ANGELI DELLE BIBLIOTECHE
Bibioteche e bibliotecari visti da uno scrittore ramingo

di BRUNO TOGNOLINI

Pubblicato col titolo
ANGELI, LETTORI, SFACCENDATI - Dedicato alle biblioteche di Sardegna
Nella rivista "Sfoglialibro" di aprile 2008 (supplemento al n. 3 Aprile 2008 di "Biblioteche oggi")

Ho scritto questo articolo nel 2005 per un libro che avrebbe dovuto narrare per immagini le biblioteche sarde, da quelle pubbliche a quelle scolastiche, da quelle interne alle carceri a quelle degli istituti religiosi, magistralmente ritratte dalle fotografe Anna Marceddu e Rossella Fadda per l'editore sardo Delfino. Il venir meno del finanziamento regionale promesso ne ha poi resa impossibile l'edizione, e dopo una lunga attesa nel cassetto, e un certo giro clandestino per le biblioteche d'Italia, l'articolo è stato pubblicato dalla rivista "Sfoglialibro" nell'aprile 2008.

Home Page



Angeli delle Biblioteche


Chi ha visto il film di Wim Wenders "Il cielo sopra Berlino" non dimenticherà l'assorta ronda degli angeli invisibili nella Staatsbibliothek di quella città. Si chinavano affettuosi, silenziosi, protettivi sui lettori, che si chinavano sui libri, silenziosi. Chi ama leggere, chi ne ama l'atto, il momento e il luogo, la luce e la postura, certamente ha sentito qualche volta quella mano posarsi lieve sulla sua spalla ad approvare, esortare, benedire. Dire: "Sì, leggi"
Non è necessario che prenda forma d'angelo – che infatti non ha forma – questa mite illuminazione del lettore: può essere anche soltanto un passaggio di pace, secondo la luce che cade a quell'ora sul libro e sui mobili intorno, una risacca di ricchezza meritata, un flusso mite del sangue nel corpo, del senso dal libro, del tempo nel luogo.
Si può anche solo pensare, distratti: "Sto leggendo, sto bene qui".
E allora forse l'angelo sorride, ci leva la mano d'aria dalla spalla e passa a un altro lettore.
Ma chi ama leggere, se solo un po' ci pensa, non solo nei lettori protetti dagli angeli si può specchiare: anche negli angeli protettori. Borges scrive "chi dorme è tutti gli uomini". Forse, similmente, chi legge è tutti i lettori. Chi ama i libri ama tutti i loro lettori, e volentieri li guarderebbe leggere. Guarderebbe (vuol dire anche "proteggerebbe") la loro lettura, se ne compiacerebbe, s'incanterebbe nel sentire il fruscìo del senso che scorre lieve dalle pagine alla mente di quella donna accigliata e assorta, di quel ragazzo con la matita nei capelli, di quel vecchio che già lambisce il sonno. Sarebbe una lettura di grado superiore, un leggere il loro leggere, una lettura metafisica: d'angeli, appunto.
Il libro fotografico di Anna Marceddu e Rossella Fadda può essere letto così: un compendio di studi per angeli delle biblioteche. Scorrendone le sequenze si può immaginare senza fatica d'esser lì, annidati invisibili nello sguardo della fotografa, che ci indica gli ingressi, la sale, i tavoli, i lettori nei diversi atteggiamenti. A noi, come agli angeli di Wenders, il compito di guardare (custodire), di notare, e di annotare in un taccuino mentale ciò che nell'atto del leggere, nel popolo dei lettori, e nei luoghi della lettura in Sardegna oggi accade.
Al tramonto della mia giornata d'angelo, come nel film di Wenders, confrontando le annotazioni con un collega, io elencherei per esempio quanto segue.


Angeli, studenti, lettori dappertutto


Studenti universitari con le matite in mano, soli ma insieme, seduti a tavoli ingombri di libri, computer, blocchi notes, bagliori sparsi di bottigliette d'acqua. Un uomo solo, contro una grande vetrata su boschi lontani, la giacca sulla spalliera della sedia, sul tavolo un'alta pila di libri, sotto gli occhi uno aperto. Un uomo scuro, con bicipiti forti ornati di complessi tatuaggi, di fronte agli scaffali nella biblioteca dei carcerati, che alle finestre luminose ha sbarre.
Bambini minuscoli in carrozzina che si guardano intorno lieti e sbalorditi mentre la nonna legge.
Bambini appena più grandi, ritti davanti ai loro primi libri aperti da un adulto, che con gesto da divino capocomico così spalanca il mondo. Una bambina vestita di giallo, su cuscinoni gialli, consulta assorta un librino intitolato "Giallo" che mostra in copertina un pulcino.
Quattro giovani fraticelli giulivi posano a grappolo, facendo gli stupidi come un corpo di ballo di girls; ma poi lasciano balenare negli sguardi, in un ritratto più posato, gli abissi sacri che stanno perlustrando: il loro Dio è nascosto fra le righe in uno di quei libri, e forse in tutti.
Lettori immobili, estatici, incantati: nella lettura o nella fotografia? Nel bianco e nero ascetico dello sguardo degli angeli, o nel colore cremoso degli uomini imprecisi? Le gambe sotto i tavoli, gli sguardi nei libri, le mani.
Mani ferme su pagine fruscianti, mani intrecciate dietro la nuca stanca, mani anziane piene di anelli che stringono penne. Mani che aprono cassettini di schedari, indice e medio che corrono le schede come i piedini fatti con le dita. Mani che reggono fronti, fronti che pesano chine sul senso che è scritto là sotto. Mani di ciechi che leggono come pianisti pagine irte di segni, mentre gli occhi scrutano il senso che balena altrove. Mani di ragazzina con una fascia nera al polso su cui brillano teschio e ossa dei pirati. Mani arabe che sfogliano, al rovescio per noi.
Un vecchio, bonetto in testa e grossi occhiali, consulta un dizionario di lingua gallurese; studenti del conservatorio, con partiture squadernate sotto gli occhi, leggono correntemente pentagrammi, righe di geroglifici per noi; un ragazzo, incappucciato nella felpa legge intento, come un giovane trobadore che prepara i madrigali per la prossima corte; una ragazza col pennarello in mano è assorta sui libri aperti inondati di sole: che ora è? Quant'è che studia? Le piace? Impara? Cosa farà più tardi, dove pranza?
Sopra e dietro tutti questi lettori pareti di libri, fondali e quinte di libri, faraglioni e scogliere di libri. All'uscita un ragazzo con lo zainetto, forse pieno di libri in prestito, corre a inforcare la bici verso casa.


Sfaccendati delle biblioteche


Come i lettori di questo racconto forse sanno, prende sempre più piede in tutta Italia (quasi tutta) la "buona pratica" degli incontri con l'autore, offerti ai bambini principalmente da scuole e biblioteche. E anche a me, come scrittore per bambini, è capitato negli ultimi otto anni di visitare scuole e biblioteche (e biblioteche scolastiche, a volte splendido a volte goffo ibrido fra le due). Senza voler tracciare un excursus statistico affidabile, né un racconto mitico da "navi in fiamme al largo di Orione", potrei dire di aver visto ogni genere di biblioteche, grandi e piccole, immense e minuscole, ricche e povere, ben piazzate o sperdute in ogni regione d'Italia ("quasi" ogni regione: ripeto, senza voler dare altro valore a ciò che dico che quello dell'esperienza personale, in oltre dieci anni di tournée non ho mai messo piede in Campania, Basilicata e Calabria). Stavolta dunque non peccherò di salgarismo nello scrivere queste note: in questi posti ci son stato veramente. Una sorta di "Grand Tour", coi piedi e dal vivo, nel lavoro paziente e sterminato (da "uomo che piantava gli alberi") della promozione della lettura in Italia; gran viaggio che ora mi torna in mente mentre compio quest'altro tour, con gli occhi e seduto, nelle fotografie delle biblioteche di Sardegna.
La prima cosa che mi torna in mente è un'osservazione: gli utenti seduti a leggere libri paiono a volte la minoranza dei presenti. A parte i tanti assorti nei monitor di postazioni multimediali, di cui fra poco parlerò, tanti altri stanno, siedono o vagano senza aver nulla a che fare coi libri, e pare che stiano benone lo stesso. Cominciando dall'esterno delle biblioteche, gli angeli di Wenders sul loro taccuino annoterebbero: ragazzi "fuori a fumare", in questo spazio liminare oltre le soglie che i divieti antifumo hanno reso nuovo agorà di riposo e scambio umano; anziani con bonetto e bastone, seduti sulle panchine fuori della biblioteca come fossero in piazza di chiesa; ragazzi e ragazze seduti sulle scale, nel piazzale, come lucertole al sole, borse per terra, cellulari, birre, cdplayer e cuffie in testa; bambini che giocano a calcio nel cortile, ragazzi che giocano a carte sui tavolini del giardino. E dentro la biblioteca la mossa non cambia: a cominciare dai quotidiani, che ogni sorta d'utenti d'ogni età sfogliano o leggono, assorti ai tavoli come studiosi di papiri o stravaccati nelle poltrone come ai bar; e proseguendo coi ragazzini in tuta, che siedono nelle poltrone degli atri parlando e ridendo, con le bibite della macchinetta in mano; o coi bambini che su tavoli ingombri di giochi combinano puzzle, colorano coi pennarelli, ritagliano collages; o coi gruppi di persone che discutono, progettano, ascoltano lezioni e conferenze. O che semplicemente stanno in giro.
Che ci fanno tutti questi sfaccendati nel tempio dei libri?


Ultime Case Ospitali


La reggia di Elrond Mezzelfo a Granburrone, nel Signore degli Anelli di Tolkien, è chiamata "Ultima Casa Ospitale": dimora degli ultimi Elfi non ancora partiti per le Bianche Spiagge dell'Ovest; ma anche ultima dimora ospitale prima delle terre selvagge e di Mordor, la desolazione.
Le biblioteche non saranno forse l'ultima prima della desolazione, ma "casa ospitale" lo sono di certo. Almeno quelle che ho visitato io. Quelle figure variamente intente ad altro che l'angelo annotava, naturalmente, non sono "sfaccendati": sono persone che stanno in biblioteca perché probabilmente "si sta bene". Si sta volentieri, si indugia, si sosta, anche senza scegliere o leggere libri. Magari li si è appena letti, o ci si accinge a leggerli, o li si è letti ieri, o li si leggerà un giorno o l'altro. Intanto i libri stanno lì, non scappano, vero?
La direttrice della sontuosa biblioteca d'un piccolo centro lombardo, ben insediata in una villa ottocentesca nell'incantevole paesaggio dell'Adda, mi raccontava di un giovane uomo che si presentava lì ogni santa mattina, talvolta prendendo un libro, scelto forse un po' a caso, e leggendolo forse un po' distrattamente, ma più che altro sedendo a pensare, o aggirandosi per i cortili, scambiando due parole con le bibliotecarie, e insomma spendendo lì la sua giornata. Alla fine lei stessa lo salutava, parlava con lui, gli affidava addirittura piccoli compiti. Ragionammo su questo fatto. Quella donna colta, efficiente e magnanima, mi disse di ritenere questi strani rapporti una sorta di corollario di frontiera del suo compito di bibliotecaria e dirigente: s'era interessata a quella persona solitaria, forse problematica, s'era informata della famiglia, aveva saputo che un'assistente sociale lo seguiva. Però esitava a prendere contatto con questo specialista, o coi genitori: in fondo non era altro che un utente affezionato, che non disturbava nessuno, e se non libri evidentemente trovava nella biblioteca un qualche altro "servizio" necessario per lui. Altre persone a trama umana più rozza, che come sappiamo allignano ovunque, anche fra i libri, avrebbero detto: "Non è mica un day hospital questo"
Molti bibliotecari, forse tutti, potrebbero raccontare varianti di questo episodio: si tratterà di anziani soli, o mamme con bambini "con problemi", o giovani introversi, o normalissimi utenti gagliardi e senza problemi, che semplicemente vengono spesso e non sempre per leggere.
E allora cosa cercano, lì? Perché proprio lì, e non al bar, o al centro commerciale? Azzardo una risposta da ottimismo della ragione: perché lì si respira un'aria a contenuto d'umanità ancora alto, e i polmoni dell'anima la sentono, e ne traggono beneficio. E da dove vengono queste particelle sospese d'umanità: dai libri? Anche, ma a mio avviso non solo. Ci si può sentire ben soli e depressi un una biblioteca deserta, i cui scaffali ricolmi tocchino il cielo. Viene dai libri e dai bibliotecari. Dai libri, che emanano possente umanità, e dai bibliotecari che governano, orientano, puliscono, profumano di buona lena questa emanazione, e la porgono ai loro ospiti nelle forme più adatte.
I libri più i bibliotecari, fanno la biblioteca. L'Ultima Casa Ospitale di Elrond era tale perché la abitavano gli Elfi. Oggi però questa somma dev'essere estesa, con qualcosa che agli Elfi era estraneo: i libri più i bibliotecari, più i PC.


Occhi al monitor, mani sui mouse


Gli angeli delle biblioteche, perlustrando queste fotografie, annotano ancora: tre bambini che scrutano insieme un monitor, assorti e seri, le mani sulla bocca, probabilmente consultando un'opera multimediale di "infotainment"; altri quattro invece ridono, cliccano, strabiliano, puntano elettrizzati gli indici al monitor, probabilmente giocando un videogame; un ragazzo davanti a un PC guarda un film, solitario con le sue cuffie in testa; gli studenti consultano libri posati su leggii da tavolo in legno, il cui disegno arcaico ripete come in uno specchio quello dei notebook aperti dall'altro lato, forse in un muto passaggio di testimone; un paio di mani guantate di bianco digitano su una tastiera, accanto alla quale serpeggia misteriosamente un metro da sarta; dovunque, in ogni biblioteca d'ogni paese ad ogni ora, uomini donne e bambini con occhi al monitor, dita sulle tastiere, mani sui mouse.
Alcune biblioteche, inorgoglite (o imbarazzate) da questa presenza ingombrante dei media digitali, che gli è cresciuta dentro come una serpe in seno (o un figlio in grembo), cambiano nome e chiamano se stesse Multimediateca. Altre invece continuano a chiamarsi seraficamente Biblioteca, convinte forse che i nomi terranno dietro alle cose quando sarà il loro tempo, anziché il contrario. Controcorrente, una grande biblioteca festosa di utenti s'è insediata in un bel palazzo storico di Terni, già residenza del comune, che per tre anni era stato sede del solito centro multimediale "fiore all'occhiello dell'amministrazione", che pare fosse decaduto a videonolo. O perlomeno questo è il racconto che ne danno le fiere bibliotecarie che mi accolgono; racconto fiero, con toni di rivincita, dato che pare vi sia una guerra in corso. Ma c'è una guerra? E chi la vincerà?
Eccole, le domande da oracolo in Delfi: il PC soppianterà il libro? Le biblioteche saranno obsolete?
Non lo so, però posso riflettere su questo: forse non c'è bisogno, per svolgere bene un compito, di pensare che sarà per sempre. Non è necessario, per aprire o tenere aperta una biblioteca, avere una visione precisa, o una fede decisa, nel futuro destino dei libri in concorrenza evolutiva con gli altri agguerriti media. Se anche il libro dovesse soccombere ed essere superato, perché ciò accada bene, come vitale mutamento culturale e non come trend commerciale o amministrativo, occorrono libri e studio e biblioteche. Per vivere bene un passaggio di cultura, occorre cultura. Per superare bene i libri, occorrono buoni libri.
Fino a quando vivranno, dunque, le biblioteche? Finché saranno utili, saranno vive. Quando non serviranno più, piuttosto che stare lì a piangerle o trasformarle in musei, sarà bene riversare la loro millenaria esperienza sui nuovi luoghi che prenderanno il loro posto, per farli funzionare bene come per millenni hanno funzionato loro.
È un campo in cui molte voci di profezia si levano, a tracciare scenari, e anch'io alla fine dei conti ho detto la mia. Forse gli angeli delle biblioteche sono gli unici che veramente sanno, ma stanno zitti. Si limitano a custodire e benedire equanimemente, uno dopo l'altro, i lettori chini sui libri e quelli ritti davanti allo schermo, che siedono fianco a fianco nella stessa biblioteca, perché forse stanno facendo la stessa cosa.


Il giro della casa


Annotano ancora gli angeli di Wenders: finestre della biblioteca Universitaria sul porto di Cagliari, con gran cielo africano e palmizi; finestre col cielo a quadretti nella biblioteca del carcere minorile di Quartucciu; finestre su tetti di tegole, su campanili, su boschi; persiane con tagli di sole, a Porto Torres, che tracciano righe abbaglianti per la sala, strisciano sulle spalle dei lettori chini sui tavoli, intersecano sugli scaffali le coste dei libri.
Personalmente niente mi dà il senso d'un ambiente, e dell'esperienza umana d'abitarlo, come le finestre e la luce del giorno che piove da esse. Non le soglie, le scale, gli atri, le sale delle biblioteche, siano ampie o anguste, ma la luce quasi palpabile che piove dallo strombo di una finestra sui tavoli e sugli scaffali mi lascia intuire le ore laboriose o noiose, di calma o di piena, d'inverno o d'estate che si devono avvicendare il quel luogo quando io non lo vedo.
Ho visto e vedo, come ho detto, numerose biblioteche in tutta Italia. Spesso non può essere altro che una visita frettolosa, di corsa dietro alla bibliotecaria padrona di casa, che un po' intimorita vuol farmi vedere tutte le sezioni, mentre i bambini rumoreggiano già pronti, aspettando "l'autore" nella sala; altre volte son pranzi pacati in ristorante, o spuntini in qualche bar, nell'intervallo fra gli incontri della mattina e del pomeriggio. E qui possono distendersi i racconti. Ho cominciato presto a provar noia nel parlare di me e del mio lavoro, sempre lo stesso racconto: e a incuriosirmi invece delle mie ospiti, a invogliarle a raccontarmi la loro realtà, la situazione e i problemi, le delusioni e le speranze della bibliotecaria, dell'insegnante, della dirigente scolastica che mi ha chiamato lì.
E ho sentito allora l'orgoglio del lavoro ben fatto ("quest'anno ventimila prestiti"), l'euforia delle belle imprese ("abbiamo piazzato scaffali di libri da tutte le parrucchiere del paese"), oppure la frustrazione dei tagli dei fondi ("il nuovo assessore spende solo per portare in piazza i comici della TV"); o peggio la frustrazione di belle imprese finanziate con da speranzosi assessori e che invece vanno deserte perché "il territorio non risponde", e lo sguardo e il tono di voce un po' derelitto pare chiedere (a me?): cosa devo fare? "Abbiamo spedito cinquecento inviti, abbiamo avvertito i genitori delle scuole…".
Questo mi dicono: il resto lo immagino io. Quando mi fanno fare "il giro della casa", guardo come cade la luce dalle finestre sulla loro biblioteca, e immagino questo: oggi viene l'autore, è un giorno speciale che hanno preparato per tempo, con telefonate, richieste di fondi, scartoffie, contatti con le scuole, scambi di e-mail con me, ed eccomi qui. Arrivo, parlo, parto, e loro restano qui per il resto dell'anno. Nella luce delle finestre si guardano intorno fra gli scaffali noti, chiedendosi cosa fare ora, qual è la prossima mossa, la prossima festa per accendere quei loro libri e offrirli al meglio al loro paese, alla loro città.
E cosa avrà pensato il famoso scrittore? Sarà piaciuta la loro biblioteca?


Autorevoli testimonianze


In questi eventi, sotto la pelle dell'incontro coi bambini, avviene in realtà un altro scambio segreto, che negli anni ho imparato a percepire, fra l'autore e le bibliotecarie (se l'incontro è in biblioteca; e con le dovuta varianti, fra l'autore e le maestre se è a scuola). È uno scambio di visioni del mondo, una piccola trasfusione incrociata, sangue venoso e arterioso che circola nelle due direzioni. L'autore e le bibliotecarie si lanciano a vicenda un messaggio nella bottiglia, che contiene un'affermazione e una domanda. Loro hanno garantito ai bambini che vi sono voci degne di essere ascoltate, ma non ne sono certe. Io ho scommesso tutto il mio lavoro sul fatto che vi siano orecchie che sanno ascoltare, ma non ne sono certo. Quando ci incontriamo, proviamo se lo scambio funziona. Loro mi chiedono uno sguardo sul loro lavoro, una testimonianza "autorevole":
questa è la zona morbida per i piccoli, qui i multimedia con le postazioni, per ora tre, qui l'angolo della poesia aperto da poco, non siamo ancora sicure se funzionerà…
Sospettavo, nel mio amore sfrenato per l'etimologia, che "auctor" derivasse dal verbo "augeo", aumentare. Il dizionario etimologico conferma: "auctor" è termine della giurisprudenza latina, e significa testimone, garante, colui che "aggiunge", "aumenta la certezza" intorno a un fatto, che lo conferma autorevolmente. Io sono un autore autorevole per le bibliotecarie, battezzo e certifico il loro lavoro, che mi mostrano: ma loro non sanno quanto siano autorevoli per me. Se io fornisco (e a quanto pare finora è accaduto) garanzia che l'autore esiste, in carne e voce, e ha belle cose da dire con bella faccia, a mia volta raccolgo testimonianza non meno autorevole che il lettore esiste, che ha orecchie e begli occhi accesi, che ha curiosità e accoglienza, e che soprattutto è circondato da mediatori, moltiplicatori, messaggeri: cioè "angeli" in greco.
Ecco: se quando me ne sarò andato questi angeli si guarderanno attorno più contente (concordanza acrobatica, lo so, ma inutile discutere sul sesso degli angeli, no?), se si guarderanno attorno più contente, nella luce che cade sui loro scaffali a quell'ora, e magari penseranno di acquistarlo, quel ficus che ha offerto il fioraio da mettere lì, o di far portare quel nuovo scaffale dal magazzino, e magari di ordinare quei libri di Tognolini che mancano ancora, perché forse qualche bambino verrà a chiederli, allora…
Allora anche io, dall'altra parte dello scambio, andrò via più contento, confermato e confortato nell'impresa di acchiappare le nuvole, pensando che se tale è, almeno non sono solo ad inseguirle. E magari pensando a qualche nuovo libro da scrivere, perché c'è chi lo aspetta.


Angeli coi loro nomi


Io devo chiedere scusa a Nina, la bibliotecaria di Irgòli, in provincia di Nuoro, per tutte le volte che l'ho nominata e portata in piazza. Ma penso che sia chiaro a tutti, a lei per prima, che la sua figura e il suo nome sono emblema, parte per il tutto, se non per l'intera categoria (che è affollata come tutte di marmotte e baccalà), per molte e molte bibliotecarie sarde e continentali capaci e generose come lei. Nina, che ha figuretta giusta per fare l'emblema, era la bibliotecaria più piccola e vispa della biblioteca più piccola e vispa che avessi mai visto. Con l'aiuto della Biblioteca Satta di Nuoro, e delle sue bibliotecarie Tiziana e Daniela, che mi hanno fatto da "guardian angels" in un bel giro per i paesi di Barbagia, Nina mi aveva accolto, emozionata e contenta, nella sua minuscola casina dei libri tirata a lustro. Mi faceva venire in mente quelle maestrine dei film western, che con martello e chiodi e grinta da cowboy si costruiscono da sé la scuola dove accogliere i bambini del paese.
E Nina quando viene aprile parte da Irgòli, Tiziana e Daniela e Cristina partono da Nuoro, Ester e Marisa e Francesca partono da Cagliari, e tante altre di cui non so i nomi partono dai paesi di Sardegna, per venire a Bologna alla Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi. Prendono l'aereo –qualcuna a spese sue, e prendendo le ferie per prenderlo – vengono, girano, guardano, si riempiono gli occhi, poi tornano fra i loro scaffali, nella luce che piove dalla solita finestra, e li guardano con quegli occhi pieni. L'editoria internazionale per bambini è immensa e rutilante, la mia biblioteca è piccola e ai confini del mondo, ma vediamo: dopo aver visto tutte quelle cose, cosa potrei fare io qui?
Nina è l'emoglobina. Piccola cellula rossa veloce che viaggia. Parte, va nei polmoni del mondo, nei posti dove tira vento, dove si respira; lì si carica di ossigeno, torna e lo porta nelle lontane periferie dell'impero, dove serve per il lavoro che c'è da fare. Nina e tutte le altre come lei, che non conosco e non potrò mai nominare, assieme a una sovrintendente coraggiosa e ostinata, e purtroppo rimossa, che conosco e si chiama Paola Bertolucci, hanno fatto delle biblioteche sarde qualcosa che forse alla lunga risulterà più utile e più buono per l'isola che maialetto, mirto e vermentino.


Buon lavoro


Due angeli sardi di Wenders in abiti di fustagno, siedono dopo il tramonto su un muretto lungo lo stradone poco fuori paese. Guardando con un sorriso i ragazzi che si spingono fin lì nella passeggiata della sera, confrontano gli appunti della giornata. Damiel dice a Cassiel:
– Sono venute due fotografe, oggi. Pare che facciano un libro di foto sulle biblioteche sarde.
– Son state anche da me. Gli ho suggerito qualche buona inquadratura.
– Hai fatto attenzione a spostarti?
– Perché? Noi non veniamo nelle foto.
– E invece stavolta qualcuno ci vedrà. Uno che scriverà un articolo per quelle foto. Parlerà di noi.
– Lo so, ma è uno scrittore per bambini: nessuno gli crederà.
– Bene. Purché ci lascino lavorare.
Buon lavoro.

Home Page



Questa pagina è stata creata l'8 febbraio 2008

ARRIVEDERCI
1