Capitolo III - La sveglia

Narra di alcune sveglie: oggetti che non sempre si limitano a suonare ad una certa ora.

Qualche giorno dopo il nostro amico era alle prese con un problema differente dalle solite questioni filosofiche: la mattina seguente i suoi non potevano svegliarlo, perché uscivano di casa prima di lui, come ogni martedì, così doveva usare la sveglia per alzarsi in tempo: sfortunatamente la solita non funzionava più e dovette sostituirla con un’altra con un display a cristalli liquidi verdi che produceva una luce brillante, il suo vero difetto. Certe persone difatti non dormono neppure con la più piccola luce e tra queste c’era il nostro amico.

Per non vedere quel bagliore aveva coperto la sveglia con un libro, così anche quella sera riuscì ad addormentarsi facilmente, sennonché verso le due un incubo lo destò: fu l’inizio di un calvario.

Ripensò a Silvia, una ragazza di cui si era innamorato tanto che arrivò perfino a scriverle delle poesie senza ottenere l’effetto sperato: fu un periodo triste della sua vita. Non era casuale che questo ricordo riaffiorasse in questi giorni proprio dopo aver incontrato Stefania: questa volta non avrebbe ripetuto i medesimi errori, non si sarebbe lasciato coinvolgere; tra l’altro lei aveva chiarito subito quali fossero i suoi sentimenti verso di lui. Eppure non riusciva a dormire: una volta innamorati di una ragazza è difficile dimenticarla solo perché lei non ti ama, specialmente se la vedi tutti i giorni. Accidenti a te! Stavo così bene, in pace con me stesso! Tra tutte le ragazze di questo mondo dovevo incontrare proprio te: con la stessa fortuna alla lotteria sarei miliardario. - pensava il nostro amico. Quindi chiuse gli occhi e cercò di dormire senza riuscirci: gli sembrò di avere sete. Si alzò, senza far troppo rumore e senza accendere la luce, arrivò alla cucina, bevve un bicchiere d’acqua e tornò a letto cercando di sprofondare nel sonno, quando si accorse che era caduto il libro sopra la sveglia così che quella luce insopportabile splendeva nel buio. Come poteva dormire? Cercò di coprirla nuovamente, ma dal letto non riusciva a raggiungere un altro volume. Maledì quella sveglia e si voltò dall’altra parte: anche così gli pareva di notare una leggera luminescenza che nessun altro avrebbe visto. Tentò inutilmente di ignorarla, quindi dopo qualche minuto si alzò di nuovo, mise un libro sopra la sveglia e si coricò ancora una volta. Così era tutto nelle condizioni solite, ideali per dormire, ma lui, tormentato dai ricordi, come poteva cadere tra le braccia di Morfeo? Mentre cercava qualche pensiero per distrarsi, si ricordò del libro della biblioteca: da quando aveva trovato quei racconti non aveva mai avuto un momento per potersene occupare. Ripensò alla disposizione delle pagine, alla loro geometria: ogni parte di quel libro nascondeva un mistero da scoprire. Purtroppo, come ogni fiume arriva al mare, anche questo lo rimandò a quei pensieri: infatti se l’aveva incontrata era perché quel giorno si trovava in biblioteca per studiare il libro. La sveglia, tutta colpa sua, pensò, senza quella luce avrebbe dormito come ogni notte, ma così come poteva non pensare e dormire? In genere vedendo scorrere i minuti ci si addormenta, come quando si contano le pecorelle, ma perché a lui faceva l’effetto opposto? Basta, pensò, e si dette uno schiaffo sulla fronte, si voltò di scatto e chiuse gli occhi con forza. Dopo un po’, poiché non dormiva, decise di alzarsi, si sedette sulla scrivania, prese il libro di fisica e cominciò studiare il rendimento delle macchine reversibili. Ogni male ha la sua cura così dopo una mezz’ora si addormentò sul ciclo di Carnot per poi svegliarsi alle cinque, tremante dal freddo di quelle notti invernali. Così tornò tra le calde coperte del letto dove piombò finalmente nel mondo dei sogni.

La sveglia suonò circa due ore dopo ed al nostro amico parse di essersi appena addormentato: avrebbe riposato volentieri ancora a lungo, comunque era felice che quella notte fosse finita. Si guardò allo specchio: era uno straccio anche perché agli effetti del sonno, si erano sommati quelli del freddo: aveva mal di gola e aveva perso un po’ di voce.

Nell’andare a scuola, dove arrivò tre minuti prima del suono della campanella, pensò a Stefania: anche lei qualche giorno prima non aveva dormito molto ed era stata piuttosto evasiva sul motivo: questo era un vantaggio, così almeno non era obbligato moralmente a parlarne, per quanto fosse difficile resistere alle sue insistenti domande. Infatti a lei piaceva scoprire segreti ed era brava a carpirli, al contrario del nostro amico, il quale credeva che quando qualcuno non dice qualcosa forse è perché non la vuol dire. Quando lei arrivò e vide il compagno di banco chiese:

- Sei proprio giù stamani. Non hai dormito bene? -

- Ecco stamani non ha funzionato bene la sveglia: queste sono talmente efficienti da non far dormire affatto! Così si è svegli all’ora stabilita per dormire dopo, cosa che a quella macchina non interessa: non si preoccupa del futuro. - disse con un finto tono tranquillo, con una voce piuttosto roca rendendo ancora più ridicola quella risposta.

- Davvero? - aggiunse lei piuttosto incredula. Quindi arrivò il professor Dapporto, severo insegnante di Storia e Filosofia con l’intento di interrogare : questi vedendo Stefania parlare tranquillamente, senza seguire, irritato disse:

- Veronesi... Stefania... parmi di capire che stamane hai un immenso desiderio di farci conoscere il tuo pensiero a proposito del problema della verità da San Tommaso a Pascal. - Questa immediatamente smise di chiacchierare e sinceramente convinta che si stesse sbagliando replicò:

- Ma professore io sono già stata interrogata, deve ancora finire il giro! -

- Sì, è vero! Ma per il mio cuore sarebbe un colpo troppo grande impedire ad una così bella ragazza vogliosa di gridare al mondo la sua opinione sul problema della verità che non resisterebbe - disse alzandosi e portando le mani al cuore con una finta espressione sofferente. - Non vorrai mica far morire un uomo così? - continuò sorridendo. Del resto come tutti sapevano era pressoché impossibile far cambiare idea al professor Dapporto, insofferente verso il rumore, il brusio, il non essere ascoltato.

Così la nostra amica fu costretta a questa interrogazione non attesa e per la quale non era preparata: particolare notato, suo malgrado, anche dal professore che le dette un “impreparato”. Stefania non ci rimase affatto bene e lasciò in pace il nostro amico per tutto il resto dell’ora.

Trascorsa l’ora di filosofia, c’erano due ore di ginnastica o più esattamente “Educazione fisica”. In questa occasione la classe IV D si univa con la V D per dividersi in ragazzi e ragazze. I professori lasciavano che ognuno trascorresse questo tempo come preferiva: molti si divertivano con una partita di calcetto; il nostro amico e Giovanni, un suo amico della V D, preferirono far due parole.

- Tu che vivi in questi mondo, che si dice? - chiese il nostro amico al compagno mentre passeggiavano per la scuola.

- Anche tu vivi in questo mondo, non sei un’entità astratta! - rispose

- Ecco la mia presenza in questo mondo è solo fisica: ci sono nato, ci cammino sopra, ci morirò. Tu invece lo vivi appieno e ne conosci tutti i più profondi segreti, almeno per quel che riguarda i dintorni. Sarebbe meglio è vero se tu fossi a conoscenza del perché esistiamo e senza dubbio ti ascolterei ben più volentieri, tuttavia mi contenterò di sapere... - inutile riportare i pettegolezzi di questi giovani. Più o meno si dicono sempre le stesse cose, cambiando i nomi. In seguito Giovanni portò la conversazione su un argomento più interessante:

- Piuttosto con quel libro come va? Ci hai capito niente? -

- Magari! Dopo quella frase e quel raccontino, null’altro. Qualcuno si è divertito a creare un rebus in quel libro: chi l’ha fatto vuol farci passare tempo per capire quanto ha scritto. Non saprei dirti il motivo di ciò: in genere si cerca di migliorare la comunicazione, non di ostacolarla. Proprio a questo serve la forma di un testo: ad esprimere un concetto in modo più comprensibile; lì invece se ne fa un uso, direi,  distorto. Oggi voglio cercare - fece uno sbadiglio - di capire qualcos’altro, magari trovo un nuovo racconto... se almeno resto sveglio fino ad allora. -

- Già sembra che tu non abbia dormito affatto. -

- Non t’inganni... Avrò dormito sì e no quattro ore! Mi si è rotta la sveglia nuova,  quella dell’abbonamento al giornale, ed ho dovuto usare quella vecchia, quella trappola a luce verde, ricordi? - l’amico annuì - Ecco vado per programmarla per svegliarmi alle sette, ma devo aver sbagliato qualcosa: così mi ha svegliato alle due,... non ti dico il casino che è successo! Perché è riuscita a svegliare anche i miei! Insomma dopo averla riprogrammata ho provato ad addormentarmi di nuovo, ma sai com’è quando ti svegli non dormi più. Mi sarò riaddormentato dopo un paio d’ore... - a quel punto si guardò con circospezione intorno, appoggiò una mano sulla spalla dell’amico ed a bassa voce bisbigliò - Questa naturalmente è la versione ufficiale, ad uso e consumo del pubblico. Inutile dire che quella non ufficiale è top-secret - soggiunse. E raccontò la “versione non ufficiale. Infatti Giovanni era una delle poche persone di cui il nostro amico si fidava. Si erano conosciuti casualmente qualche anno prima a causa della gita scolastica: infatti entrambi erano rappresentanti della propria classe e si ritrovarono ad organizzare tutto loro: fu un lavoraccio che li impegnò a lungo dandogli modo di conoscersi bene. Giovanni era un ragazzo non certo ammalato dalla mania del sapere e non ai margini della società come il nostro amico: aveva avuto anche molta più fortuna con le donne, anche se con Susanna, una ragazza conosciuta al mare due anni prima, si erano lasciati poche settimane fa: ufficialmente di comune accordo, in realtà lui non l’aveva presa affatto bene. Sfogandosi con il nostro amico questi disse per consolarlo:

- Guarda carissimo dovresti essere felice: sai una persona a quante delusioni va in contro in media? Quattro o cinque: prendila così sei a quota uno. - non era vero e non era molto consolante, ma per il nostro amico non c’era niente da rimpiangere: persa una ragazza se ne trovava un’altra. Il vero problema era non trovarne neppure una!

Tornando alla notte insonne Giovanni disse:

- Lo sapevano tutti come Stefania non ti facesse dormire: non diffonderò in giro questo tuo racconto, ma ormai è di dominio pubblico, come ogni segreto: tutti sanno qualcosa, ma nessuna certezza. Tutto si basa su congetture, apparenze, “sentito dire” ed a volte illusioni e desideri. Nelle vie del centro, a scuola, non è la verità ad avere importanza quanto piuttosto queste leggende. Figurati che questo discorso più o meno come me lo hai raccontato, l’ho sentito un paio di giorni fa. E se sono venuto a saperlo anch’io era noto a tutti da tempo. -

- Ma è assurdo io non ho dormito stanotte! - sbottò

- Bah, dire che non dormivi forse era una metafora. Poi questi discorsi sono come valanghe: cominciano in piccolo e finiscono in grande nutrendosi di tutto ciò che trovano nella loro strada. Questo mondo non vive sulla verità, ma sulla sua ombra, anzi talvolta la si preferisce. Anche il proverbio fa “Meglio il dubbio alla certezza”. Beh, circa Stefania saprai benissimo quali sono i suoi interessi: se posso darti un consiglio lasciala perdere, non è una per quelli come noi. Tutto sommato... - e si interruppe vedendo il professore di ginnastica stupefatto di vederli lì: lasciava fare un po’ tutto, ma non girellare per la scuola, così li rimproverò:

- O voi cosa fate qui? Perché non siete in palestra? - o almeno nei paraggi, avrebbe voluto aggiungere. Quindi lì mandò in palestra a far degli esercizi, sbraitando che la sua era una materia come le altre...

Poco dopo il suono della campanella segnò l’inizio dell’intervallo: il nostro amico e Giovanni si erano liberati un po’ in anticipo della ginnastica e quindi avevano già provveduto all’acquisto della colazione al banco dei panini prima del fatidico squillo. Dopo erano saliti sulle scale, fermandosi sul pianerottolo, per osservare lo spettacolo che giorno dopo giorno assurdamente si perpetuava. Subito dopo quel driin vari ragazzi correvano quasi ciecamente verso il bancone dove cominciava una lotta disperata per l’acquisto del panino. I gestori, ben addestrati dagli anni, cercavano di servire tutti sempre badando di non far pagare meno ciò che costa più e senza curarsi troppo di servire la colazione richiesta: era sempre meglio variare la dieta.

- Ridicolo! Neppure vendessero oro al prezzo del pane ci sarebbe tanta calca, anzi quelli vendono il pane al prezzo dell’oro! Difatti questo panino è pane con delle impurità trascurabili, costituite forse da pezzetti di prosciutto: non è un vero e proprio panino al prosciutto, dove quest’ultimo in genere è visibile. - commentava il nostro amico

- Ho parlato con una ragazza, Erica... non se hai presente: quella moretta ricciola, ti ricordi, quella della minigonna fazzoletto... - L’altro fece cenno di ricordare - Mi ha detto che spesso non ha neppure fame, ma ormai è diventata un’abitudine, un rituale dell’intervallo. Anche perché quando suona la campanella non hai tempo di riflettere altrimenti non trovi più nulla: devi scattare, seminare gli altri e cercare di arrivare primo alla conquista del panino! - concluse sorridendo.

- Perché non fanno come me e non si portano la colazione da casa o non la comprano per strada? Ammetto che qualche volta torna comodo a tutti il bar della scuola - e dette un morso al panino - È un diverso modo di porsi nel mondo: io preferisco perdere cinque minuti da Fausto, il mio salumiere, e poter avere il mio panino senza doverlo strappare a nessuno, senza calci e botte, senza litigi, senza corse; gli altri preferiscono il caos, il conflitto per guadagnare qualche minuto la mattina. In fondo anche la guerra non è che una soluzione diversa per un medesimo problema. -

- Comunque la corsa la panino ha anche un valore propedeutico: infatti qualche volta il panino non riesci ad averlo, o magari ti prendi qualche gomitata più forte del solito, imparando come non sia scavalcando il prossimo che si ottiene ciò che vogliamo, perché c’è sempre chi ti supera. -

- A cosa serve un amico se non perché faccia sempre l’avvocato del diavolo? - disse, poi vide Marco con in mano due panini e aggiunse non senza un pizzico di gelosia, vedendo che uno dei panini era per Stefania - Ecco il prode cavaliere che torna dalla sua amata dopo la guerra, portando seco i gioielli strappati al nemico. -

- Se solo questi fossero i suoi meriti non avresti problemi neppure tu. È solo un gesto di cortesia, anche perché ormai lui non ha più bisogno di corteggiarla - Queste parole sembrarono colpire il nostro amico che dopo un momento di silenzio domandò sbalordito e dispiaciuto:

- Stanno insieme? E da quando? Alla festa non si erano lasciati tanto bene! -

- Affatto bene! Ma da allora è passata una settimana e la tua amica era troppo cotta... e Marco troppo furbo per lasciarsi sfuggire un simile fiore. Tutto sommato non puoi dargli torto. -

- Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate. Questo non fa per noi, non credi? -

- Non saprei, in questo mondo l‘assurdo è quotidiano... -

Con ciò lasciarono quel pianerottolo e se ne andarono in giro finché la stessa campanella non segnò la fine dell’intervallo.

Quando il nostro amico arrivò nella sua aula scoprì che era il primo a rientrare per quanto non si fosse precipitato. Così approfittò dell’occasione per andare in bagno, sennonché una volta tornato in classe, non solo erano rientrati tutti, ma era arrivato anche il professore:

- Sempre per ultimo, eh? -

- Ecco il fatto è che - e mentre cercava di inventare una scusa per il professore di Matematica e Fisica M. Nannicini, questo lo anticipò:

- La scusa non mi interessa, so bene che ne inventeresti una magnifica. Piuttosto stavo giusto cercando qualche volontario per discutere il rendimento di un qualunque macchina reversibile... - una bella domanda di termodinamica, per la quale il nostro amico era preparato ed infatti sostenne un’ottima interrogazione, salvando molti da una pessima figura.

Tornando al posto Stefania gli bisbigliò con una certa invidia:

- Complimenti... Hai sempre una fortuna sfacciata: in una mattina interrogano per caso me e te: a me chiedono la sola cosa che non so, a te l’unica che sai! -

- C’est la vie. Domani magari accadrà l’inverso. Poi come si dice “la notte porta consiglio”... Piuttosto non credi sia l’ora di “Copiamus”? - il nome dato allo scambio dei compiti che effettuavano ogni giorno. Ad esempio quella mattina il nostro amico aveva svolto accuratamente solo la prima metà degli esercizi di inglese e la compagna l’altra metà: era così sufficiente ad ognuno copiare la parte fatta dall’altro, segnalando eventuali errori. In genere questa operazione veniva svolta all’inizio della mattina, ma dopo l’imprevisto della prima ora, entrambi se ne erano dimenticati e così erano arrivati a ridosso dell’ora di inglese, senza averla compiuta. Terminarono “Copiamus” in dieci minuti, quindi cominciò la diffusione nel resto della classe degli esercizi svolti...

Dopo l’ora di Inglese con la professoressa Taylor suonò liberatoria la campanella della fine delle lezioni.

Dopo il pranzo tornarono a scuola in parecchi: nel pomeriggio gli studenti con qualche professore organizzavano varie attività: il gruppo dedito al teatro allestiva “La locandiera”; quello sportivo aveva preparato due tornei di pallavolo, maschile e femminile, e quel giorno iniziava il primo con la partita IV D e V D contro IV B e V B: Marco e Giovanni facevano parte della squadra IV D e V D; Stefania era nel gruppo teatrale ed in biblioteca c’era anche il nostro amico per studiare il suo libro.

Quest’ultimo cominciò a ricomporre il secondo racconto: non c’era altro modo se non leggere foglio per foglio e cercare di collegare quelli simili. Era curioso di conoscere la fine, ma era stanco per le vicissitudini della notte. Frattanto gli altri gruppi procedevano nei loro lavori: ad esempio la partita di pallavolo fu un vero disastro per la classe del nostro amico: sconfitti 3-1. Giovanni, non certo uno dei migliori in campo, dopo essersi un attimo rinfrescato passò dal nostro amico. Entrando in biblioteca non vide nessuno, lo chiamò senza averne risposta: pensò che se ne fosse già andato e stava per andarsene quando lo trovò seduto e addormentato sopra un mucchio di fogli: una parte erano sparpagliati sul tavolo, un’altra formava una pila ordinata, probabilmente il nuovo racconto. Evidentemente si era addormentato mentre lo leggeva. Questo incuriosì Giovanni che abbandonò il suo primo istinto di svegliare l’amico per leggere quei fogli.

“Questo strano strano mondo

Ormai era trascorso molto tempo da quando era morto mio padre. Chissà poi se era davvero morto o se soltanto viaggiamo su strade destinate a non incontrarsi mai. Quanto tempo era trascorso dall'ultima volta che lo avevo visto? Erano passati giorni, mesi, anni, o soltanto poche ore? Chissà se anche in questo strano mondo passa il tempo, chissà se esiste o non un perenne mutamento? Come posso dirlo, non conosco nessuno, non ho mai parlato con nessuno e non ho mai sentito nessuno e ne mai potrò farlo. Infatti in questo strano mondo tutto ciò che esiste sembra confuso poiché in questo strano mondo siamo sempre immersi in una penombra continua tanto che non è possibile distinguere bene un'immagine. O sono forse i miei occhi che vedono male? Come posso dirlo? Non posso distinguere le cose toccandole, poiché quando cerco di prendere qualcosa il qualcosa immancabilmente mi sfugge o forse semplicemente mi evita forse pensando che, semplicemente non l'ho vista. Infatti quando noi andiamo incontro un qualcosa, questi come può pensare che io voglio scontrarmici? Non è logico. Sicuramente i qualcosa si comportano così: una volta uno si è scansato a pochi passi da me. Ma non esistono solo qualcosa simili a me, esistono anche altre cose. Ad esempio io cammino, sempre che mi stia spostando, non saprei da quanto tempo, se esiste il tempo, su una stretta viuzza, delimitata da due alti muri : uno a destra e uno a sinistra. Gli cammino incontro, ma non solo non lo raggiungo mai, ma neppure mi allontano dal muro opposto. Allora sono io che mi muovo molto lentamente rispetto alla piccola strada, o la strada sembra piccola, ma non lo è, o ancora è tutta un'apparenza e non esistono nè strada nè mura? A volte ho cercato di parlare ai qualcosa che incontravo, ma nessuno mi ha mai risposto. Ma non lo hanno fatto perché non mi hanno capito, ascoltato, sentito, o semplicemente, non mi volevano rispondere? Non lo so. Per saperlo dovrei distinguerli in faccia, invece non li vedo, non distinguo chiaramente la loro faccia e non riesco a capire quello che pensano. Certo potrei essere io che non sento o non capisco la risposta e non riesco a distinguere le loro labbra. Certo potremmo  capirci tramite dei segnali, ma tutto appare confuso e senza dubbio il segnale apparirebbe diverso. Qui tutti vedono diversamente da come dovrebbero. Qui puoi comunicare solo con il padre  e per poco tempo, un tempo infinito finché sei con lui, infimo quando lo hai perso. Quale sia il suo destino dopo questo momento non lo so e non credo lo saprò. Tutto questo durerà fino ad un certo momento, come mi diceva, sempre che sia esistito realmente. Infatti ho perso il mio padre  da molto tempo o forse da poco, non lo so, ma comunque non saprei dire se è realmente esistito o è solo un'invenzione di una mente solitaria. Infatti, al contrario di tutte le altre figure, i qualcosa che vedo e con cui non comunico, mio padre non l'ho mai visto. Fra tutto quello che appresi da lui ricordo questa frase "Questo è il mondo in cui non si realizza ciò che desideriamo, ma ciò che non desideriamo, sempre che sia indispensabile". Così se ho fame e desidero cibo, non lo trovo, quindi mi viene sete e trovo del cibo. Niente arriva quando lo vuoi tu, ma solo quando ne hai bisogno e non lo vuoi. Così quando hai molta fame, ti trovi tra le mani un bel libro, poiché hai bisogno di sapere. Apri il libro, cerchi di leggerlo, ma non basta la luce, ma oramai sei incuriosito, vuoi sapere, ed al posto del libro trovi un cosciotto di pollo. In questo modo vivono solo le persone che hanno imparato l'Arte del Non-Desiderio.

" Adesso, nel modo più veloce possibile, ti insegnerò l'Arte del Non-Desiderio, ma non desiderarla finché non l'avrai imparata". Io sono riuscito a non-desiderarla e così sono riuscito ad apprendere molte cose. Ad esempio non bisogna pensare che libri, polli, non esistano e arrivino dal nulla, esistono sempre, ma vediamo solo ciò che non desideriamo, perché non si può realmente vedere ciò che si desidera. Mentre non esiste ciò di cui non abbiamo bisogno, proprio per il fatto che non  abbiamo bisogno (se esistesse ne avremmo bisogno).

All'inizio, ricordate, pensavo a mio padre, e questo perché sono venuto a sapere di non conoscere appieno l'arte del non-desiderio, come mio padre mi aveva detto, e quindi ho desiderato conoscerla e l'ho persa per sempre. Da allora ho sempre avuto fame e non ho mai trovato del cibo; ho cercato il sapere e non ho mai trovato un libro. Così soffro la fame, prima invece soffrivo solo di solitudine (infatti desideravo scacciarla). Così sto sperimentando l'ultimo insegnamento di mio padre : prendere tutta la legna che trovo. Trovarla, non capisco bene come, la trovo, ma perché la devo prendere non lo capisco. Io ho preso tante cose prima(non so se anni, mesi, giorni, ore o minuti fa) e non le ho mai utilizzate, poiché non le ho più trovate nelle mie tasche. Allora perché devo prendere la legna? Non lo so e lo saprò mai finché vorrò saperlo. Intanto la strada si fa più faticosa ed io vivo sempre peggio, tormentato da desideri continui. Prima desideravo soltanto scoprire la vera natura di questo mondo, superare la solitudine, adesso desidero la morte, ma non la ottengo, poiché la desidero. E continuo a soffrire. Comunque so che tutti che non conoscono o conoscono appieno possono arrivare alla luce . Forse quindi la legna serve per ottenere la luce, per accendere un fuoco.

Mi metto quindi a raccogliere ramoscelli, scegliendo fra tutti quelli più secchi, desiderando la luce. Purtroppo non riesco a trovare un modo per accendere un fuoco, lo cerco, anche se non lo vorrei cercare, desidero la luce e ottengo un buio maggiore, ma continuo a raccogliere legna. Non credo di aver cambiato mai sentiero, ma ora non trovo più i qualcosa ne vedo le alte mura. Penso di aver camminato poiché il sentiero prima era in pianura, adesso è in salita. Con il tempo mi accorgo che con l'aumentare del buio il sentiero si restringe, le mura sono, non so come, certo che sono scomparse e ai lati del sentiero adesso ci sono dei baratri. Il sentiero è una piccola striscia di terra ormai. Il buio è quasi totale.

Sto sempre peggio, il buio è totale e non posso più trovare legna, ma, quel che è peggio, non riesco a trovare neppure quella che ho raccolto. Fino a poco fa(non so quanto poco) era lì, la toccavo, adesso non c'è più. Il sentiero è finito e un terzo baratro si è aperto dietro di me e davanti a me ce n'è un quarto. Cerco di buttarmici, ma il sentiero o quel che ne è rimasto, mi segue ed è impossibile anticiparlo.

...

Non mi ricordo più perché sono su questo sasso, ne come ci sia arrivato, mi sembra che la mia mente si sia svuotata, ormai da tempo immemorabile cerco solo la morte.

...

Non mi ricordo perché da tempo immemorabile cerco la morte, ma ho deciso di smettere, non mi ricordo più neppure cosa sia...Improvvisamente non sono più su quel sasso, sono in un luogo bellissimo e illuminato. Tutto è chiaro e limpido. Chissà come sono arrivato qui, perché sono arrivato qui? Un tale inizia a corrermi incontro, mi salta addosso, mi scanso e lo evito per un pelo. Quello riparte come se nulla fosse successo, potrebbe almeno scusarsi. Cammino tranquillamente per le belle strade di questo strano mondo popolato da pazzi che cercano di afferrarti, ti chiedono chi sei, io gli rispondo e quelli si arrabbiano perché non gli hai risposto.”

- Ma! - esclamò dopo aver letto l’ultimo foglio. Quindi svegliò l’amico ancora addormentato.

- Devo essermi assopito un attimo... - sbadigliò, allargò le braccia, si ricompose ed aggiunse - Ho isolato un altro racconto. Come credevo: una forma per oscurare il  significato, anziché per chiarirlo. Ho riflettuto molto a questo proposito, potrebbe essere come una qualche incapacità di descrivere la realtà e mi ha dato un’idea. Per ora voglio leggere al più presto anche gli altri! -

- Che idea? - chiese l’amico

- Non lo so ancora: qualcosa mi frulla in testa, ma non si è ancora accesa la lampadina. Non so dirti nulla con certezza: un’idea circa un libro, non il solito raccontino, qualcosa di più complesso. Non lo so, credo che ne riparleremo.-

- Io torno a casa, vuoi un passaggio in macchina? -

- No, .

mi trattengo ancora un po’. -

Circa un’ora dopo se ne andò  ed uscendo, assorto dai pensieri vide una scena che non avrebbe mai voluto vedere: Stefania abbracciata teneramente con Marco, tutti e due distesi sul prato. Il nostro amico sentì il cuore arrivargli in gola, per un attimo guardò la scena poi si voltò e scappò via senza neppure guardare dove andava, tanto che inciampò su una mattonella. Nel frattempo stava arrivando l’autobus e l’autista, un tale Eugenio Calmieri, amico da anni del nostro amico, si preoccupò di accertare le sue condizioni: i due si erano conosciuti circa dieci anni fa, quando ancora bambino il nostro amico decise di vedere dove arrivava l’autobus...

- Fin dove arriva l’autobus? - chiese ad Eugenio il quale restò un po’ sconvolto: l’autobus era vuoto e lui troppo piccolo per viaggiare da solo.

- Non sarai un po’ piccolo per viaggiare da solo. I tuoi genitori lo sanno? -

- Certo, io non disubbidisco mai! Mi hanno detto che se volevo potevo uscire con la nonna solo che... -

- Sei scappato dalla nonna? Poverina pensa quanto sarà dispiaciuta di... -

- Ma io non sono scappato: lei se n’è andata via! - a questo punto l’autista inchiodò e fu quasi tamponato.

- Come se n’è andata via? -

- Mi ha detto che tornava dal nonno, in un posto lontano lontano... Poi non mi ha detto più nulla... Anche l’autobus va in un posto lontano lontano, no? ‑

- Tu,... tu volevi prendere l’autobus per raggiungere la nonna? -

- Ecco... io... Mi hanno detto di stare sempre con lei. Ed anche se è lì sulla panchina, credo che la troverò lontano lontano: ho paura senza la nonna. - e si mise a piangere. Eugenio già aveva voltato l’autobus, aveva avvertito dell’emergenza via radio e cercando di trattenere le lacrime, disse:

- Vedi, l’autobus non arriva nel posto dove sono andati i nonni. Loro sono andati in Paradiso. -

- E... e... non c’è un altro autobus che va in paradiso? -

- No - si soffiò il naso per cercare di trattenere le lacrime - Non c’è... Però se vuoi vedere ancora i nonni stanotte prima di addormentarti li pensi, così li vedrai in sogno. -

- Però non mi porterà più in giardino a giocare? - chiese, ma l’autista non rispose. Ormai lo aveva riportato alla fermata in cui era salito, vicino a casa: il panorama non era bello con l’ambulanza, l’auto della polizia, le sirene ed i genitori in lacrime.

Da allora i due erano rimasti amici così si spaventò un poco nel vederlo disteso a terra, scese dall’autobus, accertò la sua salute, lo aiutò a rialzarsi ed a salire sull’autobus con cui, come ogni giorno, sarebbe tornato a casa.

Dopo alcune domande di rito Eugenio chiese:

- Come hai fatto ad inciampare? -

- Ecco, correvo per paura di perdere l’autobus, sono caduto e devo essere rimasto un po’ frastornato. -

- Capisco non vuoi parlarne. Sarebbe dispiaciuto anche a me vedere la ragazza che mi piace con un altro. - disse Eugenio tranquillamente, poi guardando gli occhi stupefatti del nostro amico sorrise ed aggiunse - Non correvi per paura di perdere l’autobus perché ti avrei visto. Tuttavia hai corso senz’altro, altrimenti non ti sarebbe mai venuto in mente di dirmelo, e quindi lo facevi per uno scatto di rabbia. Per di più ho visto quella ragazza con cui eri in autobus qualche giorno fa abbracciata ad un tizio. Mi sembra tutto molto logico. Non sono nato ieri, sono un vecchietto carico di esperienza: il tuo volto è una pagina stampata per me. -

- Ecco... - accennò il nostro amico quando Eugenio aggiunse:

- Che vuoi che ti dica? Ti avranno già consigliato i tuoi amici. Segui il loro consiglio: dimenticati che esiste. -

- Purtroppo non posso è la mia compagna di banco, la persona con cui studio. Sono destinato a vederla tutti i giorni. È difficile considerarla da un solo punto di vista. -

- Mah, che dire? Non è l’unica... - quindi i due proseguirono il colloquio parlando di altro finché il nostro amico non giunse alla sua fermata dove scese salutando Eugenio.

In quello stesso momento Stefania e Marco stavano proseguendo la loro passeggiata romantica in una strada deserta e discussero tra l’altro della brutta notte “segretissima” del nostro amico.

- Dovresti tormentarlo meno: tra un po’ non si reggerà in piedi - disse Marco

- Beh, io non lo tormento! E poi sono tanti i motivi per trascorrere una notte insonne, sai ognuno ha i suoi problemi, ogni tanto io per esempio vengo colta da incubi terribili. Un tempo erano insopportabili, ora non mi capita quasi più e mi fanno passare una notte terribile. -

- E perché? -

- Scusami, non voglio parlarne, voglio divertirmi... - rispose. Quindi si appoggiarono ad un lampione e iniziarono a baciarsi quando improvvisamente si udì un prolungato suono di clacson: due auto avevano evitato per poco di scontrarsi. Nell’andarsene da quel punto piuttosto pericoloso Marco esclamò, sbattendo sulle gambe il cappellino che portava:

- Accidenti!  Non c’è più un posto in cui si possa stare in pace! -

Torna all’introduzione.

 

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