LA LINGUA SALVATA
DAI RAGAZZINI
Il flusso delle parole è ininterrotto, nella mente e nell'anima, come un secondo circolo sanguigno. Come esso, è spinto "a tergo" da un cuore potente, incorreggibile generatore di senso; e attratto "a fronte" dal risucchio del vuoto di senso del mondo, che esige d'essere colmato, parlato e nominato senza fine.
Questo flusso sgorga esiguo e incerto nei primi mesi di vita, come il filo d'acqua di una sorgente, nel cui futuro nessuno vedrebbe il largo fiume che verrà. La "lallazione" della mamma, puro suono senza significato, e per questo brulicante di senso, incoraggia questo esile zampillo, lo canta e lo incanta, come una bella voce irresistibile invita un'altra voce a unirsi al coro.
Più avanti le parole si formano, si legano, si combinano in discorsi e dicerie, il fiume parte e non si ferma più.
Può attraversare paludi, luoghi di stagnazione (stagioni ottuse son capitate a tutti); o bei laghi, dove la sosta non è marciume ma riposo e rigoglio; o al contrario rapide e tumulti torrentizi, dove la furia che disfa e ricombina produce i paradigmi della vita; o larghi cammini sereni di grande fiumana, dove queste conquiste si consolidano e si mettono in atto; o ancora tratti carsici, dove il filo del discorso sembra spezzarsi e sparire, e nessun mormorio di domande risuona più: ci vorrà tempo, pazienza e fortuna, per scoprire che le acque non avevano mai smesso di correre, sotterranee, ed eccole di nuovo sotto il sole.
La mia vita è corsa lungo questo fiume di parole, e s'è inzuppata in esso. Fin quando, da bambino e nei dolenti anni d'adolescenza, una balbuzie grave mi plasmava come cera. Il balbuziente, ora lo so, è un muto che combatte; è un guerriero ostinato che lotta con l'angelo del silenzio, per tutta una lunga notte. All'alba, entrambi stremati, se avranno avuto la fortuna di non vincere, guarderanno il mondo terso e bellissimo, ancora tutto da dire, e frutto della tregua tra silenzio e parole comincerà il canto.
Portato da questa corrente, son diventato scrittore per bambini. E nel corso del fiume fin qui, ho visto alcuni scorci molto belli, che ai bambini sono legati. Proverò a raccontarne due.
Uno, il primo, non è un tratto di fiume ma una parola sola, anzi una sola sillaba, chiara e stagliata, così potente da creare la vita. Per cogliere questo risalto bisogna farsi un'idea dello sfondo, dell'aspetto del fiume in quegli anni: giorni e notti di discussioni, con amici e compagni di imprese teatrali e politiche, dove ogni cosa era vagliata al rigore delle analisi; e l'orgoglio e l'ebbrezza del discorso ("... e l'argomento... è bello!", dice Amleto) parevano risarcire le conclusioni di quel processo verbale, che erano d'implacabile rifiuto: non si può, non si fa, non ci sto. Fra quei no, naturalmente, quello ai figli: non noi, non ora, non qui in questo mondo.
Non rinnego l'oltranza di quei no. Le braci etiche su cui bollivano erano, evidentemente, di grande purezza. Perché forse come premio a quel rigore - o metamorfosi di bruco, o soglia di compressione oltre cui il carbone si fa diamante - un bel giorno si è inteso suonare nell'aria un bel sì. Un bel sì chiaro e forte; non si capiva da dove venisse, come potesse suonare a quel punto, chi mai lo pronunciasse, ma era inconfondibile. Un figlio, io? Noi? "Sì". In questo mondo? "Sì". Con tutto ciò che di questo mondo e di me so? Sì.
Una cosa sopra tutte rendeva invincibile quel sì: che non confutava né rinnegava i no, semplicemente - ed incredibilmente - s'integrava con essi, scaturiva da essi, rispettandoli.
Ho detto "si è inteso un sì" non a caso: era così nuovo il suono interiore di quella parola, da ricordarmi un bel paradigma d'esempio per il pensiero primitivo, letto chissà dove, secondo cui il primitivo non direbbe "io penso", ma "in me si pensa". Questo "sì" era stato pronunciato da una voce che non era la mia, o non solo la mia, o non la solita mia. Forse - conclusi allora - era la voce plurale della specie, della sua inarrestabile forza di propagazione. Oggi, a distanza di dieci anni, non è più tanto interessante attribuirla a questa o quella entità, intima o esterna a noi, o l'uno e l'altro. È più importante sapere che possono risuonare, nel fiume delle parole, anche parole così. E quando suonano rompono i monti, e ne sgorga una figlia.
Un altro tratto del fiume che appartiene ai bambini è l'Eden dei nomi nuovi, il lavoro gaudioso di Adamo il nomenclatore.
Le parole si logorano, come ogni altra cosa. Cattivi scrittori e poeti riempiono pagine di doglianze su questa consunzione, invece che tacere e nel silenzio guarire le parole malate. Come una buona circolazione del sangue, o dell'aria in una casa, un buon flusso del fiume del discorso attenua in parte il logorio delle parole. E buoni poeti, scrittori e musicisti, pittori e cineasti fanno da sempre la loro parte, per fortuna, nel rigenerare le parole consunte, riportandole allo splendore originale.
Ma nulla eguaglia il potere rigeneratore d'un figlio che è nato. Il padre o la madre che indicano al figlio le cose, pronunciando nel contempo i loro nomi, vedono per la prima volta con gli occhi dei figli le cose, i nomi, e la nuova alleanza tra essi. E scandiscono quei nomi con orgoglio, legittimo perché sono legittimi re che presentano agli eredi il loro regno. Non si può confondere questo atto d'elezione con un mero addestramento linguistico. Sta accadendo ben altro, si sta celebrando un doppio grande dono: il genitore dona al figlio il mondo, che per lui ha preservato; e il figlio dona al genitore il mondo, che il suo sguardo rinnova.
Secondo un racconto riportato da Marco Polo, ai Magi che entrano uno per uno nella stalla il Messia appare in quattro età: al Mago giovane appare come un giovane; all'uomo maturo come un uomo maturo; al vecchio appare un vecchio. Ma quando i tre entrano insieme, la quarta età non è la morte, ma il massimo concentrato della vita: il neonato. Il Dio dei cristiani deve nascere neonato, per riazzerare i conti del suo popolo. Ogni neonato, nascendo, azzera il tempo; e anche i nomi, che vanno legati di nuovo alle cose, e rigenerati.
È così che in questo scorcio di fiume le parole sono terse e scintillanti come le cose dopo una bella pioggia. Ed è così che concludo il mio racconto. Nulla vuol dimostrare, solo mostrare due begli scorci di un fiume di parole. Come ai venti, che tengono pulita l'aria, bisogna essere grati ai bambini che ci nascono, perché rendono vergini e terse le nostre parole. E bisogna ricambiarli con la stessa moneta.
Questo è ciò che mi fa disperato quando vedo che alcuni, forse tra poco assai potenti, dopo averli sommersi nelle case con la televisione-spazzatura, ora promettono di raggiungerli nelle scuole con "Internet, Inglese e Impresa". Son queste le parole più nuove che abbiamo per loro? Davvero? Li ricambieremo così?
Questa pagina è stata creata il 31 dicembre 2000
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