INDICE
Home Page
2. Il testo poetico di Marina Cvetaeva
Marina Cvetaeva ha scritto il "Krysolov" (L'Accalappiatopi) nella sua dolorosa diaspora europea, fra Praga e Parigi, nel 1925. Vi risuona l'ira e l'amarezza dell'artista "diverso", torcia dell'anima che porta luce e disordine (l'Accalappiatopi), nei confronti della comunità che lo circonda (Hamelin), che questa luce respinge e questo disordine reprime.
Come in ogni testo poetico in grado di volare, nell'Accalappiatopi della Cvetaeva battono in perfetta armonia, e con la stessa forza, le due ali del Suono e del Senso.
IL SUONO
"Il verso di Marina Cvetaeva - dice Caterina Graziadei, traduttrice e curatrice dell'edizione italiana dell'opera - sfrutta tutte le possibilità mimiche e strumentali della lingua, le articolazioni fonetiche dell'apparato fisico della parola. (...) Negli ‘a solo' il flauto s'impenna in una ripida musica, fitta boscaglia di suoni, trama di echi, rinvii, riprese tematiche, pura maestria sonora".
Insomma quei versi erano, come la Cvetaeva stessa li definiva, "un acquazzone di suono".
Purtroppo questo suono è in russo. E la traduzione italiana, nonché non rendere la forza di questo "acquazzone", non riesce a darci un'idea dell'importanza del motore sonoro nell'economia del testo russo. Occorre leggere alcuni esempi di versi nell'introduzione citata, per intuirlo.
In italiano: "Rombo di resine. Un bue. Un mulo." - in russo: "Smol Gul. Vol. Mul."
In italiano: "Polvere. Pulviscolo. Corpuscolo. Nulla." - in russo: "Pyl'. Mel'. Mol'. Nul'."
È evidente che la Cvetaeva ha scelto quelle quattro parole non solo per ciò che "vogliono dire", ma per altri e sostanziali motivi, di cui neanche la migliore traduzione può dirci niente.
In linea col progetto "Fiabe d'autore", allora, la Corte Ospitale ha chiamato al lavoro un autore per bambini con esperienza di "rimatore", Bruno Tognolini (che scrive queste note), e gli ha proposto il compito di scrivere un testo in cui la componente di suono, ritmo, rima e strofa tentasse di specchiare in italiano, e in forme adatte a un pubblico bambino, la scelta di stile dell'autrice russa.
IL SENSO
Non solo il Suono aveva bisogno di un interprete, ma anche il Senso, che in molti casi, pur essendo italiano, non suonava per questo meno russo.
La lodevole intenzione di salvare nella traduzione Suono e Senso insieme, come la proverbiale Capra e Cavolo, fa correre il rischio, purtroppo, di perderli entrambi. E il testo italiano, in molti punti, è francamente molto oscuro: almeno per uno scrittore per bambini.
Inoltre, anche quando si capisce "cosa vuol dire", occorre chiedersi:
a) se ciò che vuol dire interessa ai bambini
b) se è giusto raccontarglielo.
Tanti passaggi, tanti affondi irati o sarcastici contro il bigottismo dei benpensanti, che arricchiscono ma ritardano la narrazione dei fatti, possono essere condivisi e goduti a fondo dagli autori (adulti) dello spettacolo, ma non al punto da scordare di chiedersi se quei passaggi interessano ai bambini.
I conflitti reali fra contrapposte tendenze del mondo adulto arrivano e devono arrivare all'infanzia, ma mascherati, "drammatizzati" in forme narrative semplici e forti, come quelle della fiaba (come tale, o sotto le attuali versioni di "fantasy", "adventure", etc.). Nulla è più lontano dal loro interesse che la lunga e raffinata "digressione sul bottone" modulata dal testo della Cvetaeva nel Primo Canto, o le folte allusioni agli opprimenti organismi sovietici sparse ovunque.
Sono "beghe" dei grandi.
E per contro vi sono punti che interesserebbero (eccome!) ai bambini, ma lì è da chiedersi: è giusto raccontarglieli? Il finale della leggenda è sempre sacrificale, in qualunque versione sia narrata: i bambini "spariscono in una grotta" (che sia sempre stata lì o si sia aperta all'improvviso) e vengono inghiottiti dal fianco della montagna. Nella versione della Cvetaeva, invece, la leggenda tedesca s'incrocia con un motivo della tradizione slava: la città fantasma di Kitez, " inabissata per volere divino all'avvicinarsi dei Tatari, (...) che continuerà a vivere sul fondo del lago Svetlojar fino al giorno del giudizio" . Giù in quella città sommersa il Pifferaio della Cvetaeva conduce i bambini, invitandoli a "buttare nella stufa" i libri, le pagelle e gli zainetti, offrendo loro caramelle e giocattoli ("bambole per le bambine, per i bambini fucili"), e promettendogli che "dove andiamo è sempre domenica". Ricorda niente?
E a far cosa, li porta laggiù? Ad annegare? A vivere in un altro mondo?
Molti, narrando ai bambini questa storia "così com'è", col suo finale, hanno scelto di sfumare la cosa in una vaghezza interpretativa: non si vuol dire che siano davvero affogati, la città in fondo al lago è un "altrove", una Città del Sole, utopia di libertà, di poesia, d'arte...
I bambini però hanno bisogno di eventi più univoci e concreti: sono affogati nel lago sì o no?
E se non sono affogati, dove sono andati? Sono tornati nelle loro case?
I piccoli della Cvetaeva, infatti, danno di ciò che sta accadendo loro un'interpretazione ben precisa:
"Ci porterà a morire! - Ma almeno ci divertiamo!"
Anche l'Accalappiatopi ha le idee chiare:
"Dormite! Dormite! Dormite e sparite!"
"State andando in una scuola di silenzio, sott'acqua"
"Scioglietevi, rose delle guance, sparite nell'acqua"
"E l'acqua è già alle spalle - dei topini dai grembiuli a quadrettini"
Topini? Vuol forse dire che per lui fra bambini e topi c'è poca differenza?
Gli ultimi due versi del poema sono cupi come tonfi nell'acqua:
"Mamma, oggi non chiamarmi per cena
Bolle d'acqua"
INDICE
Home Page
3. Il testo teatrale di Bruno Tognolini
È giusto raccontare ai bambini una storia così? Perché sono stati sacrificati, quei loro coetanei?
Devo dirglielo: se gli racconto il cosa devo anche raccontargli il perché.
È solo la nota figura paurosa di dissuasione, un altro Babau che porta via i bambini?
Potrebbero dire, le nonne, "fai il bravo, perché se no viene il Pifferaio e ti porta in fondo al lago"?
No: il pifferaio è venuto non perché loro non hanno fatto i bravi, ma perché i loro genitori non hanno fatto i bravi. E come si può mai spiegare ai bambini, questo?
In qualsiasi modo la si giri, non è un finale giustificabile agli occhi dell'infanzia, non è un valore che si possa proporre, non è una storia che si possa raccontare, se finisce così.
IL SENSO
Farla finire in altro modo, senza snaturarla, è precisamente il lavoro della drammaturgia.
Questo lavoro, sia chiaro, è del tutto compatibile col millenario lavoriò di trasformazione della fiaba. La fiaba, come detto, è fatta per accogliere un gran numero di versioni e varianti senza estinguere il suo nucleo originario; e la drammaturgia elabora la materia della narrazione (fiaba, leggenda, cronaca, romanzi o altro) per estrarne versioni e varianti diverse, che rispondano a istanze diverse da quelle originali: in questo caso per estrarne una versione teatrale, e per bambini.
Come altre abilità d'artigiano, però, la drammaturgia deve conoscere e rispettare il materiale che lavora: tener conto delle venature del legno, nell'intagliarlo. Si rispetta maggiormente il poema della Cvetaeva applicandovi un finale dichiaratamente diverso (un intarsio d'avorio applicato all'intaglio del legno), piuttosto che forzando il suo racconto a finire come non vuole finire.
Oltre ad accorciare, quindi, o tagliar via del tutto le parti che "non interessano i bambini" (le digressioni citate sopra), si è trattato di cercare un nuovo finale che rispettasse le linee interne del poema. E che finale? Cosa potrebbe accadere?
Pare che Pasternak, in una delle tante lettere scambiate con la Cvetaeva (v. introduzione citata), avesse detto che veniva l'impulso d'alzarsi e fermarli, quei bambini, prima che entrassero in acqua.
E così dev'essere: occorre che qualcuno intervenga e li fermi. Ma chi?
Un bambino? Un adulto? Qui irrompono francamente le convinzioni "pedagogiche" dello scrittore per l'infanzia: dev'essere un adulto. Gli adulti che operano in questa vicenda, visti dalla parte dei bambini, sono figure decisamente disastrose: fra i genitori, che riservano loro un futuro di piatta e bulimica grettezza, e l'Accalappiatopi, che propone una morte sublime per acqua e poesia, non c'è di che stare allegri. Se a questo punto fosse un bambino che li salva, staremmo raccontando una storia molto precisa e pericolosa, che parla di fallimento totale degli adulti. Alcuni scrittori per l'infanzia accarezzano queste posizioni, ma l'autore di queste note no: ci dev'essere, in ogni storia, un adulto "positivo", almeno uno, o i nostri bambini finiranno per cercarlo nel Signore delle Mosche. Quindi un adulto: chi?
Qui torna la necessità di "rispettare le venature del legno": sarebbe meglio se fosse una figura interna alla storia, non un deus ex machina calato a nostro piacere da altri mondi. E cosa fanno gli adulti interni alla storia, i cittadini di Hamelin, quando si accorgono che i loro bambini stanno seguendo il Pifferaio dentro il lago? Se ne accorgono?
Nella versione di Browning sì, e ne sono paralizzati, "come trasformati in blocchi di legno". Nel poema della Cvetaeva no, non se ne accorgono, o non ci viene detto niente in proposito. Ma come vuole un'antica regola dell'interpretazione dei testi sacri (e la drammaturgia ne è una lontana branca), ciò che non è esplicitamente negato, se è ragionevolmente plausibile (rispettoso delle venature), può essere ammesso. Può essere accaduto che un adulto, uno solo, abbia inseguito la tetra processione, abbia affrontato il Pifferaio, in qualche modo l'abbia convinto. E chi?
Come accade nei testi più ricchi (e quello della Cvetaeva è ridonadante di ricchezza), è proprio fra le pieghe del testo che si trova la soluzione. C'è un adulto cittadino di Hamelin che abbia qualche vaga connotazione positiva? Che non sia del tutto intronato di avidità e perbenismo?
C'è. È Greta, figlia del Borgomastro, che infatti le lingue delle comari fanno a pezzi al mercato: "Non va! Non va!... / Da tre notti aspetta l'alba... / Brucia la candela... / Brucia la sua vita!... / Aspetta la felicità!... / Alla tomba finirà...". Un adulto antagonista rispetto alla sua comunità, utopista e sognatore, ce l'abbiamo senza forzare il testo con figure estranee. E come collegare Greta coi bambini, come farla partecipe della loro protezione? Diamo solo una svirgolatina di scalpello alla venatura del legno: GRETA È LA MAESTRINA DEL PAESE.
Potremmo andare oltre, dicendo che fra lei e l'Accalappiatopi saranno scintille, altro che idillio da balcone di Giulietta. Ma che in qualche modo, alla fine, forse si intenderanno. Potremmo dire che, fra la città grondante ricchezza materiale e la ricchezza spirituale in fondo al lago, la Maestrina troverà un'altra via: un valico nelle montagne, verso la Transilvania, dove fondare una nuova città, e trapiantarvi il futuro (e così seguiamo un'altra "venatura del legno" della leggenda, senza spaccare il pezzo); potremmo addirittura insinuare che forse un giorno il Pifferaio andrà a trovarli, per insegnare loro la sua arte...
Ma lo scopo di queste note non è tanto raccontare la storia dello spettacolo (lo farà molto meglio da sé), quanto la storia del percorso che lo precede: uno scorcio dell'officina che fuma e sfavilla dietro ogni opera finita. Così dunque l'officina della drammaturgia ha lavorato sul Senso, lo ha preparato per porgerlo ai bambini, di oggi e di qui. Ma con che mezzi, con che forme da vedere e sentire?
I PERSONAGGI
Suono e Senso devono prima di tutto incarnarsi in una struttura drammatica: personaggi che diano loro corpo e voce, identità e compito di questi personaggi, relazioni fra loro e col pubblico, etc.
La scelta è caduta sulla figura del Contastorie Ambulante, col suo tradizionale Compare/Spalla.
Un figuro alto e spavaldo, seguito da una ragazzina stracciona e monella, si presenta al pubblico così: "Sono Basilius Rattenfanger, Artigiano Ambulante Tuttofare, Musicista, Contastorie, Svuotacantine, Scacciamalocchio e Accalappiatopi. E lei è la mia apprendista Rosicarima: piccola fannullona che ho preso dalla strada per insegnarle il mestiere. Saluta, Rosicarima!"
Dopo i saluti i due racconteranno, entrando e uscendo fluidamente nelle modalità contigue di narrazione e interpretazione, da se stessi ai personaggi e ritorno, come i Contastorie hanno sempre fatto a teatro e nelle piazze. Saranno Cittadini, Comari al Mercato, Consiglieri, Topi, Bambini; il Rattenfanger sarà l'Accalappiatopi, e Rosicarima sarà Greta, la Maestrina figlia del Borgomastro.
E si spartiranno, coi loro ruoli drammatici, il compito di musicisti esecutori del Suono.
IL SUONO
Non si pretendeva certo che un fisarmonicista mediterraneo (uno scrittore italiano per bambini) componesse una partitura in qualche modo affiancabile a quella di una virtuosa pianista russa: ma l'importante è che la musica sia buona. I due movimenti scelti per restituire un buon motore di Suono - italiano e teatrale - all'Accalappiatopi, riflettono quindi abilità artigiane e secolari, e si possono schematizzare così: