Capitolo IV - Puntualità soprattutto

Essere puntuali: una dote sempre più rara, presi come siamo da continui impegni...

- In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo - anche quella domenica don Alvaro cominciava a celebrare la messa di mezzogiorno. Stefania e Francesca qualche minuto dopo entrarono in chiesa, piuttosto trafelate: quest’ultima era la nipote del prete, suo zio, il quale le lanciò un’occhiata per dire: “Tu sai bene quanto detesti che si arrivi a Messa iniziata”.

Prima di proseguire torniamo indietro: da quel martedì non era accaduto nulla di rilevante; a scuola continuava la routine quotidiana; la vita procedeva felice e spensierata ed il nostro amico dormiva sonni tranquilli, dopo aver ripreso la solita sveglia. Quella mattina Stefania uscì per un giro in centro con Francesca la quale tuttavia doveva andare alla messa dello zio, come quasi ogni settimana, sennonché le due nel parlare se ne erano dimenticate, finché non sentirono rintoccare le campane di mezzodì, così dovettero fare una bella corsa per arrivare prima della fine. Ecco di cosa discussero quella mattina:

- Che te ne pare? - chiese Francesca all’amica, osservando un vestito di una vetrina.

- Bellino... se non fosse per quel foglietto. - rispose riferendosi al prezzo, alto anche per lei. Difatti aggiunse sorridendo  - Dovremo limitarci a sognare. -

- Tu talvolta puoi concederti questi sfizi. -

- Sì... Sai, tuttavia mi chiedo se non sia meglio sognare. Finché non lo hai ti sembra bellissimo, quando lo possiedi trovi una cucitura fatta male: non è più un diamante dai riflessi perfetti, ma solo del carbonio solido. È il problema eterno dell’avere. -

- Sì, ma se avere non è bello, non avere è anche peggio! Mi sembra impossibile che non si possa essere mai contenti di niente, specialmente quando si ha molto come te. -

- Non sono solo io: ciò che ci piace è l’inseguire: rincorriamo chi abbiamo davanti, senza mai voltarci dietro... - Arrivò quindi una folata di vento gelido che alzò un po’ di polvere dal cantiere sulla strada dove passeggiavano: un grande viale del centro, in una zona pedonale, in genere affollato, quella mattina quasi deserto. Quel pulviscolo, trascinato con violenza, penetrava negli occhi e bucava la pelle come un ago sottile perciò istintivamente terminarono la conversazione e si spostarono da quella vetrina piuttosto velocemente a testa bassa, cercando un riparo che trovarono in una pizzeria. Lì si aggiustarono i capelli a vicenda, poi Stefania ripulì i suoi occhiali con un fazzoletto e pensò di prendere una pizza: aveva un po’ di fame, quella mattina non aveva fatto colazione.

- Ti va una pizza? - chiese all’amica mentre ritirava la sua.

- No, meglio di no. In questo periodo sto seguendo una mezza dieta. - replicò stupendola un poco: non aveva problemi di linea.

- Sì? Ti sembra di dover dimagrire? -

- Forse adesso non più, ma ultimamente ero ingrassata, così provo a rientrare nel mio peso forma. -

- Sai, io ho un rapporto conflittuale con le diete: speriamo di non ingrassare mai! - rispose dando un morso alla sua pizza.

- Comunque le diete, se fatte bene, non hanno solo un valore dimagrante: servono anche per disintossicarsi un po’. - spiegò. Purtroppo Stefania proprio non tollerava questi discorsi sul valore delle diete, come un gatto odia l’acqua, e con una violenza inusitata ribatté:

- Se ti piacciono tanto le diete, falle! Mi piacciono le pizze! Credo di avere tutto il diritto ad intossicarmi! - urlò. L’altra restò sul momento interdetta da un simile comportamento: non l’aveva provocata, poi rispose con tono dissimile, molto pacato:

- Se la ho offesa, mi scusi - disse e accennò un inchino.

Stefania proseguì a mangiare nervosamente la pizza, per alcuni secondi le due si fissarono piuttosto intensamente, poi Francesca con un gesto plateale lasciò Stefania sola. Questa continuò a divorare il suo spuntino strappando grossi bocconi con violenza e masticandoli velocemente con forza: sentir parlare di diete la riportava inesorabilmente alla sua malattia e la rendeva intrattabile. Dopo una decina di secondi smise di masticare, abbassò lo sguardo su quella focaccia ricoperta di pomodoro, poi lo alzò per osservare Francesca che si allontanava: schiaffò in un cestino quel cartoccio e scoppiò a piangere rincorrendo l’amica.

- Scusami...  - disse in lacrime afferrandola per un braccio, ma questa subito si liberò di lei che si fermò e piangendo - Scusami... ti prego... io non volevo offenderti... - a questo punto l’amica si voltò e la fissò con aria inquieta. Stefania prese il fazzoletto dalla tasca e cercò di asciugare le lacrime che ancora non riusciva a trattenere - Mi capita di avere questi scatti d’ira maledetti quando si parla di diete.  Scusami, non volevo. - concluse. L’amica, rimasta male vedendo Stefania comportarsi in quel modo, l’abbracciò e si commosse a sua volta. Dopo un attimo riuscirono a ricomporsi e Stefania spiegò:

- Sai qualche anno fa ho sofferto di anoressia... in modo abbastanza grave: per questo non sono la ragazza migliore con cui discutere di diete. - e tentò di ridere.

- Adesso senza dubbio sei guarita - disse l’altra scherzosamente, mentre finiva di asciugarsi le lacrime. Per un attimo si guardarono, poi scoppiarono a ridere. Continuarono a ridere ed a piangere abbracciate per qualche minuto, poi Francesca aggiunse seria - Non lo avrei mai detto. Praticamente mi sembravi la felicità in persona, la ragazza senza problemi... -

- Sai, tutti hanno i loro problemi, è triste accorgersene. Ma dai parliamo d’altro... - così cambiarono argomento e tra una sciocchezza e l’altra arrivarono alla fine al problema “Marco”.

- Poi stasera esci con Marco? - domandò Francesca venendo in soccorso all’amica che non aveva il coraggio di entrare nell’argomento, anche se Stefania era uscita con lei proprio per quello.

- Ti dispiace? -

- No. Ormai con lui ho chiuso tutto dopo quella festa. Credo dispiacerà anche a te: non è come sembra. -

- Perché? -

- A lui interessa solo una cosa: dell’amore non gliene importa nulla. -

- Ah... - disse mostrandosi più disorientata di quanto non lo fosse: aveva idee abbastanza chiare a questo proposito tuttavia per coerenza con il suo atteggiamento aggiunse - Sai lui ha cercato proprio me: qualcos’altro gli importerà, altrimenti ne trovava anche un’altra. -

- Tu dici? Sai perché mi ha lasciato? Quella sera io non volevo e lui non era della stessa opinione. Così appena ha trovato un’occasione l’ha colta al volo. Un ragazzo molto romantico, non trovi? - domandò ironica con un pizzico di rabbia.

- Ma non c’erano anche altri motivi? -

- Praticamente ci eravamo stufati l’una dell’altro. Stacci attenta: sei troppo cotta per essere piantata in asso! Non la prenderesti affatto bene: io almeno mi ero già abituata un po’ all’idea. - seguì un momento di silenzio, poi Francesca riprese - Ma... tu... cioè... ti è già...- balbettava quando Stefania la tolse d’impiccio dicendo:

- No, praticamente non l’ho mai fatto... sai, penso di essere abbastanza stufa di questo stato. - L’amica prima di rispondere rifletté un secondo sul significato di quel “praticamente”, poi credendo che quell’avverbio fosse stato usato erroneamente riprese:

- Non mi farei troppo problemi: prima o poi si ha sempre l’occasione giusta. -

- È stata anche colpa mia: non sono mai stata troppo convinta... In questo campo non sono estroversa come al solito. -

- Se la tua è una paura, praticamente, psicologica non me ne preoccuperei troppo: sono cose che si superano crescendo, lasciando scorrere gli eventi, senza forzarli. Io poi credo sia giusto così... cioè io ho fatto così... Un anno fa, non era neppure sabato, forse un giovedì, io e Marco stavamo studiando insieme... A casa sua, come molte altre volte, non c’era nessuno... Dopo un po’, come al solito, abbiamo cominciato a baciarci e non so neppure perché abbiamo fatto l’amore... era un giorno come gli altri, una situazione come le altre... Per me è stata quella praticamente la prima volta, non per lui... forse è stato meglio. Tutto sommato anche questo è qualcosa che si deve imparare... comunque non è molto difficile - sorrise - Ora mi ha lasciato... forse è stato un bene: in fondo non era il mio tipo... forse lo era, non lo so... Praticamente a lui piace solo una cosa delle ragazze, non sempre ricorda che anche noi abbiamo una testa ed un cuore. - concluse un po’ abbattuta.

- Scusa se ti ho fatto pensare a questa storia. -

- Fa, nulla. È un’esperienza che ti aiuta a capire com’è il mondo: ognuno tira l’acqua al suo mulino. Dopo tutto lo immaginavo: Marco è il ragazzo con cui puoi divertirti una sera, non puoi starci una vita. - poi aggiunse in tono abbastanza dimesso - Dovrei dirti di mandarlo al diavolo, sei troppo cotta di quell’idiota... e resterai bruciata. - si rosicchiò un’unghia e cercando di sdrammatizzare riprese - No... Io la vedo solo dal mio punto di vista: quella di una incazzata con lui, ma non è questa la verità... Praticamente se mi chiedesse di tornare con lui lo farei... non lo so, forse sono gelosa, però non è giusto: tu non hai fatto nulla contro il rapporto tra me e lui... -

- Io... io... - mormorò Stefania dispiaciuta nel tentativo di placare il bruciore di quella ferita da lei riaperta, quando tutt’intorno si sentirono le campane suonare: era mezzogiorno e Francesca esclamò:

- Oddio, la Messa! - e prese a correre trascinando per un braccio l’amica, dicendole - Mi devi un favore: questa è l’occasione per farlo, aiutandomi a non dormire alla Messa di mio zio -

La chiesa era un edificio piuttosto moderno, anche se costruita sul modello di una antica: la pianta era a croce latina; la facciata con un rosone aveva tre porte, quella centrale più grande veniva usata solo per matrimoni e funerali; sulle pareti laterali correvano una serie di vetrate a sesto acuto. A quell’ora era piena di gente, così le due ragazze trovarono posto in una delle ultime panche.

Dopo un po’ Francesca sussurrò all’amica:

- Dovrò andare a confessarmi -

- Sai, io non ci andrò da un paio d’anni. -

- Non ci andrei neppure io, ma poi chi lo sente - rispose sbuffando e indicando lo zio. - Tanto non gli dico tutto, solo qualcosa tanto per poter dire di essermi confessata - concluse dopo di che si diresse verso il confessionale dove c’era don Giovanni, il collega più giovane di don Alvaro, che oramai conosceva bene Francesca: infatti le disse vedendola:

- Chi non muore si rivede! Sei qui per confessarti o per risparmiarti la predica? -

- No, no sono venuta per confessarmi. -

- Eh, figuriamoci... Guarda che non lo avrei potuto dire a nessuno, neanche allo zio. - poi stancamente iniziò - Da quanto tempo non ti confessi? -

- Praticamente... saranno... - la interruppe.

- Con me sono due mesi. Nel frattempo ti sei confessata da qualcun altro? - domandò retorico. A don Giovanni, un prete giovane, proprio non piacevano questi rituali celebrati solo pro forma: per lui avevano un forte significato morale e religioso ed ignorarlo riduceva il tutto a poco più che una pagliacciata.

- No, mi pare di no. -

- E quali peccati hai commesso in questo tempo? -

- Ho litigato con i miei genitori, qualche volta anche violentemente: anche loro si arrabbiano per un nonnulla... - la interruppe.

- Come quando sei tornata alle tre... Libertà, dite: chissà se vi hanno mai spiegato come questa parola non significhi affatto poter fare ciò che si vuole... Comunque avrai avuto le tue buone ragione, ma i tuoi si erano preoccupati parecchio... Ed hanno telefonato tra gli altri anche a tuo zio e questo ha svegliato anche me... Poi che mi racconti? -

- Beh, scusa... io... - con un cenno della mano le disse di proseguire - Qualche dispetto e qualche schiaffo con i miei amici è volato: non è facile tenere sempre i nervi a posto. -

- Uhm... Per te non è così difficile: generalmente ti arrabbi senza motivo. Non fosse per altro, ma non fai una bella figura! Ultimamente per esempio con chi hai litigato? - chiese. Quando si svolge un compito bisogna sempre provare a farlo bene, anche se l’ambiente è sfavorevole.

- Stamani con la mia amica, ma mi dispiace: c’erano delle cose che non sapevo e neppure immaginavo... poi ho litigato anche con Marco, il mio ex ragazzo e temo di aver commesso diversi atti impuri... e poi... e poi... qualche volta ho saltato la messa... - quindi il sacerdote le disse:

- Bene, adesso dovresti leggere quella targhetta in alto a sinistra. - Infatti c’era scritto l’atto di dolore, durante la lettura del quale l’assolse, poi la invitò a dire cinque Ave Maria e due Gloria, quindi la salutò:

- La prossima volta che ti confessi potresti farlo con tuo zio: dopo averti ascoltata credo che ti lascerà molto più in pace... Ciao. -

Quindi Francesca tornò dall’amica con cui seguì distrattamente il resto della messa. Alla fine le due andarono a salutare don Alvaro.

- Ciao, zio. Come vedi oggi non me ne sono dimenticata! - esclamò soddisfatta, con una punta di orgoglio.

- Mi fa piacere, spero che tu non la considererai la solita perdita di tempo. - disse suo zio non senza un briciolo di rammarico e disillusione.

- Mi spiace del ritardo. -

- Fa nulla, almeno sei venuta. - poi con un certo piglio aggiunse - Non sono fissato con la puntualità alla Messa, credo che nella vita si debba essere sempre puntuali: è un segno di rispetto... Ma lasciamo perdere: vedo che oggi sei in compagnia di una nuova amica. - così Francesca la presentò, i due si strinsero la mano e dopo un po’ di chiacchiere si salutarono e si liberarono dello zio. Era un bravo prete: seguiva con attenzione la parrocchia, si impegnava con i giovani insegnando che non si deve vivere solo per sé stessi: “ama il tuo prossimo come te stesso”, diceva, “non è un’utopia, ma il giusto mezzo, tra il dedicare tutta la vita agli altri, come i Santi, e dedicare tutta la vita a sé stessi, come molti oggi...”. Senza dubbio un uomo con ideali forti e ben radicati dovuti, diceva lui, da una grande fede in dio.

Nel pomeriggio Stefania uscì con Marco dimenticandosi della relazione sull’esperienza di laboratorio: nella spartizione dei compiti con il nostro amico questa spettava a lei. Quest’ultimo, non avendo nulla da fare, si dedicò allo studio del famoso libro, il suo passatempo preferito.

Mentre cercava di ricomporre il racconto successivo, simile ad una favola, pensava sempre di più al suo libro: aveva trovato un titolo, “L’Equilibrio”, ma ancora non aveva chiara in mente la trama. Sentiva di dover scrivere, quasi un bisogno interiore: non era nuovo a questa esperienza: aveva già scritto qualche racconto, improvvisato qualche commediola. Una passione nata fin dalle elementari quando con un’inefficiente macchina da scrivere compose il suo primo raccontino sul “Pesce che voleva volare”.

Su questo libro aveva anche un’idea sull’ambientazione: non su questo mondo, ma su un altro, inventato da lui ex novo. Ne aveva anche discusso con Luca: voleva descrivere la realtà così com’era e se avesse descritto questo mondo avrebbe riportato solo il suo punto di vista, allora molto meglio inventarsene un altro ad uso e consumo del suo libro. Era più faticoso: si dovevano inventare nuove etimologie, per i nomi dei luoghi, nuovi proverbi, nuove leggende, nuovi usi ed anche i giochi dei bambini e le ricette di cucina: non era un’impresa semplice creare un nuovo mondo, ma era meglio che fare delle brutte copie della realtà. La sua sarebbe stata una forte critica all’apparenza e per questo l’ambientazione sarebbe dovuta essere il più reale possibile. Tra questi pensieri vaganti riuscì a ricostruire un altro racconto, modellato come una favola.

La rondine cieca

C’era lontano lontano, tanto che nessuno può raggiungerlo, un deserto davvero grande dove c’era soltanto sabbia calda e freddi rocce: non c’era acqua, non c’era erba e non c’era vita laggiù. I giorni infatti erano così torrido e le notti così gelide che nessuno poteva abitare lì. Talvolta si alzava un terribile vento che sollevava una immensa nuvola di sabbia così che quasi pareva notte, tanto poco si vedeva e tanto soffiava forte che nessuno, anche forte, anche veloce, riusciva a muoversi.

Non era così ovunque: infatti in mezzo al deserto una collina, tanto piccola che non sareste davvero capaci di trovarla. Là, come in un’oasi, non c’era il vento, non c’era la sabbia, né le rocce gelide perché c’era tanta erba e tanta acqua così che il terreno era davvero fertile: talvolta si alzava una leggera brezza per spazzare via lontano le nuvole che cercavano di avvicinarsi per tormentare la pace.

In questa collina si trovava un solo grande e vecchio albero, una quercia. Il suo pesante tronco marrone era molto grande: non basterebbero dieci bambini di dieci anni per abbracciarlo, ma pian piano che cresceva verso il cielo diveniva più tenero e leggero. Nei suoi molti rami c’erano proprio molte verdi foglie, ma solo: infatti qua e là si trovavano alcuni nidi di rondini.

In quel periodo ogni signora rondine covava le sue uova aspettando lieta il momento in cui i suoi piccoli sarebbero nati ed ogni signor rondine cercava nei dintorni qualcosa da mangiare per sua moglie. Tra le tante signore rondini c’era anche una cieca. Per lei non c’era il cielo azzurro e sereno, non c’era la verde e rigogliosa collina, non c’era grande e buona quercia. Suo marito come gli altri le procurava il cibo.

Passano i giorni alla fine i due piccoli rondinini ruppero con fatica il guscio dell’uovo che amorevolmente li conteneva, li nutriva e li ha fatti crescere e videro il mondo intorno a loro. Erano davvero bellini, ma purtroppo la loro povera mamma poteva vederli solo con gli occhi del cuore. Neppure suo padre poteva vederli: infatti era volato via per sempre nel cielo il giorno prima. Così doveva essere la mamma a cercare cibo per i suoi piccoli e per se stessa  Ogni giorno partiva e ritrovava sempre la via del ritorno: infatti si faceva guidare dal cinguettio dei suoi piccoli e quando tornava divide tra i due il cibo trovato.

Un giorno la sfortunata mamma rondine si ammalò di una brutta malattia da cui spesso è difficile guarire e così chiese aiuto alle altre mamme perché nutrissero i suoi piccoli e così le promisero e fecero. Intanto che aspettava la sua morte la mamma rondine era felice: sentiva cinguettare i suoi piccoli e pensava alla loro felicità e non mancava mai, quando avvertiva un’altra mamma nei paraggi di ringraziarla. Un giorno poveretta morì e tutti se ne dispiacquero.

Col tempo tutti si dimenticarono di lei e persino dei suoi piccoli che morirono di fame: nessuno si ricordava più di nutrirli, ognuno pensava di avere qualcosa di più importante da fare.

Però morendo i piccoli fecero in tempo a volare via in alto nel cielo, salvandosi dal terribile vento che qualche tempo dopo improvvisamente seppellì la collina e impedì per sempre agli altri di volarne via.”

- Proprio strampalato questo libro! Chissà poi perché una favola? - poi aggiunse sorridendo - È vero: sono spesso gli adulti a dover leggere favole: le hanno dimenticate troppo velocemente e quando le leggono ai figli per conciliare il sonno, non riflettono, ma badano solo a far dormire il bambino. -

Iniziò a pensare all’amicizia: cos’era davvero? Era una parola troppo generica: indicava un grande numero di situazioni. È un tuo amico colui che non è tuo nemico; colui che hai salutato per caso il giorno prima; colui a cui faresti un favore senza ricevere nulla in cambio? Difficile dire quale fosse sbagliata, pur indicando tre situazioni completamente distinte. Peraltro ogni lingua usa questa parola in modo differente ed ogni persona la interpreta in modo diverso. La favola insegnava a diffidare dalle prime due, ma anche come non esistesse la terza. Difficile pensare che la definizione corretta fosse quella inesistente... Eppure la frase di apertura del libro non era casuale: non importa com’è la tua vita, ma dedicala agli altri. Era ovvio: non ha alcun senso vivere per la nostra morte: si muore per vivere, non si vive per morire. Spesso gli uomini preferiscono dimenticare questa realtà: quanto male scaturisce da questa debolezza! Il racconto inoltre affrontava la questione dell’aiuto richiesto e di quello offerto: in linea teorica non si dovrebbe chiedere aiuto, dovrebbe essere dato spontaneamente dagli altri: tutto sommato per questo vivono. Difatti aiutare, quando si rischia la vita, è qualcosa di istintivo, come quando qualcuno viene investito. In altri casi non è vero. Allora si deve chiedere esplicitamente aiuto? Ma a chi? Se nessuno lo ha fatto spontaneamente siamo sicuri che il suo sarà un vero sostegno, oppure lo forziamo? Non rischiamo la fine della rondine, aiutata finché poteva domandarlo? Il nostro amico avrebbe proseguito la sua riflessione a lungo se dalla cucina non fosse arrivata la seguente voce:

- Ehi, filosofo, sarebbero le quattro. - disse sua madre dalla cucina: a quell’ora c’erano i campionati di biliardo e lui era un vero appassionato, specialmente da quando la domenica sera disputava una partita con gli amici: era bravo e non lo si batteva facilmente. Appoggiato il foglio con il racconto sulla scrivania, andò in sala, sprofondò sul divano e si mise a guardare la televisione, finquando non giunse l’ora di avviarsi verso il centro dove si sarebbe incontrato con gli altri per la cena e per la partita.

Quando arrivò mancava solamente Luca, sempre in ritardo tanto che in seguito gli dissero:

- Prima o poi dovremo farti lo scherzo di non presentarci e di lasciarti ad aspettare per un’oretta qualcuno che non verrà mai. -

- Una volta a teatro ho fatto la parte di Lucky in “Waiting for Godot”. Questa volta invece mi vorreste dare la parte di uno dei protagonisti! - disse ironico.

Quindi si recarono alla pizzeria per la solita pizza e come sempre il nostro amico prese da bere una bottiglia d’acqua naturale: non prendeva bevande né alcoliche né gassate: le prime perché non reggeva troppo l’alcool, le seconde perché non lo dissetavano. Finita la cena si diressero tranquillamente verso la sala del biliardo.

- Ditemi un po’: secondo voi cos’è l’amicizia? -

- Mi mancava la domanda filosofica! Era una settimana che non aspettavo altro! - commentò uno scherzosamente. Poi dopo un attimo aggiunse -  Questa. Non saprei trovare le parole, ma è questa l’amicizia. -

- Cioè non si può definire? È qualcosa di indefinito? Se la vedo la riconosco, ma non saprei definirla? E se doveste spiegarla ad un marziano cosa direste? -

- L’amicizia è quel sentimento per cui anziché ucciderci, stiamo parlando e cerchiamo di aiutarci tra di noi. -

- Ma quella sarebbe l’amicizia tra te ed il marziano. Se tu dovessi insegnargli a riconoscere l’amicizia? -

- Non servono delle definizioni: dopo aver collegato alla parola “amicizia” il rapporto instaurato tra me e lui, saprebbe riconoscere gli amici. Come accade con i bambini: loro non conoscono le definizioni. - Nel frattempo giunsero al biliardo e cominciarono la partita.

Dopo un po’ il nostro amico stava vincendo, toccava a lui il tiro, quando arrivò Antonio accompagnato da una ragazza, tale Michela, vestita in modo piuttosto piccante.

- Salve ragazzi, fate la solita partita, eh? Per caso avete visto Giuseppe? Aveva detto che sarebbe passato da qui. -

- No, ci dispiace. - rispose uno di loro

Questa breve conversazione fece alzare la testa al nostro amico, concentratissimo sul colpo diretto per caso verso la ragazza in minigonna. Lui generalmente ignorava tutto e tutti, ragazze comprese, quando doveva tirare, ma questa lo aveva scosso particolarmente. Ritardò il tiro, sperando che se ne andassero, ma Antonio rimase fermo, interessato al difficile colpo, tanto che mantenne un silenzio religioso; la ragazza era invece piuttosto indifferente. Costretto a giocare, sbagliò: il tiro riuscì in effetti a mandare in buca, dopo due sponde, la pallina giusta, ma non essendo sufficientemente preciso ci fece cadere anche la biglia avversaria, facendo perdere la partita al nostro amico ed al suo compare per la gioia degli altri due. Comunque nessuno capì il motivo del suo errore: pensarono che avesse sbagliato il tipo di tiro, mentre l’errore era solo nella difficile esecuzione.

- Ragazzi, questa ve l’ho regalata! Adesso torniamo alle cose serie: preparatevi ad arrostire a fuoco lento! - disse in risposta alle critiche: in effetti senza Michela riuscì a vincere le due partite successive dopo le quali tornarono a casa.

Stefania trascorse una discreta giornata con Marco: una passeggiata romantica in centro; una cenetta in pizzeria ed infine una girata in macchina per vedere le stelle. Tornò verso mezzanotte e si addormentò poco dopo serenamente: quella notte complice il divertimento di quei due giorni si salvò dai suoi incubi.

La mattina seguente quando suonò la sveglia, squillò nella mente di Stefania un campanello: infatti si alzò di scatto esclamando:

- Accidenti! Me ne sono scordata! - riferendosi alla relazione sull’esperienza di laboratorio di fisica condotta nei giorni scorsi con il nostro amico. Non poteva prepararla in poco tempo: servivano alcune ore, doveva farla nel week-end, ma se ne era dimenticata. Si alzò dal letto rimuginando - Adesso cosa gli racconto? - al professore e al nostro amico: difficile dire quale fosse peggiore. Per il primo ebbe una mezza idea, e sperava che non si fosse arrabbiato troppo il secondo. Quindi si recò in cucina per la colazione. Quella mattina stranamente c’erano tutti e due i suoi genitori e la madre le domandò poiché notò che la figlia non aveva aperto bocca oltre ad un “Salve a tutti”:

- Stamane Stefania mi sembri un po’ nervosa? -

- Un po’ sì, mamma. Oggi a scuola sarà una giornata piuttosto movimentata. - mentre nel frattempo inzuppava un biscotto nel tè.

- Tanto tu, sai cavartela sempre bene. Sai, ieri sera sei tornata tardino... -

- Poco dopo le undici e mezzo, ma’, come sempre quando devo andare a scuola. -

- E dove sei stata? - chiese il padre. A questo punto Stefania sbuffò e gridò:

- Sono stata in discoteca, mi sono fatta una canna, mi sono impasticcata e mi sono scopata tutti i presenti!! - quindi suo padre le dette un ceffone urlandole:

- Non ti permetto di parlarmi così! - Stefania si alzò di scatto e replicò inferocita:

- Porgi l’altra guancia, eh? La vostra ipocrisia fa schifo! Voi fate schifo!! Non sopporto che facciate i genitori premurosi! So di essere solo un beneficio fiscale!! Adesso scusatemi, ma dovrei andare a scuola, se non vi dispiace! - raggiunse la sua camera con passo veloce, prese il cappotto dal portabiti e lo indossò; afferrò lo zainetto e lo mise su una spalla per poi avviarsi rapidamente verso la porta di casa: l’aprì ed uscì sbattendola violentemente; raggiunse l’ascensore, salì e spinse con forza il pulsante per scendere. Dentro questo c’era uno specchio e lei nel guardarsi iniziò a singhiozzare: vedeva una ragazza triste dietro i suoi bellissimi occhi verdi; scopriva la sofferenza dell’assenza dei genitori nascosta tra le pieghe dei capelli biondi; nascosto dal suo volto fresco scorgeva i segni della mancanza di quell’amore necessario alla vita e dentro il suo corpo ben formato trovava i ricordi terribili delle violenze psicologiche subite. Perché? Perché proprio io, pensava. Perché mi fate soffrire? Non l’ho chiesto io di venire al mondo! Poi si udì un ding: l’ascensore era arrivato al piano terra, così lei si voltò ed uscì. Quindi si richiuse la porta e nello specchio quell’immagine magnifica svanì velocemente come si era formata: queste appaiono e scompaiono continuamente, i nostri sentimenti, i nostri pensieri ci accompagnano per tutta la vita... Nel frattempo Stefania riuscì a trattenersi, si asciugò le lacrime, fece un lungo respiro per darsi forza, poi uscì dal palazzo per tuffarsi in una nuova giornata.

I due genitori contemporaneamente iniziarono a litigare su di chi era la colpa di tutto ciò, finché il signor Veronesi non dovette andare al lavoro dove avrebbe trovato nella sua segretaria una facile consolazione, come la signora Veronesi nel suo giovane autista.

Per strada Stefania pensò alla relazione per distrarsi e tentare di dimenticare tutto: in questo i suoi l’aiutavano in quanto non c’erano troppo spesso. Riuscì a giungere a scuola in anticipo e per fortuna quella mattina era arrivato presto anche il nostro amico il quale, ignaro di tutto, stava illustrando a Giovanni alcune sue considerazioni su “L’Equilibrio”:

- ...per descrivere la realtà o ti inventi un mondo diverso o non la descrivi affatto: ovvero insisti solo sul lato psicologico, creando un mondo di fantasmi: una situazione che non mi piace per nulla: non siamo spettri, tuttavia anche se appariamo come esseri attraverso i quali la luce non riesce a passare, quello che vedono gli altri è solo un riflesso... - a questo punto Stefania lo salutò, lui rispose velocemente continuando - ...dicevo, sì è un riflesso, perché non vedono nulla della realtà... - quindi lei disse che c’era un problema con la relazione e lui rispose che ne avrebbero parlato dopo: stava per riprendere il discorso con l’amico, poi si voltò finalmente verso Stefania, si fece serio e le chiese terrorizzato - Che problema? -

- Me ne sono dimenticata - disse con un fil di voce, cercando di sembrare più dispiaciuta di quanto non fosse: quella mattina era anche semplice. Giovanni nel sentire ciò scoppiò in una fragorosa risata, appoggiò una mano sulla spalla dell’amico e sghignazzando disse:

- Fantastico! Non hai fatto la relazione! Vorrei vedere che faccia farai quando il prof ti troverà senza! Non è mai successo da due anni a questa parte! - Al che il nostro amico con già un diavolo per capello si girò di nuovo verso Giovanni e disse con tono ancora più serio:

- Taci! -

- Sì, sì... taccio... taccio... - rispose senza trattenersi dal ridere. Quindi il nostro amico tornò a guardare Stefania, l’unica che non si divertiva, per dirle:

- Con ‘me ne sono scordata’ che intendi? Non l’hai fatta proprio per nulla? - lei annuì e lui esclamò allargando le braccia - Porca puttana! Lo sapevo! - continuò gesticolando - Io lo sapevo! Mai fidarsi di una donna! Io l’ho sempre detto: pensate solo al ca... - quindi Stefania gli dette uno schiaffo che le fu subitamente restituito: strano, lui in genere non restituiva mai i colpi subiti, ma preferiva una lenta distruzione psicologica. Sarebbe finita peggio se non fosse suonata la campanella. Anche quando erano seduti sul banco l’uno accanto all’altra continuarono a litigare attraverso dei foglietti con scritte ingiuriose finché nell’intervallo non arrivarono ad una tregua: Stefania aveva una buona scusa e per applicarla dovevano essere d’accordo. L’idea si basava sul presupposto che il prof Nannicini non sapesse nulla di informatica, cosa ben nota a tutti: si trattava di dire non avevano potuto stampare su carta la relazione perché era finito l’inchiostro, non avendo potuto provvedere avevano portato il dischetto su cui era memorizzata la relazione. Un  ragionamento perfetto se non fosse che la verità di ogni proposizione logica dipenda solo dalla correttezza dei suoi principi.

Quando pochi minuti dopo arrivò il professore recitarono la commediola, dettero il dischetto al professore convinti che non sapesse e non potesse usarlo:

- Bene! Bravi! Va bene anche così: non si spreca carta! - quindi tolse un portatile dalla borsa - Sapete ho fatto un corso di aggiornamento su informatica e didattica! - esclamò compiaciuto. Mentre tutto il resto della classe era sul punto di scoppiare a ridere, i due informatici stavano imprecando sottovoce in una qualche lingua. Poi il nostro amico ebbe il coraggio di chiedere alla compagna sussurrando:

- Cosa c‘è in quel dischetto? È vuoto vero? - lei con le mani nei capelli e la testa schiacciate nel banco appena rispose:

- Non lo so, potrebbe essere quello del “Tetris”. -

Infatti dopo un po’ si sentì una musichetta del gioco, tutti scoppiarono a ridire e il professore ridendo disse:

- Ci hai fatto solo 15000 punti?... Mio figlio è arrivato a 20000: certo lui ha dieci anni, ma anch’io sono arrivato a 13000. - poi aggiunse andando dal nostro amico rosso come un pomodoro - Hai sbagliato dischetto! Vedi di portarmi quello giusto domani. - Naturalmente si era reso conto dell’inganno, ma si era divertito troppo e non volle infierire.

Fuori della scuola i due, ancora arrabbiati l’uno con l’altra, pensarono a come scrivere quella relazione in un pomeriggio soltanto: questo compito richiedeva un bel po’ di tempo e con gli altri da svolgere non era molto. Perciò pranzarono insieme a casa di lei.

Arrivati a casa Stefania informò Rosa, la colf, che a pranzo erano uno in più e questa a sua volta avvertì la prima che i suoi non tornavano per pranzo.

- Tu Rosa hai già mangiato? -

- Sicuro... È quasi pronto: intanto potete accomodarvi. -

Si sedettero a tavola e poco dopo arrivò il pranzo. Fino a quel momento avevano parlato della relazione, poi con gli spaghetti alle vongole ci fu un momento di silenzio, interrotto dal nostro amico:

- Scusa per stamani. Quello che ho detto su di te non lo penso davvero: non ti ho lasciato neppure il tempo per spiegarti; comunque non antepongo i voti agli amici. -

- Speriamo: sai, quello è un luogo comune che non sopporto... ma stavolta forse era adatto: ho fatto proprio una bella cazzata! -

- È inutile piangere sul latte versato, poi mi hai detto che ti dispiace ed io ti credo. Sinceramente possiamo continuare a dividerci i compiti? -

- Pensi di poterti ancora fidare di una sciagurata come me? Se non mi butto sotto una macchina non succederà di nuovo... A proposito tu sei innamorato di me, vero? -

- Io sono stato innamorato di te. Comunque è sufficiente non sembrare innamorati: quello che siamo realmente riguarda solo noi e pochi altri. Adesso mi piacerebbe lasciar perdere il passato e pensare a te come ad un’amica di cui potersi fidare, anche di più della propria ragazza. L’amore a questa età è transitorio; la scuola invece finisce a giugno e siamo soltanto a dicembre: sei mesi sono un tempo ben più lungo di molti amori. -

- Io non credo nell’amicizia tra ragazze e ragazzi: il nostro è più un accordo commerciale. -

- Ecco appunto se ti tradisce il socio ci rimetti la baracca, se ti tradisce la ragazza del momento la mandi a quel paese. - disse ironico e con questo lasciarono cadere il discorso.

Finito il pranzo raggiunsero la stanza di Stefania, sbrigarono rapidamente i compiti per il giorno seguente per poi dedicarsi alla relazione. Verso le sei Rosa bussò alla porta per dire a Stefania:

- Sua madre mi ha detto di riferire che questa sera sono sopraggiunti impegni improrogabili... - quindi fu interrotta da Stefania:

- con l’amante, li conosco i suoi impegni improrogabili. Bene! Uno in meno! Invece c’è il caro babbino stasera? -

- Ma è in volo per Washington! -

- Già. Il consiglio d’amministrazione di chissà cosa, ovvero la scusa per la vacanza con la puttanella del momento. Bene, meglio soli che mali accompagnati. Grazie, Rosa. - Questa quindi se ne andò.

Il nostro amico restò sconcertato da questa conversazione: non capiva il senso di quell’odio verso i propri genitori ed avrebbe voluto chiedere qualche spiegazione, ma lasciò perdere: si vedeva come Stefania non volesse parlarne. Continuarono così a lavorare alla relazione fin quasi verso le otto, quando finalmente ogni puntino era sulle i.

Rosa se ne era andata, come al solito, circa un’ora prima e aveva lasciato alla nostra amica la cena da riscaldare nel forno a microonde: quest’ultima trovava sempre triste mangiare da sola e se il nostro amico non fosse stato un ragazzo, lo avrebbe invitato a cena volentieri, ma in quel caso sarebbe sembrato un po’ provocante. Così accompagnò il nostro amico fino alla fermata dell’autobus, prima di trascorrere da sola la serata davanti alla tv o al computer.

Fuori era ormai buio e soffiava ancora un forte vento freddo, il cielo era invece sgombro dalle nuvole e si vedevano le stelle.

- Meno male che abbiamo messo tutto a posto. Ci saremmo giocati per colpa mia l’otto a fisica. -

- Che dire? Tutto bene quel che finisce bene. Già ieri eri a pranzo con lui? Ti ho telefonato verso mezzogiorno e mezzo: volevo appunto ricordarti della relazione, ma non c’eri e mi sono detto: “Possibile che se ne dimentichi?” -

- Eh, le ultime parole famose! Peccato che non mi hai trovato: a quell’ora ero con Francesca alla messa di suo zio. È un prete, sai? -

- E come no! Chi non lo sa! Così tu ci credi davvero? - domandò puntando l’indice verso il cielo.

- Un po’ penso di sì... mi definirei... indecisa. Tu invece sei un ateo convinto, no? -

- Ovviamente. Anzi sopporto quelli come te, in bilico tra un lato e l’altro. Prendete il bello e buttate il brutto di entrambi. È pratico, ma schifoso! -

- Ma non è mica una scelta opportunista! Nessuno sa se Dio esiste, cioè la fisica non si può esprimere e comunque non è la verità assoluta. -

- Ecco, non è la verità, ma tende a questa. Le leggi fisiche sono delle formule matematiche a cui si aggiungono i limiti di validità: nel tempo si perfezionano le prime e si ampliano i secondi. -

- Questo non è del tutto vero: la meccanica quantistica ha rinunciato a determinare il moto di un elettrone, per esempio. -

- Perché nella realtà non è determinabile: non è una rinuncia, ma si è preso atto che l’elettrone non ha un’orbita precisa. A me sembra più una conquista. Tuttavia queste leggi, valide nei loro limiti,...-

- Ma chi ti dice che siano corrette? Devi crederci. -

- Ma io credo che non esista dio e credo che la fisica tenda alla verità. Credo, non ne sono certo. Anche gli atei, come tutti gli uomini, sono credenti e come tutti credono nella scienza: perché quando salgo sull’autobus so che mi porterà a scuola e non sparirà nel vuoto; perché se spendo con 40 e pago con 50 mi fanno un resto di 10 e non di 20; perché se metto una pentola d’acqua nella neve so che non la farò mai bollire... Per esempio credere che una persona possa resuscitare porta a negare il secondo principio della termodinamica, come dire il ghiaccio scalda altrettanto bene del fuoco... -

- Questo tuo ragionamento presuppone che dio non esista... Tutti i dogmi si basano sull’esistenza... -

- Beh, certo: sono ateo. Non possiamo avere delle prove totalmente razionali, dobbiamo basarci sulla ragionevolezza... La resurrezione non lo è! -

- Per te è normale che la morte segni la fine definitiva della nostra esistenza? -

- Sì! Dopo si viene mangiati dai vermi. Che dovrebbe accadere? Dovremmo andare in paradiso? Perché dovrebbe esistere qualcos’altro? Perché a noi pare ingiusto che tutto finisca con la morte? Ciò che piace agli uomini in genere non piace alla natura: prendi il rapporto tra la circonferenza e il diametro, pi greco, un numero terribile. Per noi uomini era meglio il tre, ma alla natura non gliene importa nulla: le sue leggi non sono mica a misura d’uomo: semplicemente funzionano bene! -

- E chi ce le ha messe? -

- Secondo San Tommaso, come ben saprai, questa è una delle cinque vie per aiutarci a credere in dio; non come si dice in genere una delle cinque prove dell’esistenza di dio! Come ateo non mi pongo il problema di un dio che abbia creato delle leggi, senza mai interferire con esse: contro questo non si può dire nulla e sarebbe anche inutile. Infatti non è questo il dio quello delle varie religioni: quello fa i miracoli, fa resuscitare i morti e tante altre quisquilie irragionevoli... -

- Insomma per te la religione è da buttare. -

- Non del tutto: buttiamo via pure le formalità e lasciamo la parte morale, quella più dimenticata: oggi sono rimasti solo i rituali. Le morali proposte dalle varie religioni hanno molti lati buoni: dovrebbero costituire, in linea di massima, una guida per religiosi e non... Poi se i primi sentono il bisogno di pregare, lo facciano: non si fa del male a nessuno. - concluse il nostro amico, Stefania sorrise appena e guardando il cielo disse:

- Ma non lo so. Non è così facile, come la racconti... Oggi c’è sempre una maggiore voglia di trascendente. -

- Certo il trascendente che porta a vantaggi materiali: questo è un problema culturale... Ecco ora arriva l’autobus... allora ci vediamo domani. - e si salutarono.

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