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  La coltivazione delle piante officinali

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Focus su Althaea officinalis

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Condizioni pedoclimatiche ed ambientali nella coltivazione delle piante officinali

di Leonardo Marchitto



Nota riassuntiva:
In questo articolo sono riportati in rivista alcune delle problematiche riguardanti le condizioni ambientali e pedoclimatiche che possono influenzare la qualità e la quantità della produzione di piante officinali.
Le condizioni prima citate sono da considerarsi basilari per una corretta impostazione di una coltivazione officinale che punti alla qualità finale del prodotto erboristico sia come tale che come prodotto di trasformazione.
parole chiave:

condizioni pedoclimatiche ,terreno, clima, ambiente ,contenuto di principi attivi, coltivazioni officinali


1) Condizioni pedoclimatiche e principi attivi

Le condizioni pedoclimatiche, ambientali ed il contenuto in principi attivi delle piante officinali sono due fattori importanti da considerare per chi vuole intraprenderne la coltivazione.
L’obiettivo del produttore infatti non è solo che la pianta nasca e vegeti ma che la quantità e la qualità dei principi attivi presenti in essa siano quelle volute.
1.1) Il terreno
La caratteristica e la composizione del terreno è uno dei fattori da considerare ai fini di una sua corretta lavorazione e della scelta delle specie da coltivare; sono necessarie quindi analisi chimiche per conoscere eventuali carenze di nutrienti, il valore del pH, la disponibilità di N,P,K, Ca e di microelementi.
A tale proposito si può riportare l’esempio della Altea ( Althaea officinalis L.) che contiene più mucillagine quando è coltivata su terreni sabbiosi piuttosto che su quelli argillosi. La Camomilla romana (Anthemis Nobilis L.) e la lavanda (Lavandula spica L.) sopportano bene i terreni alcalini, mentre la tussilago (Tussilago farfara L.) preferisce i suoli di tipo argilloso-calcarei (Catizone et ali, 1986).
Il pH del terreno può essere un fattore limitante per il contenuto in principi attivi delle piante come nel caso degli alcaloidi dello stramonio (Datura stramonium L.), il contenuto non varia in un range di pH compreso tra 6,4 e 7,8; in genere esiste per ogni specie un intervallo di pH caratteristico per il suo sviluppo (Morelli 1981).
Oltre le caratteristiche chimiche hanno molta importanza le caratteristiche fisiche come la porosità e la struttura.
La porosità di un terreno indica la quantità di interstizi e di pori presenti tra le particelle solide che lo costituiscono, questi spazi potranno (a seconda delle situazioni) essere occupati o dall’acqua o dall’aria; essi sono il luogo dove avvengono gli scambi gassosi , la vita degli organismi del terreno e l’assorbimento dei principi nutritivi delle piante. La porosità è massima nei terreni umiferi (70-90 %) ,scende nei terreni argillosi (55-60 %) mentre in quelli sabbiosi ha un valore compreso tra il 30 - 40 % (Bonciarelli, 1980).
Una buona fertilità del terreno è data da una percentuale del 15-20 % dei pori occupati dall’aria.
A seconda delle dimensioni dei pori la porosità è divisa in :
- microporosità
con pori più piccoli di 10 m m e quindi si è in presenza del fenomeno della capillarità
- macroporosità
con pori di diametro maggiore di 10 m m e assenza di capillarità
In un terreno ottimale la micro e la macro porosità
dovrebbero essere equamente divise.
La struttura di un terreno indica la disposizione nello spazio delle particelle che lo costituiscono.
Una struttura grumosa delle particelle del suolo aumenta la fertilità di suoli molto compatti come quelli argillosi aumentandone la macroporosità e
quindi la penetrazione dell’acqua e dell’ossigeno mentre la CO2 può diffondere nell’atmosfera.
Una buona struttura del terreno è favorita dai cementi organici come l’humus colloidale o dai residui delle decomposizioni organiche (amminopolisaccaridi, mucopeptidi ecc.).
I cementi sintetici sono grosse molecole organiche, come poliacrilonitrili, acido vinil-acetato-maleico, che imitano l’azione dei polisaccaridi naturali.
Il terreno è costituito sostanzialmente dai seguenti componenti:
la copertura che ha la funzione di proteggere il terreno dalla pioggia e dagli sbalzi di temperatura. Essa è costituita da residui vegetali e ha la funzione di riserva di elementi nutritivi.
I residui vegetali che si decompongono costituiscono lo strato di decomposizione , esso segue quello di copertura. I funghi e i lombrichi più piccoli svolgono qui un ruolo importante. In questa componente del terreno inizia la formazione della sostanza organica che forma la frazione non minerale del terreno, essa deriva dai residui vegetali ed animali; tali sostanze giunte nel terreno vengono attaccate e trasformate dai vari organismi terricoli, dopo una serie di passaggi di decomposizione si forma una sostanza scura, amorfa detta humus che è in genere presente nel terreno in un quantitativo compreso tra il 2 e il 5 %.
Nello strato di alimentazione delle radici vi è l’accumulo delle sostanze nutritive, dovute alla degradazione delle sostanze organiche , ad opera di funghi e batteri; alcuni di essi, vivendo in simbiosi con le radici delle piante, permettono la fissazione dell’azoto presente nell’atmosfera. Lo strato in questione è molto poroso ad opera dei lombrichi più grossi che scavando canali nel terreno migliorano la circolazione di aria e di acqua nello stesso.
Lo strato minerale è generato dalla disgregazione delle rocce sottostanti ed è il serbatoio di acqua nel terreno; esso costituisce la maggior parte della fase solida del terreno ,oltre il 95% in terreni non organici.
Le rocce non disgregate formano lo strato roccioso ;esso funziona come riserva dei principali elementi fertilizzanti del suolo.
Il suolo non è una miscela di componenti inorganici ma è abitato da una notevole quantità di organismi del terreno ( insetti, acari, millepiedi, funghi e batteri) che gli conferiscono delle proprietà biologiche e partecipano alla degradazione delle sostanze organiche residue e arricchendone il terreno quando esse muoiono; questo processo è detto di umificazione .
La sostanza organica umificata si degrada ulteriormente attraverso l’ammonizzazione (formazione di azoto ammoniacale) e la nitrificazione ad opera dei batteri nitrificanti ( con la formazione di acido nitroso e poi nitrico) che permettono alle piante di usare in gran parte i nitrati rispetto allo ione ammonio, poco usato dalle stesse).
L’azoto svolge un ruolo importante per l’equilibrio vitale delle piante; due processi sono coinvolti nell’acquisto o perdita di tale elemento essenziale:
- la fissazione dell’azoto atmosferico
ad opera di microrganismi azofissatori capaci di assimilare l’azoto atmosferico (azofissatori non simbiotici) o associarlo agli idrati di carbonio delle piante (ad opera di batteri azofissatori simbiotici) come nel caso del Bacillus radicicola.
- la denitrificazione
è un processo negativo per le piante presente soprattutto in terreni asfittici e contenenti acqua in eccesso .In tali suoli si ha una perdita di azoto a causa della sua trasformazione in azoto gassoso (azoto elementare o ossidi) che si disperde nell’atmosfera.
L’acqua è in realtà una soluzione molto diluita di sali ed altre componenti da cui le piante traggono le sostanze necessarie per il loro sostentamento. Nel terreno l’acqua trova posto negli interstizi presenti tra i costituenti solidi. Quando occupa tutti i pori disponibili presenti tra le varie particelle si parla di capacità idrica massima del terreno ; l’acqua è comunque sottoposta alla gravità e penetra negli spazi percolando negli strati profondi (acqua di gravità che corrisponde alla macroporosità del terreno) .
L’acqua che resta a bagnare il terreno dopo la percolazione è detta acqua di imbibizione capillare e corrisponde alla microporosità del terreno. Tale acqua è trattenuta per capillarità e viene anche chiamata capacità di campo ; questo parametro è molto importante in quanto indica il potenziale idrico del terreno che in genere oscilla tra i -100 e -300 millibar .
Quando con l’evaporazione e la traspirazione delle piante i valori scendono al di sotto dei -15 bar si parla di punto di appassimento e le piante non sono più capaci di estrarre acqua dal terreno.
L’acqua compresa tra il punto di appassimento e la capacità di campo è della acqua utilizzabile.
L’ aria che è presente negli spazi non occupati dall’acqua, permette un normale accrescimento della pianta, infatti se la quantità di ossigeno scende al di sotto del 2% la crescita della pianta si arresta (Bonciarelli, 1980) . Il rallentamento è dovuto sostanzialmente al fatto che in carenza di aria si ha una limitazione dell’estensione delle radici e la respirazione radicale. La carenza di aria , come già detto, favorisce la denitrificazione del terreno con perdita di azoto, in quanto prevale la flora batterica anaerobica. L’aria presente nel terreno alla capacità di campo viene detta capacità per l’aria ; essa corrisponde alla porosità non capillare.
A causa delle attività biologiche presenti nel terreno, l’aria in esso presente è più ricca di CO2 e carente di O2 rispetto all’aria atmosferica; essa ha una umidità relativa del 100 %. Un modo per aumentare lo scambio di CO2 verso l’atmosfera e di O2 verso il terreno è quello di aumentare la sua macroporosità evitando le compattazioni, effettuando le lavorazioni ed eliminando l’acqua stagnante che blocca gli scambi gassosi.

1.2 I tipi di terreno

La combinazione dei diversi strati del terreno generano, nelle aree coltivate, una diversa prevalenza degli elementi basilari : sabbia, calcare , argilla e humus.
Questo permette di dividere sostanzialmente i terreni in sabbiosi, argillosi, calcarei e umiferi.
I terreni sabbiosi contengono circa il 70 % di sabbia e a causa del loro eccesso di macroporosità trattengono male l’acqua e gli elementi fertilizzanti. Seccano e si riscaldano velocemente, le concimazioni devono essere frequenti ed in piccole quantità (Lazzarini-Lonardoni, 1985).
L’elevato quantitativo di silicio li rende acidi, tale caratteristica può essere corretta con l’aggiunta di terra di funghi che è alcalina anche se povera di elementi nutritivi. La compattezza potrà essere aumentata con l’aggiunta di torba di palude. La concimazione di tale terreno dovrà quindi riportare il pH tra 6 e 7, usando calce spenta o concimi biologici ricchi di calce come iperfosfato del Marocco, lithotamnio e polvere di rocca.
Apporti di sostanza organica come letame bovino migliorano la struttura di questi terreni.
La liquirizia ed il cumino si adattano bene a questi tipi di terreno, che possono essere concimati con concimi verdi come il lupino ed il trifoglio (Lazzarini-Lonardoni, 1985).
I terreni argillosi contengono oltre il 25 % di argilla, presentandosi compatti e difficili da lavorare. Trattengono bene l’acqua ed i concimi e sono ricchi di potassio. Si riscaldano lentamente restando più caldi in autunno. Questo tipo di terreno è caratterizzato da una notevole microporosità che determina un ristagnamento dell’acqua piovana nei micropori che elimina l’aria, limitando gli scambi gassosi e favorendo i batteri anaerobi che sono dannosi. La compattezza di questi terreni rende necessaria l’azione dei lombrichi che areano il terreno. La flora spontanea di questo tipo di terreni è costituita da trifoglio, frassino, olmo e graminacee. La concimazione ha bisogno di elementi divisori come la torba di sfagno o letami leggeri.
Come concimi verdi possono essere indicati il trifoglio violetto e la veccia (Lazzarini -Lonardoni, 1985) .
I terreni calcarei contengono oltre il 10 % di calcare. La loro vegetazione spontanea è costituita da fiordalisi, papaveri, trifogli, noce e querce. Sono eccessivamente alcalini ed il ferro è poco disponibile: questo può generare clorosi dei vegetali coltivati .
Piante officinali adattabili a questo tipo di terreni sono la camomilla, il cardo, il ginepro e l’anice.
L’obiettivo principale da perseguire davanti a questo tipo di terreni è ovviamente l’abbassamento di pH.
A tale scopo possono essere usati il terriccio di ginestra, quercia (molto acidi), terra di erica o polvere di pietra (che contiene silice), cenere di legno e torba acida. Come concimi verdi può essere usato il meliloto.
I terreni umiferi (o organici) contengono oltre il 10 % di sostanza organica e hanno una consistenza spugnosa, frequentemente sono ricchi di flora microbica e molto fertili. La vegetazione spontanea è costituita da felci, muschio, mughetti mentre la flora officinale è rappresentata dal biancospino.
Questo tipo di terreno ha un eccesso di acidità che può essere corretta con l’uso di calce spenta.
Un particolare tipo di terreno è quello indicato con il nome terra franca che è un terreno di medio impasto; esso è costituito da sabbia grossa (30-50 %) ; sabbia fine (15-30 %) ; limo (10-15%); argilla (5-10 %); calcare (1-5%); e sostanza organica (3-5%). Tale tipo di terreno è indicato concordemente dagli agronomi come ideale per ogni tipo di coltura (Bonciarelli, 1980).

2) Il clima     

Il clima e la latitudine svolgono un ruolo decisivo per lo sviluppo delle piante.
E’ noto infatti che per ogni fascia ambientale e climatica esiste solo un certo numero di specie vegetali che si adattano agevolmente a determinate situazioni climatiche fornendo, come nel caso del cardo mariano (Silybum marianum Gaerth.) coltivazioni ricche di acido oleico nelle zone meridionali o di acido linoleico (insaturo) per le coltivazioni più a nord. In generale in climi freddi le piante producono olii contenenti residui di acidi grassi insaturi ( es. acido linoleico ed altri); nelle zone calde tropicali il grado di saturazione aumenta come nel caso del burro derivato dal cacao in cui la presenza di acido stearico è prevalente. (Morelli, 1981).

La menta (Mentha piperita L. ) coltivata in località meridionali è più ricca in olio essenziale che non
quella proveniente dal nord (Catizone et alii, 1986).
Indagini relative al clima (ad esempio valori di temperatura minimi e massimi annuali) ed alla piovosità della zona dove si localizza il terreno scelto per la coltivazione delle erbe officinali possono evitare errori grossolani, come quello di non prevedere irrigazioni in zone più o meno aride, cioè quando le precipitazioni nei mesi estivi scendono al di sotto di 30-40 millimetri. Al contrario occorrerà non coltivare specie che in giugno-luglio sono in fioritura in zone ad alta piovosità (60-70 mm), pena la cattiva essiccazione delle piante (Lugani, 1985). Una semplice classificazione dei climi in base alla piovosità annua è riportata nella tabella seguente:

Clima mm di pioggia
climi aridi meno di 250 mm
climi semiaridi da 250 a 500 mm
climi subumidi da 501 a 750 mm
climi umidi più di 750 mm

1 mm di pioggia=10 m3 di pioggia ad ha

Nella tabella successiva sono riportati alcuni valori della piovosità in varie zone d’Italia:

regione tipo mm di pioggia
Tavoliere pugliese semiarida <500
Sicilia Sud-Occ. semiarida <500
Alpi Apuane molto umida 2500 - 3000
Carnia molto umida 2500 - 3000


Molto importante da considerare però non è la quantità di acqua caduta ma la frequenza (numero di giorni di pioggia) e la distribuzione annuale della pioggia.
In genere l’attività agricola è favorita dove le piogge sono più frequenti e distribuita nella stagione vegetativa rispetto a quella in cui le piante sono in periodo di riposo.
La temperatura svolge un ruolo importante per la vita delle piante in genere e quindi anche delle officinali.
Basse temperature come quelle al di sotto dello 0°C causano il congelamento dell’acqua con la formazione di ghiaccio che rompendo le membrane cellulari coagulano il protoplasma permettendo la precipitazione delle proteine; una delle conseguenze più gravi delle basse temperature sono le gelate (abbassamenti della temperatura al di sotto dello 0°C) che hanno effetti diversi a seconda della specie e del modo con cui esse arrivano: infatti gelate improvvise sono più dannose rispetto a quelle progressive. Temperature al di sotto dello zero hanno effetti negativi sul terreno bloccando la funzione assorbente delle radici e provocando aridità (fisiologica) anche in terreni ben umidi.
Le alte temperature hanno effetti deleteri in quanto generano scarsità di acqua disidratando le piante, temperature superiori a 54 °C provocano la coagulazione del protoplasma o la "scottatura" del cambio negli alberi a corteccia sottile.
I valori annuali di temperatura e piovosità della zona prescelta influenzano il contenuto di principi attivi.
Temperature piuttosto basse in primavera diminuiscono l’accumulo di olii essenziali nella lavanda ed aumentano la quantità di bisabololossido nella camomilla comune (Matricaria chamomilla L.), andamenti stagionali piovosi nei periodi di raccolta diminuiscono le rese in principi attivi di piante che forniscono olii essenziali come la lavanda (Catizone et alii, 1986).
L’altitudine dei fondi coltivati a piante officinali influisce sulla quantità e qualità dei principi attivi per la Genziana (Gentiana lutea L.), una coltivazione effettuata a 1500-1600 m, oppure a 1000 m in particolari zone climatiche, permette di ottenere un prodotto ricco in principi attivi amari (Bezzi et alii, 1988; Bezzi et alii, 1996). Nel caso dell’assenzio romano si è riscontrato ,attraverso analisi gas-cromatografica, spettrometria di massa e infrarosso, che il tenore di un principio attivo molto gradevole (cis-epossicimene) ed interessante per l’industria liquoristica, aumentava all’aumentare della quota di raccolta della pianta. In particolare esso risultava massimo a 1700 s.l.m. e molto più basso a 600 m; contemporaneamente un principio attivo dannoso per il SNC (il tujone) decresceva.
L’individuazione dell’esatta quota di coltivazione ha permesso di ottenere piante di assenzio romano con un olio contenente tra il 30-40 % di cis-epossicimene e solo 1-2 % di tujone (Tosoni, 1981).
Il clima montano, al contrario dell’esempio precedente, determina nell’ aconito (Aconitus napellus L.) una diminuzione del 15%-20 % del contenuto di alcaloidi (Morelli, 1981).
Le essenze di legno di Juniperus procera Hochst (ginepro etiopico) contengono una maggior quantità di cedrolo se la pianta vegeta tra i 2500-3000 m rispetto ad essenze ottenute da piante site fra i 2000 e i 2500 m (Rovesti, 1979).
In alcuni casi piante raccolte a diverse altezze mostrano modifiche drastiche nella composizione degli oli essenziali come nel caso di Achillea Herba-rota : le piante raccolte ad un’altezza di 2275 m danno un olio essenziale composto quasi totalmente da acetato di geranile mentre le essenze ottenute a quote inferiori (1680 m) ne contengono solo tracce. (Sacco et al. 1973).
L’influenza dell’altitudine sulle rese e sul contenuto di principi attivi di alcune piante officinali è stato approfondito in modo sistematico da ricercatori francesi (Maraocke R. , 1987) che hanno studiato il comportamento a diverse altitudini (500 m ;700 m ; 900 m; 1100 m; monti Vosgi) delle seguenti categorie di piante:

a) piante da oli essenziali (issopo, menta e tanaceto)
b) piante da mucillagine (tasso brabasso, viola selvatica, antennaria)
c) piante da cardiotonici (digitale lanata)
d) piante da alcaloidi (belladonna)
La tabella seguente illustra in sintesi I risultati della ricerca mostrando per ogni specie indagata la quota ottimale sia per le rese in sostanza secca utile che per il contenuto di principi attivi:

ifluenza dell’altitudine di coltivazione e rese in principi attivi

categoria / pianta

altitudine ottimale

(rese sost.secca)

altitudine ottimale

(rese p.a.)

specie da olii essenziali:

issopo

menta

tanaceto

 

700 m

700 m

700 m

 

700 m

700 m

700 - 900 m

specie da mucillagini:

viola selvatica

tasso barbasso

antennaria

 

700 m

700 m

700 - 1100 m

 

900 m *

500 m *

500 m *

specie da cardiotonici:

digitale lanata

 

700 m (1° anno)

 

900 m

specie da alcaloidi:

belladonna

 

700 - 900 m

 

500 - 900 m

* la quantità/qualità delle droghe da mucillagini è stata misurata come "indice di rigonfiamento" come da Farmacopea Francese 9° ed.

In sintesi la quota di 700 metri risulta, nelle condizioni di sperimentazione, mediamente la più valida sia come rese in sostanza secca che in contenuti di principi attivi.
L’esposizione del terreno, che assicura l’intensità luminosa sulle piante coltivate può determinare la qualità dei principi attivi dello stamonio (Datura stamonium L.), che contiene scopolamina solo nelle coltivazioni non sottoposte ad ombreggiamento. Il fattore luce favorisce la produzione di esteri molto aromatici in piante del genere lavandula. In generale per quanto riguarda il fattore luce va detto che la biosintesi di sostanze naturali è dovuta alla luce con lunghezza d’onda compresa tra 400 e 760 nm (luce visibile); la luce ha una azione indiretta influenzando in generale il metabolismo delle piante che accumulano principi attivi anche nelle zone non colpite dalla luce come le radici o i tessuti profondi.
La densità di impianto o di semina può determinare variazioni nel contenuto in principi attivi di alcune specie, coltivazioni molto fitte di calendula (Calendula officinalis L.), di cardo mariano o melissa (Melissa officinalis L.) danno rese minori. Buone rese di Camomilla comune si sono ottenute con densità d’impianto di 20-30 piante per m2 ,(Dellaecca, 1996) mentre per la liquirizia la densità ottimale è di 4 piante per m2 (Marzi, 1996).
L’aneto (Anethum graveolens L.) coltivato ad alta densità fornisce un olio scadente con scarsa quantità di fellandrene, pinene e limonene, mentre la quantità di carvone aumenta.
Al contrario, la menta piperita accumula più rapidamente olio essenziale in coltivazioni a maggiore densità, anche per la maggiorana recenti sperimentazioni hanno evidenziato rese maggiori per coltivazioni più fitte con densità ottimali di 60 x 20 cm (Leto, 1996).
Per alcune piante come la malva (Malva sylvestris L.) aumentando o diminuendo la densità di coltivazione si possono ottenere rispettivamente foglie o fiori di qualità superiore (Catizone et alii ,1986) .


3) L’ ambiente

Ancora più importanti sono le condizioni ambientali delle zone scelte per le coltivazioni.
La presenza di impianti industriali inquinanti o di coltivazioni sottoposte a massicci trattamenti fitoiatrici sono assolutamente da evitare. Anche l’uso di acque di irrigazione su cui ci sia il dubbio di gravi inquinamenti dovuti a scarichi industriali sono da evitare, pena una grave compromissione della qualità del prodotto coltivato, tali condizioni sono frequenti soprattutto in pianura, in zone altamente abitate. La pericolosità di raccolti non sottoposti ad adeguati controlli è stata messa in luce da una ricerca effettuata in Germania dal laboratorio centrale dei farmacisti; essa ha rilevato, su ottanta campioni di undici famiglie di piante officinali, una elevata concentrazione di pesticidi e di metalli pesanti. In genere la fonte di inquinamento di tali metalli è la ricaduta atmosferica durante le piogge e le eventuali acque inquinate usate per scopi irrigui; a questo proposito va evidenziato che anche la morfologia della pianta coltivata può influire sull’accumulo dei metalli pesanti, come nel caso di foglie ricoperte da peluria o da rivestimenti cerosi che possono, legare ioni metallici.
Uno dei metalli pesanti più pericolosi è il piombo presente come antidetonante nelle benzine automobilistiche (piombo tetraetile, piombo tetraetile).
Alcune ricerche hanno stabilito che in vegetali non inquinati il contenuto medio di piombo è in genere inferiore a 5 mcg/g (Motto et alii 1970) , ulteriori indagini hanno purtroppo messo in evidenza che il contenuto nei vegetali di tale metallo è molto superiore nelle coltivazioni poste in vicinanza di grosse vie di comunicazione, la tabella seguente illustra quanto detto:

  Contenuto di Piombo in diversi vegetali

vegetale

quantità di Pb (mcg/g)

luogo della coltivazione

riferimento

lattuga

44,2

vicino autostrade

(Svizzera)

15

spinaci

14,6

" " "

15

papavero

4,7

vicino autostrade (Siena)

9

leccio

28,5

vicino autostrade (Siena)

9

cavoli

91,4

Torino

7

tiglio (fiori ,brattee)

170

vicino autostrade (Lucca)

3

Come si vede da quanto riportato in tabella coltivazioni poste vicino a zone dove è presente traffico sono assolutamente da evitare ; a questo proposito va evidenziato che l’influenza del traffico automobilistico (e dell’inquinamento di piombo) si avverte fino a 200 m dalla strada (Boccia e Del Prete 1976).
In una ricerca, effettuata nel 1988 da De Pasquale e coll., è stato evidenziato che il cadmio presente come inquinante nel suolo alla concentrazione di 10 p.p.m. determina una significativa riduzione della lunghezza delle radici e dello stelo in piante di Matricaria recutita (Camomilla Tedesca); allo sesso modo la presenza nell’aria di cadmio alla concentrazione di 100 mcg/ml causa una riduzione di lunghezza delle radici.
Per questo motivo le zone montane e collinari, in genere meno compromesse ecologicamente, potrebbero essere opportunamente rivalutate per la coltivazione di erbe officinali.
Il grave incidente alla centrale nucleare di Chernobyl (26 Aprile 1986) ha messo in evidenza il pericolo derivante dall’ inquinamento generato dalle radiazioni emesse da radionuclidi. A tale proposito uno studio effettuato tra il 1986 e il 1987 su 406 droghe ottenute da grossisti italiani ha evidenziato che 129 (31,7%) erano radioattive; inoltre 49 erano totalmente o parzialmente inquinate da cesio 137 (137 Ce) un radionuclide con una emivita di trenta anni che viene accumulato nel tessuto muscolare (Menghini et ali 1988). La stessa indagine ha inoltre riportato che i fitopreparati (decotti, infusioni, estratti idroalcolici) ottenuti dalle stesse piante contenevano grandi quantità di Cesio 137.
Tra le condizioni ambientali va considerata la eventuale presenza di altre piante vicine alle officinali coltivate. La consociazione tra diverse piante officinali come l’achillea (Achillea millefolium L.) può aumentare l’aroma di molte piante essenziere vicine.
Lupinus albus aumenta la quantità di alcaloidi dello stramonio mentre la vicinanza della menta li diminuisce (Morelli, 1981). Una diminuzione delle rese in radici è stata recentemente dimostrata per la liquirizia consociata con l’orzo che compete eccessivamente con la liquirizia anche se questa è quiescente nei mesi invernali; la resa in radici fresche è passata da 22,8 t ha-1 a 14 t ha-1 per la coltura non consociata.(Marzi , 1996)
La ventosità della zona in cui si situa il fondo da coltivare è un’altra delle condizioni da prendere in considerazione in quanto la ventosità aumenta l’evapotraspirazione perché gli strati di aria umida presente ad esempio sulle foglie vengono rimossi abbassando la tensione di vapore dell’acqua di traspirazione.
Venti secchi (come il favorano, lo scirocco il foehn ecc..) impediscono alle piante di idratarsi completamente evitando l’espansione normale delle cellule e generando dei tessuti ed organi di dimensioni ridotte (Bonciarelli, 1980).
Un modo per difendere le piante dall’azione negativa del vento è quello di circondare gli appezzamenti di terreno con piante frangivento come le specie sempreverdi (che esercitano la loro azione anche in inverno) a rapida crescita e con apparato radicale robusto per evitare sradicamenti. Piante adatte potrebbero essere nelle zone a clima mite l’eucalipto ed il cipresso .
Infine, per quanto possa sembrare scontato, va presa in considerazione l’accessibilità delle macchine agricole al fondo da coltivare in quanto se la pendenza supera il 5% incominciano a porsi problemi di stabilità delle macchine di lavorazione e trazione.


Bibliografia

1) BEZZI A. ,AIELLO M. , TARTAROTTI M. (1988) "La coltivazione di Gentiana lutea L. nell’ambito del progetto piante officinali del ministero dell’Agricoltura e Foreste" in Erboristera Domani , Maggio, 129-147
2) BEZZI A. , VENDER E. , SCARTEZZINI F. (1996) " Dati morfologici e produttivi rilevati su coltivazioni di Gentiana Lutea L. (1988-1994)" in Atti Convegno Genziana e Specie Amaro-Aromatiche .Ricerche ed Applicazioni ,Università di Camerino, Camerino, 35-56
3) BERTINI, CORSI G., NUTI V. (1978) Atti Soc. Tosc. Sc. Nat. Mem. B85,207
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