NARRARE CON LA VOCE
Breve storia della narrazione orale dalla preistoria a oggi, narrata ai ragazzi da uno scrittore per ragazzi

di BRUNO TOGNOLINI

Pubblicato sul primo volume della
ENCICLOPEDIA TRECCANI DEI RAGAZZI, aprile 2005

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Nel settembre del 2003 la Redazione della più prestigiosa enciclopedia italiana mi ha chiesto di partecipare alla staesura del primo volume di un'opera ambiziosa: l'Enciclopedia Treccani dei Ragazzi, curata da "autorevoli storici, scienziati, giornalisti, esperti di tutte le discipline in collaborazione con i più qualificati pedagogisti" etc. Il primo volume sarebbe stato di taglio tematico, con funzioni di introduzione agli altri sei, alfabetici. Mi si chiedeva di curare la voce "Narrazione orale" con un taglio storico, dalle origini a oggi.
Devo confessare che ho recalcitrato un bel po': non sono uno studioso né di questo né di nessun altro tema, mi sentivo inadeguato e poco attrezzato al compito. Devo all'affettuosa insistenza di Carla Ghisalberti, esperta di letteratura dell'infanzia e promotrice della lettura a Roma, che faceva parte della Redazione, l'avere cambiato idea. Carla mi ha convinto che, se non esperto della narraione orale, dopo tanti libri e programmi televisivi ero in fondo abbastanza adeguato al compito di spiegarla e raccontarla ai ragazzi; e che poco mi ci sarebbe voluto a raccogliere i materiali, le fonti, le idee per mettere mano a quella narrazione. Così è stato. Gli studi del DAMS e le appassionate letture successive sulla materia non erano così lontani, e la fase di ricerca è stata fervida e veloce.
Dopo un breve e lieve editing da parte della Redazione, il mio contributo è stato accolto e apprezzato, e il 14 aprile 2005 il volume è stato presentato da alcuni curatori, fra cui Giorgio Celli ed io, alla Fiera Internazionale dei Libri per Ragazzi di Bologna.
L'edizione fu in seguito completata nei suoi sette volumi, che il sito della Treccani presenta come tuttora in commercio. Non sono opere di grande diffusione e facile accesso, o almeno non per il mondo dei lettori che io conosco e che mi conoscono. Per cui, dopo cinque anni dalla stesura del saggio, ho pensato che avrebbe solo potuto giovare all'opera se una sua singola voce fosse stata resa accessibile su un sito web.
Ed ecco dunque, per scolari e studenti e studiosi e curiosi, la Breve Storia della Narrazione Orale dalla Preistoria a Oggi, narrata ai ragazzi da uno scrittore per ragazzi.



Indice


LA VOCE CHE PARLA NEL BUIO ALL'INIZIO DEL TEMPO
Il racconto più antico del mondo
Il dono della parola
La parola che crea: le religioni
La parola che fa: la magia
NARRARE CON LA VOCE PER NUTRIRE
La parola che danza: la poesia
Rime di culla e fiabe: la narrazione femminile
Di bocca in bocca: migrazioni delle fiabe
NARRARE CON LA VOCE PER MESTIERE
Dalla casa alla strada e alla corte
Narratori migranti
Narratori stanziali
L'Odissea, sussidiario del mondo
NARRARE CON LA VOCE E SCRIVERE
Macchinette per ricordare
Come fa a leggere senza muovere le labbra?
La scrittura vince e cambia le mente dell'uomo
NARRARE CON LA VOCE E RECITARE
Narrare con la voce 'facendo le voci': il teatro
La corrente della voce nel fiume del teatro
Narrare mostrando figure: il teatro d'animazione
NARRARE CON LA VOCE MA SENZA ESSERE LÀ
Una voce racconta, moltissimi ascoltano: la Radio
Una faccia racconta, moltissimi guardano: la TV
La rivincita della voce che dice
LA VOCE CHE PARLA NEL BUIO ALLA FINE DEL GIORNO
I grandi leggono ad alta voce ai grandi
I grandi leggono ad alta voce ai bambini
La Voce dell'uomo che chiama le cose non tacerà mai





LA VOCE CHE PARLA NEL BUIO ALL'INIZIO DEL TEMPO

C'è una voce che parla da molto lontano. La notte è nera, la brace è poca, là fuori ci sono orrori che non dormono. Il babbo è sveglio e tiene stretta la sua lancia. Anche la nonna è sveglia e con la voce della notte accarezza la nostra paura: racconta di quanto sono forti i cacciatori della nostra orda, e di come alla fine le fregano, quelle tigri dalle grandi zanne...
Il racconto più antico del mondo


Questo è un racconto racconto molto antico, cominciato all'alba del mondo in un grotta, e che continua ancor'oggi ogni volta che un uomo racconta ad un altro, che un grande racconta a un bambino alla fine del giorno. Intorno a loro la cosa più antica di tutte accade di nuovo: valle per valle, città dopo città, nasce il mondo. È la voce dei racconti che lo crea.
Voce scultrice
Della realtà
La lingua dice
La voce fa


Il dono della parola


La voce umana può articolare molti suoni, vocali e consonanti di ogni tipo. Sa combinarli fra loro in parole infinite, tante quante le cose del mondo, e anzi di più: perché noi diciamo cose del mondo e dell' 'altro' mondo, cose visibili e invisibili, vere e inventate, senz'altro limite che la nostra fantasia.
Anche gli animali comunicano fra loro, e gli uomini si sono sempre chiesti se 'parlano' davvero. Gli scienziati hanno studiato il problema, ma ancora non sono d'accordo: alcuni citano il gorilla Koko, che riconosce duemila parole; altri ribattono che Koko ha solo imparato duemila modi per farsi dare caramelle, visto che a ogni parola imparata gli davano un premio. E così via, chiedendosi se siano discorsi le canzoni delle balene, i fischi dei delfini, i gorgheggi degli uccelli...
In fondo però noi uomini restiamo convinti di essere gli unici ad avere questo potere, il potere di nominare ogni cosa che esiste e non esiste, e grati e orgogliosi lo abbiamo chiamato 'il dono della parola'.


La parola che crea: le religioni


Non appena ricevuto il dono della parola, abbiamo iniziato dicendo che la parola ha creato il mondo, noi compresi. La Bibbia dice così: "Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei".
Ma il Dio degli Ebrei e dei Cristiani non è il solo ad aver creato il mondo con la voce: c'è il Dio con le maracas degli indios makiritare in Venezuela, che fuma, canta e con quel canto crea le cose; c'è il Dio fantastico di Tolkien che con i cori degli Ainur, millenni prima del Signore degli Anelli, crea Arda, la Terra, e in essa gli Uomini e gli Elfi.
E ci sono gli aborigeni australiani, che così raccontano. Un giorno il sole nacque e svegliò gli Antenati che dormivano nelle Buche. E loro gridarono "Io sono!": "Io sono il Serpente!", "Io sono il Cacatua!"... E il Vecchio Uomo Serpente, il Vecchio Uomo Cacatua, il Vecchio Uomo Eucalipto e tutti gli altri Antenati delle cose si alzarono, fecero un passo e gridarono il nome di un pozzo, un altro passo e cantarono il nome di un canneto, e così, camminando e cantando le cose, le aiutarono a nascere.


La parola che fa: la magia


Ma gli aborigeni non sono convinti che il mondo sia stato creato una volta per tutte: pensano che vada sempre ricreato. Ogni tanto fanno lunghi viaggi, ripercorrendo le Vie dei Canti degli Antenati, cantando anche loro a ogni duna e a ogni pozzo la sua canzone. "Per far venir fuori il paese", dicono a chi gli domanda.
Così la nostra voce che racconta fa accadere le cose. È il compito della magia, che da sempre si è servita di parole, formule e storie. "Così sia detto, così sia fatto", dice la fattucchiera, che toglie i mali con l'aiuto di piccole storie come questa: "Come Longino ferì nostro Signore in fianco, e quella ferita oleva ('profumava') e non doleva e sangue non raccoglieva, così questa ferita oglia e non doglia e sangue non raccoglia". E la ferita guarisce. O se non guarisce, il ferito in qualche modo si conforta, perché qualcuno si cura di lui, e perlomeno tenta qualcosa.
È superstizione? Può darsi, ma pensate alla pubblicità: una storiella narrata in un minuscolo film e una formula detta in rima ci fanno la magia, e noi compriamo. O perlomeno desideriamo.

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NARRARE CON LA VOCE PER NUTRIRE


La voce che racconta è uno strumento potente. Gli uomini l'hanno resa ancora più potente col ritmo di cuore e respiro della poesia, e hanno usato questa lingua imbattibile per dire le cose importanti, da fare per prime: le rime di culla per mangiare, dormire, crescere, le fiabe per sognare e capire il mondo. È il grande fiume della narrazione femminile.
La parola che danza: la poesia


Se il racconto è la parola che cammina, la poesia è la parola che danza. Come la danza, la sedia a dondolo, l'altalena, la voce che parla in poesia ci culla e ci incanta. Perché in lei c'è il tamburo nascosto del ritmo del corpo, del respiro e del cuore, che dà il tempo ai versi e alle rime. Chi ascolta risponde non solo con la mente che comprende, ma con un piacere più segreto e scuro, piacere del corpo che sente un tamburo nascosto e risponde col suo.
Questo piacere misterioso gli uomini lo conoscono dalla notte dei tempi, e le cose davvero speciali son dette in poesia. In rima e versi sono gli scongiuri, le preghiere e gli inni, le prime antichissime storie: la storia di Gilgamesh, re di Uruk dei Sumeri, la più antica che sia arrivata fino a noi; i grandi poemi Veda degli indiani, gli innumerabili piccoli Tanka giapponesi, l'Odissea dei nostri mari. Il poeta narratore è come uno sciamano che muove a ritmo i sonagli delle parole: e le storie che dobbiamo sapere ci restano impresse.


Rime di culla e fiabe: la narrazione femminile


Le cose davvero speciali son dette in poesia. Questo è vero per l'intera umanità, e per ogni singolo uomo che nasce. I primi poeti del mondo sono donne. Le madri della specie umana, non appena mettono al mondo una creatura, cominciano a parlarle in rima e versi per dire le cose importanti: tu devi dormire, devi mangiare, devi star bene, devi imparare. Ognuna di queste grandi imprese ha le sue filastrocche, un po' imparate e un po' inventate. Il neonato non capisce le parole, ma sente il tamburo nascosto, e quello gli basta: per dormire, mangiare, ridere, imparare a parlare.
Non appena ha imparato a parlare, ecco le fiabe. Queste non sono dette in versi e rime, perché le rime irrigidiscono il racconto e non lasciano il gusto di dirlo con parole proprie. Non hanno un tamburo nascosto, ma la voce di chi le sa raccontare, se proprio non danza, di sicuro cammina danzando: si ferma, sospira, accelera, sussurra e grida, si fa profonda per fare i re, fina per le fanciulle, untuosa per i consiglieri...
E gli ascoltatori, bambini o grandi che siano, per un'ora 'cancellano' il mondo: intorno a loro, infatti, può esserci una casetta o una reggia, un tucul africano, un tepee pellerossa, un igloo eschimese...
Perché le fiabe sono uccelli migratori, che viaggiano cambiando di poco per i continenti.


Di bocca in bocca: migrazioni delle fiabe


La fiaba di Cenerentola probabilmente nasce in Cina, dove si usava fasciare i piedi delle bambine perché restassero minuti ed eleganti. Lì è stata trascritta per la prima volta da un racconto a voce, quasi mille anni prima di giungere a noi. Dalla Cina la ritroviamo in Egitto, riferita da uno storico romano cento anni dopo Cristo; e poi eccola in Arabia, dove fugge dalla festa dell'henné perdendo uno zoccoletto d'oro; ed eccola ancora in Vietnam, dove viene addirittura uccisa dalla matrigna, ma poi rinasce e si reincarna grazie a Buddha in persona.
Sulle fiabe tante cose si son dette e studiate, e tante si potrebbero dire che non basterebbe questo libro intero. Ma forse il loro segreto resterà tale, e sarà meglio così. Filosofi e studiosi d'ogni era hanno detto cose diverse: per alcuni le fiabe sono importanti perché sono semplici e innocenti; per altri perché sono complicate e sapienti; qualcuno le crede espressione del popolo, qualche altro espressione delle donne, qualche altro ancora espressione del profondo...
I secoli son passati come sogni, queste opinioni sorgono e scompaiono, e le fiabe scorrono sempre come un grande fiume tranquillo.
Qual è il loro segreto? "Ciò che tu ami resta" – dice il poeta Eliot – "e non sarà strappato via da te".

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NARRARE CON LA VOCE PER MESTIERE


Le stanze delle narratrici, le strade dei narratori. I maschi imparano a narrare, e ne fanno un mestiere: cantastorie raminghi per le vie del mondo, oppure fermi alla corte dei principi. Circolano larghi pezzi di poemi scambiati fra colleghi, tutti a voce e a memoria. Molti di questi pezzi vengono cuciti insieme in un fulgente monumento: l'Odissea.
Dalla casa alla strada e alla corte


Le donne raccontano le loro fiabe in casa, gli uomini sono sempre via: a caccia o con le greggi. Quando cominciano a coltivare i campi hanno periodi vuoti, restano in casa e ascoltano le fiabe. Qualcuno di loro che ha spirito e gusto prova a narrarle anche lui, mescolandole con le storie di antenati che sente cantare nel luogo sacro. Si diverte, si esercita, diventa bravo. E dato che non deve stare a casa a badare ai bambini e al fuoco, esce per raccontarle nelle strade. Agli abitanti del villaggio piace, sono contenti, fanno regali. Lui passa al villaggio vicino, poi a un altro: e regali anche lì. La sua fama giunge al principe che lo chiama perché racconti a corte. Il principe è contento e lo paga. Quando è stagione di tornare ai campi, quell'uomo si fa i conti in tasca e dice: "Guadagno ciò che mi basta anche così, e in più mi diverto. Addio moglie, io parto per il mondo, divento narratore di mestiere".


Narratori migranti


Ed ecco i cantastorie, che raccontano per i millenni e i continenti.
Alcuni cantano, come gli aedi greci, che mille anni prima di Cristo intonavano sulla cetra le storie di dei ed eroi, improvvisando su temi proposti dal pubblico, ma basandosi anche su brani a memoria, fissati in rima e verso, che cominciano a scambiarsi fra loro.
Dopo quasi tremila anni, raminghi come gli aedi, ecco oggi i narratori siciliani che fanno il cuntu, puntata quotidiana di uno sconfinato racconto che parla delle guerre fra Cristiani e Saraceni. In piedi, possenti, alteri, i cuntaturi non cantano, ma rompono la voce con strani silenzi e singhiozzi nei momenti avvincenti, tenendo lì inchiodati ancora oggi i loro ascoltatori.


Narratori stanziali


Altri narratori invece, anziché andare vaganti, si fermarono alla corte del principe e gli dissero: "Se tu mi paghi, io resto qui e racconto le gesta tue e della tua stirpe, così mantieni saldo il tuo potere".
Ed ecco, presso gli imperatori Incas, gli amauntas, narratori che fungevano da storici: quando il sovrano moriva, d'accordo coi discendenti, cancellavano le sue gesta meno degne, mettevano in versi tutto il resto in un bel poema, e lo cantavano al popolo in tutte le occasioni.
Ed ecco infine i griot africani, gli 'uomini della parola', che a lungo hanno vissuto alla corte del principe come maestri di cerimonia e cantori delle sue gesta. I griot dell'Africa d'oggi sono una casta potente, ancora stipendiati dai principi, ma ora in servizio pubblico ambulante: cantastorie, poeti, storici, musicanti, giudici nelle liti, mediatori di matrimoni, araldi... Industriose formiche, insomma, più che oziose cicale.


L'Odissea, sussidiario del mondo


Uno dei più famosi e antichi cantastorie, un aedo greco di nome Omero, sei o sette secoli prima di Cristo, si mise al lavoro e cucì insieme alcuni di quei pezzi di poema che gli aedi si scambiavano fra loro: nacquero l'Iliade e l'Odissea. Pare che non sia stato un solo aedo a fare l'impasto, ma molti aedi insieme che poi qualcuno chiamò Omero, come una specie di nome di squadra: ma questo a noi interessa poco. Ci interessa invece dire che "Iliade" e "Odissea" ebbero un enorme successo ai loro tempi, e poi anche in seguito, attraversando i millenni fino a noi. Quegli immensi racconti in versi fatti a voce erano in realtà monumentali libroni invisibili della vita di un popolo, che raccoglievano in sé storia remota, insegnamenti religiosi, consigli morali e leggi dello stato, usi del vestire, cucinare, mangiare, prescrizioni su come coltivare, pescare, costruire le navi e navigare...
Insomma, un libro di testo per elementari, medie, liceo e università, costellato di bellissime avventure.
E tutto a voce. Tutto a voce? Non più.

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NARRARE CON LA VOCE E SCRIVERE


I racconti in rima e versi servono anche per ricordare le cose importanti del mondo. Ma un poema o un proverbio non sono i sistemi migliori per tenere a mente cose pratiche e veloci: meglio un paio di segni su una tavoletta. Nasce la scrittura. Per secoli combatte con la voce. Chi vince, chi perde?
Macchinette per ricordare


Finché tutti andavamo nomadi, pastori e cacciatori, non c'era bisogno di ricordare molto. O meglio, per quello che si doveva ricordare bastavano le macchinette di memoria delle rime e dei versi. La poesia, l'abbiamo detto, è una magia misteriosa della voce, che incanta perché si ascolta anche col corpo: ma accade che funzioni bene anche come sistema per ricordare. Se io dico; "Caro Diario che mi ascolti / i tuoi fogli sono molti / ma i miei giorni sono tanti / e i ricordi sono...", e non mi ricordo più come finisce, può venirmi in mente che i ricordi siano 'belli', o 'svaniti': ma rima e ritmo mi dicono subito che sbaglio, e che la parola giusta è 'canti'. La poesia aiutava a ricordare, suggerendo le parole con la rima, ma senza cambiarle, o non tornava più nulla. E anche se i narratori riadattavano e cambiavano le rime, poemi e fiabe non erano in fondo il sistema più pratico per ricordare tutto. Se il nomade si ferma, diventa contadino, e vuole ricordare quanti orci di grano ha prestato al vicino per la semina, fare un poema è un po' esagerato: molto meglio un paio di graffi su una tavoletta. Ecco: è nata la scrittura.


Come fa a leggere senza muovere le labbra?


Molti dicono che la scrittura ha ucciso l'oralità, ma il cadavere non è mai stato trovato. Voce e scrittura, in realtà, hanno a lungo convissuto, e convivono ancora. Quegli aedi che si scambiavano fra loro pezzi di storie mandati a memoria si son resi conto che, imparando a leggere e portandosi dietro uno zaino di rotoli scritti, potevano mettere insieme più storie e più in fretta. Ma non per questo hanno mai smesso di inventare e ricordare: i loro eredi del cuntu siciliano mescolano pezzi 'orali', imparati da altri o inventati da loro, con larghi stralci di poemi 'scritti' da fior di poeti: Boiardo, Ariosto e Tasso.
Scrittura e voce si sono a lungo mescolate. Sant'Agostino era un uomo fra i più colti del suo tempo, scrittore infaticabile. Un giorno, verso la fine del 300 d.C., andò a Milano a trovare il vescovo Ambrogio e rimase allibito: Ambrogio leggeva in perfetto silenzio, senza muovere le labbra. La lettura silenziosa, che a noi sembra così scontata, era ancora sconosciuta dopo un migliaio d'anni di scrittura: le parole erano ancora così 'orali', nella mente degli uomini, che per credere che quei segni neri volessero dire davvero qualcosa, si doveva sentire la propria voce trasformarli in 'parole vere'.


La scrittura vince e cambia le mente dell'uomo


Sia pure pian piano, la scrittura in qualche modo infine ha vinto. Platone potrebbe dire: l'avevo detto fin dall'inizio. Quattro secoli prima di Cristo narrava del dio egizio Teuth, inventore della scrittura, che il faraone rimproverò così: la tua invenzione serve per ricordare, ma avrà l'effetto opposto: mettendo le cose per iscritto, nessuno ricorderà più. Così è stato: col tempo la capacità di tenere a memoria lunghissimi brani è svanita dalla nostra mente, e la nostra mente è cambiata. Con la scrittura è cambiata per esempio l'idea di tempo e di spazio: se ci chiedono di disegnare il tempo, come se fosse un fiume su un foglio, lo facciamo mettendo d'istinto a sinistra il 'prima' e scorrendo verso destra, verso il 'poi'. D'istinto?... No, ci ha 'formato la mente' così la nostra scrittura: un arabo farebbe il contrario.
Ma un cambiamento ancora più grande è avvenuto in noi: sappiamo meno fiabe, meno filastrocche, ricordiamo di meno, è vero, ma pensiamo di più. La nostra mente, liberata dal compito di tenere a memoria una sapienza immutabile, impastata in immutabili poemi, ha cominciato a chiedersi cosa invece poteva mutare. E ha cambiato molte volte tutto il mondo.
Del resto anche Platone la sua storiella contro la scrittura... l'aveva scritta.

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NARRARE CON LA VOCE E RECITARE


Non è solo con la scrittura che la voce combatte e si mischia: si può raccontare 'facendo le voci', o in due, in tre, facendo i personaggi; si può raccontare con l'aiuto di oggetti, burattini, ombre. Il teatro si stacca dalla narrazione orale come un fiume che scorre vicino, ma con molti incroci. Narrare con la voce 'facendo le voci': il teatro

Il fiume della voce che racconta non ha mai cessato di scorrere: creando il mondo, battendo i ritmi del cuore, crescendo i bambini con le fiabe, facendosi mestiere nelle piazze, conservando la cultura di un popolo, combattendo e convivendo con la scrittura. E biforcandosi ogni tanto per generare altri fiumi altrettanto possenti: per esempio, se chi racconta con la voce 'fa le voci' dei diversi personaggi, si può già dire che 'recita', e quello che fa, più che racconto, si può già chiamare 'teatro'.
Gli aedi greci cantavano le loro storie spesso con un coro muto alle spalle che faceva figure di danza; qualcuno diede voce a quel coro, perché dialogasse col narratore. 500 anni prima di Cristo Eschilo, il primo scrittore di teatro, al narratore unico aggiunse un secondo attore; Sofocle, poco dopo, aggiunse il terzo, e in breve tempo il coro perse di importanza. Gli attori si rivolgono sempre più l'uno all'altro, vestono costumi complicati, attorno a loro si dispongono fondali, scenografie, piattaforme girevoli, luci, musiche…
Non è più un uomo che si alza e racconta ai suoi simili: è il teatro.

La corrente della voce nel fiume del teatro

'Teatro' viene dal greco 'theaomai', che vuol dire 'guardare'. Il teatro mostra ciò che succede, recitandolo lo fa accadere davanti agli occhi dello spettatore (che vuol dire 'colui che guarda'); il racconto, narrandolo, lo fa immaginare all'ascoltatore. La storia del teatro è un altro fiume possente che attraversa le ere, e la narrazione orale, il racconto a voce rivolto al pubblico, è sempre stato una corrente di questo fiume.
Nell'antico teatro greco, per esempio, era proibito mostrare fatti di sangue: l'unico modo per informarne il pubblico era far giungere il messaggero che raccontava per filo e per segno i delitti avvenuti altrove.
E duemila anni dopo, William Shakespeare, il più grande scrittore di teatro della nostra cultura, nel Prologo dell'Enrico V, 'fa appello alla forza dell'immaginazione' dei suoi spettatori, dicendo così: "Supplite voi col vostro pensiero alle nostre imperfezioni; dividete in mille parti ogni singolo uomo e immaginatevi un possente esercito; pensate, quando nominiamo i cavalli, di vederli stampare i superbi zoccoli sulla docile terra…". Anche il teatro lo ammette: recitando si può dire molto, raccontando si può dire tutto.

Narrare mostrando figure: il teatro d'animazione
La voce che narra, oltre che attori e costumi, ha altri strumenti per arricchire il racconto, trasformandolo in teatro: per esempio oggetti e figure. Se una bambina gioca con la sua bambola, raccontandosi con la voce ciò che fa, non sta facendo teatro; se chiama i genitori per guardare, sì: fa 'teatro d'animazione o di figura'.
In tutte le civiltà i narratori si sono serviti di figure: burattini a guanto e a bastone, mossi da sotto; marionette con aste e fili, mosse da sopra; bambole e manichini, testoni e pupazzi giganti, sagome e ombre.
Sulle tende dei nomadi, rischiarate dal fuoco all'interno, guizzavano le ombre delle donne che preparavano il cibo. A qualche uomo di guardia fuori, guardando, è venuta l'idea: ecco il teatro d'ombre karaghiozis, di Grecia e Turchia, con le sue figure bonarie e colorate. Il teatro bunraku giapponese invece usa una marionetta senza fili, col viso di porcellana, elegantissima. Tre animatori la muovono a vista, cioè senza nascondersi dietro il telo, ma vestiti di nero per significare che è 'come se non ci fossero'.
Le forme più raffinate spesso assomigliano curiosamente a quelle più semplici: il bunraku è come quella bambina che muove la bambola e con la voce racconta ciò che fa.
La voce che narra si serve di ciò che le serve.

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NARRARE CON LA VOCE MA SENZA ESSERE LÀ


Arriva la radio: uno solo racconta e milioni lo ascoltano. Non ha faccia, ma la sua voce diventa potente. Arriva la televisione, mostra le cose, è ancora più potente. Ma la voce che narra a una cerchia di amici si è spenta per sempre? O torna in forme diverse, riaffiorando in tutti gli altri media?
Una voce racconta, moltissimi ascoltano: la Radio


Il 6 ottobre 1924 una voce di signora, da un cubo di legno, disse che erano cominciate le trasmissioni della Radio italiana. Quell'invenzione diede alla narrazione orale una forza miracolosa: una sola voce parlava, milioni di orecchie l'ascoltavano, da qui ai più remoti confini del regno. Il cantastorie non deve più girare il mondo per raccontare faccia a faccia alla gente le gesta invincibili dei principi. Il principe ci pensa da sé, restando alla reggia: Mussolini raccontava alla radio le gesta invincibili sue e dell'Impero di Roma. Ma le onde radio volano nell'aria e l'aria è di tutti. Se i bambini seduti in salotto giravano quella 'manopola monella' e cambiavano stazione, si sentiva Radio Londra raccontare che Mussolini non era affatto invincibile, e che infatti stava perdendo.
Era iniziata la guerra dei racconti, fatti con voci tonanti, impegnate a sovrastarsi una con l'altra, da pochissimi che parlano a moltissimi che ascoltano, per convincerli a credere e comprare.
Ma non soltanto quello, per fortuna: la voce della radio insegnò l'italiano, la religione, la cultura, narrò storie appassionanti, canzoni, teatro... Insomma fece ciò che aveva fatto la narrazione orale per millenni, ma a milioni di persone in una volta sola: un'Odissea Gigante.


Una faccia racconta, moltissimi guardano: la TV


Un'altra cosa fece la radio, e ancora fa: fa compagnia. La notte, a chi è solo e non riesce a dormire, se chiude gli occhi, la radio regala un salotto di amici: voci confidenziali, calme, vicine, gli parlano delle cose della vita, gli leggono un libro, scherzano, raccontano... Se chiude gli occhi, dicevamo. E se li apre?
Ecco che arriva la TV, e quel salotto si materializza anche in casa sua. È la famosa finestra sul mondo: ma a quella finestra siamo giunti ai confini della narrazione orale. Abbiamo detto che il teatro fa vedere, mentre il racconto fa immaginare: ma sia il teatro che il racconto sono fatti da qualcuno che sta davanti a noi, in carne e ossa; se vogliamo, possiamo interromperlo per dirgli qualche cosa. La radio racconta e non mostra, fa immaginare e non vedere, quindi è vicina alla narrazione orale: ma non c'è nessuno che parla davanti a noi, non lo possiamo interrompere. La TV non racconta ma mostra, non fa immaginare ma vedere, e in più non c'è nessuno lì con noi: siamo troppo lontani dal nostro racconto, e torniamo indietro.


La rivincita della voce che dice


Prima di tornare indietro, però, diamo ancora uno sguardo.
Qualcuno dice che i caratteri dell'oralità, della voce che racconta a chi sta intorno, sconfitti dalla scrittura, si sono presi una rivincita nei 'media' che sono venuti dopo. Alla televisione, per esempio, i programmi di chiacchiere in salotto si chiamano talk show, che vuol dire 'spettacoli parlati': appunto, orali. E le notizie dei telegiornali, oltre che con le immagini, ci vengono raccontate con la voce, in forme più simili a quelle dei narratori nelle piazze che dei giornali scritti.
Qualcuno dice che anche la scrittura sta diventando un po' più orale, cambiata dalla forza della voce che ritorna. I messaggi dei cellulari, per esempio, accorciano e storpiano, disegnano e giocano, riavvicinando la scrittura al discorso parlato: "Quando T C metti 6 proprio 3mendo"...
E in certa musica di oggi, rap, hip-hop, ritornano quelle gare fra aedi improvvisatori che erano all'alba della cultura orale: i giovani rapper chiamati 'MC' ('Maestri di Cerimonia', guarda caso) sulle strade americane si sfidano in sedute di free style, rap senza testo scritto, improvvisato su ciò che si vedono intorno.
La voce che narra riaffiora qua e là, ostinata, nascosta in forme diverse in altri media.

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LA VOCE CHE PARLA NEL BUIO ALLA FINE DEL GIORNO


Ma la voce che narra non si nasconde solo, in forme diverse, nei media di oggi; sta tornando a farsi sentire in tutto il mondo nella sua forma vera: uomini che leggono storie ad altri uomini, ai vecchi, ai bambini. Come un grande mormorio sul pianeta: che non finirà.
I grandi leggono ad alta voce ai grandi


La narrazione orale ritorna, mascherata in altre forme in altri media. Ma per fortuna ritorna anche a viso aperto, nella sua forma vera. In tutto il mondo, presso centri e biblioteche, fioriscono i servizi volontari di lettura ad alta voce per i ciechi,o per chiunque non possa leggere da sé. Compact Disc, cassette e siti web aiutano questo lavoro: non vedranno la faccia che legge, ma migliaia e migliaia in più ascolteranno la voce.
A Bologna e a Venezia i volontari che portano a casa la spesa a chi non può uscire si sono messi d'accordo con le biblioteche: ora portano anche i libri, e qualche volta restano a leggerli. L'iniziativa è intitolata 'Ad alta voce'. E 'Ad alta voce' si chiama anche un programma radiofonico che ogni mattina legge un brano di un libro. Ma non si tratta solo di ciechi o anziani: voci umane, dal vivo o registrate, in tutto il mondo, raccontano storie a chi fa le pulizie in casa, a chi lavora in officina, a chi guida in viaggio, a chi viaggia in treno, o a chi semplicemente siede e ascolta. Sembra quasi di sentirlo: un sussurro di voci di uomini che leggono storie ad altri uomini torna a levarsi da tutta la Terra.


I grandi leggono ad alta voce ai bambini


Un altro sussurro si sente, tendendo le orecchie: voci di grandi che leggono storie ai bambini.
Non bisogna rimpiangere le fiabe narrate a memoria: nel lontano passato non avevano libri e non sapevano leggere. Ora che abbiamo e sappiamo, dobbiamo leggere i libri ai bambini.
Bisogna leggerli perché fanno bene a chi ascolta, a chi legge, e al legame che si crea fra i due. Bisogna leggerli perché la voce umana ha una vitamina segreta, che fa crescere i piccoli, e che non si trova nei Compact Disc di fiabe e alla televisione. Bisogna leggerli in un posto in cui si sta bene, a ore costanti del giorno, così si crea un'abitudine. Bisogna leggere libri belli, che anche il lettore provi piacere e leggere, così al bambino arriva quel libro acceso da quel piacere, e lo fa crescere.
C'è un grande progetto chiamato 'Nati per leggere', diffuso da anni in molti paesi del mondo ('Born to read' negli USA, 'Bookstart' in Gran Bretagna), in cui bibliotecari e pediatri si sono alleati per dire: bisogna leggere i libri ai bambini. E per spiegare quali libri, quando, come, dove e perché. A quel progetto, nelle biblioteche d'Italia o sul web, si possono chiedere quelle importanti spiegazioni, che non c'è più tempo di fare qui.


La Voce dell'uomo che chiama le cose non tacerà mai


Qui sta finendo il racconto. Era cominciato con una voce che narra ai bambini in una grotta, all'inizio del tempo; finisce con una voce che narra ai bambini in una camera, alla fine del giorno. I bambini, i racconti, i posti son cambiati: la voce resta.
Il fiume della voce che racconta attraversa la storia, creando il mondo al principio, battendo i ritmi del cuore, crescendo i bambini con le fiabe, facendosi mestiere nelle piazze, tramandando la cultura di un popolo, combattendo e convivendo con la scrittura, biforcandosi nei fiumi del teatro, mescolandosi con gli strumenti di oggi, radio, televisione, telefoni, computer, fino a arrivare... Dove?
'Verso la foce', dice il titolo di un libro di Gianni Celati, con cui voglio finire.
"D'un tratto risuonano richiami di gabbiani, uno chiama e altri rispondono. Anche le parole sono richiami, non definiscono niente, chiamano qualcosa perché resti con noi. E quello che possiamo fare è chiamare le cose, invocarle perché vengano a noi con i loro racconti: chiamarle, perché non diventino tanto estranee da partire ognuna per conto suo in una diversa direzione del cosmo, lasciandoci qui...".
Vedete? È com'era all'inizio: raccontiamo per creare e ricreare il nostro mondo, perché resti con noi.


Sole tramonta, torna domani
Rima rimani

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Questa pagina è stata creata l'8 febbraio 2008

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