Spero che le poesie e i racconti che ho scritto piacciano
anche a voi ! Un ciao ... a presto.
Queste sono alcune delle mie poesie !
PomeriggioUna ape sbatte |
TristezzaTacendo |
Autobiobrafia falsaE' strano sentirsi |
Mare in tempestaFluttua |
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Cè chi sorride al
padrone per paura che il cane gli salti addosso. E cè
anche chi sorride al cane per rispetto del padrone. Fortunato
apparteneva a questa seconda specie umana. Tanta era la sua ansia
di piacere che aveva imparato a indossare con naturalezza ogni
abito. Riusciva sempre a incarnarsi nellidea che gli altri
si erano fatta di lui. Per questo si sentiva amato e poteva fare
sogni tranquilli. Ma quel giorno la sorte gli tirò un brutto
scherzo. Qualcuno gli chiese involontariamente di essere ciò che
mai avrebbe potuto essere. Forse se stesso, chi sa. Finalmente,
quando era ormai convinto di aver sbagliato strada, vide il bivio
con la Madonnina di pietra. Girò e si vide di fronte una salita
dallasfalto sconnesso. In alto sulla sinistra, circondato
dai pioppi, apparve un convento monumentale, austero come la
faccia dun vecchio. Senza fermarsi Fortunato guardò la
mappa segnata a matita sul foglietto, calò la marcia e prese una
mulattiera ripida, subito a destra. Chiuse i finestrini perché
il vento spingeva in macchina la terra sollevata dalle ruote.
Dietro a quella polvere il sole sera ingiallito. Un arbusto
secco rimbalzò sul cofano e volò via. Da un momento
allaltro si aspettava un grande cancello di ferro fuso, con
le colonnine di granito rosso.
Questo apparve proprio dietro ad una curva, era aperto e
percorse il viale che lo separava dalla villa. Arrivando nel
cortile era certo di trovare qualcuno ad attenderlo e rimase
deluso trovandosi solo davanti ad un vecchio portone di legno
verde, ricoperto in parte dalledera. Nessun campanello ma
un semplice batacchio a testa di leone. Ebbe limpressione
che il suono si ripercuotesse lungo le pareti. Attese qualche
minuto mentre la sera ormai prendeva corpo. Uno scricchiolio e la
porta fu aperta da una bimbetta che con un filo di voce chiese di
seguirla e lo condusse in una stanza. Guardandosi intorno
aspettò larrivo della Madre Superiora che si occupava del
collegio. Non si sentiva a proprio agio in un ambiente così
austero e lontano dal proprio mondo, però aveva bisogno di
lavorare e lofferta di occuparsi del giardino, in cambio di
vitto e alloggio con un piccolo compenso in denaro, gli era
sembrata buona. Larrivo della Madre Superiora confermò la
sensazione di freddo che aveva provato varcando il portone. Fu
salutato con molta gentilezza ma non vide un accenno di sorriso
su quel volto. Data lora tarda Suor Agnese lo fece
accompagnare nella casa del custode dove avrebbe vissuto, da
solo.
La stessa ragazzina lo guidò lungo un corridoio sino alla cucina
e, aperta la porta, gli indicò una casetta che appena si
delineava nel buio. Attraversò il parco, immaginandolo pieno di
colori con la luce del giorno, e arrivò in breve tempo davanti
alla casa. Lambiente era confortevole: un piccolo salotto,
un cucinino, una camera da letto e un bagno. Lindomani
Fortunato fu chiamato dalla Madre Superiora e gli fu detto quale
fosse esattamente il lavoro che avrebbe dovuto svolgere. Il parco
della villa si rivelò una sorpresa per la varietà di piante
presenti e fu contento di aver accettato quel lavoro. Passando
dalla cucina Fortunato incontrò suor Letizia, la cuoca, dalla
quale si fece dare qualcosa per la colazione. Ebbe modo di sapere
che la villa ospitava un collegio per bambini. Fece un giro di
perlustrazione ed iniziò a lavorare potando delle siepi di
rododendro, poiché i rami avevano invaso il piccolo passaggio.
La potatura richiese molto tempo ed era quasi ora di pranzo
quando finì di ripulire il viale dai rami tagliati. Sentì il
suono di una campanella e si avviò verso la cucina. Attraversato
il prato, che lo separava dalla villa, la sua attenzione fu
attratta da un rumore che proveniva da dietro una siepe, si
avvicinò e vide un bambino accucciato su se stesso che dondolava
e cantava una cantilena di cui non si capivano le parole.
Fortunato riconobbe la voce di suor Letizia che lo chiamava e si
diresse verso la cucina. Mangiò con appetito e, bevuto il
caffè, tornò a lavorare senza pensare più al bambino che prima
aveva visto. Passò il resto della giornata tra mimose, betulle e
rose, ammirando la bellezza delle ninfee di un laghetto situato
al centro del grande parco. Le giornate si presentavano piene di
cose da fare e il loro ritmo era scandito dallo scampanellio
allora di pranzo e dallimbrunire che non permetteva
di lavorare allaperto. Il quinto giorno rientrando in casa,
dopo aver innaffiato diverse siepi, Fortunato sentì di nuovo
quel mugolio che il primo giorno lo aveva attratto. Questa volta
proveniva dalle scalette che portavano allingresso
secondario. Arrivato lì vide quel bambino; avrà avuto forse
dieci anni: minuto, pallido, con i capelli biondi e ricci. Se ne
stava seduto su un gradino e si dondolava ripetendo sempre lo
stesso suono. Lo chiamò, ma il bambino non alzò neppure la
testa. Sentì aprire la porta che dava sulle scale e apparve suor
Letizia, che chiamò il piccolo: Francesco. Rientrarono tutti e
due in casa e a Fortunato non restò altro che fare la stessa
cosa. Quella sera, però, non riuscì a fare a meno di pensare a
quel bambino mentre cercava di vedere la televisione. Si
domandava perché un bambino così bello se ne stesse in disparte
e perché, poi, si dondolasse a quel modo. Lindomani,
appena sveglio, si recò da Suor Letizia per sapere qualcosa di
Francesco: era orfano, viveva lì dalletà di tre anni ed
era affetto da autismo. Tutti avevano difficoltà nel comunicare
con lui e così si era creato un suo mondo. Avevano provato a
imporgli un ritmo di vita diverso ma si era rifiutato, tirando
calci e mordendo chi aveva attorno ed anche se stesso, sicché lo
avevano lasciato vivere a modo suo. Fortunato si sentì triste.
Uscì per andare a curare una pianta di ibisco. Mentre lavorava,
cercava di immaginare un mondo solitario come quello di Francesco
e non poteva credere che una persona potesse isolarsi così,
anche se il bambino aveva sofferto per la perdita dei genitori,
sentendosi abbandonato. Era stato visitato da tanti medici e
sottoposto a varie terapie, passando tra tante mani, ma senza
ottenere nessun miglioramento. Nei giorni seguenti Fortunato ebbe
modo di guardarlo da lontano, per non disturbarlo, ma anche per
lincapacità di stargli vicino, per la paura che Francesco
lo potesse colpire o graffiare come spesso faceva con chi lo
infastidiva. Dentro di sé non si sentiva tranquillo e diceva a
se stesso che il problema non era certo suo, era lì da troppo
poco tempo per affrontare quella situazione: se neanche le suore
se ne occupavano tanto, perché avrebbe dovuto farlo proprio lui
? Fortunato, quella mattina, si svegliò presto con addosso una
sensazione piacevole per via della bella giornata, dopo una
settimana passata tra la pioggia e il cielo coperto e minaccioso.
Dedicò tanto tempo alla potatura della siepe che costeggiava le
mura del collegio. Ad un tratto sentì un rumore da un punto non
molto lontano da lui, si avvicinò e allungò le mani dentro la
siepe: qualcuno gli morse la mano, che ritrasse subito un poco
intimorito. Guardò con attenzione tra le foglie e vide un
piccolo cucciolo di cane, cercò di farlo uscire ma ottenne
soltanto di essere morso nuovamente. Andò di corsa a casa e
prese una scodella con il latte, la mise in terra accanto alla
siepe e si allontanò di poco per vedere se il cucciolo sarebbe
uscito dal suo nascondiglio. Dopo un breve attimo di esitazione,
il cane si avvicinò alla scodella e iniziò a leccare il latte.
Lo faceva continuando a guardare Fortunato e ad ogni suo
tentativo di avvicinarsi si ritraeva. Finita la prima scodella,
Fortunato versò ancora dellaltro latte. Il cane
ricominciò a bere, ma senza avere più quellaria di
diffidenza, tanto che si lasciò accarezzare. Lo seguì fino
allingresso di casa. Tentennò nellentrare, poi
lasciò cadere ogni paura: da quel momento diventò lombra
di Fortunato. Ogni tanto non si capivano e Fortunato si trovava
con qualche piccolo morso sulle mani, ma era contento di aver
trovato una compagnia. Lo aveva chiamato Cicca e sembrava che il
cane avesse accettato il nome. Con il passare dei giorni era
riuscito ad insegnargli qualche gioco: ora riportava pezzetti di
legno che gli lanciava nei momenti di pausa. Cicca cresceva e
assumeva sempre più laspetto del cane adulto: doveva
essere un incrocio di pastore tedesco, dal pelo nero e lucido. Fu
allalba di una mattina piovosa che Fortunato venne
svegliato da qualcuno che bussava alla porta. Ancora intontito
dal sonno andò ad aprire: era suor Letizia che parlava
convulsamente. Non riuscivano più a trovare Francesco: il letto
era disfatto e nessuno lo aveva visto uscire. Fortunato si unì
alle suore per cercare il bambino, continuando senza risultato
fino a sera: Francesco era sparito senza lasciare traccia. Dove
poteva essere andato? Perché si era allontanato? Il buio
impediva la ricerca. Durante un attimo di calma Fortunato notò
che, da quando si era alzato precipitosamente quella mattina, non
aveva visto Cicca. Certo era stato così occupato nel cercare
Francesco da non farci caso, ma ora si domandava dove si fosse
cacciato il cane. Decisero di riprendere le ricerche del bambino:
ad ognuno venne affidata una zona ed a Fortunato toccò quella
che circondava la sua casa. Escludendo di trovare Francesco
dentro casa, si mise a frugare tra i cespugli che costeggiavano
il muro della legnaia. Il buio e la pioggia non rendevano le cose
facili. Stava per ritornare in casa, quando sentì un latrato e
ripensò a Cicca. Si avvicinò alla legnaia e aprì la porta
socchiusa, ritrovò il cane accoccolato su un mucchio di
segatura, bagnato e infreddolito. Gli si avvicinò e, commosso,
gli fece una carezza. Il cane lo guardò riconoscente ma con un
improvviso movimento si alzò e si avvicinò ad una catasta di
legna. Fortunato lo seguì e guardando nel buio vide i riccioli
biondi di Francesco: il bambino aveva gli abiti bagnati, tremava
e aveva una parte della catasta franata sulle gambe: non poteva
muoversi e lo guardava impaurito. Non aveva potuto invocare aiuto
perché non pronunciava una parola da tanto tempo e neanche ora
riusciva a dire niente a Fortunato, lo guardava in silenzio,
abbassando ogni tanto lo sguardo. Riavutosi dalla sorpresa, si
avvicinò al bambino, gli fece una carezza sui riccioli e cercò
con lo sguardo di confortarlo. Francesco improvvisamente gli fece
un grande sorriso e per la prima volta vide brillare gli occhi
del bambino. Fortunato tolse piano piano tutta la legna liberando
le gambe e si rese conto però che Francesco non poteva muoversi.
Temendo una frattura, cercò di bloccargli la gamba con due
stecche di legno e la sua camicia, dopo averne fatto delle
strisce, poi lo prese in braccio, con il timore che il bambino
rifiutasse il contatto con lui: con grande sorpresa si trovò il
collo circondato dalle braccia esili di Francesco. Lo portò
subito dalle suore. Fu chiamato il medico che riscontrò una
forte contusione alla gamba destra ma dichiarò che non vi erano
fratture, diede un leggero calmante al bambino affinché potesse
riposare e riprendersi dalla brutta avventura. Stanchi di quella
giornata interminabile andarono tutti a riposare. Fortunato
tornò a guardare Francesco, ne vegliò una parte del sonno e gli
si addormentò accanto. Si risvegliò alle prime luci del mattino
e trovò la manina del bambino vicina alla sua: appena si
sfioravano. Francesco aprì gli occhi e guardandolo gli rivolse
un altro sorriso. Fu allora che Fortunato si mise a piangere
pensando che avrebbe dovuto lasciare il collegio, il lavoro e
Francesco. Lindomani mentre si allontanava lungo il
sentiero di terra battuta, vide il grande cancello richiudersi
alle sue spalle. Ancor prima di arrivare al bivio con la
Madonnina di pietra accarezzò Cicca, e fece un grande sorriso
guardandosi nello specchietto: portava con sé molto più della
compagnia di un cane.
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© Ginevra 1997