Il IV Congresso del Partito della rifondazione comunista
SUCCESSO E RAGIONI DELLA SINISTRA RIVOLUZIONARIA
di Marco Ferrando
Il IV Congresso nazionale del Prc ha registrato, incontestabilmente, una affermazione significativa della seconda mozione congressuale. Tale affermazione si esprime innanzitutto nel risultato numerico conseguito: il 16% dei consensi indica di per sé un dato assai superiore alle diffuse previsioni precongressuali ed una assoluta sorpresa per la stessa maggioranza dirigente del partito.
Questo dato peraltro può essere adeguatamente valorizzato nella sua straordinarietà se si considera il contesto politico di fondo in cui si è prodotto, contesto ben diverso da quello del '96:
Il gruppo dirigente del partito si è presentato al congresso dopo una ricollocazione all'opposizione e quindi con una maggiore potenzialità di capitalizzazione di spinte e illusioni "di sinistra".
Il corpo collettivo della vecchia sinistra interna aveva subito per due anni gli effetti di logoramento della collocazione governativa del Prc, che pure aveva contrastato.
La nuova ricollocazione in maggioranza del gruppo dirigente "centrista" di "Bandiera rossa" (Maitan) nell'ottobre '98 forniva al gruppo dirigente l'ennesima copertura sul fianco sinistro.
La sinistra rivoluzionaria del partito, nella sua autonomia, si presentava al congresso con un documento assai più avanzato, sotto il profilo strategico, della vecchia seconda mozione, chiedendo un voto ben più impegnativo che non quello "contro il governo Prodi".
In queste condizioni il 16% non può essere considerato un semplice rafforzamento quantitativo del risultato del III Congresso (pur entro un calo generale di partecipazione congressuale): è un dato qualitativamente diverso, riportato, in una nuova situazione, da un nuovo soggetto politico.
Un nuovo clima nel partito, nuove potenzialità della sinistra interna
Inoltre proprio la scomposizione qualitativa del dato congressuale consente di individuare altri aspetti positivi. Ad esempio l'apporto di giovani e lavoratori del partito alla seconda mozione appare, in linea generale, particolarmente concentrato. Altrettanto importante è la diffusione territoriale nazionale del voto combinata con una buona affermazione in molte grandi città, come Torino, Milano, Napoli, ciò che misura una presenza importante in gangli vitali della vita del partito e della sua storia politica.
Ma soprattutto è interessante il diffuso "cambio di pelle" della sinistra del partito con la confluenza consistente attorno alla seconda mozione sia di settori di base della vecchia maggioranza congressuale, sia di nuovi iscritti e militanti, talora avvicinatisi al partito sull'onda della rottura col governo e per questo motivati ad un investimento forte nella collocazione all'opposizione del Prc "per l'oggi e per il domani".
E' questo l'aspetto per molti versi più importante del IV Congresso. È il riflesso di un clima nuovo, in qualche modo liberato dalla catarsi della scissione e della ricollocazione del Prc, un clima segnato ad un tempo da un sentire unitario più forte e proprio per questo da una maggiore disponibilità all'ascolto, da un pronunciamento più libero, da una maggiore autonomia di giudizio critico nei confronti di un gruppo dirigente certo autorevole, ma non più circondato come in passato dall'aureola dell'infallibilità. Al tempo stesso proprio il nuovo clima che il congresso ha registrato misura una nuova potenzialità dinamica della mozione in relazione al futuro: una potenzialità di nuova aggregazione, di ulteriore espansione della propria influenza e credibilità politica nel partito.
Quanti sono i compagni che durante i congressi pur non sentendosi ancora "pronti" all'assunzione di responsabilità di un voto favorevole alla mozione, ne hanno largamente sostenuto le posizioni, talora addirittura esplicitamente? Quanti sono i compagni che pur votando "prima mozione" hanno avviato un rapporto di confronto aperto entro un interessamento nuovo e una nuova riflessione?
La verità è che in questo congresso uno steccato è caduto nel sentire diffuso del partito. Il gruppo dirigente ha voluto riproporlo simbolicamente con l'esclusione della minoranza dalla Segreteria nazionale e, quindi, col rifiuto della gestione unitaria del partito, temendo che una "legittimazione" della seconda mozione, a ridosso del suo successo, potesse liberare definitivamente una competizione paritaria nel Prc.
Ma nessuna riproposizione del controllo di vertice sul partito, per quanto condizionante, può in sé abrogare quel processo di liberazione della dialettica interna che si è avviato alla base. Tanto più in presenza di una situazione politica che quotidianamente ripropone, nei termini più stringenti, tutti i temi del confronto congressuale e tutte le ragioni della seconda mozione.
Il congresso nazionale evidenzia
i paradossi della linea
Già l'epilogo del congresso nazionale contribuiva ad evidenziare lo scarto abnorme tra immagine e realtà della politica del Prc. Tra la sacrosanta rivendicazione dell'opposizione ed una logica e prospettiva politica che ne insidia ragioni e fondamenta.
La candidatura di Ciampi alla presidenza della repubblica, definita addirittura "ottima candidatura" dal segretario, riproponeva ad esempio in pieno congresso il più clamoroso dei paradossi: quello di un'opposizione al liberismo che candida per il massimo ruolo istituzionale il campione del liberismo italiano ed europeo. Con una sola reale motivazione: tentare di riattivare una convergenza col centrosinistra, provare a ritessere la trama di un "rientro politico" dopo l'"isolamento".
E analogo significato assumeva sempre durante il congresso la ribadita volontà di conservare ed estendere la propria presenza nei governi locali di centrosinistra, a partire dalle regioni e dalla grandi città in vista delle imminenti elezioni amministrative. Qui anzi la commissione politica del congresso ha sentito l'esigenza, a maggioranza, di uno specifico ordine del giorno (significativamente, l'unico odg di linea politica presentato dal gruppo dirigente) nel quale la ribadita "pregiudiziale" verso l'Udr significava e significa la più ampia disponibilità a governare con l'intera famiglia del centrosinistra compresi gli amici di Prodi, Dini, Di Pietro. E tale è la volontà di riaffermare nella sua organicità tale posizione che persino un odg proposto dalla minoranza che chiedeva "almeno" una pregiudiziale verso i sindaci "referendari", è stata seccamente respinta (non senza contraddizioni nella platea dei delegati della maggioranza): come dire che persino un Francesco Rutelli che rivendica la cancellazione dei comunisti dalle istituzioni potrà continuare ad appoggiarsi sui voti e sugli assessori comunisti.
Infine lo scarto tra ragioni di classe (e persino democratiche) e scelte politiche istituzionali è stato riconfermato in congresso dall'insistita riproposizione di comitati per il no estesi alla Lega Nord, anche qui in contrapposizione ad un ordine del giorno della minoranza che chiedeva il rifiuto elementare di qualsiasi forma di legittimazione diretta o indiretta di una forza reazionaria e xenofoba.
L'impianto strategico del congresso
alla prova della guerra
Ma è soprattutto l'irrompere della guerra dei Balcani, dopo la chiusura del congresso nazionale, a sottolineare, più di ogni altro evento, difficoltà e contraddizioni del corso strategico e politico del Prc.
Certo: il partito si è collocato naturalmente come forza di opposizione alla guerra e al governo D'Alema; ed anzi proprio la guerra ha rivelato una volta di più il ruolo insostituibile dell'opposizione: lo scatto d'iniziativa dell'intero partito, la mobilitazione del suo corpo militante, le manifestazioni nazionali prodotte e il loro successo misurano un patrimonio di vitalità e di energie davvero grande. Ma proprio la guerra e l'iniziativa contro di essa interrogano seriamente la prospettiva strategica dell'opposizione e il suo armamentario culturale.
"Rilancio neokeynesiano come alternativa di società", "sovranità nazionale ed europea", "centralità dell'Onu come strumento di pace", "sostegno critico alla linea Jospin contro la linea Blair": sono state, com'è noto, le categorie analitiche e strategiche fondative dell'impostazione congressuale.
Chiedo: c'è una sola di queste categorie che è stata risparmiata, a un mese di distanza, dalle lezioni della guerra in corso?
È sufficiente guardare la realtà.
Il rilancio neokeynesiano si va risolvendo nel rilancio delle spese di guerra, quale antidoto alle spinte recessive che i costi annunciati della guerra alimentano. La teoria dell'asservimento "coloniale" dell'Europa agli Usa viene smentita dalla concretezza degli interessi imperialistici che i vari paesi europei e i loro bombardieri perseguono nei Balcani, in convergenza e in contraddizione con l'imperialismo Usa. Il mito dell'Onu, già colpito dal patrocinio dell'aggressione all'Irak e dallo sterminio via embargo contro quel popolo, è oggi seppellito dal ruolo scoperto di Kofi Annan come messaggero della Nato e, segnatamente, degli Usa; l'elogio di Jospin deve ora confrontarsi con la realtà dei Mirage sui cieli di Belgrado e con l'autentica esaltazione militarista del "governo delle sinistre francesi" (peraltro il più esposto sul fronte militare dopo gli Usa)
Cosa resta allora in piedi di un'intera ispirazione strategica? Non dovrebbe proprio l'evento drammatico della guerra sospingere ad un ripensamento salutare delle stesse categorie dell'analisi proposta e della prospettiva generale che vi corrisponde?
Invece se le parole riflettono talvolta imbarazzo, l'orizzonte analitico e politico viene confermato, come se nulla fosse accaduto. Solo sulla socialdemocrazia la smentita clamorosa delle proprie illusioni sembra essere timidamente riconosciuta: e tuttavia si ripiega sulla "non rassegnazione" all'attuale corso politico della socialdemocrazia, e nell'affidamento speranzoso alla dinamica delle sue contraddizioni (come a dire che alle illusioni non c'è mai limite).
Per il resto l'apparato culturale e argomentativo e le "parole d'ordine" restano persino formalmente intatte, contro ogni evidenza: sovranità europea, "Kofi Annan a Belgrado", "conferenza di pace sui Balcani" costruita dall'Onu e dalle Chiese; ove l'approccio pacifista, da un lato illusorio ed utopico, rischia di esporci in futuro al di là di ogni intenzione a obbiettivi adattamenti a possibili "paci coloniali", firmate dall'Onu e benedette dal Papa.
La rivendicazione della "conferenza di pace" per l'integrazione dei Balcani in un'"Europa democratica", al di là di ogni intenzione, misura di fatto proprio questo rischio.
Non è proprio l'integrazione in atto delle economie balcaniche nel mercato capitalistico e sotto il dominio finanziario della democratica Europa ad aver acceso la miccia della disgregazione nazionalistica dell'intera regione? È forse immaginabile un'integrazione diversa da quella che si è concretamente realizzata con l'avvenuta restaurazione del capitalismo?
Non dovrebbero essere proprio i comunisti a denunciare questa "integrazione" e a proporre la prospettiva strategica di una federazione socialista dei Balcani quale unica alternativa di fondo alle soluzioni perseguite dall'imperialismo?
Invece nella Direzione nazionale convocata sulla guerra la stessa categoria dell'imperialismo è stata messa in discussione dal Segretario. Vi si sostituisce la visione di un "ordine imperiale", retto dalla cosiddetta "globalizzazione": ciò che da un lato ripropone in forme nuove l'antica concezione kautskiana di un indistinto superimperialismo, dall'altro preclude per ciò stesso ogni caratterizzazione imperialistica dell'Europa e dei suoi interessi nella guerra balcanica in corso.
Ma la lotta contro la guerra interroga anche da subito le relazioni internazionali del partito, tanto più alla vigilia delle elezioni europee. Il caso Pcf è sotto questo profilo emblematico. Se giustamente rivendichiamo ogni giorno la rottura di Cossutta col governo denunciando la sua gravissima subalternità alla guerra, per quale ragione non dovremmo chiedere ai compagni francesi di rompere col governo guerrafondaio di Jospin, oltretutto in considerazione delle responsabilità e del peso ben maggiori da essi ricoperti nell'esecutivo? Più in generale: è possibile aggregare una sinistra alternativa in Europa senza porre come prima discriminante l'opposizione alla guerra? Ed è possibile farlo per di più sullo sfondo della guerra in atto e alla vigilia di elezioni continentali dominate dal tema della guerra? Queste sono le considerazioni elementari avanzate dalla minoranza in Direzione. Il fatto che siano state respinte dal segretario come "primitive" e "settarie" è l'ulteriore riprova che neppure il dramma della guerra è in grado di introdurre il seme fecondo di una discontinuità di linea e di cultura.
Prc e centrosinistra di fronte alla guerra:
rottura definitiva o continuità
di una contraddizione insostenibile?
Oltretutto la guerra non sembra scalfire neppure la linea politica del Prc nei confronti del centrosinistra. Certo: il governo viene attaccato frontalmente, le responsabilità del centrosinistra sono chiaramente denunciate, l'opposizione conosce una radicalizzazione. È naturale e importante.
Ma si trae forse dall'evento tragico della guerra qualche conclusione nuova sulla natura di fondo del centrosinistra, qualche modifica di prospettiva nel rapporto con esso, qualche elemento di discontinuità immediata nelle relazioni di collaborazione a livello locale? Non pare davvero.
La nuova risoluzione approvata a maggioranza dalla Direzione nazionale sulle elezioni amministrative imminenti, dopo venti giorni di guerra, è, al riguardo, esemplare. Si rivendica "la ricerca di accordi con il centrosinistra", assieme al "cambiamento delle politiche amministrative" (incompatibili col centrosinistra) e alle "ragioni della pace" (che il centrosinistra bombarda). Dov'è dunque la novità che avrebbe motivato una "nuova" risoluzione rispetto a quella varata in congresso? Purtroppo nessuna. L'unica vera novità è che neppure la guerra riesce a scalfire la continuità corrente delle scelte politiche e amministrative del partito. E la vera ragione di quella "nuova" risoluzione, (come si è capito dalla discussione in Direzione), è esattamente quella di ribadire la continuità della linea a fronte di possibili e reali resistenze (naturalmente "primitive" e "settarie") che la guerra rafforza in ampi settori di base e di quadri intermedi del partito alla vigilia delicata delle amministrative.
Parallelamente nuovi interrogativi incalzano a fronte dell'imminente elezione della presidenza della repubblica. È possibile, tanto più dopo un mese di guerra gestita dal centrosinistra, preservare la maggioranza del 21 aprile come quadro di elezione di un presidente della repubblica "di garanzia"? E poi: "garanzia" di cosa? Forse della "pace", della "costituzione", di quelle norme borghesi "democratiche" che il centrosinistra guerrafondaio ha persino formalmente stracciato e calpestato? E ancora: il "candidato ottimale" resta quel Ciampi oggi impegnato a ricercare i fondi di finanziamento della guerra del suo governo?
Queste domande elementari, formulate dalla minoranza in Direzione, non hanno ad oggi ricevuto risposta, se non evasive frasi di circostanza: è insieme la misura della difficoltà di una linea e del crescente imbarazzo a esplicitarla.
La sinistra del Prc
nella lotta prioritaria contro la guerra
A fronte della conferma delle sue posizioni e previsioni, la sinistra del Prc ha tanto più oggi il dovere politico di indicare al partito un altro indirizzo politico e strategico in continuità con la battaglia politica congressuale. Un indirizzo che ricomponga, per l'oggi e per il domani, la coerenza elementare tra ragioni di classe e scelte politiche, tra scelte politiche e progetto comunista.
Prioritario innanzitutto è oggi un impegno profondo di tutta la sinistra del partito nella battaglia quotidiana di opposizione al governo, a partire dalla lotta contro la guerra.
La lotta contro la guerra e l'imperialismo di casa nostra, per un'Europa socialista, può e deve costituire l'asse programmatico e strategico centrale della sinistra del partito nella stessa campagne delle elezioni europee, fuori da ogni minimalismo sindacalistico e da ogni illusione di Europa sociale keynesiana: di fronte alla barbarie della guerra, i comunisti debbono rilanciare con forza, controcorrente, l'idea di un altro ordine di società umana quale condizione decisiva di una pace giusta e durevole. Se i comunisti non rivendicano ora questa verità di fondo, innanzitutto i giovani, quando mai dovrebbero farlo?
In particolare, la lotta contro la guerra va assunta come terreno prioritario di intervento e di azione: nella costruzione di comitati contro la guerra che non siano somma di sigle e fatti di immagine, ma comitati operativi di azione; nella costruzione dal basso, ovunque possibile, di scioperi contro la guerra, fuori da ogni logica di mediazione paralizzante con l'apparato burocratico del sindacato e nella prospettiva centrale dello sciopero generale; nell'utilizzo comunista di ogni sede e presenza istituzionale come megafono della campagna contro la guerra in tutte le forme possibili. Nell'intervento diretto davanti alle caserme e verso i soldati, per motivare le ragioni della disobbedienza alla guerra
Ovunque ricercando, col linguaggio più semplice, la più ampia interlocuzione con le masse e il popolo della sinistra e al tempo stesso qualificando di contenuti di classe ed antimperialisti l'intera campagna contro la guerra, in alternativa ad un'impostazione pacifista. Combinare queste due necessità - la più vasta proiezione unitaria a livello di massa e la più ferma caratterizzazione strategica - significa fare della campagna contro la guerra l'esemplificazione stessa della logica di fondo della seconda mozione congressuale: la logica dell'egemonia alternativa di un progetto comunista. E significa sperimentare e mostrare sul terreno concreto della lotta di massa la praticabilità di questo metodo, rafforzando anche per questa via la credibilità della sinistra all'interno del partito.
Lotta nel partito e lotta di massa
Più in generale l'esperienza del IV congresso consente di superare definitivamente quella discussione interna alla vecchia sinistra del Prc sul fatto "se stare o non stare" nel partito e sulla falsa alternativa tra "battaglia nel partito o battaglia di massa". Da un lato il partito si è rivelato, una volta di più, una realtà complessa e articolata non riducibile al suo gruppo dirigente, segnata da presenze e domande non omologabili al riformismo neokeynesiano e al richiamo governista. Ed oggi la sua collocazione all'opposizione, esaltata dalla lotta alla guerra, è destinata a polarizzare attorno al Prc nuova attenzione, nuove forze e nuove pulsioni radicali che rappresentano un punto di riferimento centrale per la sinistra interna del Prc. Da qui l'esigenza di un radicamento profondo nel partito, l'impegno quotidiano nella costruzione della sua iniziativa, l'assunzione (ovunque risulti opportuno e possibile) di responsabilità dirigenti a livello locale, regionale, federale, di circolo, che possano ampliare la superficie di interlocuzione con la base del partito e quindi anche favorire le condizioni migliori per la conquista di nuovo consenso.
Dall'altro lato proprio il radicamento nel partito tanto più oggi può in molti casi moltiplicare le occasioni di proiezione di massa e di interlocuzione pubblica: consentendo così alla sinistra del partito sia di rafforzare e di sperimentare in campo aperto le proprie indicazioni politiche sia di allargare l'ambito degli interlocutori, guadagnando anche, ove possibile nuove forze al partito, e alle proprie posizioni nel partito.
Questa relazione tra impegno di partito e proiezione di massa è certo difficile, non è semplificabile, richiede articolazioni ed equilibri diversi a seconda delle fasi politiche e delle situazioni locali: ma è al fondo l'unica risposta reale al rischio opposto della chiusura politicista e di un movimentismo senza radici e senza progetto.
Per il consolidamento e lo sviluppo
della sinistra rivoluzionaria del Prc
Infine l'esperienza del IV congresso ha definitivamente risolto il confronto nella vecchia sinistra del Prc, circa il profilo stesso della sinistra del partito, la sua collocazione, il suo ruolo: tra una concezione della sinistra interna come puro strumento di pressione sul gruppo dirigente e una concezione della sinistra come alternativa politica e strategica, come progetto comunista per la Rifondazione.
Il gruppo dirigente di "Bandiera rossa", che del tutto legittimamente aveva scelto al momento della scissione il proprio ritorno in maggioranza, con l'argomento dell'"evitare la marginalizzazione", "stare nei processi", "influenzare e condizionare il corso del partito", ha finito col sottoscrivere un testo congressuale keynesiano impegnandosi in prima fila, nei congressi, contro una mozione comunista. Il segno e la sconfitta di un'intera cultura politica sta qui, più ancora che nella modestia dei risultati ottenuti e nel successo della sinistra interna. E costituisce un'occasione di riflessione e bilancio per tanti compagni di quell'area.
A sua volta la sinistra del partito, che ha mantenuto la barra di un progetto e che ha visto premiata la propria coerenza, non può ora riposare sul successo ottenuto. È invece chiamata dalle sue nuove responsabilità a sviluppare, in tutte le sue implicazioni, la propria prospettiva: quella della costruzione di una solida sinistra rivoluzionaria del Prc. Ciò implica sviluppare al proprio interno il confronto e la discussione politica e strategica, a partire dalla comune premessa del testo congressuale; sviluppare nelle forme possibili attività seminariali di formazione dei quadri; approfondire la riflessione sull'intervento di massa nei diversi settori, sulle modalità d'azione nel partito e sulle scelte che ne conseguono; sviluppare nella misura possibile forme di collegamento e di organizzazione, che consentano di affrontare (in proporzione alle disponibilità finanziarie) queste necessità. Si tratta insomma di investire la battaglia congressuale compiuta in una stabile soggettività politica che dia continuità e prospettiva alla proposta strategica di una rifondazione rivoluzionaria.
L'Associazione marxista rivoluzionaria "Proposta" svilupperà il massimo impegno nella costruzione di questo progetto. E l'esperienza mi pare abbia largamente dimostrato che la crescita e il rafforzamento di "Proposta" rappresentano un fattore propulsivo insostituibile per lo sviluppo della sinistra rivoluzionaria del Prc. o
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