Le divise "calcistiche" indossate creavano molto scompiglio. Quasi tutti indossavano una maglietta bianca e, comunque, di vestiario sportivo non se ne parlava proprio. Si giocava con i jeans, con pantaloni e camicia e anche con i mocassini. Molti avevano ai piedi le famosissime scarpe da ginnastica Mecap, che stingevano e davano alla pelle una colorazione da marziano. Gli scarpini erano roba da pochi e costituivano quasi sempre il regalo di Natale o della prima comunione. D’inverno i maglioni di lana facevano sudare come maiali. Le magliette delle squadre più famose erano molto costose ed erano terribili anche nella loro versione originale. All'epoca la Roma e il Bologna sfoggiavano per le partite fuori casa una maglietta oscena con due strisce diagonali con i loro colori sociali. Chi portava gli occhiali ne cambiava, quando era fortunato, un paio al mese.

Il linguaggio che si poteva udire in un campetto di periferia era quello della borgata e avrebbe fatto rabbrividire uno scaricatore di porto. Il termine "pippa" o "sega", all’indirizzo dell’atleta mediocre, poteva suonare all’orecchio umano come un tenero complimento. Il tripudio del trivio si raggiungeva a fine partita, quando i vincitori si lasciavano andare a cori e a slogan denigratori, con tanto di gesti basati sul palpeggio del proprio pube. In realtà, esistevano anche coretti educati, quasi filastrocche, come quello che faceva:"L’avemo bibitati, cor vino de Frascati, co’ l’acqua de Bologna, oh mamma, che vergogna!", ma solo tra i giovanissimi.

Una volta fischiato il termine dell’incontro, laddove non erano presenti fontanelle, si andava a bere a qualche bar in zona. Si chiedeva sempre, per mancanza assoluta di fondi, dell’acqua del rubinetto. Il barista s’incazzava e spesso diceva di avere il rubinetto rotto. Talvolta qualcuno portava una bottiglia da casa. La bottiglia veniva fatta girare e si riempiva di sputi. L’ultimo a bere acquistava così anticorpi sempre più forti.

Raramente si cercava di organizzare incontri "seri", undici contro undici, con tanto di arbitro, guardalinee, ecc… Erano tentativi alquanto velleitari. Dai vari campetti di periferia credo che siano usciti molti campioni o, comunque, giocatori professionisti. Dal "mio" almeno uno ma non faccio nomi. Annualmente venivano organizzati da questa o quell’altra squadra cittadina dei provini e tutti ci presentavamo con la testa piena di sogni e di brama di gloria. A proposito, la maggior parte di coloro, che a Roma dichiarino di aver giocato nelle giovanili di una squadra, affermano di averlo fatto con la Lazio. Poi li vedi giocare e rimani stupefatto per la loro inettitudine. Sorge un dubbio: "o la Lazio prendeva chiunque o in giro ci sono tanti raccontafrottole…", Mah! La Lazio, comunque, in tempi meno recenti ha giocato campionati disastrosi…

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