28 Dicembre 1895. Al Grand Café sul Boulevard des Capucines, a Parigi, si svolge il primo spettacolo a pagamento del Cinématographe Lumière; dopo circa un decennio di sperimentazioni varie, questa data segna la nascita ufficiale del cinema, una nuova forma d'espressione assolutamente rivoluzionaria e destinata a segnare indelebilmente tutto il secolo successivo. Sua caratteristica peculiare è quella di costituire il primo esempio di arte tecnologica, producibile cioè soltanto attraverso sofisticate tecnologie industriali; se infatti la fotografia, che già da tempo si valeva di tecnologie analoghe, sarà per anni considerata meramente un mezzo di riproduzione della realtà, il cinema si presta fin da questa prima proiezione a rappresentare brevi racconti di fiction, in cui è inequivocabilmente presente un primo, rudimentale sforzo creativo.
Si tratta, naturalmente, di un giudizio a posteriori: scettici sulla possibilità di uno sviluppo per la loro invenzione, i fratelli Lumière furono i primi a pronosticare per il cinema un successo effimero come attrazione da fiera, ed una rapida caduta nell'oblio. Ma se non ci volle molto perchè l'indagine sotto il profilo estetico riconoscesse all'opera cinematografica una valenza creativa, il riconoscimento di tale carattere da parte del mondo del diritto fu il traguardo di un sofferto cammino. La naturale tendenza giurisprudenziale a compensare con un'interpretazione estensiva il ritardo del legislatore nell'adeguare la norma all'evoluzione della realtà, non poteva che portare a calare il fenomeno cinematografico negli schemi tradizionali del diritto d'autore, concepiti allora in modo da prevedere le due uniche alternative dell'opera letteraria e dell'opera drammatica. Il risultato inevitabile fu quello di negare all'espressione cinematografica quell'autonomia che oggi è pienamente riconosciuta: nel migliore dei casi il cinema fu visto come mezzo di elaborazione di opere preesistenti -fossero esse letterarie o drammatiche-, quando non addirittura come semplice strumento di riproduzione di esse.
Il primo tentativo di ricondurre ad unità i diversi approcci giuridici al fenomeno della cinematografia si può far risalire al 13 Novembre 1908, con la revisione di Berlino della Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche (1886)1. mostra di considerare l'opera cinematografica soprattutto come uno strumento di riproduzione (nel senso più riduttivo, quello di una pedissequa duplicazione, alla stregua di fotocopia) di opere dell'ingegno preesistenti, preoccupandosi di riconoscere agli autori d'une oeuvre littérarie, scientifique ou artistique il diritto esclusivo di autorizzare la riproduzione e la rappresentazione pubblica delle loro opere a mezzo della cinematografia. Accanto ad una così decisa affermazione della dipendenza della produzione cinematografica dall'opera letteraria-fonte, tuttavia, la norma ammette che ai fini della protezione un film possa essere equiparato ad un'opera letteraria ed artistica quando par les dispositifs de la mise en scène ou les combinations des incidents représentés, l'auteur aura donné à l'oeuvre un caracter personnel et original. In questo caso la norma ammette la protezione del film come un'opera originale; e pur senza nulla togliere ai diritti dell'autore dell'opera letteraria o drammatica da cui esso dipende, l'Art. 2 alinea 2 si spinge perfino a tutelare dalle contraffazioni anche le opere derivate (cinematografiche) illecite2 superando l'apparente antinomia tra la dipendenza del film dall'opera originaria e l'autonomia della sua tutela.
Tale tutela, che pure testimonia della presa in considerazione -da parte del diritto- delle potenzialità espressive del nuovo mezzo, viene però attribuita al film solo attraverso la finzione di ricondurre (equiparare) le produzioni cinematografiche al concetto di opera letteraria od artistica 3 E se pure, parlando di equiparazione invece che di identità, il legislatore sembra implicitamente riconoscere al film una sua specificità ancora da codificare, la protezione prevista dall'Art. 14 non si riferisce a questo specifico cinematografico, bensì agli elementi del film che possono rientrare nella categoria "opera letteraria" (e cioè soggetto e sceneggiatura) con esclusione dell'attività del regista. Un'esclusione inequivocabilmente espressa nel commento al 2° comma dell'Art. 14 4 in cui si afferma: ce qui forme objet fondamental de la protection, c'est l'oeuvre rentrant dans la categorie des oeuvres de littérature, de science ou d'art; les moyens de production ou de materialisation ne sont qu'accessoires et ne présentent qu'un "mode ou forme de reproduction" (art. 2).
L'ulteriore revisione di Roma (1928) migliora parzialmente la situazione pur senza abbandonare la definizione di film come risultato di elaborazione dell'opera letteraria: vi si parla infatti di opera riprodotta o adattata, preoccupandosi di tutelare questa attività di adattamento con la protezione riservata alle opere originali. La cancellazione delle frasi riguardanti les dispositifs de la mise en scène ou les combinations des incidents représentés, dovuta alla preoccupazione di includere nella protezione anche i documentari scientifici -secondo alcuni esclusi dalla formula precedente- riduce l'importanza dell'apporto riguardante l'intreccio della vicenda narrata; mentre l'introduzione del concetto di adaptation, in luogo di quello di semplice riproduzione, porta l'attenzione sulle scelte espressive implicate dall'attività materiale della ripresa cinematografica. L'indagine sulla presenza o meno della creatività comincia gradualmente a spostarsi verso schemi più lontani da quelli della creazione letteraria, per dare maggior rilievo all'attività della filmazione, e si delinea, quindi, quello specifico cinematografico che vent'anni prima il legislatore aveva potuto solo intuire; si delinea, senza però ancora prender forma: il film resta opera derivata, assimilato alle opere letterarie -e quindi protetto- quando vi sia carattere di originalità, e relegato allo schema delle opere fotografiche quando originalità non vi sia.
E' in questa fase dell'elaborazione che nasce in Italia la legge 22 Aprile 1941 N. 633, una minuziosa regolamentazione del Diritto d'autore che inserisce le opere dell'arte cinematografica, muta o sonora, nell'elenco delle opere comprese nella protezione (art. 2), mostrando finalmente di riconoscere la cinematografia come forma d'espressione autonoma. All'opera cinematografica il legislatore dedica per intero la Sezione III del Capo III del Titolo I (gli Artt. 44-50) fornendo gli elementi necessari per cominciare ad individuare una struttura del concetto giuridico di Opera Cinematografica, ma anche sollevando una serie di questioni di difficile risolvibilità. Le controversie nascono in particolare da due articoli: l'Art. 44, che attribuisce la qualità di coautori del film all'autore del soggetto, a quello della sceneggiatura, al musicista ed al direttore artistico (regista), e l'Art. 45, che conferisce al produttore (colui che ha organizzato la produzione dell'opera stessa) l'esercizio dei diritti di utilizzazione economica dell'opera.
Sull'ambiguità che scaturisce dal combinato disposto di questi due articoli della legge si è a lungo diffusa la dottrina. La disposizione si giustifica con la duplice natura dell'opera cinematografica, ad un tempo opera dell'ingegno e prodotto industriale. L'esigenza di tutelare il produttore, artefice del film come prodotto, avrebbe potuto essere soddisfatta considerando l'opera cinematografica come un'opera collettiva5 : in conformità dell'Art. 38 della Legge sul Diritto d'Autore ogni diritto patrimoniale sarebbe stato intestato al produttore ex lege, svuotando però di ogni contenuto economico il diritto degli autori dei singoli contributi. Si è scelta quindi una via di mezzo, configurando il film come un'opera in collaborazione composta (in cui contributi eterogenei, e distinguibili anche a posteriori, si fondono in un unicum indivisibile) e complessa, in cui l'aspetto artistico-intellettuale è inestricabilmente compenetrato in quello industriale; lasciando sostanzialmente alle convenzioni contrattuali il compito di dirimere le difficoltà del rapporto tra gli autori ed il produttore. A quest'ultimo spetta quindi non la titolarità del diritto di sfruttamento economico del film, bensì solo l'esercizio di tale diritto; titolari del diritto d'autore -in entrambi i suoi contenuti, patrimoniale e morale- sull'opera prodotta sono invece gli autori indicati dall'Art. 44 (e cioè il soggettista, lo sceneggiatore, l'autore delle musiche ed il regista6 ) e da essi il produttore è obbligato a farsi cedere la titolarità dei diritti sui singoli contributi.
Rinviando, per il momento, al secondo capitolo il problema della posizione del produttore ed il significato dell'attribuzione a lui dell'esercizio dei diritti economici, ci si concentrerà ora nel tentativo di individuare l'autore dell'opera cinematografica; un tema quanto mai controverso, se è vero che alle difficoltà pratiche sollevate dall'ibrida soluzione del legislatore, la giurisprudenza ha reagito con decisioni contrastanti. Fondamentalmente in disaccordo con la lettera della legge è l'autorevole Cass. 4 giugno 1958, n. 1873 (in Giust. Civ., 1958, 1483 e in Dir. Aut., 1958, 408) nella quale si parla del regista come del ruolo assolutamente preponderante su quello degli altri autori nella fase di esecuzione dell'opera ed in quella, particolarmente delicata, della sua immediata preparazione, imprimendo all'opera un incisivo lavoro di rielaborazione, dando così il timbro, talora prepotente e comunque sempre inconfondibile, della sua personalità e del suo particolare ingegno creativo. Di tutt'altro tenore la decisione di Pret. Roma, 21 gennaio 1967 7 : E' ben vero che la più moderna criticacinematografica tende ad attribuire al regista una preminente funzione nella creazione dell'opera cinematografica, ma codesto orientamento (Š) non sembra trovi adeguato accoglimento sul piano normativo, tant'è che, se può ritenersi che la legge abbia inteso tra i coautori operare una certa discriminazione, questa è compiuta a vantaggio (Š) del soggettista, dello sceneggiatore e del regista insieme (Š) in contrapposizione, intende l'estensore, all'autore delle musiche; più avanti, nella stessa sentenza: (Š) non può dubitarsi (Š) che il regista contribuisca all'opera con un proprio apporto creativo (Š). Tuttavia (Š) incontra un simile obiettivo nel rispetto dell'opera degli altri coautori (Š) nel senso che gli adattamenti e le rielaborazioni di tali opere non possono alterarne la natura ed il contenuto..
Una parziale conferma di questo orientamento si trova in Pret. Roma, 2 aprile 1985 8, nella cui massima si legge: Il diritto morale dell'autore (Š) di un soggetto di opera cinematografica è violato se nella realizzazione sia della sceneggiatura che del film sono apportate modificazioni all'opera originaria tali da poter recare pregiudizio all'onore (Š) o alla reputazione (Š) dell'autore originario. Nel dar ragione al soggettista del film "Fotografando Patrizia", il Pretore si pone il problema giuridico dei rapporti che intercorrono tra soggetto, sceneggiatura ed opera cinematografica risultante: il soggetto è l'idea fondamentale del film (di norma condensata in pochissime pagine) e la sceneggiatura ne è lo sviluppo sotto il profilo scenico (contiene infatti l'indicazione dei movimenti dei personaggi, e spesso anche la descrizione delle inquadrature) e dialogico, ai fini della ripresa materiale. Il piano di parità su cui questi elementi (accanto alla regia ed alla musica) sono posti dall'art. 44 della Legge 633 si rivela quindi, nella realtà, come una astrazione giuridica: come si legge nella sentenza, se nella pratica il regista è andato assumendo una posizione di preminenza, al punto da venir considerato il vero autore del film, così lo sceneggiatore (Š) sembra privilegiato sul soggettista, dandosi così prevalenza all'elemento esplicativo-narrativo su quello ideativo-creativo. Conseguentemente, la sentenza ammette che la sceneggiatura si allontani ed, eventualmente, stravolga il soggetto originario, così come l'attività del regista non è necessariamente vincolata ad un rispetto assoluto della sceneggiatura. E conclude, tuttavia, affermando il diritto del soggettista alla tutela di cui all'Art. 20 l.d.a., cioè ad "opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione e ad ogni atto a danno dell'opera... che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione". Con ciò assestando un duro colpo a quella subalternità del soggetto riconosciuta appena un attimo prima; se è vero che qualsiasi modificazione è passibile di pregiudicare l'onore dell'autore -e, quindi, di violarne il diritto morale - l'esercizio di tale diritto da parte dei singoli autori di contributi costituenti a loro volta "opere" (soggetto, sceneggiatura e musica, per la legge italiana; anche l'opera preesistente per la legge francese) rischia infatti di paralizzare l'iniziativa del regista o del produttore. Il legislatore italiano si è sforzato di rimuovere l'ostacolo con l'Art. 47, che attribuisce al produttore la facoltà di apportare alle opere utilizzate nell'opera cinematografica le modifiche necessarie per il loro adattamento cinematografico 9. Ma anche così la soluzione delle possibili controversie è affidata largamente alla disciplina pattizia, presumendo che i coautori acconsentano -vuoi attraverso clausole apposite, vuoi attraverso una presunta accettazione implicita- alle modifiche necessarie per la creazione dell'intera opera data la natura e lo scopo del contratto10.
Il problema deriva probabilmente dalla persistenza di vecchi concetti nella nuova legge. L'importanza della legge del 1941 sta nel fatto che per la prima volta il film riceve tutela come "forma autonoma e caratteristica di espressione del pensiero e del sentimento"11 superando finalmente le teorie che vedevano la filmazione come riproduzione (o, nel migliore dei casi, elaborazione) di opere preesistenti. Ma la concezione più letteraria dell'opera dell'ingegno persiste, in maniera latente, nel modo in cui il legislatore vede i contributi preparatori dell'opera cinematografica: e cioè il soggetto, la sceneggiatura e la musica. A differenza della regia, che si estrinseca esclusivamente attraverso il progressivo formarsi del film, gli altri tre elementi indicati dall'Art. 44 possono essere individuati separatamente dall'opera cinematografica che da essi deriverà, il che è apparso sufficiente per giustificare la concessione ad essi uno status di opera protetta. Ma la norma non sembra tener conto della formazione progressiva del film e del ruolo in essa tenuto dai contributi in esame. Il fenomeno cui essi, combinandosi, danno origine non è quello della creazione in collaborazione secondo il concetto usuale: non vi è, infatti, la fusione in un unicum di più opere contemporaneamente esistenti, bensì una trasformazione in tempi successivi di un medesimo nucleo centrale che, attraverso l'aggiunta di eterogenee attività creative, diviene poco per volta opera cinematografica12. Come leggiamo in Trib. Roma, 22 agosto 195713, fino a quando non sia completa e pronta per la proiezione al pubblico (l'opera cinematografica) non esiste ancora come opera d'arte, e pertanto, in relazione ad essa, non sorge un diritto di autore (Š). Prima di detto momento esiste (Š) un diritto morale degli autori del soggetto, della sceneggiatura ecc., sulle loro creazioni letterarie ed artistiche (Š). Solo quando il film è completo in tutti i suoi elementi (.) sorge il diritto di autore a favore dei quattro coautori dell'opera cinematografica indicati nell'art. 44 l.d.a. Il contrasto tra l'attribuzione al film dello status di opera autonoma ed il diritto morale attribuito all'autore di un contributo è, quindi, solo apparente; quest'ultimo sembra sussistere, in capo all'autore del singolo contributo, con una funzione che si vorrebbe definire cautelativa, nell'attesa che il compimento dell'opera permetta il sorgere del diritto sull'opera, che spetta al coautore secondo il disposto dell'art. 44. Desta semmai qualche perplessità che, in assenza di riferimenti specifici ad un possibile genus autonomo di "Creazione Letteraria ad uso cinematografico", la fonte del diritto morale su soggetto e sceneggiatura sia reperibile solo nella normativa concernente l'opera letteraria: con la conseguente applicazione di una tutela concepita per forme di espressione dotate di ben altra autonomia. Se si condivide, come la sentenza mostra di condividere, la tesi che sia il regista l'ultimo responsabile creativo del film nel suo complesso, non sembra coerente trascurare la funzione meramente strumentale di soggetto e sceneggiatura. I quali dovrebbero meritare tutela autonoma solo nella misura in cui non siano utilizzati come materiale di costruzione dell'opera cinematografica.
Dobbiamo arrivare al 1948, ed alla revisione di Bruxelles (ratificata nel nostro paese con la legge 16 febbraio 1953, n. 247) perchè il film ottenga anche dalla Convenzione di Berna il riconoscimento della propria autonomia dall'opera letteraria ed entri a far parte dell'elenco delle opere protette indicate nell'Art. 2. Il contemporaneo inserimento, nella lista delle opere tutelabili, delle fotografie fa cadere la distinzione tra film di immaginazione e film documentario -finora assimilato alla fotografia e quindi non protetto-. E tuttavia il testo rinuncia ad individuare quali siano gli autori del film: l'alinea 2 dell'Art. 14 riserva il compito di determinare i titolari del diritto d'autore sul film alla législation du pays où la protection est réclamée, senza sciogliere il dubbio se l'opera cinematografica sia da classificarsi tra le opere unitarie, composte o collettive. Il problema dell'uniformità delle legislazioni è infatti reso insolubile da incompatibilità sostanziali insormontabili tra concezioni differenti: paesi che adottano teorie che fanno capo al momento della creazione privilegiano il carattere di "opera" del film, che è invece visto come un "prodotto" nei sistemi anglosassoni. Il vasto panorama della varietà delle soluzioni nazionali al problema di una ricostruzione giuridica del concetto di film, comunque, permette di individuare due tendenze contrapposte: la prima (adottata in Gran Bretagna, Bulgaria, Polonia, Portogallo, Turchia, e Giappone) vede l'opera cinematografica come un'opera unitaria, composta da elementi eterogenei che tuttavia vengono a fondersi nell'unicum costituito dal film. In conseguenza di questa posizione, le leggi di questi paesi attribuiscono di regola il diritto d'autore ad un soggetto unico; di qui l'apertura della discussione su chi, tra il regista ed il produttore, debba esserne il titolare. La questione viene risolta diversamente a seconda che nelle indagini prevalga un criterio estetico o tecnico per la valutazione della creatività. Quando l'opera venga considerata sotto il profilo estetico, si tende dalla dottrina ad attribuire la titolarità del diritto d'autore su di essa al regista, tenendo conto anche del fatto che fonte del diritto d'autore (come risulta dall'Art. 2576 C.C., nonchè dall'Art. 6 l.d.a.) è l'attività creativa. Altre tesi, invece, sostengono la prevalenza del produttore, giudicando preminente -nella creazione del film- l'elemento industriale ed organizzativo che permette di fondere i vari contributi14. A tale tendenza monistica si contrappone quella pluralistica (rappresentata, sotto varie forme, da Germania, Svizzera, Francia, Italia, Austria, Spagna, Danimarca, Svezia e Norvegia) secondo cui il film sarebbe un complesso di opere, su ciascuna delle quali insistono singoli diritti d'autore. Gli apporti, cioè, non si fondono in un unicum ma mantengono una loro autonomia. All'interno di questa costruzione trovano spazio subcostruzioni del film come opera composta (dando rilievo, più che ad un concetto di coautorialità di diversi soggetti nei confronti di un'opera complessiva, ad un fascio di diritti d'autore paralleli) e, invece, come opera collettiva (accentuando l'importanza dell'attività di organizzazione dei diversi contributi).
Tra tante soluzioni, moltiplicate dalla dottrina in una quantità di varianti intermedie che si differenziano spesso solo per questioni terminologiche, è difficile orientarsi. Nè ci sono d'aiuto le successive revisioni della Convenzione. L'unica novità, ai fini che ci interessano, dell'Atto di Stoccolma del 1967 è quella di assimilare all'opera cinematografica -nella lista delle opere meritevoli di tutela- les oeuvres exprimées par un procédé analogue à la cinématographie: superata la necessità di essere assimilato, per godere della protezione, all'opera letteraria, il film diviene a sua volta pietra di paragone di nuove forme d'espressione (in primis, quella televisiva) che si stanno delineando. Ai fini dell'individuazione di una struttura giuridica del film, tuttavia, il contributo del legislatore convenzionale non va al di là dell'assunzione dell'opera cinematografica tra le opere dell'ingegno. Vi è chi rileva che se, sotto il profilo tecnico, ciò può costituire una lacuna, sul piano pratico non è necessario giungere ad una precisazione della qualità intrinseca dell'opera, elemento quest'ultimo irrilevante per il principio sancito dall'art. 2 alinea 1, che protegge le opere quel qu'en soit le mode ou la forme d'expression15. Però in questo modo non si risolve, anzi si perpetua, l'equivoco della non distinzione tra elaborazione e adattamento: l'art. 14 al. 1 della Convenzione afferma il diritto esclusivo degli autori delle opere letterarie, scientifiche ed artistiche di autorizzare l'adaptation et la rèproduction cinématographique de ces oeuvres, mostrando di non riuscire a superare la costruzione tradizionale delle opere cinematografiche intese come elaborazioni di preesistenti opere di altro genere. Ancora una volta viene negato lo specifico cinematografico, l'autonomia di linguaggio del film e l'alinea 2 dello stesso art. 14, pur affermando l'originalità dell'opera cinematografica rispetto all'opera elaborata o riprodotta, non risolve il problema limitandosi ad affermare la sola creatività che si estrinseca nella riproduzione.
L'impossibilità di individuare una soluzione univoca sovranazionale non esime tuttavia dall'imperativo di tentare di unificare le soluzioni almeno all'interno del nostro ordinamento. Lo scopo è reso più difficile dal fatto che ogni valutazione della dottrina è necessariamente condizionata dal dato normativo vigente: e al di là dei problemi sollevati nel passato -e tuttora in gran parte irrisolti- la Legge sul Diritto di Autore risente ormai in modo grave dei mutamenti della realtà occorsi nell'arco di oltre cinquant'anni. La divaricazione tra la norma e la realtà -da imputarsi per certi aspetti al tempo trascorso dall'emanazione della legge, per altri a una ricostruzione concettuale già allora approssimativa- è stata colmata solo in parte dalla giurisprudenza nell'esercizio pur ampio di una funzione interpretativa della norma che ha sconfinato spesso -come polemicamente si è scritto- in un'autentica "supplenza" del giudice. Al di là del divario temporale le ragioni della crisi della disciplina del diritto di autore vengono individuate nella filosofia che sottende la legge, e che individua la ragione della tutela esclusivamente nell'atto di creazione16, escludendo quindi gli aspetti tecnici e strumentali. L'equiparazione operata dall'art. 44, dei soggetti che concorrono in misura e con contributi diversi alla creazione dell'opera cinematografica - attraverso le discussioni cui si è precedentemente accennato - è stata rielaborata dalla giurisprudenza assecondando l'indirizzo della critica cinematografica, attribuendo quasi unanimemente al regista la titolarità di un diritto di autore pressochè esclusivo17. Tra le diverse posizioni della dottrina, -una delle più convincenti sembra quella mediatrice che, pur riconoscendo al regista il ruolo preminente nella creazione del film, non giunge a considerarlo autore unico. Per quel che concerne la colonna sonora, una musica preesistente ben potrebbe essere adattata a corredo del film senza per questo risultare essenziale ai fini di una compenetrazione con gli altri elementi creativi18; ma non sembra proprio che si possa ripetere il ragionamento riferendosi al soggetto, che del film resta sempre elemento essenziale, anche quando modificato, finchè rimanga in esso traccia del suo autore. Mentre può concepirsi un'opera cinematografica con colonna sonora diversa, non si può immaginare un film con un diverso soggetto senza dover concludere che si tratta di un altro film, e questo per la rilevanza che nell'opera cinematografica ha, nonostante tutto, la trama narrativa. Nè a fortiori si può, analogamente, prescindere dalla importanza della sceneggiatura.
Mentre, quindi, è pacifica la preminenza della regia nella creatività dell'opera cinematografica, non sembra lecita una posizione aprioristica e rigida che non tenga conto delle molteplici situazioni rese possibili dalla complessità stessa dell'espressione cinematografica: dal caso in cui ogni contributo è importante alla pari degli altri, a quello in cui l'attività creativa del regista superi il confine del rispetto per l'opera dei coautori dando al film una più incisiva impronta della propria personalità, fino al caso assai frequente in cui il regista non è che un piatto esecutore della sceneggiatura, non contribuendo che in senso tecnico alla creazione del film19. Quanto alla struttura, sembra che il testo legislativo non consenta di formulare ipotesi diverse da quella dell'opera composta20, che salvaguarda contemporaneamente la natura unitaria del film -inteso quindi come un "bene" oggetto di diritto d'autore- e le manifestazioni di creatività estrinsecantesi nel susseguirsi dei contributi dei coautori. L'opera cinematografica va considerata frutto di una collaborazione, un insieme di attività eterogenee idonee nel loro complesso alla formazione di un risultato unitario nuovo e differente da ciascuno degli apporti -concettuali, espressivi e tecnici- che vi si compenetrano. E la originalità del risultato deriva non solo dall'impiego di forme espressive differenti (immagini in movimento in luogo di una narrazione descrittiva di esse)21 ma dal contributo ideativo che deriva dall'uso di strumenti che determinano una visione del tutto singolare di un oggetto. Ritorniamo quindi, per altra via, all'affermazione della supremazia creativa del regista sugli altri coautori del film. E' infatti il regista -con la scelta delle inquadrature e delle angolazioni, con la direzione degli attori e con il coordinamento di tutti gli altri contributi- a determinare il ritmo e l'atmosfera, potremmo dire addirittura l'identità, della narrazione cinematografica, utilizzando soluzioni del tutto diverse da quelle di qualsivoglia altra forma espressiva.
In questo senso si può risolvere anche il problema delle relazioni tra il film e l'eventuale opera letteraria preesistente. L'autonomia espressiva dovuta alla stessa utilizzazione della espressione cinematografica si esplica mediante la scelta del mezzo espressivo facendo dell'opera cinematografica un'opera nuova22. L'opera non si identifica infatti nella "trama" narrativa (che ben può coincidere nella versione letteraria ed in quella filmica) bensì nell'esternarsi di questa in un linguaggio la cui autonomia espressiva è sufficiente a creare (ricreare, in questo caso) in maniera originale vicende, figure o cose riprese cinematograficamente. Ed il discorso può essere esteso anche al film documentario, facendo giustizia delle tesi secondo cui la preesistenza nella realtà dell'oggetto (reale o concettuale) delle riprese, imponendo al film la fedeltà al dato reale, escluderebbe a priori la presenza della creatività: non ha infatti rilievo ciò che si filma, bensì il modo in cui lo si filma.
2 Nei lavori della Convenzione di Berlino appare una esemplificazione del principio: "Un roman a été utilisé pour combiner les scénes d'un cinématographe; si ce travail a été fait sans le consentiment du romancier, cela constitue une contrefaçon; neanmoins, il n'y a pas de raison pour qu'un concurrent s'approprie impunement le travail du contraffacteur". Actes de Berlin, Rapport RENAULT, p 266; rip. da Sordelli, in La creazione dell'Opera cinematografica (Milano, 1962).
3 Il procedimento è analogo a quello che negli anni '80 porta ad ammettere la proteggibilità dei videogiochi e quindi, per successiva estensione, dei programmi per elaboratori elettronici. In quel caso è il film, ormai riconosciuto dalla normativa del diritto d'autore come forma d'espressione autonoma, a costituire il grimaldello per includere il videogioco nella protezione. La massima di Trib. Torino, 17 Ottobre 1983, recita infatti: Un videogioco, costituito da un breve racconto descritto tramite immagini in movimento con soluzioni variabili ed aperte in relazione all'intervento del giocatore, può formare oggetto di protezione quale opera cinematografica (Š). Anche in quel caso, tuttavia, la motivazione alla base della concessione della tutela viene criticata per l'implicita -e paradossale- negazione della tutelabilità dei programmi per elaboratori elettronici. Come argomenta De Sanctis nel suo commento alla sentenza (Brevi note in materia di tutela dei videogiochi, Dir. Aut., 1984, 436), essa nega tale tutelabilità; essa infatti è pervenuta alla conclusione della tutelabilità del videogame non già sulla base della tutelabilità del programma orrispondente e sottostante ma bensì sulla base della tutelabilità della sua esteriorizzazione visiva, quale opera cinematografica. (Cfr. anche Frignani, Il Tribunale di Torino protegge i videogiochi come opera dell'ingegno appartenente alla cinematografia, Dir. Aut., 1984, 58, per i precedenti giurisprudenziali all'estero).
4 In Le droit d'auteur, 1909, p. 79. Rip. da Sordelli, La creazione dell'Opera cinematografica (Milano, 1962).
5 E' la tesi di Fantechi, Alcune osservazioni intorno alla disciplina degli articoli 44-50 della Legge 22-4-1941, n. 633 (Roma, 1963); contra Franceschelli, Posizioni soggettive rilevanti nell'ambito dell'op. cinem. (R. d. Ind. 1960, I, 156 e sgg.).
6 L'elenco di coautori proposto dal legislatore va contro gli auspici di gran parte della dottrina. Tra tutte si ricorda Colombo (Chi è l'autore del film? in D.Aut., 1935, 365) che aveva visto nel regista l'unico creatore -e conseguentemente l'unico autore giuridicamente riconoscibile- del film quale opera d'arte. Colombo riassume i compiti del regista in tre punti: "1- Elaborare cinematograficamente il soggetto: "pensarlo" cioè nella sua realizzazione plastica e ritmica. 2- Creare la forma plastica del film in vista del montaggio. 3- Creare il ritmo, montando le inquadrature e dando al film quella completezza e organicità di sviluppo che nella sua mente (il regista) ha preordinato." Tutti gli altri apporti restano accessori e non idonei a determinare la coautorialità di chi li pone in essere. Fondamentalmente d'accordo, e fortemente critico verso l'atteggiamento del legislatore del 1941, è Franceschelli. In Posizioni soggettive rilevanti nell'ambito dell'op. cinem. (R. d. Ind. 60, I, 156 e sgg.) egli esclude: a) che il film possa essere considerato opera collettiva (poichè "non risulta dalla riunione di opere o di parti di esse che abbiano carattere di creazione autonoma come vuole, perchè si possa in quel modo concludere, l'art. 3 l.d.a.) e che quindi vi possa essere una pluralità di soggetti-autori. b) che il film possa essere considerato opera comune -cioè, come recita l'art. 10 l.d.a., creata con il contributo indistinguibile ed inscindibile di più persone- (poichè l'art. 49 l.d.a. prova il contrario: Gli autori delle parti letterarie o musicali dell'op. cin. possono riprodurle o comunque utilizzarle separatamenteŠ; nello stesso senso Pret. Roma, 11 Agosto 1958, in Temi Romana, 1959, 116, a proposito della sceneggiatura: Trattasi sempre di un autonomo contributo intellettuale, autonomo e diverso dal soggetto, che dà agli autori titolo per essere protetti separatamente e distintamente.) e quindi che si possano avere più coautori dell'opera nel suo complesso. Il film, per Franceschelli, è un'opera composta creata da uno solo (il regista) utilizzando sì apporti creativi altrui, ma facendone un'opera nuova e diversa. Di avviso opposto è Jarach (Manuale del diritto d'autore, Milano 1968) che ritiene anzi limitante l'elenco della legge n. 633 perchè "coloro che partecipano alla creazione del film sono più numerosi, come è dimostrato dalle didascalie dei film che riproducono i nomi dei collaboratori, e alcuni di essi meriterebbero (Š) di esser qualificati coautori".
7 Riportata da Padellaro, Il Diritto d'Autore, Milano 1972.
8 In Dir Aut. 1985, 504.
9 Un altro elemento utile a dirimere simili controversie deriva dall'art. 22, II comma, dove si afferma che l'autore che abbia conosciuto ed accettato le modifiche della propria opera non è più ammesso ad agire per impedirne l'esecuzione o per chiederne la soppressione. Riferendosi al disposto di questo articolo la dottrina (Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, III ed., Milano 1960) teorizza un onere per il produttore (o, in sua vece, per il regista) di portare tempestivamente a conoscenza del coautore, nella fase di lavorazione, dette modifiche.
10 Greco, La struttura delle opere cinematografiche nel sistema dei diritti d'autore - Saggio di diritto comparato, in Studi in onore di Francesco Messineo, Milano 1959.
11 Capitani, Il film nel diritto d'autore, Roma 1943.
12 Cfr. Chiarini, Il film nella battaglia delle idee, Milano-Roma 1954. Soggetto e sceneggiatura non sono che due tappe intermedie nell'evoluzione di un'idea in un'opera cinematografica che si forma a tratto successivo attraverso una graduale e continua trasformazione del nucleo (l'idea, appunto) originario. Come il semplice fatto di prendere appunti non significa fare della letteratura, così per il film non si può parlare di fasi letterarie; il testo ha un valore puramente strumentale in vista del risultato finale ed il ruolo del soggetto e della sceneggiatura è, quindi, soltanto quello di fornire al regista materia di ispirazione. Chiarini cita anche l'opinione contraria del regista Alessandro Blasetti, che vede la regia come mera realizzazione "tecnica" di un testo il cui valore è non letterario, bensì cinematografico. Ma riporta anche (a pag. 45) una frase di Bacchelli ("Io non potrei scegliere quale mia opera filmare, a meno che non fossi regista") che ribadisce l'assoluta autonomia del film dall'opera letteraria preesistente e, a fortiori, da un soggetto originale concepito in funzione del film stesso.
13 Rip. da Fabiani, Il diritto d'autore nella giurisprudenza, Padova 1972.
14 La contrapposizione tra queste posizioni, in realtà, è spesso solo apparente. E' vero, la nozione europea di "Autore cinematografico" coincide con la figura del regista; è vero anche che tale identificazione è avallata dalla già citata Cass. 4 giugno 1958, n. 1873 (in Giust. Civ., 1958, 1483 e in Dir. Aut., 1958, 408). Ma non va dimenticato, ad esempio, che nel cinema americano degli anni '30 e '40 l'attività del produttore andava ben al di là della mera organizzazione: il ferreo controllo esercitato da figure come David O. Selznick o Val Lewton sulle pellicole da essi prodotte consentiva, ai registi designati a dirigere le riprese, un margine di creatività addirittura irrisorio, davvero imprimendo al film -per attenersi all'espressione della sentenza sopra citata- il "timbro prepotente ed inconfondibile" del loro gusto personale; di modo che anche la critica europea è unanime nell'attribuire la paternità -poniamo- di un "Via col vento" a Selznick, piuttosto che al pur illustre regista Victor Fleming. Più equilibrata sembra, quindi, la legge germanica del 1910, che riconosce la qualifica di coautore al produttore che presti un'attività creativa.
15 Plaisant, Propriete Litteraire cit. ??? fasc. 23, P. 33, n. 125. Rip. da Sordelli La creazione dell'opera cinematografica, cit.
16 La crisi della legge sul diritto di autore, con particolare riferimento alla parte di essa dedicata all'opera cinematografica, è affrontata in questo senso da Giacobbe, Produttore e regista dell'opera cinematografica nella disciplina della legge sul diritto di autore, Dir. Radio Telecom., 1983, 417: Sembra appena il caso di osservare che la disciplina dell'opera dell'ingegno -e la determinazione della posizione soggettiva dell'autore- risente della concezione individualistica che qualifica l'intera codificazione del 1942, nonostante che il clima politico dell'epoca sembrasse orientato verso concezioni diverse, che nella società avevano il loro fondamento: vero è, peraltro, che la ideologia della codificazione solo in parte fu influenzata -specie nel settore civilistico- dalla "cultura" del tempo; essa in realtà fu il risultato della elaborazione culturale e scientifica di tutta una generazione di giuristi la cui formazione scientifica trovava le sue radici nella realtà dello Stato liberale postrisorgimentale, con la conseguenza che quella ideologia -di stampo individualistico- non poteva non riflettersi sul risultato della codificazione. E' questa la ragione per la quale la codificazione (civilistica) è sopravvissuta al regime che la aveva espressa; ma è anche questa la ragione per la quale, specie dopo l'entrata in vigore della Costituzione -che come è noto ha superato l'individualismo dello Stato liberale postrisorgimentale- si sono manifestati segni evidenti di crisi che solo in parte l'interpretazione giurisprudenziale ha potuto superare.
17 Cfr. Pret. Roma 30 giugno 1966 (Giust. Civ., 1966, I,2287; D.Aut., 1966, 396); Cass. 24 gennaio 1968 n. 193 (Foro it., 1968, I, 2242; D.Aut., 1968, 27): al regista spetta il compito di interpretare e tradurre cinematograficamente il soggetto sceneggiato consegnatogli, che rielabora in tutto o in parte ed adatta alle esigenze del film mediante un'opera plasmatrice dell'altrui attività lavorativa cui imprime il segno inconfondibile della sua personalità artistica; Pret. Roma 20 gennaio 1970 (Giust. Civ., 1970, I, 315): nella vita culturale moderna (Š) specie per il cosiddetto cinema d'autore, il film viene caratterizzato ed individuato proprio dal nome del regista che il pubblico considera preminente, se non esclusivo autore dell'opera; Pret. Roma 21 febbraio 1970 (D.Aut., 1970, 103); Pret. Roma 8 luglio 1977 (Giust. Civ., 1978, I, 177).
18 A questo proposito bisogna ricordare, a testimonianza delle infinite modalità di creazione di un'opera cinematografica, che si danno casi di registi che utilizzano la colonna sonora -composta e registrata anteriormente al momento delle riprese- per meglio calare gli interpreti e la troupe nell'atmosfera emotiva che caratterizzerà il film (a tale tecnica ha fatto ricorso, per esempio, il regista Sergio Leone nella lavorazione del film C'era una volta in America). In casi come questi, in cui la musica condiziona materialmente la ripresa, la compenetrazione tra il contributo musicale e gli altri contributi diventa davvero essenziale, poichè la colonna sonora non si limita a costituire il "commento" acustico alla pellicola ma ne determina in certo modo la forma. E chissà come ci si dovrebbe regolare nei casi in cui la musica utilizzata sul set appartenga ad autore diverso da quello che, a riprese ultimate, comporrà la colonna sonora destinata ad accompagnare il film nella sua versione definitiva (un caso, per tutti: nella lavorazione del film L'attimo fuggente il regista Peter Weir ha utilizzato musiche di Ennio Morricone, ma nella pellicola finale il commento musicale è composto da Maurice Jarre).
19 L'opinione è sostenuta da Algardi, Situazione soggettiva del regista di opera cinematografica e suo diritto di autore nella fase di lavorazione (Giust. Civ. 1978, I, 182).
20 Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, III ed., p. 782 (Milano, 1960); Sordelli, La creazione dell'opera cinematografica, p. 169 (Milano, 1962).
21 Se così fosse ricadremmo ancora una volta nell'errore di vedere il cinema come un mezzo di riproduzione di altre opere, invece di una forma di espressione assolutamente originale nel linguaggio e nel modo di trasmettere al destinatario determinate emozioni.
22 E' l'opinione di Greco, La struttura delle opere cinematografiche nel sistema dei diritti d'autore - Saggio di diritto comparato, in Studi in onore di Francesco Messineo, Milano 1959.