Clelia non volle
sapere altro. Avrebbe voluto gridare di gioia e
abbracciare il maggiore per la riconoscenza che
provava nei suoi confronti, ma riuscì a mantenere un
atteggiamento composto. Ringraziò più volte Dio per
la grazia che le aveva concesso: aveva tanto pregato
in quelle drammatiche ore perché salvasse i suoi due
uomini!
Poi la sua curiosità di donna ebbe il
sopravvento e rivolse al maggiore la domanda che più
la intrigava.
"Ma, ditemi: che strumento
suonate?"
"Il pianoforte."
"Anche lei.?"
Clelia, colpita dalla coincidenza
fortuita che accomunava il maggiore al suo uomo,
manifestò quasi fanciullescamente il suo stupore.
"Non è possibile.!" Si ripeteva incredula.
"Perché tutta questa meraviglia,
signorina?"
"Perché anche il mio Cesare suona
il pianoforte. Divinamente, le dirò."
"Allora dovrò confrontarmi con lui
per conquistarla?"
Il tedesco pronunciò queste parole con
molta naturalezza. La ragazza lo
guardò con occhi compiaciuti.
"Se vuole avere una minima
possibilità di successo, dovrà suonare in maniera
eccezionale."
L'uomo, sorpreso dalla proposta,
fissandola in volto rispose: "Accetto la sfida.
Più tardi le darò un saggio delle mie
qualità."
Il maggiore e la ragazza, sgomberato il
campo da ogni incomprensione che li divideva,
terminarono la cena con soddisfazione reciproca. Lui
era riuscito a vincere la diffidenza della ragazza,
lei ad ottenere la promessa che voleva.
L'ennesimo bicchiere di champagne,
fresco come acqua di sorgente, proiettò la
ragazza in una dimensione irreale. Intrecciò
il braccio con quello del maggiore in un secondo
brindisi, inneggiando alla fine della guerra.
Scambiò anche un bacio sulle guance con lui,
apprezzandone l'odore di colonia.
Per un attimo, in un momento di vertigine, sognò di
sprofondare fra le sue braccia.
"Sono forse ubriaca?" Si
chiese spaventata dal suo pensiero.
La gioia che la eccitava aveva
moltiplicato la sua bellezza per mille. Il maggiore
si era reso conto che la ragazza con la sua
freschezza, con la sua bellezza, in pochi minuti, era
diventata una cosa molto, molto importante per lui e
provò grande tristezza al pensiero che mai avrebbe
potuto averla tutta per sé!
Clelia colse lo sguardo carico di
desiderio dell'uomo e ne rimase turbata.
Il maggiore sapeva farsi amare e
desiderare e lei si scoprì molto fragile ed indifesa
di fronte a quel sentimento che timidamente si era
affacciato nel suo animo e che ora stava dilatandosi
a dismisura.
Sarebbe riuscita ad eludere le avances
del maggiore? Ma, soprattutto, ne avrebbe avuto la
voglia? Rifiutò di dare una risposta ai due
interrogativi, lasciando che gli eventi seguissero il
loro corso naturale.
L'ufficiale tedesco, lievemente
euforico, si mise al pianoforte.
Le note della "Patetica" di
Beethoven cominciarono a salire lievi nell'aria come
il fumo di una sigaretta.
L'uomo che a volte picchiava sui tasti con la rabbia
di un leone ferito, a volte li sfiorava con la
delicatezza di una farfalla, sembrava galleggiare
sopra lo strumento. Elegante e lieve. Maestoso e
solenne. Con il busto leggermente arretrato,
ondeggiava come un grosso pendolo, seguendo un ritmo
che lui solo conosceva.
Clelia rimase affascinata dalla
posizione che l'uomo aveva assunto nel suonare lo
strumento. Era in netto contrasto con quella
debordante e aggressiva di Cesare che si agitava e si
dimenava per strappare al pianoforte il suono più
appropriato.
La musica volò nell'aria leggera e
ricadde come morbida neve tutt'intorno. Clelia si
arrampicò sulle note della sonata come sui gradini
di una lunghissima scala a spirale che arrivava fino
al cielo.
La magia del pianoforte, l'ombra
gigantesca che la luce del fuoco proiettava sul muro,
facendo del maggiore un personaggio di fiaba, il
grande desiderio di tornare a vivere, dopo tante
sofferenze, una vita normale si fusero insieme e
accesero l'animo di Clelia. Gli ingredienti che il
maggiore, da consumato seduttore, aveva messo con
generosità ed abilità nel suo shaker avevano dato
vita ad un cocktail esplosivo.
Le note basse la scuotevano
dall'interno, le note acute le scivolavano addosso
come il tocco sapiente di un amante: lavorando
insieme riuscirono a penetrare la barriera dei suoi
sentimenti. La donna capì che il tedesco, senza che
lei lo avesse voluto, era entrato nella sua anima.
Bevve ancora un bicchiere di champagne
per tenere in vita la magica vertigine che
l'avvolgeva. Poi attese pazientemente che il fuoco
della miccia accesa dall'ufficiale arrivasse fino a
lei e la facesse deflagrare.
Il maggiore, chiuso il copri tastiera,
prese due grossi ceppi di legno e ravvivò il fuoco
del caminetto ormai esangue. Riempì ancora i
bicchieri di cristallo per fare un altro brindisi e
ne porse uno frizzante alla ragazza. Si sedette molto
vicino a lei, quasi a contatto, percependone il
gradevole odore del corpo.
Lei scivolò fra le sue braccia senza
accorgersene. Ci arrivò a passo di danza, sul ritmo
di un valzer lento e inebriante, suonato da
un'orchestra di mille violini che nella sua
testa da qualche minuto avevano cominciato a suonare.
Un bacio senza fine, scambiato davanti
ad un pianoforte muto e ad un caminetto che divorava
con selvaggio furore la legna amica, suggellò
l'incontro di due anime incredule. Un mare di baci,
di carezze, di tenerezze segnò l'inizio di un
momento intimo intenso e suggestivo.
L'uomo prese Clelia per mano, la fece
sdraiare sul divano e le si sedette accanto. La
ragazza, davanti al caminetto, si sentì come una
stella del cinema sul set. La luce del fuoco si
concentrava su di lei illuminandola come un occhio di
bue. Molte volte si era identificata con Luisa
Ferida, la protagonista dei film del suo tempo, molte
volte aveva sognato di baciare Osvaldo Valenti, il
suo amante.
Tanti le avevano detto che era bella
come una diva del cinema: ora era arrivato il momento
del debutto.
Il suono di cento pianoforti fece
volare in alto i due amanti. Juergen esplorò con le
mani il corpo bianco e levigato di Clelia, scatenando
la sua eccitazione.
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