Le giornate d'Ottobre allo Smol'nyj nella cronaca di un testimone d'eccezione
Infine si levò Lenin e disse semplicemente:
"E adesso passiamo all'edificazione dell'ordine socialista"
di John Reed
Allo Smol'nyj, notte fra il 23 e il 24 ottobre [5-6 novembre]
Il soviet di Pietrogrado sedeva giorno e notte. Nel momento in cui entrai nella grande sala, Trotskij terminava il suo discorso: "Ci si domanda", diceva, "se noi abbiamo intenzione di fare una vystuplenie [insurrezione, ndr]. Posso dare una risposta precisa a tale domanda. Il soviet di Pietrogrado sente che è finalmente venuto il momento in cui il potere deve essere rimesso ai soviet. Questo trapasso del potere sarà eseguito dal congresso panrusso. Sarà necessaria un'azione armata? Questo dipenderà da quelli che vorranno opporsi al congresso panrusso Noi abbiamo coscienza che il governo attuale è un governo impotente, lamentevole, che attende solo il colpo di scopa della storia per cedere il posto ad un governo veramente popolare. Noi continuiamo a sforzarci di evitare il conflitto. Noi speriamo che il congresso panrusso potrà prendere nelle sue mani un potere e una autorità che riposano sulla libertà organizzata del popolo. Se, tuttavia, il governo si propone di utilizzare il poco tempo che gli resta da vivere ventiquattro, quarantotto o settantadue ore per attaccarci, il nostro contrattacco non tarderà, colpo per colpo, acciaio contro ferro".
Fra gli applausi annunciò che i socialisti rivoluzionari di sinistra accettavano di entrare nel Comitato militare rivoluzionario.
Alle tre del mattino, lasciando lo Smol'nyj [la sede dei soviet, ndr], notai che due cannoni a tiro rapido erano stati piazzati sui lati dell'entrata e che forti pattuglie proteggevano le porte e le strade vicine. Bill Shatov arrivava, salendo gli scalini a quattro a quattro: "Ci siamo", gridò, "Kerenskij ha tentato di far occupare dagli junker [allievi ufficiali, ndr] il "Soldat" ed il "Rabocij put'" [quotidiani bolscevichi, ndr]. Ma le nostre truppe sono arrivate e hanno spezzato i sigilli governativi. Adesso siamo noi che mandiamo dei distaccamenti ad occupare i giornali borghesi". Esultante mi batté sulla spalla ed entrò correndo allo Smol'nyj.
Lasciando lo Smol'nyj, all'alba del 25 ottobre [7 novembre]
Verso le quattro del mattino incontrai Zorin nel vestibolo, con un fucile sulle spalle. "Va benissimo", mi disse, con un tono calmo, ma soddisfatto. "Abbiamo pescato l'aggiunto del ministro della giustizia ed il ministro dei culti. Sono sotto chiave, adesso. Un reggimento è in marcia per impadronirsi della centrale telefonica, un altro occuperà l'agenzia telegrafica ed un terzo la Banca di Stato. La Guardia rossa è in piedi".
Sui gradini dello Smol'nyj, nella notte fresca, vedemmo per la prima volta la Guardia rossa: un gruppo di giovanotti vestiti da operai, armati di fucili, baionette in canna, che parlavano nervosamente tra di loro. Al disopra dei tetti percepimmo verso est un rumore di fucileria; erano i marinai di Kronstadt che chiudevano il ponte mobile sulla Neva, che gli junker volevano tenere aperto, per impedire agli operai delle officine ed ai soldati del quartiere di Vyborg di unirsi alle forze sovietiche del centro della città. Dietro a noi il grande Smol'nyj, tutto illuminato, ronzava come un immenso alveare
Di nuovo allo Smolnyj, sera del 25 ottobre [7 novembre]
Le finestre dello Smol'nyj erano sempre illuminate; le automobili andavano e venivano e le sentinelle, sedute attorno ai fuochi, interrogavano ansiosamente quelli che arrivavano sullo svolgersi degli avvenimenti. I corridoi erano pieni di gente affaccendata, sporca, gli occhi infossati. In alcune sale di riunione, molti dormivano sul pavimento con i fucili accanto. Benché un certo numero di deputati avesse abbandonato il congresso, la sala delle sedute era affollata, tumultuosa come un mare. Quando entrammo, Kamenev leggeva la lista dei ministri arrestati
A questo punto si ebbe una interruzione drammatica. Un contadino di alta statura, la faccia barbuta, convulsa di rabbia, salí alla tribuna e picchiò col pugno sul tavolo della presidenza. "Noi, socialisti rivoluzionari, esigiamo la libertà immediata dei ministri socialisti arrestati al Palazzo d'Inverno. Compagni, sapete che quattro compagni che hanno rischiato la vita e la libertà combattendo la tirannide dello zar, sono stati gettati nella prigione di Pietro Paolo, la tomba storica della libertà?". In mezzo al tumulto continuò a picchiare pugni e ad urlare
Trotskij faceva dei grandi gesti per ottenere il silenzio: "Questi "compagni"", disse, "presi in flagrante delitto di complotto per schiacciare i soviet, d'accordo con l'avventuriero Kerenskij dobbiamo trattarli con i guanti? Dopo il 16 ed il 18 luglio non hanno fatto molte cerimonie con noi". Poi, con un accento di trionfo nella voce, continuò: "Adesso che gli oboroncy ed i vigliacchi sono scomparsi e che pesa sulle nostre spalle tutto il compito di difendere e di salvare la rivoluzione, è più che mai necessario di lavorare, lavorare ed ancora lavorare! Noi siamo risoluti a morire piuttosto che a cedere".
Un commissario, giunto a cavallo da Carskoe Selo, gli succedette, ancora tutto affannato e coperto di fango: "La guarnigione di Carskoe Selo veglia alle porte di Pietrogrado, pronta a difendere i soviet ed il Comitato militare rivoluzionario. (Evviva scroscianti). Il corpo dei ciclisti, inviato dal fronte, è arrivato a Carskoe; i soldati sono adesso con noi. Riconoscono il potere dei soviet e la necessità di dare subito la terra ai contadini ed il controllo sull'industria agli operai. Il V battaglione ciclisti, di guarnigione a Carskoe, è per noi ".
Dopo parlò un delegato del III battaglione ciclisti. In mezzo all'entusiasmo delirante raccontò come, tre giorni prima, il corpo dei ciclisti aveva ricevuto dal fronte sud-ovest l'ordine di venire a difendere Pietrogrado. Tale ordine era subito apparso sospetto. Alla stazione di Peredolsk, dove li aspettavano i rappresentanti del V battaglione di Carskoe, avevano tenuto un comizio e si era potuto costatare che "i ciclisti erano unanimi nel rifiuto di versare il sangue dei loro fratelli e di sostenere un governo di borghesi ed agrari".
Kapelinskij propose, a nome dei menscevichi internazionalisti, la nomina di un comitato speciale, incaricato di trovare una soluzione pacifica alla guerra civile: "Non vi è soluzione pacifica!" urlò l'assemblea. "La vittoria, ecco la soluzione!".
La proposta fu respinta con una maggioranza schiacciante ed i menscevichi internazionalisti abbandonarono il congresso in un turbine di ingiurie e di scherni L'assemblea decise di non tener conto dell'allontanamento di alcune frazioni e passò alla redazione del seguente appello, rivolto agli operai, soldati e contadini di tutta la Russia:
Operai, soldati, contadini!
Il secondo congresso panrusso dei soviet dei deputati degli operai e dei soldati è aperto. Esso rappresenta la grande maggioranza dei soviet e comprende anche un certo numero di deputati dei contadini. Appoggiandosi sulla volontà dell'immensa maggioranza degli operai, dei soldati e dei contadini e sulla vittoria della guarnigione di Pietrogrado, il congresso prende il potere nelle sue mani.
Il governo provvisorio è deposto; la maggioranza dei membri del governo provvisorio è stata già arrestata.
Il potere sovietico proporrà una pace democratica immediata a tutte le nazioni ed un armistizio immediato su tutti i fronti. Esso procederà alla libera consegna della terra dei latifondisti, della corona e dei monasteri ai comitati contadini. Difenderà i diritti dei soldati e realizzerà la completa democratizzazione dell'esercito. Stabilirà il controllo operaio sulla produzione, assicurerà la convocazione dell'Assemblea costituente alla data fissata, prenderà tutti i provvedimenti necessari per approvvigionare la città di pane ed i villaggi delle derrate di prima necessità. Assicurerà a tutte le nazionalità viventi in Russia il diritto assoluto di disporre di se stesse.
Il congresso decide che l'esercizio di tutto il potere nelle province è trasferito ai soviet degli operai, dei contadini e dei soldati, che dovranno assicurare una disciplina perfetta.
Il congresso fa appello alla vigilanza ed alla fermezza dei soldati delle trincee. Il congresso dei soviet è persuaso che l'esercito rivoluzionario saprà difendere la rivoluzione contro gli attacchi imperialisti, fino a che il nuovo governo avrà potuto concludere la pace democratica che egli proporrà immediatamente e direttamente a tutti i popoli. Il nuovo governo prenderà i provvedimenti necessari per soddisfare tutti i bisogni dell'esercito rivoluzionario, con una ferma politica di requisizione e di tassazione delle classi possidenti, e per migliorare la situazione delle famiglie dei soldati.
I kornilovisti Kerenskij, Kaledin ed altri si sforzano di lanciare le truppe contro Pietrogrado. Parecchi reggimenti, già ingannati da Kerenskij, sono ormai passati dalla parte del popolo insorto. Soldati! opponete una resistenza attiva al kornilovista Kerenskij! State in guardia! Ferrovieri! fermate tutti i treni di truppe inviate da Kerenskij contro Pietrogrado!
Soldati! Operai! Funzionari! il destino della rivoluzione e della pace democratica è nelle vostre mani! Viva la rivoluzione!
Il congresso panrusso dei soviet degli operai e dei soldati, i delegati presenti dei soviet dei contadini.
Sera del 26 ottobre [8 novembre]
Il congresso doveva riunirsi all'una e la grande sala di riunione era piena da lungo tempo. Malgrado ciò, alle sette, la presidenza non era ancora comparsa I bolscevichi e la sinistra socialista rivoluzionaria erano riuniti nelle loro sale. Durante tutto il pomeriggio Lenin e Trotskij avevano dovuto combattere le tendenze al compromesso. Una notevole parte dei bolscevichi era dell'opinione di fare le concessioni necessarie per costituire un governo di coalizione socialista: "Noi non potremo resistere" gridavano. "Sono troppi i nostri nemici. Non abbiamo gli uomini necessari. Saremo isolati e crollerà tutto". Cosí parlavano Kamenev, Rjazanov e altri.
Ma Lenin, con Trotskij al fianco, restava fermo come una roccia. "Quelli che vogliono un compromesso accettino il nostro programma e noi li accoglieremo. Noi non cederemo di un centimetro. Se vi sono qui dei compagni che non hanno il coraggio e la volontà di osare quello che noi osiamo, se ne vadano a raggiungere i poltroni e i conciliatori. Con l'appoggio degli operai e dei soldati, noi andremo avanti!"
Alle sette e cinque, i socialisti rivoluzionari di sinistra fecero sapere che rimanevano nel Comitato militare rivoluzionario. "Vedete", disse Lenin, "essi ci seguono!"
Erano esattamente le otto e quaranta quando una tempesta di applausi annunciò l'entrata della presidenza, con Lenin, il grande Lenin. Piccolo di statura, raccolto, la grande testa rotonda e calva infossata nelle spalle, gli occhi piccoli, il naso camuso, la bocca larga e generosa, il mento pesante. Era completamente sbarbato, ma la barba cosí conosciuta prima e che d'ora innanzi gli sarebbe sempre rimasta, cominciava già a rispuntargli sul viso. Il vestito era consunto, i pantaloni troppo lunghi. Inadatto, fisicamente, ad essere l'idolo della folla, egli fu amato e venerato come pochi capi nella storia. Uno strano capo popolare, capo per la sola forza della intelligenza. Egli non era brillante, non aveva spirito, era inttransigente e appartato, senza alcuna particolarità pittoresca, ma aveva il potere di spiegare le idee profonde in termini semplici, di analizzare concretamente le situazioni e possedeva la piú grande audacia intellettuale.
Kamenev diede lettura del rapporto sull'attività del Comitato militare rivoluzionario: abolizione della pena di morte nell'esercito, ristabilimento della libertà di propaganda, liberazione degli ufficiali e dei soldati arrestati per reati politici, ordine di arrestare Kerenskij e confisca delle provviste di viveri dei magazzini privati. Applausi frenetici.
In seguito la parola fu data all'oratore del Bund: l'atteggiamento intransigente dei bolscevichi significava la morte della rivoluzione e perciò i delegati del Bund erano costretti a non partecipare piú ai lavori del congresso. Grida nella sala: "Credevamo che ve ne foste già andati ieri. Quanto aspettate per andarvene?"
Seguí il rappresentante dei menscevichi internazionalisti. "Come, ancora voi?" L'oratore spiegò che solo una parte dei menscevichi internazionalisti aveva lasciato il congresso; gli altri avevano deciso di rimanere. "Noi crediamo dannoso, forse fatale per la rivoluzione, il passaggio del potere ai soviet. (Interruzioni). Ma consideriamo nostro dovere rimanere al congresso e manifestare qui la nostra opinione contraria".
Altri oratori seguirono, disordinatamente. Un delegato dei minatori del bacino del Don domandò al congresso di prendere provvedimenti contro Kaledin che poteva impedire l'approvvigionamento in carbone ed in viveri della capitale. Parecchi soldati, arrivati dal fronte, portarono il saluto entusiasta dei loro reggimenti Infine si levò Lenin. Tenendosi al parapetto della tribuna, egli posò sugli astanti i piccoli occhi socchiusi, insensibile in apparenza all'immensa ovazione, che si prolungò parecchi minuti. Quando l'ovazione fu finita, disse semplicemente: "Adesso passiamo all'edificazione dell'ordine socialista".
[da John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo, Einaudi, Torino 1971. I brani citati sono alle pagine 51-53, 62, 90-95, 103-105].
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