo di progressiva restaurazione del capitalismo in Jugoslava, sotto la regia del Fondo monetario internazionale e le pressioni delle diverse potenze imperialiste, in primo luogo la Germania e gli Usa, interessate a espandere i loro affari in questa regione.

Sul ruolo giocato da queste forze esterne (ovviamente in connessione con le diverse fazioni "interne" della burocrazia), e in particolare sul ruolo decisivo del Fondo monetario internazionale e dalle istituzioni finanziarie internazionali nel promuovere le "riforme" e le trasformazioni economiche che hanno precipitato la Jugoslavia in una crisi economica e sociale profondissima, contribuendo così a risuscitare e ad esacerbare le vecchie contrapposizioni nazionalistiche, ha condotto una ricerca molto seria e documentata Michel Chossudovsky, docente di economia all'università di Ottawa (Canada), pubblicata nel 1995 col titolo Dismantling former Jugoslavia, recolonising Bosnia (Smantellare la Jugoslavia, colonizzare la Bosnia).

Non abbiamo qui lo spazio per pubblicare questo studio (ampi stralci sono stati pubblicati anche da "Liberazione" l'8 aprile scorso). Chi fosse interessato può trovarlo integralmente (in inglese) sul sito Internet di "Proposta".

Che la distruzione dell'ex Jugoslavia sia stata coscientemente perseguita dall'imperialismo è dimostrato efficacemente da Chossudosvky il quale cita, fra gli altri, anche un documento segreto dell'amministrazione Reagan, parzialmente declassificato nel 1990 — la National Security Decision Directive n. 133 (Nsdd 133) del 1984, intitolata La politica degli Stati uniti verso la Jugoslavia — in cui si dice che gli Usa devono "sviluppare gli sforzi per promuovere una "rivoluzione pacifica" per rovesciare i governi e i partiti comunisti" e per "ricondurre l'Europa orientale nella sfera del libero mercato".

In effetti, le riforme pretese dal Fmi in cambio dei prestiti concessi negli anni ottanta alla federazione jugoslava e in seguito alle diverse repubbliche, da un lato hanno provocato una drastica caduta del livello di vita delle masse (inflazione galoppante, blocco dei salari, disoccupazione, tagli allo "stato sociale"), dall'altro hanno smantellato i capisaldi dell'economia "socialista" jugoslava (liquidazione dell'autogestione e della proprietà sociale delle imprese nel 1989, legge sui fallimenti, privatizzazioni) e dello stesso sistema economico-finanziario delle federazione (la "riforma" delle banche nel 1991). In particolare lo sospensione nel 1990 dei trasferimenti da Belgrado alle repubbliche e alle province autonome "ha innescato il processo di balcanizzazione politica e di secessione economica" delle diverse parti della Jugoslavia. "Le misure di austerità, sostenendo gli interessi strategici stranieri, gettarono le basi per la "ricolonizzazione" dei Balcani".

In questo contesto di crisi economica che si andava sempre più trasformando in crisi sociale, politica e istituzionale (ma che vedeva ancora nel 1989 una dura resistenza operaia che accomunava tutte le componenti etniche), si inserirono infine gli spregiudicati interventi a favore della secessione della Croazia e dello Slovenia da parte della Germania (e del Vaticano…) la quale "forzò la mano" nella stessa direzione agli altri paesi imperialistici, inizialmente più prudenti. Fu l'inizio dei conflitti armati. La guerra, mentre faceva precipitare le condizioni di vita dei lavoratori e delle masse e distribuiva lutti e devastazioni, apriva agli imperialisti nuovi spazi di inserimento, sia sul piano politico-militare, sia sul piano economico (prestiti, commesse, acquisizioni a prezzi di saldo degli impianti industriali e delle ricchezze naturali, "ricostruzione", ecc.). E' ancora la storia di questi giorni…

In conclusione, secondo Chossudovsky, alla radice della crisi stanno vari fattori ma un peso decisivo hanno avuto la ristrutturazione economica attuata secondo i dettami neoliberisti, la fine delle imprese autogestite, la disoccupazione di massa, le mire delle multinazionali occidentali; così sono tornati prepotentemente alla ribalta le divisioni etniche: che sono una conseguenza, piuttosto che una causa, del processo di lacerazione del paese. Quella della Jugoslavia è una storia che riflette, portato all'eccesso, il fallimento di un modello economico che in realtà è stato imposto a tutto il mondo…

[scheda a cura di Tiziano Bagarolo].

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Ultimo aggiornamento: 30 maggio 1999.

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