Marianna Ucría,
in viaggio nel tempo con Roberto Faenza

L'ultimo lavoro del regista pisano non è stato proiettato sugli schermi cittadini: colpa del campanilismo o della miopia dei gestori delle sale?

di Marco Sisi

Dopo l'ottimo Sostiene Pereira, Roberto Faenza che, lo ricordiamo, insegna all'Università di Pisa e nel 1968 scelse Livorno per ambientarvi Escalation, la sua prima regia, dirige oggi un'altra trasposizione cinematografica di un'opera letteraria. Si tratta di Marianna Ucría, tratto da un romanzo di Dacia Maraini. Anche in questo caso il protagonista del racconto sembra non avere scampo ma, nel corso della storia, riesce a trovare dentro di sé la forza per resistere a un destino avverso.
Siamo in Sicilia, nella prima metà del Settecento. Entriamo nella vita di una ricca famiglia napoletana, gli Ucría, assistendo assieme a una bambina di dodici anni, Marianna (Eva Grieco) all'impiccagione di un ladruncolo. Il nonno (Philippe Noiret) ve l'ha condotta nella speranza che lo shock possa in qualche maniera aiutarla a guarire dalla sua malattia. Marianna è sordomuta, e a 13 anni viene costretta a sposare suo zio, il vecchio duca Pietro (Roberto Herlitzka). La madre (Laura Morante) e la nonna (Laura Betti) l'hanno posta davanti all'alternativa: o il matrimonio, o il convento. Passano gli anni, Marianna cresce, a 16 anni è già madre di tre figli ma è anche riuscita ad ottenere di vivere nella quiete di una vecchia villa di famiglia, immersa nel verde della campagna, dove può dedicarsi alla lettura e allo studio.
Diventata adulta (ora il suo ruolo nel film è interpretato da Emanuelle Laborit, attrice e scrittrice francese, anche lei sordomuta dalla nascita), Marianna prosegue la sua emancipazione imparando il linguaggio dei segni, studiando i filosofi illuministi e dando prova di possedere non solo una ferrea volontà, ma anche un cuore grande e generoso.
Questo film prosegue il percorso di Roberto Faenza attraverso opere narrative che illustrano la capacità di affrontare situazioni che sembrano senza uscita. Come Jona in Jona che visse nella balena (da Anni d'infanzia di Jona Oberski) e Pereira in Sostiene Pereira (dall'omonimo romanzo di Antonio Tabucchi), alle prese rispettivamente con la barbarie dei campi di sterminio nazisti e con la crudele dittatura di Salazar, anche Marianna Ucría deve quotidianamente affrontare un'esistenza resa difficile dall'essere handicappata e al tempo stesso donna di una società dove le donne semplicemente non avevano diritti.
Il regista (autore della sceneggiatura assieme a Sandro Petraglia) ha saputo portare sullo schermo una storia di libertà estremamente attuale, anche se ambientata nella Sicilia di due secoli fa. La vita di Marianna è costellata di situazioni difficili, di crudeltà, ma Faenza riesce a raccontarcela senza mai cadere nell'esaltazione della violenza. Con il suo personalissimo stile, fatto di inquadrature di reazione o di rumori fuori campo, ci rende partecipi di tutta la vicenda rispettando la nostra sensibilità, anche di fronte a un omicidio o a uno stupro.
Un cast di tutto rispetto, composto da attori che, anche se in molti casi non sono popolarissimi, sono sicuramente molto bravi, ha dato vita a personaggi assai difficili da interpretare.
La ricostruzione degli ambienti è semplicemente impeccabile. Danilo Donati, con un impegno straordinario, ha curato costumi, scenografie ed arredamenti. Non è facile concepire da soli tutti e tre gli aspetti caratteristici di un film in costume (anche se Faenza ci tiene a sottolineare che un film è "sempre in costume, anche quando la vicenda si svolge al giorno d'oggi"); questo grande maestro c'è riuscito in pieno. Da sottolineare anche la bellezza della fotografia di Tonino Delli Colli, che ricordiamo in molti film di Pasolini, Leone e Fellini.
Un film da vedere, quindi, perché rappresenta una delle migliori produzioni del cinema italiano. Purtroppo non mi risulta, lo dico con beneficio d'inventario dato che divido il mio tempo tra Roma e Livorno, che fino ad oggi sia stato programmato in uno dei pochi cinema cittadini.
Almeno per l'8 marzo, avrebbe potuto rappresentare un'alternativa intelligente alle classiche ribotte tutte al femminile nei ristoranti e locali da ballo. Speriamo che sia possibile in qualche modo colmare questa lacuna e che episodi del genere, specialmente alla luce dei recenti provvedimenti governativi volti a far crescere il numero degli spettatori, siano sempre più rari.

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