La posizione del marxismo rivoluzionario di fronte alle rivendicazioni nazionali dei popoli oppressi

LA QUESTIONE DELL'AUTODETERMINAZIONE

di Francesco Ricci

Decenni di falsificazioni storiche del patrimonio teorico del movimento operaio, operate dagli stalinisti e dalla socialdemocrazia, fanno sì che oggi i comunisti arrivino disarmati e confusi davanti a certe questioni. Succede che nella stessa sinistra classista e rivoluzionaria, cioè nella sinistra che si oppone a questa guerra andando oltre il generico pacifismo riformista, si produca un certo disorientamento rispetto alla posizione da assumere, ad esempio, nei confronti della questione dell'autodeterminazione dei popoli dei Balcani. Riemergono, non ben digerite, reminiscenze luxemburghiste (ma che con Rosa hanno poco da spartire), miste magari a posizioni ultrasinistre o staliniste contro le quali già Lenin e Trotsky ebbero modo di combattere una battaglia di chiarezza. E' per questo che noi, pur non ritenendo “testi sacri” gli scritti dei grandi dirigenti comunisti del passato, pensiamo valga la pena ripartire da lì. Non perché Marx o Lenin fossero infallibili, ma perché quei testi concentrano l'esperienza di vittorie e di sconfitte del movimento operaio di molti decenni. Quelle analisi, quelle riflessioni hanno armato (non solo metaforicamente) intere generazioni e hanno soprattutto - non dimentichiamolo - sostenuto i comunisti russi nella vittoria del '17. Nella rifondazione di oggi non ripartiamo da zero ma cerchiamo di aggiornare “sulle sue basi” quel prezioso armamentario. Perché senza teoria rivoluzionaria non c'è azione rivoluzionaria.

I brani che presentiamo nelle pagine che seguono sono solo un frammento degli scritti che l'Internazionale comunista (prima della degenerazione stalinista) e Lenin specialmente dedicarono alla questione dell'autodeterminazione dei popoli. Sarebbe interessante non limitarsi a qualche stralcio, ma lo spazio è tiranno. In fondo al testo i compagni troveranno però alcune indicazioni per reperire l'insieme del materiale (o perlomeno quello noto a chi scrive questo articolo). Cerchiamo però ora, qui, di provare a riassumere schematicamente la posizione bolscevica.

Il dibattito nel movimento rivoluzionario sulla questione dell'autodeterminazione inizia nel secolo scorso (con la polemica di Marx contro Proudhon che negava la questione nazionale in nome di quella sociale). Ma si sviluppa specialmente alla fine dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento. E' Rosa Luxemburg (in La questione polacca, 1896 e in La questione nazionale e l'autonomia, 1908) a aprire la polemica. Rosa e i comunisti polacchi non condividono il paragrafo 9 del programma del Partito operaio socialdemocratico russo che sostiene appunto “il diritto all'autodeterminazione”. Per la Luxemburg si tratta di un diritto astratto, metafisico, in cui “nulla appare legato in modo specifico né al socialismo né alla politica operaia”.

Lenin è di diverso avviso e sosterrà la sua posizione in decine di testi (vedi le indicazioni bibliografiche nel riquadro) e persino nella sua “ultima battaglia” prima di morire, quella contro la nascente burocrazia stalinista che, con Stalin, nega il diritto all'autodecisione nel dibattito sulla “questione georgiana. Quali sono i punti essenziali della posizione di Lenin che Trotsky condivide pienamente? Proviamo a enunciarli sinteticamente.

La posizione di Lenin e dell'Internazionale comunista

1) Il diritto all'autodeterminazione nazionale è un elementare diritto democratico. I comunisti sostengono la lotta di indipendenza dei popoli oppressi in quanto essa - mettendo in discussione lo status quo - può creare le migliori condizioni per un inserimento del movimento proletario in quei Paesi. Trotsky così riassume la posizione classica dei bolscevichi (in un articolo del settembre 1930): “Il nazionalismo della borghesia è uno strumento di asservimento e di inganno delle masse, ma il nazionalismo delle masse popolari è la forma elementare che assume il loro odio, giusto e progressivo, verso i loro oppressori […]. Il proletariato non ha il diritto di volgere le spalle a “questo tipo” di nazionalismo: anzi, deve dimostrare coi fatti di essere il più coerente ed impegnato combattente per la libertà nazionale […]. Nell'agitazione di oggi dobbiamo partire da ciò che esiste”. E Lenin (in Risultati della discussione sull'autodecisione, 1916): “La dialettica della storia è tale che la funzione delle piccole nazioni [e dei popoli oppressi], impotenti come fattori indipendenti nella lotta contro l'imperialismo, è quella di fermenti, di bacilli che, insieme con altri fermenti e bacilli, contribuirà a far entrare in scena la vera forza che può combattere contro l'imperialismo, e precisamente il proletariato socialista”. Ciò vale anche laddove gli imperialisti “si adoperano assiduamente a sfruttare” un movimento nazionale contro i loro avversari: “i tedeschi, l'insurrezione irlandese; i francesi, il movimento ceco, ecc.”.

2) Per sostenere questo movimento i comunisti non pongono come condizione preventiva che esso accetti il programma socialista. Programma a cui ovviamente i comunisti non rinunciano e che anzi costituisce, anche all'interno di una lotta per i diritti nazionali, l'asse della loro battaglia.

Sempre Trotsky così si esprime (in un articolo del 30-7-39): “Il settario si limita ad ignorare il fatto che la lotta nazionale, una delle forme più intricate e complesse, ma al contempo estremamente importanti, della lotta di classe, non può venire sospesa col puro e semplice riferimento alla futura rivoluzione mondiale. Si tratta di trovare il “ponte” dalla reazione alla rivoluzione […]. La questione di come mobilitare le masse nella situazione storica data […] per questi sapientoni resta un libro chiuso con sette sigilli”.

3) La direzione politica di una lotta nazionale non determina di per sé il carattere progressivo o reazionario di quella lotta. Una lotta per l'autodeterminazione è progressiva nel momento in cui oggettivamente destabilizza l'ordine borghese costituito. In questo senso Lenin ricordava che Marx ed Engels avevano sostenuto la lotta dei nazionalisti polacchi contro lo zar russo benché i gruppi dirigenti di quella lotta fossero prevalentemente borghesi se non addirittura aristocratici.

4) I comunisti intervengono in questa lotta, e stringono anche accordi d'azione e alleanze provvisorie con le direzioni piccoloborghesi, purché sia loro possibile sviluppare una lotta per l'egemonia sulla base del loro programma di indipendenza del movimento proletario. Le Tesi sulla questione dell'Oriente del IV Congresso dell'Internazionale comunista (1922) precisano: “L'IC sostiene ogni movimento nazionale antimperialista: ma al contempo non dimentica che solo una linea conseguentemente rivoluzionaria, basata sulla partecipazione delle grandi masse alla lotta attiva, e sulla definitiva rottura con tutti i sostenitori della collaborazione con l'imperialismo, può portare alla vittoria delle masse oppresse”.

Queste le posizioni storiche del marxismo rivoluzionario. Vediamo come potrebbero essere applicate nella specifica situazione del Kosovo e di questa guerra. Anche qui proviamo a formulare delle “tesi” sapendo che oggi ragioniamo necessariamente in termini astratti, non avendo rapporti diretti con forze politiche che possano - sul campo - mettere in pratica questi principi.

a) L'autodeterminazione dei popoli balcanici, in quanto mina oggettivamente lo status quo (che è, non dimentichiamolo, quello di ex stati operai in cui è avvenuta la restaurazione capitalistica) ha un carattere antimperialista e dunque rispecchia gli interessi non solo di quei popoli ma del proletariato mondiale.

b) I comunisti devono sostenere questa lotta e parteciparvi senza porre come condizione preliminare l'accettazione del programma socialista.

c) Per i comunisti è necessario che sia mantenuta l'indipendenza del movimento proletario, che deve intervenire in questa lotta coi suoi metodi e col suo programma per svilupparla in maniera conseguentemente antimperialista (l'unica via per conseguire anche il risultato dell'autodeterminazione).

d) I comunisti, che potevano fino a qualche mese fa accettare e proporre un'unità d'azione con l'Uck (al di là delle valutazioni sulla sua natura politica), in quanto l'Uck poneva (seppure coi suoi metodi lotta sbagliati) la questione dell'autodeterminazione (cosa che determinava l'ostilità nei suoi confronti dell'imperialismo che la definiva “terrorista”), i comunisti, oggi che la maggioranza del gruppo dirigente dell'Uck ha posto la maggioranza dell'organizzazione sotto l'ala dell'imperialismo (nella criminale illusione che ciò garantirà l'indipendenza del Kosovo), non possono accettare nessuna unità d'azione con le formazioni dell'Uck che agiscono in alleanza con le forze armate dei governi imperialisti. Mentre devono cercare di stabilire un rapporto con le formazioni albanesi che hanno mantenuto una posizione antimperialista, alcune delle quali ancora militano nell'Uck; ciò anche in previsione dello screditarsi agli occhi di larghe masse dell'attuale gruppo dirigente kosovaro che ha legato la causa albanese al carro dell'imperialismo, cioè del suo principale ostacolo. Il compito più che mai oggi è quello di costruire una nuova direzione politica in Kosovo e dunque un partito marxista rivoluzionario che faccia appello alla migliore tradizione di lotta di questo popolo oppresso.

e) Pur riconoscendo il diritto all'autodifesa degli aggrediti in Kosovo (gli albanesi attaccati dalle milizie serbe e le minoranze serbe kosovare dall'Uck), i comunisti devono fare appello alle milizie albanesi e a quelle serbe perché cessino il conflitto tra loro e rivolgano i fucili contro l'imperialismo che è il vero nemico comune.

f) L'obiettivo principale dei rivoluzionari oggi deve essere quello della sconfitta dell'imperialismo (e quindi dei governi degli Stati uniti e dell'Europa) per la vittoria della Repubblica jugoslava aggredita. Parimenti la nostra parola d'ordine all'epoca dell'aggressione all'Irak era quella della vittoria dell'Irak. Ciò non significa che noi sosteniamo politicamente in alcun modo né Saddam Hussein né Milosevic: significa solo che valutiamo la sconfitta dell'imperialismo equivalente a una vittoria della classe operaia in tutto il mondo (a partire ovviamente da quella degli Stati occidentali).

g) Ogni altro obiettivo è per noi oggi subordinato a quello della vittoria sugli aggressori imperialisti. “Subordinato” non significa contrapposto o cancellato bensì conseguibile solo in un tempo successivo. In questo senso pur senza rinunciare a sostenere il diritto all'autodeterminazione del Kosovo così come la necessità di rovesciare Milosevic, diciamo che bisogna tenere conto del momento. Non possiamo abbattere oggi Milosevic né sostenere oggi un'offensiva dell'Uck contro il regime oppressivo serbo perché ciò favorirebbe il nemico principale, l'imperialismo.

h) Il porre al centro l'obiettivo della sconfitta dell'imperialismo non significa per noi rinviare la lotta per gli altri obiettivi a una seconda “tappa” separata. Mentre poniamo il nostro fucile sulla spalla di Milosevic per sparare contro l'imperialismo, per poter poi saldare i conti con Milosevic, chiediamo che siano distribuite armi ai lavoratori serbi, che essi costituiscano comitati di difesa dall'imperialismo in ogni luogo di lavoro e che questi comitati si coordinino in ogni città. Questi comitati di difesa e di controllo costituiranno domani, una volta sconfitta l'aggressione, le basi su cui potrà poggiare un governo operaio dopo aver rovesciato il regime di Milosevic - che è il principale responsabile della distruzione delle conquiste operaie nel Paese.

i) Una volta sconfitto l'imperialismo, la lotta dei lavoratori serbi, in accordo con gli albanesi del kosovo e con gli operai degli altri Paesi dei Balcani dovrà essere diretta al rovesciamento di tutti i governi della regione che sono il braccio del Fmi e dell'imperialismo. Nel quadro di una federazione socialista dei Balcani saranno riconosciuto a ogni popolo il diritto di decidere del suo futuro.

Per qualunque questione riguardante queste pagine web potete contattare Luciano Dondero.
Ultimo aggiornamento: 30 maggio 1999.

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