Capitolo IX - Leggere e scrivere

Leggere è senz’altro una buona abitudine, ma anche scrivere non è male...

- Sei un deficiente! - gridò Giulia a Gianluca, compagno di banco di Marco, che da qualche tempo era il suo ragazzo. Infatti quest’ultimo aveva dato un colpo all’orecchio di questa facendo schioccare l’indice sul pollice, quello che comunemente si definisce “frizzino”. Era un ragazzo piuttosto fissato con questo genere di scherzi ed era anche uno specialista in questi colpi riuscendo molto spesso a colpire appena con la punta dell’indice la parte più esterna dell’orecchio: una esecuzione davvero apprezzabile, tranne che per la poveretta che l’aveva subita e si ritrovava un orecchio arrossato. Difatti questa riprese - Non li sopporto questi scherzi, ma come te lo devo dire! - lui le dette un bacio sulla guancia e le bisbigliò qualcosa che la fece ridere e aggiunse scherzando - Sei proprio un idiota - e si rifece del colpo. I due continuarono la loro romantica passeggiata per le vie del centro e probabilmente parlarono di tante belle cose, ma purtroppo come disse un grande autore, questa è un’altra storia. Sarà per noi più interessante riportare le parole che Giulia pronunciò in quell’occasione circa Stefania:

- Proprio una puttana quella: pensa solo a se stessa! Ci ha fatto prendere un quattro perché per lei, poveretta, sei e mezzo è poco, è offensivo! Io non le capirò mai queste persone, predicano tanto bene e poi quando si arriva al dunque si comportano peggio di tutti gli altri: ipocriti, che ipocriti... -

- Certamente non ha fatto bene, ma anche lei è rimasta un po’ fregata: in fondo non è tutta colpa sua, no? Qualche volta poi lo hai fatto anche tu -

- Ma vedi lei vorrebbe essere quella che si comporta in modo corretto: io almeno sono onesta: lo dico chiaramente, domani anche se avevo detto il contrario, non vengo perché non ho voglia di studiare e non me ne frega niente se qualcuno ci rimette qualcosa. E allora quella ti attacca con la solita predica del non puoi pensare solo a te stessa: come sarebbe? A scuola devo pensare solo a me stessa, devo cercare di ottenere il massimo con il minimo, non importa a spese di chi. Tanto anche gli altri tirano a fregarti e tu non puoi mica solo prenderle... - e così via. Purtroppo non c’è tempo per raccontare anche tutta questa storia e così lasciamo l’onesta Giulia con il suo ragazzo alla loro amorevole passeggiata.

Intanto la nostra cara Stefania per un bel po’ di giorni continuò a comportarsi in modo piuttosto strano: certo che aveva qualcosa diverso dai soliti litigi con i genitori, le amiche e un po’ tutti compreso naturalmente il nostro amico che si era ributtato nei suoi libri, passato il triste momento della fine dell’anno e del successivo scherzaccio giocatogli dalla natura. A proposito de “L’Equilibrio” finì tutto il primo libro, circa una settantina di pagine, divise per capitoli e per paragrafi: era un libro molto strano, molto lento, di non facile lettura. Continuava anche l’opera di ricomposizione del libro della biblioteca e proprio lì uno di quei giorni trovò Giovanni. Il nostro amico come al solito non lo notò, preso dalla ricerca di qualcosa, e quindi l’altro disse:

- Ciao, cosa stai facendo? Tra un po’ chiude la scuola, non vorrai rimare dentro? -

- No, no. Adesso me ne vado, stavo giusto cercando dei fogli. Ti rammenti di quel libro strano, mancano alcuni fogli e saranno senz’altro qui dentro. Mi dispiacerebbe non scoprire proprio l’ultimo racconto. -

- Hai avuto modo di parlare con Stefania in questi giorni? -

- Io? No. Cioè niente di particolare oltre a ‘ciao, come va, hai fatto la versione di latino...’ Non è uno dei suoi momenti migliori, credo. Un po’ tutta la classe si è poi legata al dito quella faccenda di dieci giorni fa: in effetti non ha fatto per niente bene. Poi tutto questo clima non ha portato certo qualche miglioramento nei suoi rapporti con Francesca. Vanno avanti a ‘ciao’, senza scambiarsi due parole. Come faranno? -

- In questo ti somiglia: tu non saluti Enrico da un paio d’anni, qui ancora si parlano e sono passati solo dieci giorni. -

- Ma quello è un bastardo. E poi si sa che io sono matto. Lei è una ragazza normale, come voi, io oramai sono su un altro pianeta - rispose senza mai smettere di cercare tra gli scaffali.

- Parlandoci lo ha detto anche a te che ha un qualche problema, un qualcosa che la sta tormentando? Comunque io credo sia nervosa anche per qualcos’altro... Le deve piacere un ragazzo che non ci sta, ovvero a cui non ha il coraggio di dirlo. -

- No, non credo. A parte il fatto che dove lo trovi un ragazzo che non ci sta? In secondo luogo non è proprio il tipo da star male per questo o da farsi qualche problema. Né tanto meno sopravaluta questo genere di problemi. Comunque sai chi è? -

- No, non di preciso. Sei tu quello con cui lei parla un po’, uno dei pochissimi in questi giorni: se non la sai tu... -

- Giovanni, dai retta a me: Stefania litiga quasi tutti i giorni con i suoi, ha litigato con mezza classe, ha rotto un mese fa con Marco: i problemi per non avere una vita allegra e spensierata non le mancano. In questo mondo quando una ragazza sembra avere un problema dev’essere a causa di un ragazzo. Ma suvvia, cerchiamo di superare questi luoghi comuni, anche per il suo bene. -

- Ma chissà forse hai ragione te... -

- Bene, allora possiamo anche chiudere il capitolo “Stefania” ed aprirne uno ben più interessante per noi che non ci interessiamo solo di belle ragazze e dei loro problemi. Ti volevo parlare giusto de “l’Equilibrio”: ho quasi finito la prima parte, ma non ho ancora ben chiaro in mente dove andrò a finire, anche se so sempre cosa scrivere nel capitolo successivo. Strano, no? Sapere sempre il seguito, con una logica che non è quella delle telenovele, ma non aver ben chiara la fine. Ho deciso di inserire un’altra appendice, oltre a quella con le etimologie: quella con le vite dei personaggi. Se proprio voglio descrivere la realtà non posso prendere un personaggio in un momento qualunque della sua vita e narrarla solo da quel momento, devo anche riportare ciò che è successo prima. D’altra parte non posso appesantire troppo il racconto in sé, diverrebbe illeggibile e così aggiungo una appendice che chiamerò “Le vite di Dotia”, con le principali biografie. -

- Un’opera monumentale! Non diverrà illeggibile? -

- Che vuol dire? Se qualcuno la vuol leggere, la leggerà: io non scrivo qualcosa di leggibile, scrivo quello che penso. Non faccio lo scrittore, non voglio vendere libri. Del resto i grandi scrittori non sono mai troppo ricchi, non quanto meriterebbero, proprio perché non scrivono ciò che i lettori vorrebbero, ma ciò che vogliono loro. -

- Sì, lo so, ma la fame è brutta. -

- Anche questo è vero. Comunque tornando a Dotia ho pensato che questo trucco delle biografie mi consentirà di gettare nuovi personaggi ex abrupto nel vivo del racconto senza spezzare il ritmo narrativo. I vari paragrafi dovranno quasi somigliare a delle istantanee della durata di pochi secondi, pochi minuti. I narratori che cambiano ogni due o tre pagine, la storia che cambia costantemente, un caos totale, almeno apparentemente. In realtà è ben chiaro che il tutto procede in un’unica direzione. Del resto è così la realtà: pensa quando due persone si incontrano per andare che so al cinema, ognuno pensa qualcosa differente dall’altro, un caos completo, eppure è tutto chiaro. Ma tu cosa scrivi: “Tizio e Caio vanno al cinema” e la chiami rappresentazione della realtà? Vero è vero, in quanto non falso, ma è completamente riduttivo: considera solo il fatto che non c’è istante in cui l’uomo non pensi a qualcosa, se non quando dorme. Come se in un libro dal titolo “Opera omnia del genere umano” ci fosse scritto “L’uomo abita la Terra, terzo pianeta del sistema solare”. Cercare di riportare la realtà non è qualcosa di bello. -

- Come Picasso riporti più punti di vista. -

- Sai com’è: non si dice nulla che non sia già stato detto. -

- Per me non lo finirai mai: metti troppa carne al fuoco. -

- È vero, troppa carne al fuoco, ma non credo sia evitabile. -

- Beh, comunque io devo andare? Viene via anche tu? -

- No, no. Voglio finire di trovare questi fogli. Sono curioso di vedere come vanno a finire tutti quei racconti strampalati: in fondo sono loro ad avermi ispirato “L’Equilibrio”. - In effetti prima di lasciare la biblioteca aveva trovato tutti i fogli che componevano l’ultimo racconto del libro. Nei giorni seguenti, se non avesse avuto nuovi e imprevisti impegni probabilmente avrebbe riordinato quel racconto.

Stefania quella sera come accadeva da un po’ di tempo si preparava da sola la cena: lo avrebbe fatto anche Rosa, ma si divertiva a cucinarsi qualcosa. Naturalmente i suoi non erano in casa.

- ... quindi unite il sugo che avete preparato con la pasta appena scolata che potete rimettere nella stessa pentola e lasciate cuocere per qualche minuto, mescolando... - disse leggendo la ricetta della “Pasta alla Carbonara”. Eseguì esattamente quello che c’era scritto. Quindi appena finito si mise a cenare nella tavola che aveva appunto apparecchiato. Nell’assaggiare la pasta scoprì il famoso principio per cui la stessa ricetta è sempre diversa, nel caso particolare molto peggio di come la ricordava. Così la mangiò un po’ svogliatamente, ma aveva una certa fame e la finì: tutto sommato non era così male. Per secondo non preparò nulla di elaborato, pensò di cuocersi un banale uovo all’occhio di bue e quello venne piuttosto bene.

- Visto, Stefania. Sai anche cuocere alla perfezione un uovo al tegame. - si disse prendendosi in giro. Mentre cenava guardava la televisione, il solito telegiornale, con i soliti morti e la solita politica spicciola. Comunque Stefania era una ragazza a cui piaceva molto essere sempre informata: leggeva anche qualche settimanale di approfondimento politico. Dopo cena riprese la solita partita a scacchi contro il suo computer: giocavano da parecchio tempo a non più di due, tre mosse per sera, anche perché lei dedicava a ciò solo un paio d’ore e si sa che negli scacchi i tempi sono quelli che sono: del resto non giocavano a tempi regolamentari e questo allungava ulteriormente il tutto. Negli ultimi tempi le partite erano anche diventate un po’ più combattute, prima lei perdeva sempre: poi cominciò a studiarsi per bene il centro partita, la parte in cui era più carente, ma anche l’unica in cui si poteva battere il computer, perfettamente in grado di calcolare i finali quando in gioco c’erano solo pochi pezzi. La partita comunque aveva subito una certa accelerazione negli ultimi tempi in quanto Stefania era diventata, per così, un animale solitario. Erano tanti i problemi che l’assillavano, ma soprattutto il difficile rapporto con i genitori e adesso la questione Francesca e qualcos’altro non ancora troppo chiaro neppure a lei. Proprio a questo proposito non trovò molto conforto leggendo il De Amicitia di Cicerone che le era stato regalato.

- “Cum his enim amicitiam natura ipsa peperit; sed ea non satis habet firmitatis...”... - c’era la traduzione a lato, ma provava sempre ad abbozzarne una, almeno quando ci riusciva -...Con loro, i genitori, la natura stessa ha creato l’amicizia, ma quella non ha abbastanza forza... Per nulla, anzi io direi proprio che talvolta non crea un bel nulla. Si vede che Cicerone non immaginava il mio caso. “...namque hoc praestat amicitia propinquitati...”, vediamo un po’... allora l’amicizia supera in questo la parentela... “...quod ex propinquintate benevolentia tolli potest...” poiché si può eliminare dalla parentela l’affetto “...ex amicitia non potest sublata enim benevolentia amicitae nomen tollitur, propinquitatis manet...” ma dall’amicizia non si può: scomparso l’affetto infatti l’amicizia stessa scompare, la parentela resta... purtroppo - questa ultima parola non era di Cicerone, ma esprime senz’altro con chiarezza lo stato d’animo della nostra lettrice. Cicerone faceva notare come mentre con i genitori, i parenti, esiste un vincolo di sangue non eliminabile indipendentemente dall’affetto, l’amicizia esiste se e solo se c’è amore: allora è un vincolo migliore in quanto nulla ci costringe a mantenerlo, se non la sincerità e la bontà del rapporto, come dice Cicerone in un passo seguente che commosse Stefania - “...In amicitia autem nihil fictum est nihil simulatum et quidquid est id est verum et voluntarium...” - non disse la traduzione[1], ma cominciò a piangere prima. Poi dopo un po’ aggiunse - Ma dov’è quest’amicizia? Non esiste ancora in questo mondo... No, forse c’era davvero ai tempi di Cicerone, ma si vede che anche allora non se la passava tanto bene, se ha scritto un libro su questo. Questa è l’amicizia perfetta che non può esistere. Gli uomini sono troppo malvagi e stupidi. -

Questo accadeva qualche giorno fa. Da quella sera non aveva più letto un solo rigo del De Amicitia, certo un bel libro, ma non era proprio in grado di sopportare tanto. Per di più si chiedeva se lei stessa poi ci credeva in quell’amicizia, così alta, descritta da Cicerone: non ne era del tutto sicura. Finita la partita di scacchi, prima di andare a letto, si guardò allo specchio e disse:

- Cos’hai Stefania? Eppure ne hai passate di peggiori finora... c’è qualcosa che mi sconvolge lo so e so cos’è, ma è assurdo non ho il coraggio di parlarne con nessuno, anche se ormai lo hanno capito quasi tutti, e mi sembro matta a parlarne con me stessa. Che dici, sarà perché mi sento così sola, abbandonata da tutti, o è qualcosa che sarebbe accaduta sempre e comunque.. Un po’ l’uno e un po’ l’altro, dici? Mi sa anche a me, in fondo è sempre così: un po’ è l’ambiente, un po’ siamo noi... Finirò al manicomio, quello sarà il mio posto. Ma non è giusto, sono gli altri i pazzi. Se ci sono cinque miliardi di pazzi qui fuori mettono in manicomio l’unica sana. La maggioranza vince, anche se non possiede la verità, possiede solo la migliore delle verità in media... siamo messi bene! Ma, sai adesso cosa faccio? Prendo un bel libro che agevola il sonno e mi metto a dormire. - E così prese l’altro libro che le era stato regalato, il De rerum natura di Lucrezio, quello che le piaceva definire una bella favola per far dormire gli adulti. In effetti Lucrezio, tra l’altro, era molto riflessivo sul tema della morte. Un esempio lo troviamo proprio in un passo che lesse quella sera Stefania:

- “...Debet enim misere si forte aegreque futurmst / ipse quoque esse in eo tum tempore cui male possit / accidere...”  deve infatti esistere in quel preciso momento anche colui che debba patire sventura e dolore come oggetto del male... giustamente, altrimenti il male a chi fa male?... “...id quoniam mors eximit esseque probet / illum cui possint incommoda conciliari /...” ma la morte ci toglie proprio questo e impedisce che esista quello al quale si possa fare male “... / scire licet nobis nil esse in morte timendum / nec miserum fieri qui non est posse neque hilum / differre an nullo fuerit iam tempore natus / mortalem vitam mors cum immortalis ademit /...” è palese che non si deve temere nulla dalla morte come non può essere infelice chi non esiste e neppure differisce dal non essere mai nato quando una morte immortale gli ha tolto una vita mortale... Adesso sì che posso dormire tranquilla! Tanto quando morirò, se continua così molto presto, sarà come se non fossi mai esistita, almeno per quel che mi riguarda. E non me ne accorgerò neppure: il dolore riguarda solo i viventi, nella morte in sé non c’è sofferenza in quanto in ogni istante dopo la nostra nascita o siamo vivi o siamo morti... Beh però un nastro di Moebius - si tratta di una striscia di carta a cui si fa fare mezzo giro prima di unirne gli estremi - ha in ogni suo punto una superficie esterna ed una interna, ma nell’insieme non ha né una superficie esterna né una interna - infatti se si traccia un segno col lapis sul nodo, facendo attenzione a restare dalla “stessa” parte dopo un po’ avremo segnato tutta la striscia da “entrambi” i lati. Questo la fece riflettere sul fatto che non è sufficiente che ogni elemento di un insieme abbia una proprietà perché l’insieme stesso abbia quella proprietà. Un po’ come la freccia scagliata che istante per istante non si muove, ma nel tempo compie un certo tratto. Allora siamo davvero certi che anche se in ogni momento della vita siamo o vivi o morti non esistono tempi più lunghi in cui questo non è più vero. Ovvero la morte è un processo che richiede tempo? Una volta cominciato quel processo la sua conclusione è inevitabile? Non lo sapremo mai a meno di non considerare tutta la vita... si addormentò.

Il suo non fu, come accadeva spesso in questo periodo, un sonno tranquillo: ne erano una chiara prova i movimenti bruschi e alcune smorfie. Alla fine probabilmente le venne il solito incubo del quale non voleva parlare con nessuno e si svegliò urlando qualcosa. Erano circa le quattro, accese la luce, andò verso la cucina, tremando. La casa era ancora deserta. Bevve un bicchiere d’acqua, fece quindi un lungo e profondo respiro, cercando di dimenticare tutto. Poi tornò nella sua stanza e cercò di dormire di nuovo. Non ci riuscì: un pensiero fisso, non certo sulla morte, la tormentava. Anzi, per la precisione, c’era anche un’altra questione che cercava in tutti i modi di evitare, ad esempio leggendo Lucrezio, ma che si ripresentava puntuale ad ogni momento. Questa come lei stessa diceva non aveva il coraggio di ammetterla, ovvero si era di nuovo innamorata. Qualcosa di molto normale per una ragazza della sua età, ma nella sua particolare situazione cercava di evitarla: non voleva che accadesse nuovamente ciò che era successo con Marco. Comunque non riusciva più a trattenere questo sentimento dentro di sé, così prese un foglio e scrisse: “Ti amo”. Era una situazione complessa, bisognava parlarne con qualcuno di cui ci si possa davvero fidare, un amico vero e sincero, che non sia Lui, pensava. Così rivolta verso il cuscino disse:

- Adesso cosa faccio? Non è un tipo facile da trattare... - lui, soggetto sottinteso, era il nostro amico, come del resto avevano capito tutti, tranne questo. Infatti anche Giovanni aveva cercato di farlo ragionare, ma come anche scoprirete, sarebbe stato più semplice insegnare a ballare ad un bufalo - ...per di più gli ho anche detto che non era il mio tipo. Ha proprio ragione quel proverbio “Chi disprezza compra”... oddio in genere lo disprezzano e basta, solo io potevo essere così cretina... chissà che diranno... o meglio che dicono e chissà che dirà lui! - poi con un tono più dimesso - e cosa farò io. Cioè voglio spiegarmi meglio: non mi dispiace che mi piaccia lui in particolare, preferivo starmene per un po’ lontana dall’amore, sai, inteso proprio... in quel senso. Di amore platonico tra me e lui ce n’è stato anche troppo... del resto io ho sempre pensato che non possa esistere, almeno in questo momento della vita, l’amicizia tra un ragazzo ed una ragazza: o non è quella amicizia che il buon vecchio Cicerone racconta o uno dei due è innamorato. Prima era lui, adesso io... con lui deve essere sempre tutto così complicato, non potevamo piacerci subito... Perché gli ho detto che non mi piaceva... era vero, ma adesso come faccio... per lui esiste solo il bianco e il nero, non esistono i grigi: se non gli piacevo un mese fa, non penserà mai che abbia potuto cambiare idea... e allora come faccio? Mi sono tornati anche quei maledetti incubi, sai, una volta mi veniva piuttosto spesso, ora, soltanto se comincio a fare certi sogni, certi sogni che non posso raccontare neppure a te... non posso farlo neppure in sogno! Dimmi se questa è una vita normale... in fondo però tutti hanno i loro problemi... Ma insomma come faccio? Ho cercato di non pensarci, ma non ci sono riuscita... in questi giorni non ho avuto il coraggio di parlare con nessuno, anche se non sono tutti così stronzi. Pensavo che mi avrebbe chiesto qualcosa, che lo avrebbe notato.. invece lo trova normale, forse è anche un po’ normale, con quello che mi è successo... ma io che faccio? Non ho il coraggio di dirglielo chiaramente in faccia, anche perché, conoscendolo, penserebbe subito ad uno scherzo... Le allusioni con lui non servono a molto, però si può sempre tentare, no? Sai esistono modi e modi, si può sempre usare un modo piuttosto violento... -

Difatti la mattina seguente si vestì in modo piuttosto provocante, pensando che nessun compagno di banco avrebbe resistito a tanto: in fondo era una bella ragazza. Tra le svariate cose intriganti che fece quella mattina ci furono diversi episodi, tutti conclusi piuttosto malamente: il nostro amico, per quanto non fosse affatto rimasto imperturbato, proprio non capì nulla, o forse non voleva capire nulla: in effetti l’idea che una ragazza avesse una cotta per lui lo imbarazzava alquanto. Tra le tante sciocchezze accadute quella mattina fu piuttosto curiosa quella del biglietto con scritto “Cos’è l’amore?”: secondo Stefania questo avrebbe dovuto far capire tutto, invece il nostro amico considerò la questione da un punto di vista filosofico e morale, tanto che i due si scambiarono non pochi foglietti, con varie speculazioni su questo tema.

Tornando a casa la nostra amica era piuttosto arrabbiata: non credeva possibile che fosse tanto scemo. Così quando entrò in casa sbattendo violentemente la porta Rosa notò che era più nervosa del solito.

- Qualcosa non va, Stefania? - le chiese. Ormai si conoscevano meglio ed usavano un tono più informale.

- Tutto! Non va bene niente in questo schifo di mondo! - quindi scaraventò la cartella in un angolo della sua stanza e si buttò nel letto. - Non voglio mangiare nulla! -

- Problemi con la scuola? - chiese sapendo bene che non era vero. Del resto non sempre si fa una domanda per avere la risposta.

- No, magari. È che... ecco mi piace un ragazzo: ma io non ho il coraggio di dirglielo in faccia e lui neppure. Forse lui neppure ci pensa... Gli piaccio, questo lo so per certo, ma io gli ho detto che mi faceva schifo... forse neppure vero. -

- Beh, secondo me devi dirglielo: se non capisce o non vuol capire, non c’è altro modo. Peraltro sai anche di non correre rischi di delusioni. Chi è? Quel ragazzo che viene sempre qui? - la ragazza dette un cenno di conferma - Allora vi vedete anche sempre, hai anche tutte le occasioni che vuoi. Appena te ne capita una buona non lasciartela sfuggire. -

- Ma non posso mica dirgli “Ti amo”: si metterebbe a ridere. Per di più stamani abbiamo discusso dell’amore, conosco il suo pensiero a proposito: per lui la parola amore non è adatta a descrivere, almeno nella fase iniziale, il rapporto che c’è tra un ragazzo ed una ragazza... ho ancora quel suo biglietto “Il primo desiderio che porta insieme un ragazzo ed una ragazza è puramente sessuale. Questo può essere latente o evidente, a seconda del carattere e delle circostanze.  Quindi tra i due non c’è amore: questo semmai subentra in un secondo momento, quando i due hanno avuto modo di conoscersi più a lungo.” -

- Ma questo lo scrive... si scrivono tante cose: hanno scritto che le guerre sono ingiuste da un bel po’ e ci sono sempre più guerre! Su questo argomento io non credo, per come lo conosco, che sarà molto coerente. Comunque se vuoi un consiglio dalla tua Rosa, io mangerei un po’: i cadaveri non sono mai piaciuti a nessuno. - Stefania  seguì il consiglio.

Dopo pranzo, anziché studiare, passò tutto il pomeriggio davanti allo specchio cercando una qualche formula per poter dire “Ti amo”, cinque lettere che proprio non trovava il modo giusto per pronunciare finché più tardi non arrivò il nostro amico, per ripassare il diciottesimo canto del Purgatorio della Divina Commedia. Stefania si preoccupò perché non sapeva nulla al riguardo: avrebbe dovuto studiare proprio quello. Non appena il nostro amico entrò nello studio di Stefania, Rosa, con la casualità che accompagna molti eventi di questo mondo disse ai due:

- Bene io per stasera ho finito. Vi lascio soli - e sottolineò il “soli”. Quindi chiuse anche la porta dello studio che in genere restava aperta. I due cominciarono quindi il ripasso del canto, il nostro amico piuttosto tranquillamente, come sempre, mentre Stefania sentiva il suo cuore esplodere. Per di più la prima parte di quel canto parlava della natura dell’amore.

- “Poi, come ‘l foco movesi in altura / per la sua forma ch’è nata a salire / là dove più in sua matera dura, / così l’animo preso entra in disire, / ch’è moto spiritale, e mai non posa / fin che la cosa amata il fa gioire.” - leggeva il nostro amico, quindi cominciò a farne la parafrasi - “Poi come il fuoco si muove verso l’alto a causa della sua stessa forma che tende a salire là dove resiste di più, così l’animo preso dall’amore entra nel desiderio della cosa amata, che è un moto spirituale e non si acquieta fino a che la cosa amata lo fa gioire... Questo ‘lo fa gioire’ si deve intendere come... - non finì il discorso che Stefania lo baciò. Lui la guardò come per dirle “Stai bene?”

- Ti amo. È tutto il giorno che cerco di fartelo capire! Ho passato tutto il giorno davanti allo specchio per cercare il modo migliore per dirtelo... - poi d’improvviso si calmò e aggiunse - Anche tu, vero? Mi ami anche tu? - dubbio atroce sorto dalla sua espressione stranita.

- Io... io... io... ecco... -

- Se ti faccio schifo per quello che ho fatto, dimmelo subito - disse un po’ arrabbiata, poi ancora più arrabbiata, quasi disperata - Ma dimmi qualcosa, non guardarmi con quegli occhi da pesce lesso! -

- ecco... io non mi sono mai trovato in una situazione simile. -

- Ah. - disse un po’ stupita un po’ delusa. - Ma anch’io non mi potevo innamorare di un ragazzo normale - disse fra sé. Quindi aggiunse piuttosto ironica - Non importa, possiamo sempre rimediare... - Si baciarono per un po’ e certamente lei non mancò di dirgli quanto era innamorata di lui. Nel tempo passarono a carezze sempre più audaci finché Stefania non disse:

- Basta. Basta ti prego. - disse allontanandolo da lei - Sai... vedi... io... ho dei problemi ad affrontare certe questioni. Non è perché non l’abbia mai fatto, cioè... ecco... io - diceva cominciando pian piano a piangere. Il nostro amico non ebbe il coraggio di dire o fare nulla se non di abbracciarla. Restarono in quel modo per qualche minuto. Poi il nostro amico chiese a Stefania se le andava di fare due passi in centro, lei accettò con piacere e, dopo essersi aggiustata un po’, uscirono.

Nei giorni seguenti non accadde nulla di particolarmente rilevante finquando non si arrivò al sabato. All’uscita della scuola Stefania disse:

- Stasera usciamo? -

- Giusto, tutti escono il sabato sera: non possiamo certo sottrarci a questo impegno. E qual è il programma? - chiese ironico

- Così, su due piedi, direi che possiamo andare a mangiare una pizza, poi possiamo fare due passi, una girata, no? -

- Sì, sì. Tu di questo ne sai senz’altro più di me. Dove ci troviamo? -

- Ma, non so. Se vuoi posso passare a prenderti a casa tua verso le sette, ma non farmi aspettare. - Difatti era lei ad avere l’auto (e la patente) e quindi era senz’altro più opportuna questa scelta.

Quando Stefania arrivò verso le sette a casa dell’amico notò che in casa sua c’era una certa discussione: questi infatti mal sopportava i consigli della madre sul suo aspetto, per quanto non fossero affatto fuori luogo. La ragazza si diresse verso la porta e suonò il campanello, quindi il nostro le rispose dal citofono che scendeva subito. Quindi il nostro amico, tagliando la discussione con la madre sulla sua pettinatura, veramente un po’ scomposta , scese e raggiunse Stefania.

- Sei davvero bella. - esclamò sinceramente stupito. Infatti questa era forse la prima volta che la vedeva vestita e truccata a puntino.

- Anche tu - gli rispose, abbracciandolo e aggiustandogli, senza pensarci, i capelli. Questo lo fece risentire un po’, ma cerco di non lasciarlo trasparire: era per lui davvero ridicolo che il primo gesto di Stefania fosse quello, dopo che aveva litigato con la madre proprio per questo: a lui infatti non piaceva, anzi detestava, passare qualche decina di minuti davanti allo specchio. - Sai, potresti ascoltarla un po’ di più tua madre, tu che ne hai una che ti parla... Magari ce l’avessi io. - gli disse stupendolo. Dopo un po’ raggiunsero la pizzeria, si trovarono un tavolo per due e mentre aspettavano che il cameriere passasse per prendere le ordinazioni il nostro amico non riuscì a nascondere il suo imbarazzo per quella situazione dicendo:

- Scusami, ma io in questi casi non so proprio che dire. Sarà ancora non ho mai avuto la fortuna di uscire il sabato sera con la mia ragazza... questa per me è una situazione del tutto nuova e non so proprio che dire che fare, non so nemmeno cosa ordinare. -

- Niente di speciale, sai. Si parla di questo e di quello, di come gira il mondo. Come sempre, come tutte le volte che siamo usciti insieme. È già successo, anche se non ero “ufficialmente” la tua ragazza, ma ero sempre io... - quindi arrivò il cameriere a cui fecero le ordinazioni: veramente il nostro amico per paura di sbagliare prese lo stesso di Stefania. Era completamente rimbambito: lui cosa ne sapeva di cenette romantiche, cioè sono come certe cene in cui non si mangia nulla oppure servono anche per questo?

- Tu quando hai avuto il tuo primo appuntamento, come questo? - le chiese.

- Oh, beh... Sarà stato... un anno e mezzo fa... mi pare: quella sera credo che siano morti dal ridere tutti li dentro. Lui era un tipo piuttosto introverso, non come te, ma insomma un po’ introverso; io più di lui e come adesso non sapevamo fare altro che guardarci negli occhi. Parlare talvolta può essere molto difficile. - Ed infatti restarono in silenzio per qualche decina di secondi, guardandosi negli occhi, poi a rompere quella delicata atmosfera fu il cameriere che portava le bevande e l’antipasto.

- C’è qualcosa che devo chiederti. Non è una domanda che si fa, ma io ho bisogno di capire. Dovrà esserci una ragione di questo... Come mai ti sei innamorata di me? -

- Questa davvero non è una domanda da fare, sono d’accordo. Anche perché potrebbe sinceramente non avere una risposta. Tu lo sai perché ti sei innamorato di me? -

- No, cioè mi sei piaciuta fin da quando ci siamo conosciuti... Non avevo mai trovato una ragazza come te... - quindi Stefania con una battuta scatenò una guerra:

- A me però le poesie non le hai mai scritte! - Non le poesie scritte per Michela, mai spedite note solo al suo scrittore, quanto delle altre, scritte ad un’altra ragazza, che evidentemente avevano fatto il giro del mondo. Il nostro amico non sopportava che le avessero lette tutti e soprattutto nessuno glielo avesse detto. Così disse:

- Beh, - disse piuttosto acido - sono poche le ragazze di appetito come te! - riferito al fatto che la nostra amica aveva sofferto di anoressia, un segreto segretissimo. Quindi Stefania smise di ridere e disse:

- Va bene, scusa. Ma tu come fai a sapere che... È un mondo di merda! Non si può fare una confidenza a qualcuno che poi lo vengono a sapere tutti! -

- Già sono d’accordo: tutti fanno finta di non sapere nulla e così sono tutti felici e contenti. L’apparenza vince sempre sulla realtà, specialmente quando non c’è tempo per approfondire un rapporto. Tanto vale che ti racconti tutto. Conobbi quella ragazza, Silvia, adesso è nella III B, mi piaceva e provai anch’io a lanciarmi in quel mondo a me sconosciuto delle ragazze. Sono sempre stato un tipo estremamente orgoglioso ed una volta ai tempi delle medie, delle elementari, non sopportavo che dicessero che ero innamorato  di quella solo perché ci facevo una passeggiata o magari andavo a fare i compiti a casa sua. Questo perché sono anche timido: non c’è nulla di peggio che timidi ed orgogliosi, se ne può morire. Così ho perso un’ottima occasione per conoscere il mondo delle ragazze e da allora per me quello è stato buio oscuro. Con le ragazze non ho mai saputo parlarci, non avevo nemmeno nulla da dire. Così ho pensato, stupidamente, di poterla conquistare con rose e poesie. Pensavo che era un modo come l’altro per rompere il ghiaccio, invece non funziona. Evidentemente non era il mio cuore ciò che voleva, perché anche se vi fanno ridere, ogni volta che le leggo quelle poesie, sento il cuore arrivarmi in gola. Ho evitato da allora di riprovarci, finché non sei arrivata tu. Ma tu avevi altri per la testa e mi è sembrato normale, così ho provato anche a cercarne una anch’io. Che cazzata! Poi quando finalmente, dopo essere stato non poco male, mi sei venuta a cercare tu. Proprio non vi capisco... -

- Io comunque non ci ho riso leggendole. Cioè a onor del vero, lì per lì, quando me le hanno fatte leggere, sai circola una specie di copia nella scuola, - e il nostro amico fece cenno di saperlo - mi sono messa a ridere anch’io: ridevano tutti... Poi ripensandoci ho rimpianto di non essere stata quella Silvia. Beh, adesso dovrei raccontarti di... -

- Non importa... Ti hanno violentata da piccola? -

- Non lo so... credo di sì... -

- Non voglio sapere questa storia. Non siamo qui per piangere, né per estorcere confessioni, siamo qui per divertirci no? -

- Beh, sai è la fonte dei miei problemi: tu in fondo sei il mio ragazzo, il mio miglior amico e credo che tu debba saperlo... adesso però non me la sento: è una storia che ho raccontato fino in fondo soltanto alla psicologa... - rispose piuttosto seria, poi sorridendo aggiunse - Comunque voglio dirti com’è che mi sono innamorata di te... Circa tre settimane fa ho sognato di fare l’amore con te. - arrossò un po’ - Così all’improvviso, sono rimasta piuttosto sconvolta anch’io... - proseguì più seria - Poi è diventato una specie di incubo, cioè non userei proprio questa parola, perché non era qualcosa che mi faceva soffrire. Cioè sì, perché a questi sogni si sostituiscono puntualmente degli incubi, terribili, credo a causa di quello schifo... insomma è un casino. A te è mai successo? -

- Di sognare di fare l’amore con te con un seguito di incubi? No. Sinceramente molto spesso la fine era diversa... -

- Intendi una fine, per così dire, XXX? - bisbigliò intrigante

- Più o meno, non sempre. Ma dobbiamo parlare di questo? -

- Ti imbarazza? Mi avevano detto che non ti imbarazzava parlare di sesso. -

- Da un punto di vista teorico... E poi su questo voi donne vi divertite: sapete benissimo  di non correre il rischio della domanda di ritorno! -

- Ah, perché tu credi che... - si mise a ridere. Poi con voce molto silenziosa - Meno male che non sei mai stato sotto le mie coperte in queste ultime tre settimane, altrimenti ti saresti scandalizzato un bel po’! - e riprese a ridere: il nostro amico era invece diventato rosso come un peperone.

Continuarono su questi e altri temi la loro conversazione finquando finita la cena, non ripreso l’auto per raggiungere qualche luogo piuttosto solitario.

- Il problema dei posti tranquilli è che al sabato sera sono più frequentati del mercato il sabato mattina. - disse lei

- Perché voi forestieri non conoscete i dintorni. Mio nonno stava in campagna ed io adoravo girellare con lui: mio padre diceva sempre che le passeggiate col nonno erano istruttive, ma io non credevo di usarle in questo senso. Ti posso portare in dei posti ancora sconosciuti al mondo civile... quasi sconosciuti... insomma li conoscono tutti, ma a me sono sempre piaciuti: con mio nonno ci ho fatto delle bellissime passeggiate, non sai quanti funghi ci abbiamo trovato! -

- Ma questa non è proprio la stessa situazione. - ironizzò Stefania

Tuttavia partirono nella direzione indicata dal nostro amico. Dopo qualche minuto Stefania disse:

- Stiamo andando verso il mare? -

- Sì. Conosco un bel posticino dove mio nonno mi portava a pescare: tra l’altro non ci dovremmo nemmeno trovare nessuno, sarebbe infatti proprietà privata, ma tanto non c’è nessuno e conosco un’entrata. -

Dopo un po’ arrivarono ad un bivio, Stefania chiese che strada prendere e gli disse di girare a destra. Questa cominciò ad impallidire, poi a tremare, tanto che il nostro amico le chiese:

- Qualcosa non va? Non stai bene? -

- No, no. Sto bene. -

- No tu non stai per nulla bene. Hai una faccia che sembra la luna... - questa balbettò qualcosa quindi cominciò a respirare a fatica, iniziò a sbandare e riuscì a malapena a fermare l’auto prima di svenire. Ed ora che fare? Il nostro amico era in preda al panico: tra l’altro non sapeva guidare, voleva aiutarla, ma non poteva così non fece nulla se non piangere abbracciandola.

Dopo un paio di minuti si riprese e appena cosciente iniziò a piangere e per un po’ non riuscirono a dirsi nulla: restavano abbracciati, traendo ognuno forza dall’altro per superare questo momento. Poi il nostro amico, asciugandosi il volto le chiese:

- È successo qui? -

- Sì. - Infatti lei aveva subito quell’atroce violenza nella vicina spiaggia.

- Mi dispiace... - avrebbe voluto scusarsi, dicendo che neppure lo immaginava, ma fu anticipato:

- Non è colpa tua: non lo sapevi. Poi adesso non c’è più: non vive più qui. Per questo sono tornata. In fondo è piuttosto semplice. D’estate qua si riempie sempre di turisti, sai com’è, comunque lui non era un turista: era il cugino di una mia amica e soprattutto il figlio di un pezzo grosso, sopra mio padre. Suo padre ed il mio dovevano discutere di certi affari e li invitò a passare qualche settimana da noi. Sai la casa non l’abbiamo ancora venduta, i miei speravano di tornarci, ma io non ho voluto. Così li ho costretti a comprare un appartamento in città. Insomma allora io avevo tredici anni e mezzo e sognavo il mio principe azzurro. Conobbi questo ragazzo, forse me ne innamorai. Un giorno andammo a fare una passeggiata, poi in un tratto di mare piuttosto desolato facemmo anche il bagno ed ero davvero piuttosto eccitata. Ero sola con un ragazzo, non mi era mai capitato... disse che mi amava e mi dette un bacio sulla guancia, poi sulla bocca. Dopo siamo usciti dall’acqua e abbiamo continuato a baciarsi sulla spiaggia. Ero davvero felice: era la prima volta che baciavo un ragazzo sul serio; stravedevo per lui. Continuammo in quel modo per qualche giorno, la sera mi chiedeva anche di uscire con lui, ma io gli dicevo di no, un po’ perché i miei non volevano, soprattutto perché io non volevo. Dopo un po’ cominciai ad uscire con lui anche di sera, ma tornavo presto finché una mattina non lo fece: stavamo pomiciando sulla spiaggia come tutti i giorni quando mi disse che era venuto il momento di scopare, proprio così mi disse. E non si limitò a dirlo... -  pianse. Il nostro amico la invitò a non continuare questo racconto, ma lei si riprese, si asciugò alla peggio le lacrime e disse - Questa storia non l’ho mai raccontata a nessuno, se non sotto ipnosi: devo riuscirci. Ti dicevo che lo fece. Per di più quella volta avevo un costume in due pezzi, sai in genere quando ci baciavamo mi toglievo il reggiseno, e lui mi strappò letteralmente le mutande. Dopo aver finito cercò di tranquillizzarmi, dicendomi che la prima volta era sempre un po’ traumatica. Rattoppai il costume alla peggio e tornai a casa con lui, come se non fosse accaduto nulla. Ero terrorizzata: non avevo il coraggio di dirlo a nessuno: mi aveva detto che mi avrebbero riempito di botte e ci credevo. Non finì lì. Continuò per una settimana, forse più. Diceva che non poteva più vivere senza di me. Io potevo non uscire con lui, ma ogni volta che stavo sola in casa, mi sentivo male e così continuavo ad andare con lui. I miei genitori poi non avevano capito nulla: infatti sapevano che avevo fatto l’amore, ma non se ne stupirono più di tanto. Anche mia madre lo aveva fatto la prima volta a quattordici anni e a me mancava poco... Che cretini! Comunque iniziai a non mangiare: così pensavo che sarei diventata brutta e mi avrebbe lasciato in pace, poi la notte cominciai ad avere degli incubi e per quello i miei si accorsero di quello che mi era successo. Lo denunciarono, mi hanno raccontato che successe un casino, vennero anche all’ospedale degli specialisti per interrogarmi, credo che fossero psicologi, magistrati,... Non venne assolto, in quanto allora fare l’amore con una tredicenne era reato comunque, ma il giudice fu convinto che ero condiscendente e gli accordò il perdono giudiziale, in pratica l’assoluzione. Io nel frattempo mi ero ammalata di anoressia. Questo sconvolse ancor più i miei, assolutamente incapaci di far fronte a questo evento: ed infatti non fecero quasi nulla, se non spedirmi in una clinica specializzata, quando la situazione si fece davvero grave: si può dire che ero diventata la mia radiografia, uno scheletro. Comunque mi ripresi per chissà quale meccanismo della mia mente un giorno decisi di tornare in questo mondo. Senza dubbio gli specialisti che mi hanno seguito e le altre ragazze che avevano il mio stesso problema e ne stavano uscendo mi hanno senz’altro aiutata. Ma poi chissà... Insomma un anno dopo tornavo a scuola: avevo perso un anno, ma nella scuola della città in cui ci eravamo trasferiti nessuno notò la cosa in quanto prima ero un anno avanti... Ma non era la scuola il vero problema, lì ero sempre stata brava, erano gli altri: tutti quegli esseri a due zampe che mi circondavano, ne avevo il terrore, specialmente dei ragazzi. Dopo qualche tempo, poco più di un anno, e non poche sedute dallo psicologo riuscì ad uscire con un ragazzo ed anche a baciarlo... restavano gli incubi, le crisi che ancora non mi lasciano vivere in pace... - concluse tra le lacrime. Il nostro amico anch’esso commosso chiese:

- Perché? - Ovvero perché mi hai raccontato tutto. Senza nessun altra parola lei capì perfettamente e rispose:

- Già perché? Non lo so: non l’avevo mai fatto prima: non c’ero mai riuscita. Sai era pur sempre un complesso che avevo bisogno di superare, non potevo vivere con questo dolore dentro di me. Perlomeno adesso non ho più paura di stare qui. È come se avessi scoperto che il mostro che mi tormentava era solo una mosca ingigantita e deformata da uno specchio... Poi lui ormai non vive più qui. - e questo forse la tranquillizzava ancora di più. Poi guardò fuori dal finestrino e vide in lontananza la sua ex casa.

- Cosa c’è? - chiese il nostro amico che non vedeva nulla non sapendo dove e cosa guardare.

Nel fermare l’auto erano finiti fuori strada: evidentemente si doveva essere rotto qualcosa, poiché non riuscirono a farla ripartire. Adesso come tornavano indietro? Non certo a piedi, ci saranno volute almeno tre ore e proprio non se la sentivano; d’altra parte lì non passava un’auto a cui chiedere aiuto. Fatti questi ragionamenti Stefania giunse a quella che lasciava come ultima spiaggia:

- Mi sa che qui non c’è altro da fare... Sai, credo che nella mia ex-casa ci sia ancora il custode, Vittorio. Forse lui può aiutarci. - disse lasciando il nostro amico alquanto perplesso, così aggiunse - Io abitavo lì. - ed indicò una grande villa a circa un chilometro da dov’erano.

- Ah!... Tu abitavi lì? Bella... - poi guardò meglio e riconobbe il luogo. Una decina d’anni fa in estate ci veniva molto spesso a giocare con i suoi amici: tra l’altro si divertivano ad entrare nel bosco che circondava la villa, poiché c’erano svariati alberi da frutta. Talvolta capitava che venivano inseguiti da qualcuno della villa e il tizio che li trovava più spesso era un certo Vittorio, da loro soprannominato Gufaccio. Ma c’era di peggio. - Accidenti.... tu... tu... non è che eri proprio... ecco... - farfugliava il nostro amico quando gli arrivò un calcio abbastanza deciso al posto giusto

- Deficienti! - disse ricordando lo scherzo subito da un gruppo di ragazzetti quando aveva otto anni di cui si era dimenticata. - Mi faceste venire un accidente! Io poi avevo una paura pazzesca dei serpenti! -

- Ma era solo un’innocente biscia. - disse ancora dolorante.

- Mica ce l’aveva scritto in fronte! E poi nello scappare sono inciampata: insomma non mi divertii affatto. -

- Non preoccuparti adesso non mi diverto nemmeno io. - e così continuarono a parlottare per un po’ e alla fine si diressero verso la villa. In effetti il nostro amico aveva qualche timore di rivedere il vecchio Vittorio a cui avevano fatti tanti scherzi e la nostra amica lo dovette un po’ trascinare.

Arrivati al cancello, provarono a suonare: non rispose nessuno e stavano per andarsene quando arrivò qualcuno.

- Che volete? - chiese il tizio da dietro il cancello.

- Salve. Lei deve essere il figlio di Vittorio, Marcello. Non mi riconosce: sono Stefania. - la guardò, la riconobbe e la fece entrare.

- Mio padre è morto due anni fa. Adesso non c’è nessun custode fisso qui. Io passo di qua di tanto in tanto: siete fortunati che mi avete trovato. Voleva ridare un’occhiata alla sua casa? - Stefania rimase molto colpita: Vittorio era morto, gli era molto affezionata. Per un attimo rimase in silenzio così l’altro riprese - Gli sei mancata molto, per lui tu eri quasi un’altra figlia... Non t’immagini quanto ci ha sofferto. Ecco le chiavi. Se avete bisogno di me, mi trovate dove al solito - ovvero nella casa del custode.

Prese in mano quelle chiavi e quasi sentì un brivido: stava per rivedere la sua vecchia casa, abbandonata frettolosamente in una notte circa cinque anni prima. Arrivarono alla porta e sul momento non riuscì ad aprirla, poi si ricordò che si doveva tirarla un po’ verso di sé per far scattare la serratura: difatti in quel modo si aprì. All’interno tutto era coperto di teli, ma tutto sembrava essere ancora al suo posto. Entrarono, naturalmente l’interruttore della luce non funzionava, ma Stefania non se ne preoccupò: conosceva quella casa passo a passo. Giravano tenendosi per mano, quasi senza vedere nulla, in quella grande casa, intanto Stefania si vedeva passare davanti centinaia di pensieri, di ricordi passati, molto commossa. Dopo un po’ trovarono le scale per salire al piano di sopra, dove riuscirono ad arrivare senza inciampare troppe volte. In cima si sedettero sulle scale e si dettero un bacio poi il nostro amico ruppe quel silenzio che fino ad allora li aveva circondati e disse:

- Allora che effetto fa rivedere la vecchia casa. -

- È bello... ed è brutto. I ricordi tornano tutti in mente, ricordo quando giocavo con le mie amiche, soprattutto Emma... purtroppo lei è morta qualche anno fa... è questo il peggior difetto dei ricordi: per ognuno bello ce n’è uno brutto. - si dettero un altro bacio, quindi si rialzarono e camminarono un po’ nel piano superiore fino ad arrivare nella stanza di Stefania. Si fermò davanti alla porta chiusa, combattuta dal desiderio di rivederla e da quello di non farlo. Alla fine piuttosto decisamente entrò: la serranda non era abbassata e lasciava passare un po’ di luce così che si vedeva abbastanza bene: non era stato toccato nulla da quella sera quando praticamente scapparono, soltanto il letto era stato rifatto; per il resto regnava una certa confusione, il caos del dolore ed infatti Stefania dopo aver mosso qualche passo in quella stanza, guardando i vari oggetti si buttò sul letto piangendo. Il nostro amico la raggiunse, non senza qualche difficoltà, per cercare di tranquillizzarla.

- Perché è così doloroso... Cosa ho mai fatto di male per meritarmi tanto: sono sempre stata sola, sempre ignorata da tutti. Quella violenza è stata solo l’ultima... tu almeno hai avuto dei veri genitori. -

- Anche questo può dare qualche problema, specialmente con il mio carattere. Per esempio da bambino a me non piaceva la musica da discoteca e nemmeno ai miei: dicevo che ritenevo davvero stupido andare in discoteca e mio padre mi rispondeva che un giorno ci sarei andato anch’io per correre dietro alle ragazze. Ma per me, oggi come allora una questione di principio o è sempre vera o è sempre falsa ed infatti io non sono mai entrato in discoteca ed oggi la detesto... ma questo sarebbe il meno. -

- Ma almeno quando avevi un problema avevi con chi parlarne. -

- È anche un fatto di carattere: c’è chi si apre di più con i genitori, c’è chi lo fa meno. -

- Davvero non ci si contenta mai di ciò che si ha. Li avessi avuti io due genitori che mi ascoltavano e mi aiutavano: se ne sono sempre fregati, anche quando stavo male... Guarda come mi sono ridotta - lo guardò nel volto appena illuminato dalla notte e aggiunse - non riesco neppure a fare l’amore con il mio ragazzo. - concluse con gli occhi rossi e gonfi di lacrime custodi un male mai lenito. In quell’allusione sottile c’era soprattutto il desiderio di rompere i ponti con un passato di dolore. Non sempre il sesso serve a procurare piacere. Tuttavia lui replicò:

- Non mi sembra proprio il momento più adatto. - una frase che non celava del tutto i suoi timori, le sue paure, com’è normale davanti all’ignoto.

- Dopo quanto mi è successo non credo esista un momento adatto. Qui comunque anche se ti sembrerà strano c’è un vantaggio: questa è la mia cameretta, qui mi sono sempre sentita al sicuro, anche quel bastardo non ci ha mai messo piede... poi c’è anche un letto... - e lo baciò.

Più tardi quando tornavano giù Stefania diceva:

- Non possiamo chiedere a Marcello di farci riaccompagnare a casa, dopo essere stati qui dentro per quasi tre ore... che figura ci faccio: lui per me era come un fratello più grande... Mica gli posso dire: adesso che abbiamo fatto l’amore, puoi riaccompagnarci a casa? Non è mica scemo. Un ragazzo ed una ragazza che passano più di tre ore in una casa, in cui manca tutto, anche la luce... - e così via. Il problema invece non si pose affatto quando scoprirono che anche Marcello nella casa del custode era impegnato con una affascinante signorina. Quindi oltre all’auto di Marcello che poi era del padre di Stefania, c’era anche quella di questa signorina. Così dopo un frettoloso colloquio si fecero dare le chiavi dell’auto di Marcello e tornarono con quella.

- Povera casa. Una volta ci si facevano importanti ricevimenti, una noia spaventosa, adesso la si usa come luogo di appuntamenti. - brontolava Stefania.

Tornata a casa Stefania dopo essere andata a dormire riprese la solita conversazione con il cuscino, prima di addormentarsi, per lei era un po’ come scrivere un diario:

- Stasera sono proprio contenta, sai... dopo tutti questi incubi, questi anni maledetti, dopo tutto quello che mi è successo ci sono finalmente riuscita: è stato bellissimo... Sai, non credevo fosse così bello fare l’amore con un ragazzo, non ero mai riuscita neppure ad immaginarlo. Sai è stato penso proprio tutto merito suo: era così imbranato e così spaventato... forse peggio di me. Non era mai solo lui a condurre il gioco come se qualche volta non sapesse che fare... penso che questo mi abbia aiutato molto: io avevo bisogno di prendere coscienza di me stessa, delle mie capacità... - quindi da un tono più serio passò ad uno più sorridente - comunque è stato quasi comico, dubito si possa essere più imbranati di così... - si girò su un fianco e riprese un’aria più mogia - A dirla tutta è stato anche piuttosto traumatico, sai: mi sono rivista passare davanti tutti quei giorni... ero quasi sul punto di avere un’altra crisi, cioè a dirla tutta, ho avuto comunque qualche problema, poi lentamente mi sono resa conto della realtà e che bello capire che c’era lui, poi ero nella mia cameretta, lì mi sentivo davvero al sicuro da tutto e da tutti. Sai, credo che questa sia stata questa la mia prima volta, io prima d’ora avevo sempre vissuto il sesso come un dolore, un trauma, invece è così bello... - quindi spense la luce del comodino e cercò di addormentarsi: non le fu molto facile ripensando a tutto quanto era successo. Nei giorni successivi sorse la questione del “Ti amo”: il nostro amico si rifiutava di dirglielo, preda di una nuova assurda fissazione, mentre Stefania, più fissata di lui, voleva sentiserlo dire: ne discutevano il giorno successivo mentre passeggiavano per le vie del centro, piuttosto affollate come ogni domenica.

- Anche se so che non lo farai, perché sei testardo e quando ti metti in testa qualcosa non te la toglie nessuno, io te lo chiedo lo stesso: perché non mi dici “Ti amo”. Va bene che è una frase convenzionale e non sono i ‘ti amo’ a misurare l’amore tra due persone, ma che ti costa... Fai contenta questa cretina che ancora non ti manda a quel paese -

- Ma basta, basta: è tutto il pomeriggio con questo strazio. Poi lo sai che per la parola ‘amore’ ha tutto un suo significato. Ti ho spiegato che nel greco antico esistevano tre parole distinte per indicare l’amore... -

- Sì, lo - rispose un po’ stufata. - L’amore nel senso di amicizia, l’amore nel senso di “ama il tuo prossimo come te stesso” e l’amore inteso anche come attrazione fisica. Il nostro è il terzo caso, ma si chiama amore in questa lingua e quindi puoi usare il verbo amare. -

- Ma ti amo in questo senso è un po’ come dire vorrei tanto scopare con te. E non mi sembra corretto: si ha la sensazione di qualcos’altro oltre a un puro e semplice desiderio carnale. -

- Non voglio che tu mi spieghi l’ipocrisia con cui viene spesso usata questa parola: nel nostro caso non c’è solo l’istinto sessuale. Altrimenti mi avresti piantata subito, non avresti perso tempo con una matta come me! - su questo potremmo discutere a lungo - Se questa parola va usata per due persone è proprio nel nostro caso. Noi ci amiamo, proprio nel senso che vuole significare la parola - cercava di spiegare: ma ormai era scattata la fissazione. Anzi riuscì piuttosto abilmente a cambiare argomento di conversazione quando spedì una lettera ad un suo corrispondente. Ecco cosa scrisse, tra l’altro.

...ti ho scritto questa lettera anzitutto per parlare a me stesso. Come tu sai sono solito scrivere qualcosa per riordinare le mie idee. Scrivere, come leggere, è un atto di comunicazione con noi stessi: cambia solo la fonte. Nell’un caso siamo noi stessi, nell’altro sono altre persone, ma non c’è nessuna differenza. La comunicazione è il pensiero a cui è stata data una forma esatta, forse distorta, forse bellissima, mentre il nostro pensiero non è comunicazione, bensì un aggroviglio in cui nessuno, neppure noi siamo in grado di capire qualcosa, dal quale non si può trarre nessun insegnamento, perché presto lo dimenticheremo. Quando scrivo comunico il mio stesso pensiero a me stesso, lo formalizzo e quindi sono anche in grado di ricordarlo. Forse tu mi obbietterai che anche nel dialogo si ha tutto ciò: è vero, anche il dialogo è comunicazione, ma è diverso il fine: leggere o scrivere è rivolto a noi stessi, parlare serve per comunicare con gli altri. È senz’altro meglio parlare con qualcuno che scrivere a qualcuno, ma poiché non posso vivere senza scrivere, preferirò destinare a qualcuno questi messaggi. C’è un’altra accusa da cui mi voglio liberare: quella per cui la forma imprigiona il pensiero e non ne permette la esatta comprensione. Questo è vero, ma non si deve dimenticare che non c’è modo di comunicare il pensiero così com’è, quindi la forma è necessaria alla comunicazione. Questo non significa che la forma debba essere chiara, quando io comunico qualcosa e lo faccio in un certo modo, ritenuto da me il migliore possibile, nessuno potrà mai sindacare il metodo: se è interessato si dannerà l’anima per capire quel messaggio, altrimenti lo ignorerà.  Mi rendo conto che questo è un delirio, ed è così che io sono adesso: impazzito. Migliaia di pensieri mi attraversano la mente ed io non riesco a coglierli... Lasciamo perdere tutto ciò e veniamo al dunque: io e Stefania ci siamo messi insieme e questo è bene che lo scriva, non vorrei che mi sfugga. E pensa che abbiamo anche fatto l’amore dopo qualche giorno: piuttosto in fretta, penserai, invece piuttosto lentamente. Infatti per lei lo avremmo fatto anche il primo giorno, se lei non avesse sofferto di delle strane crisi, dovute soprattutto alla sua vita per nulla facile. Trovi strano che ti dica questo, no? In genere si pensa che siano segreti segretissimi, talvolta addirittura si nega l’evidenza: non capirò mai perché. Avere rapporti sessuali non è né un merito né un demerito, è qualcosa di assolutamente normale: lo dicono tutti, ma forse non lo pensa quasi nessuno o chissà... Comunque tornando a noi, ti dicevo che ci siamo messi insieme, ma tuttora non capisco il significato di questa frase che gli altri dicono di noi due. Io e Stefania stiamo assieme quasi quanto prima: dal vederci spesso siamo passati ad un molto spesso e la differenza del tempo (forse di più) la dedichiamo a baci,... Prima non ci baciavamo, ma... ma? Dimmi tu.

Strana persona è  davvero questa ragazza, dubito di aver compreso qualcosa di lei, ero quasi convinto di sapere qualcosa delle donne, ma davvero ti rendi conto, come per tutto che ogni volta che arrivi al traguardo c’è davanti a te un percorso ancora più lungo. Ero convinto che il rapporto tra due adolescenti fosse prevalentemente o totalmente di natura sessuale ed in effetti nel nostro caso è così, nel senso che trascorriamo un bel po’ di tempo a baciarsi, ecc. piuttosto che a discutere di Hume. In fondo credo sia giusto così, ma non so se la stimo più per le sue carezze o per le sue parole. Non è una ragazza che meriti di essere valutata solo da un punto di vista fisico (per quanto...!!!), come tutti, ma è intelligente, diversa da molte sue colleghe, sa interessarsi di molte cose... è anche più triste di quanto non immagini: se l’affetto fosse acqua lei ne avrebbe bisogno quanto il sahara. 

Altra cosa che mi chiedo è lei poi che pensa di me?  Una domanda che mi dovrebbe assillare, ma la ignoro completamente: so già come finirà tra di noi, lei un bel giorno se ne troverà un altro, in quanto io dubito che la lascerò mai (dove la trovo un’altra!!) Un discorso da innamorato me ne rendo conto. Cosa posso farci, lo sono. Comunque l’aver trovato una ragazza non risolve certo i miei problemi esistenziali, mi può solo aiutare a dimenticarli. È un divertimento, l’abbandono momentaneo della strada. Certo potrei persino dimenticarmi della strada, un grave rischio, ma non credo di essere il tipo. O forse sì? Ma non so neppure io chi sono e del resto è questa l’eterna domanda. Al mondo sembra che per il solo fatto che abbia una ragazza, questa debba essere il mio unico pensiero: ma secondo te sono tutti matti? Le ragazze vanno e vengono, i miei problemi restano e torneranno drammaticamente a galla quando lei mi avrà lasciato!

Ti dicevo che non è lei il mio unico pensiero ed infatti se ti ho scritto è per parlarti dell’Equilibrio, il Libro. Ne ho accennata una vaga trama a Stefania, per adesso lei è l’unica a conoscere un briciolo di quella trama. C’è qualcosa che temo dovrò comprendere prima della fine del libro: cos’è l’Equilibrio? È assurdo che io abbia chiaro l’inizio, la fine, molti episodi, l’ambientazione, il metodo e non sappia cos’è questo Equilibrio. Più che non lo so ho troppe idee al riguardo e quindi forse nessuna. Da un punto di vista narrativo l’Equilibrio è un oggetto, una persona, qualcosa di esistente su Dotia, ma molto ben nascosta. Dopo non poche peripezie gli eroi troveranno il famoso XIII libro antico di cui si parlava nelle leggende, incomprensibile a tutti. Nel libro si dice cosa è accaduto su Dotia (si sa solo che qualcosa è accaduto, qualcosa a cui i dotiani da soli non possono rimediare) e come rimediare, o almeno questo dicono gli altri dodici. La chiave per leggere il XIII è appunto questo Equilibrio. Non riusciranno naturalmente a trovarlo, ma soltanto a vederlo per un attimo. Ma cosa rappresenta l’Equilibrio? Io non lo so. Più ci penso più non lo capisco...”

Stefania naturalmente chiese curiosa qual era il contenuto:

- Nulla è una delle tante lettere che ho scritto a Paolo. È un po’ come scrivere a me stesso. -

- Ah, come quando parlo con il cuscino... - vide che la guardava piuttosto stranito - ah... eh... non farci caso tu sei un essere normale, io sono un po’ partita. Qualcosa di non folle sarebbe scrivere un diario. Non è più semplice? Per di più puoi scriverci cose che altrimenti non faresti mai -

- Il diario è appunto uno sfogo, come con un amico, è l’espressione di un qualcosa che abbiamo dentro e vogliamo buttar fuori. È qualcosa a cui si ricorre quando si pensa di non avere amici abbastanza amici, almeno nell’accezione comune. Queste lettere invece sono una ricerca di me stesso, un ordinare il mio pensiero che fino a quel momento si era perso tra le pieghe della mente e i vari discorsi. - Stefania non si convinse molto della spiegazione, comunque chiese:

- E cosa hai riordinato? -

- Non hai capito nulla. Se te lo potessi dire non lo avrei scritto, è proprio questa la differenza. Come se uno avesse appena finito di mettere apposto l’archivio, tu gli chiede cosa hai messo a posto? Per risponderti dovrei ributtare tutto all’aria. Posso darti un accenno vago, ma non riportarti con esattezza quel che ho scritto. - Quindi le disse “l’accenno vago”. Alla fine della conversazione Stefania disse:

- Allora oggi ci vediamo? - Il nostro amico per un attimo indugiò sulla risposta, poi ricordò gli accordi presi e rispose affermativamente. 

Torna all’introduzione.

 



[1] Nell’amicizia invece nulla è falso, nulla è simulato e tutto ciò che vi è, è vero e volontario.

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