Capitolo VII - Il capolinea

Il capolinea è quella fermata dell’autobus in cui questo finisce la sua corsa, per cominciarne una nuova, uguale, ma sempre diversa.

Il giorno seguente, lunedì, era l’ultimo di scuola prima della pausa natalizia: una delle tante stranezze a cui questa scuola ci ha ormai abituato. Comunque non erano pochi gli studenti presenti, anzi nella classe del nostro amico non mancava quasi nessuno: tra l’altro i professori si erano impegnati a non interrogare, così a tutti sembrò bello sfruttare quella mattina per gli auguri. L’unico assente era proprio il nostro amico:

- Proprio strampalato: se avessero interrogato sarebbe stato l’unico presente, ma del resto lo sanno tutti che dove c’è lui non ci sono gli altri e dove ci sono gli altri non c’è lui. - disse uno

Poi con circa dieci minuti di ritardo arrivò chiedendo al professore:

- Devo andare a giustificare il ritardo? - una prassi invero ridicola che la professoressa di Chimica preferì evitargli così ringraziando disse – Grazie: sa non sapevo che avevano cambiato il capolinea del ventidue e insomma, ho perso l’autobus. - Quindi mentre il professore tracciava una R sopra il suo nome che aveva appena scritto tra gli assenti il nostro amico si andò a sedere al suo posto. La lezione di chimica trascorse noiosamente tra equilibri, principi di Le Chatelier e altra roba strana. Seguì un’appassionata lezione di Italiano del professor Parotto sull’Ariosto: tale era l’interesse che persino il nostro amico si divertiva con gli origami. La parte migliore era come sempre l’intervallo durante il quale il nostro amico ebbe occasione di parlare con Luca:

- Una mattina noiosissima, la mia. E poi alla fine ci sarà quel solito rito schifoso degli scambi degli auguri. - disse il nostro amico

- Sì, come tutti gli anni. Anche questo è il Natale, una serie di riti: gli auguri, i regali, il pranzo con tutti i parenti, l’albero, le luci, la messa... Dovremmo cercare di recuperare il vero significato del Natale. -

- Ma tu sei ateo! Per te il Natale ha un vero significato, oltre a tutta questa serie di sciocchezze? -

- Pacifico: oramai ha superato il suo iniziale valore, o meglio, lo ha proprio dimenticato. Resta l’idea di un momento dell’anno in cui dovremmo riflettere su di noi, sul nostro comportamento, su come aiutare chi ha davvero bisogno. Per dire una di quelle frasi banali che tutti dicono, ascoltano, applaudono e dimenticano: non dovremmo chiederci cosa gli altri possono fare per questo mondo o per noi, ma cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo per aiutare gli altri. Per esempio tu potresti fare qualcosa come far parte della nostra organizzazione. Sarebbe un bellissimo regalo di natale per tutti i diseredati. -

- Sì, lo so. Ma non me la sento. Mi faccio schifo, mi sento davvero un inguaribile egoista ipocrita che parla bene e razzola male, ma non penso proprio di esserci tagliato. Comunque anche tu hai ragione, non ci si può limitare a parlare ed applaudire. Ci penserò. - Una risposta stereotipata già usata molte volte eppure quella volta ci pensò davvero ed alcuni mesi dopo decise di provare: contrariamente a quel che credeva ci si trovò benissimo: assisteva i malati di mente e su di loro aveva un effetto davvero miracoloso. Davvero si scopre quanto sia sottile quel confine tra il pensare e l’attuare solo quando viene oltrepassato:  prima era ritenuto un mare immenso

All’uscita della scuola ci fu il consueto scambio degli auguri e dei regali. Il nostro amico non sopportava questa cerimonia di frasi fatte, condita di ipocrisia, così dopo un “Auguroni a tutti, a quelli che mi sentono e a quelli che non mi sentono” scappò verso la solita fermata dell’autobus. Qui c’era già Giovanni, un altro amante degli auguri: ne era così entusiasta che era fuggito ancor più velocemente del nostro amico. Comunque gli disse:

- Auguri. A te li posso fare sinceramente. -

- Anche a te. -

- Questi sono gli auguri che preferisco, quelli veri. Il resto è tutta una finzione, una recita inutile e stupida che si ripete ogni anno. -

- Eh, amico mio. Fossero solo gli auguri una finzione: sono solo la punta di un iceberg e dunque la più facile da notare, ma il vero pericolo è la parte sommersa: ricorda il Titanic. -

All’improvviso arrivò Stefania, turbando così questa riflessione e non soltanto quella. Era raggiante come al solito e questa era una caratteristica molto invidiata dal nostro amico: anche perché, secondo lui, il suo non era del tutto un comportamento ipocrita, ma riusciva davvero a sorridere alla vita. D’altra parte in quel periodo era particolarmente felice, forse anche per il suo rapporto con Marco che l’aiutava non poco a distrarsi quantomeno e dunque a riprendersi dai tristi momenti di depressione, a fuggire le continue liti con i suoi. Dopo i soliti auguri questa dette un pacchetto al nostro amico che assunse un’espressione in cui si poteva leggere di tutto: dallo stupore alla paura, dalla gioia al dolore: non era abituato a ricevere o fare regali agli amici. Su invito di Stefania aprì il pacchetto e scoprì che conteneva un libro in un’edizione che andava ricercando da tempo: come Stefania abbia saputo di questo interesse non lo si saprà mai, anche se l’occhiata inferocita gettata su Giovanni potrebbe far venire qualche sospetto.

- Stefania… Ecco io non so che dire. Penso che tu abbia davanti a te una persona colta di sorpresa come si dice. Beh, grazie. Mi dispiace di non poter... - voleva concludere con ricambiare, ma fu interrotto.

- Fa nulla. Non si fanno i regali per averne uno in cambio. Adesso, scusami: devo scappare. - Da un po’ di tempo infatti la nostra amica tornava a casa assieme al suo ragazzo, anziché con l’autobus.

Appena fu abbastanza lontana il nostro amico si rivolse verso Giovanni e con tono davvero ironico pronunciò le seguenti parole:

- Carissimo, guarda un po’! Ma cosa mai mi hanno regalato! Ma dico io: chi mai potrebbe aver partecipato a Stefania questo mio interesse di cui io ne parlai con te, con Luca e con altri che non conoscono Stefania. - E Giovanni:

- Uhm… Io fossi in te avrei qualche sospetto. -

- Siiì? Ma guarda: ed io che proprio non riuscivo ad immaginarmi nessuno! In fondo a cosa servono gli amici se non per farci vedere ciò che non riusciamo a vedere? - poi con tono semiserio - Adesso mi devo inventare qualcosa. Hai trenta secondi per darmi un suggerimento valido. Uno… due… tre… -

- Finisce gli anni il cinque Gennaio. -

- Bene, vedo che hai compreso una grande verità: prima del veleno prepara l’antidoto. Il cinque Gennaio, dici? E quanti anni diciassette o diciotto. -

- Diciotto. Che domanda è? - in effetti faceva la IV

- Talvolta chi è nato in Gennaio comincia la scuola un anno prima. Bene, bene, mi inventerò qualcosa. – ma già si stava disperatamente chiedendo cosa - Ma come avrà fatto a trovare questo libro: io l’ho cercato per mari e monti. - l’amico fece un segnale sfregandosi il pollice con l’indice della stessa mano - Dici che con i soldi si supera ogni ostacolo? Mah... Allora io spenderò certamente molto meno. - quindi arrivò l’autobus di Giovanni e poco dopo anche quello del nostro amico.

Quel pomeriggio si dedicò un po’ al suo “L’Equilibrio”, naturalmente contemplò il regalo di Stefania, un libro bellissimo, forse in questo caso ancora di più, ma soprattutto cercò di trovare un possibile regalo per Stefania. Ne parlò anche con sua madre, ma non gli piacque nessuno dei suoi, numerosissimi consigli ed alla fine questa disse:

- Io non so più che dirti! Telefona ad una sua amica, di cui puoi fidarti anche tu e chiedile cosa potresti regalarle. In fondo lei ha fatto così. -

- E dove la trovo una sua amica di cui fidarsi? Tu sai bene quanto io mi fidi delle ragazze. Un valore positivo, più piccolo di ogni numero positivo. - È una delle tante possibili definizioni matematiche per lo zero, ma anche se la madre non era laureata in matematica con una tesi di analisi superiore, anzi non era neppure diplomata, comprese perfettamente:

- Non sei tu che combatti contro i luoghi comuni: non tutte le donne sono pettegole. -

- No, mamma: io non combatto contro i luoghi comuni; combatto contro i luoghi comuni falsi. - la solita battuta velenosa senza la quale non poteva proprio vivere.

- Va bene: hai ragione. Tanto tu hai sempre ragione. Tieniti la ragione, magari riuscirà anche dirti che regalo fare a Stefania. - concluse con un certo sarcasmo. Davvero non era molto semplice parlare con il nostro amico. Comunque questi telefonò a Francesca e si mise d’accordo con lei per incontrarsi in centro il giorno seguente. Lei in genere avrebbe fatto di tutto per evitare il nostro amico, ma si trovava in una situazione per cui ogni pretesto era buono: infatti lo zio, don Alvaro, ogni anno voleva che l’aiutasse a preparare la chiesa per la messa di mezzanotte. In genere era proprio impossibile schivare l’impegno perché se qualche amico rintracciava Francesca mentre aiutava suo zio, questo costringeva anche il nuovo venuto a dare una mano. Quest’anno Francesca pensava di aver risolto il problema con un ateo convinto: non si sarebbe prestato ad aiutare a preparare la chiesa, ma sottostimava suo zio.

La mattina seguente prese l’autobus e trovò Eugenio, il suo amico autista, con cui parlottò per il viaggio, chiedendo anche a lui un parere per il regalo a Stefania, ma non seppe dargliene alcuno davvero convincente.  Ma esisteva in questo mondo un regalo adatto a Stefania? A sentire il nostro amico, ottimista come al solito, pareva proprio di no.

Comunque quando l’autista seppe perché scendeva a quella fermata disse:

- Don Alvaro deve preparare la chiesa per la Messa. – poi ridendo fece con la mano un saluto militare e aggiunse fingendosi serio – Attento! Ancora non si è trovato qualcuno che sia riuscito a sfuggirgli. - Il nostro amico tuttavia non si preoccupava: lui non si sarebbe mai prestato a mettere in piedi ciò che per lui era un inutile rito.

 Entrò nella chiesa: vi regnava una certa confusione dovuta alla attività quasi frenetiche di alcuni giovani intenti a spazzare, lavare e preparare arredi; in lontananza si sentiva purtroppo fin troppo bene il coro parrocchiale intento nelle prove. Cercò Francesca, ma prima di riuscirci lo trovò don Alvaro che esclamò raggiante:

- Bravo! Sei venuto anche tu a dare una mano! Bene, bene, ci voleva proprio qualcuno giovane e forte – poi si voltò verso il suo giovane collega, don Giovanni, per concordare un incarico per il nuovo venuto, quando questi cercò di liberarsi dall’improvviso impegno dicendo risoluto:

- No! Come sa, sono ateo e non voglio occuparmi di messe, chiese eccetera. Anche perché se c’è proprio qualcosa che non sopporto sono proprio questi stupidi rituali. -

- Ah, ecco chi eri! Difatti mi pareva che ci fosse qualcosa di strano! Così tu sei quello “ateo” – e non mancò di sottolineare questa parola - Beh non vuoi occuparti di Messe e di chiese io non voglio forzarti... e poi questo mi sembra anche giusto per un “ateo” coerente come te! - pensò per un attimo appoggiandosi sulla scopa che aveva in mano e poi aggiunse – Beh, così tu vivi in un mondo di incertezze dove è vero tutto ed il suo contrario. Interessante! Certo tu pensi che qui ci sarà uno stupido ed inutile rito, ma vedila così: stasera io, don Giovanni e altri nostri amici ci riuniamo qua per una festa, direi una festa di compleanno: un carissimo amico compie quasi duemila anni! Come in tutte le feste ci sarà la musica, in abbondanza… ecco, ad essere sincero, non è tanto buona, ma non che nelle “vostre” feste sia molto migliore; poi c’è da mangiare, da bere, magari non tanto, ma sai com’è: non si mangia mai nulla, però ce n’è per tutti. Poi si può chiacchierare, vedi anche abbiamo quella deliziosa capannina - e indicò il confessionale - per chiacchiere riservate, oserei dire intime confessioni! – spiegò maliziosamente dopodiché allargò le braccia dicendo - Insomma se un tuo amico ti chiedesse di dargli una mano per organizzare una festa di compleanno tu non gli dici di no! - il nostro amico non ebbe il coraggio di dire nulla, ma in silenzio prese la scopa da don Alvaro, scrollando la testa – Bravo! Lo sapevo di poter contare su di te. – concluse dandogli una pacca sulla spalla ed istruendolo sul da fare. Chi mai poteva resistere a quest’uomo? Dopo un po’ Francesca vedendo il nostro amico spazzare di buona lena chiese come aveva fatto suo zio a convincerlo e con l’orgoglio che aveva rispose:

- Essere ateo non mi esonera dall’aiutare chi ne ha bisogno! Anzi!! – e l’altra per nulla convinta rispose con un sorriso di comprensione:

- Va bene. Ho capito: ha incastrato anche te! –

Comunque tra  pulire i pavimenti, spolverare le panche e lavare le vetrate discussero anche del regalo per Stefania: decisero che non c’era nulla di meglio di un libro anche perché i dischi che le piacevano, li aveva tutti, mentre altri regali o erano inopportuni o erano superflui o magari non li immaginavano.

Quella sera a cena sua madre, in cerca di una rivincita morale, chiese al nostro amico:

- Poi hai trovato un regalo per Stefania? – domanda retorica in quanto aveva già intuito la risposta.

- Sì,... le ho comprato dei libri. - disse con un pizzico di vergogna.

- Te l’avevo detto. – rispose sorridente e sconsolata - Ti fidassi qualche volta di tua madre, ti risparmieresti la fatica di preparare la chiesa per la Messa. Mentre eri via oggi pomeriggio ha telefonato Don Alvaro, cercava te: dice che poiché eri stato così gentile da aiutarlo voleva farti leggere alla Messa. Ci potresti andare: è la notte di Natale! - finì che litigarono un’altra volta sul suo ateismo: la madre diceva che lui era credente, ma non lo sapeva e lui che la madre era atea, ma non lo sapeva. Succedeva tutti gli anni, per Natale e per Pasqua, anche perché la mamma voleva che il figlio andasse alla messa. Il padre invece era più comprensivo, diceva sempre “Se vuol fare l’ateo fagli fare l’ateo, tanto quando avrà un po’ più di anni cambierà idea”, ma non accadde.

Quindi coerentemente quella sera non andò alla messa di natale nella splendente chiesa di don Alvaro, restò piuttosto a casa, voleva terminare di ricostruire un racconto di quel libro strano. Cominciava già a farsi una mezza idea su tutti quei racconti e iniziava anche a sospettare chi fosse l’autore. Verso le undici sembrava tutto in ordine, era più lungo degli altri, un attimo di maggiore ispirazione, chissà. Aveva sonno, era stanco, così si mise a letto per leggerlo.

“Il Labirinto

Introduzione

Il Labirinto, un bel titolo, adatto per un bel romanzo o racconto giallo, ma questo non è un romanzo giallo e neppure è un manuale su come costruire i labirinti. in realtà la trama del libro è tutt'altro che interessante : narra di una persona che è al Luna Park, quello con tante luci, tanti giochi, e qui c'è un labirinto, uno di quelli in cui bisogna darsi da fare per trovare l'uscita e così il tizio entra nel labirinto, gira ed alla fine esce. Semplice, no?

Zero

Ed eccomi qua, al Luna park, quante luci ad illuminare questa notte, quanti giochi per di­vertirsi. Qua si può passare il tempo magnificamente, si sale su tanti giochi, tutti diversi. Io, ma anche gli altri hanno incominciato dai più semplici e meno divertenti ai più complessi e diver­tenti, anche se tutti sono all'incirca ugualmente dispendiosi. Già perché è tradizione che al Luna park si vada in tutti i giochi, non bisogna evitare nessuno di questi, anche se possono piacere più o meno, un po' come quando andate a pranzo dai parenti, non c'è portata che non assaggia­te, ma non tutte vi piacciono in ugual modo, alla fine del pranzo poi arriva il dolce, il piatto per molti, non tutti, il più gustoso così anche al Luna park alla fine si arriva al Labirinto, che dico­no essere il più bel gioco del Luna park. Poi il Luna park non ha entrate, nè tantomeno uscite, tranne il labirinto, che quindi è anche l'unica uscita. Entrarvi non è mica semplice, non crediate, bisogna essere in regola con tutto, ovvero aver fatto tutti i giochi precedenti. Beh, io li ho fatti e difatti mi lasciano entrare. Anch'io adesso sono nel Labirinto.

Uno

Non è affatto un bel posto questo labirinto, freddo e buio. Accidenti quanto fa freddo qui dentro, sembra d'essere dentro un frigo, là fuori invece c'era un bel calduccio, era notte, ma non era una fredda notte. Poi là era anche notte, ma tutto è illuminato o almeno era fino a po­chi secondi fa, qui è tutto buio, non si vede neanche oltre il nostro naso. Sto tremando dal freddo, mi prenderò una polmonite, dovrei muovermi, ma dove vado? Qua non si vede nulla, neppure l'entrata del labirinto riesco a vedere. Inizio a battere i piedi per terra e a strofinarmi con le mani, un po' riesco a riscaldarmi, anche se non molto, comunque meglio di prima. Guar­da....poi si dice che solo i gatti vedono nel buio più profondo, non è vero, adesso, qualcosa rie­sco a distinguere, forse i miei occhi sono rimasti un po' accecati dalle luci del Luna Park. A de­stra sembra esserci qualcosa di bianco...si c'è un muro e sempre dipinto fresco anche a sinistra c'è un altro muro ed anche dietro di me ?! Come dietro di me ?! Non posso uscire dall'entrata ?! e non entra nessun altro dopo di me ?! E perché allora c'era la fila fuori, quelli dietro di me non li hanno fatti entrare ? Beh, inutile preoccuparsi troppo, è sì un labirinto, ma ha un'uscita, che poi è anche l'uscita del Luna park.

Aiuto! Aiuto! Qua tutto è buio, tutto è freddo, ed io non voglio restare in un luogo così buio e così freddo, così terribile come questo Labirinto. Voglio tornare indietro, nel Luna park, quel posto sì ch'era bello, non come qua. Ecco adesso comprendo il vero significato di Ablidù, colui che risolve sempre ogni situazione. Ablidù, aiutami tu! Non mi aiuta. Perché non mi aiuti! Forse devo essere più chiaro. Ablidù, sono perso qua in questo luogo freddo e buio, aiutami tu. Tu forse vuoi dirmi che, Ablidù finché vorrò sentire freddo e vedere buio, avrò freddo e non vedrò nulla. Dovrò andare avanti alla ricerca dell'uscita da questo Posto. Grazie Ablidù per avermi permesso di aver trovato in me stesso...ma questa forza l'ha trovata Ablidù? E perché lui la trovasse ha avuto bisogno che io interrogassi me stesso. Allora l'ho trovata io da solo la forza per proseguire, ma quando si perde la fiducia in se stessi, non vogliamo trovare la forza per proseguire in noi stessi, perché non crediamo più in noi, così noi stessi facciamo in modo che questa arriva da Ablidù e adesso gli crediamo. Come quando i bambini hanno bisogno di una medicina,  di sapore gradevole, non la prenderanno finché sanno che è una medicina, per la sfiducia nella medicina e la prenderanno se si camuffa da dolce, perché hanno fiducia nel dolce.

Adesso so che quando perdo la fiducia in me stesso è in me stesso e soltanto lì che devo ritrovarla, senza Ablidù. Aiutati che Ablidù t'aiuta, dice il proverbio ed anche questo è molto chiaro: Ablidù non ci aiuta mai, ma noi stessi aiutiamo noi stessi.

Beh cammino i corridoi del labirinto, tutto sommato non è così terribile come lo credevo inizialmente, forse è più caldo e più illuminato, forse ho meno freddo e vedo meglio, oppure tutt'ed due. Chi lo sa? Io, no di certo eppure è senz'altro una delle tre. Possono essere più o meno probabili, ma io non so neppure questo con certezza. Certo i corridoi non mancano in questo labirinto, dev'essere un grande labirinto, ci resterò un bel po' di tempo, ma prima o poi, necessariamente e quando  meno me lo aspetto troverò l'uscita. Per adesso percorro questo corridoio, ma che fatica: adesso si sale, adesso si scende, adesso sembra di camminare sulla colla, adesso sulla cera, ma, lo riconosco, ci sono anche dei bei tratti dove si cammina in piano tranquillamente, come si dice non è tutto rose e fiori, ma nemmeno rovi ed ortiche. Inoltre non crediate che i corridoi del Labirinto siano monotoni, sono strani e curiosi, ogni tanto cambia qualcosa, come la pavimentazione, adesso liscia, adesso rugosa, adesso triangolare, adesso quadrata, adesso irregolare, adesso colorata, adesso grigia. Oh, fantastico : una porta! Che sia l'uscita ? Non posso saperlo prima di averl'aperta. È senza dubbio è una bella porta, in legno, con una ricca maniglia in ottone. Abbasso la maniglia e apro la porta...non c'è l'uscita, c'è il mu­ro con una bella scritta ' Questa non è la TUA uscita'. La mia ?! Ognuno ha una sua uscita ? ma che strano, così tante le stranezze del Labirinto ch'ormai non mi stupiscono più.

Ed eccomi, qua, sempre dentro il Labirinto, cercando l'uscita. Sono entrato in una parte del Labirinto detta 'delle lampadine'. Già perché in effetti  si trovano molto spesso delle lampa­dine con le quali si può illuminare i bui corridoi, ma non è affatto semplice accenderle. Già per­ché bisogna trovare l'interruttore ed è semplice trovarlo all'inizio, ma diviene sempre più diffi­cile e complesso. La luce costa fatica! Ci si potrebbe contentare della poca luce della prima lampadina, ma prima i nostri occhi sono abbagliati da questa nuova luce e si vorrebbe quasi rispegnerla perché ci da fastidio; poi invece vediamo bene e siamo felici con quella luce, ma alla fine gli occhi si abituano a quella luce e tutto sembra tornare buio. Per ciò si cerca sempre di accendere la lampadina successiva. Frattanto non crediate che le difficoltà del precedente siano scomparse. No! Ci sono ancora, ancora si sale, si scende, si cammina in obliquo, come prima. Solo adesso c'è anche il problema delle lampadine. Beh, è vero che se è un problema è perché io voglio che lo sia, potrei non voler accendere nessuna. E lo avrei anche fatto, se non fosse stato così semplice accendere la prima, ero felice di veder di nuovo la luce, poi è facile accen­dere anche la seconda, la terza, ma adesso arrivato a chissà quale non riesco proprio a capire come vada accesa. Beh, nessuno mi corre dietro, continuerò a cercare l'interruttore di questa lampadina finché non l'avrò trovato.

Accidente, che fame e che sete! Non so ormai da quanto tempo sto cercando quell'ultimo interruttore, che dovrà pur essere da qualche parte. Aranciata mia dove sei?... Che vedono i mie occhi ? Un pollo arrosto ? Addosso...no, è un miraggio, è soltanto la lampadina spen­ta...ma questo cos'è? L'interruttore? Già! Ti rendi conto dov'era? In un luogo, ovvio, naturale, come ho fatto a non pensarci prima ?! Beh, anche stavolta l'ho accesa.  Proseguo cercando la prossima lampadina, ma mi trova ad un bivio, cosa naturale nei labirinti, ma in questo caso c'è anche un cartello. 'Per continuare ad accendere lampadine a sinistra, per il ristorante a destra'. Il ristorante?! Non credevo ce ne fossero, comunque, tanto meglio. Vado così al ristorante, le lampadine possono attendere un po'. Cammino nel corridoio di destra, un corridoio, comodo, meno impervio dell'altro ed arrivo alla porta del ristorante. Tranquillamente entro, ma superata la porta mi accorgo che quella è una porta-muro, ovvero da un lato porta, dall'altro muro, si può entrare e non uscire. Ci sono tanti piatti già pronti e caldi o come devono essere con sopra un cartellino con un numero progressivo di uno da uno a...non vedo la fine. Poi accanto al primo cartellino un altro cartello con scritto 'lampadine accese n. :'. Ah, ecco, a seconda delle lampadine accese spetta un piatto più o meno succulento. Beh, io ne ho accese tot e cerco il mio piatto: non è il massimo della bontà, ma neppure terribile, una via di mezzo. Mangio e mi ristoro...

Devo essermi addormentato, beh, comunque adesso devo riprendere il cammino verso l'uscita del Labirinto. Seguo la freccia uscita ed esco dalla solita porta-muro.

Ed eccomi qua. Prima ho trovato la parte delle lampadine adesso ho trovato una parte detta 'delle ombre indecise'. Qui si trovano anche altre persone, o forse sono solo delle ombre. Ognuno vede con la luce delle lampadine che ha acceso ed io con le miei vedo solo delle om­bre, non è molto, ma forse c'è chi non vede neppure quelle, forse in questo luogo, sono quello che vede meglio o forse è vero il contrario. Forse quelle ombre parlano tra di loro, comunque non con me e forse neppure tra di loro, io non sento nulla, quindi forse parlano con me ed io non le sento. Sono davvero tante, affollano l'intero corridoio, grande e piano. La grande massa, per così dire, sale lungo il corridoio, una direzione come l'altra, alcune invece scendono e de­vono farsi largo a spintoni e con fatica. Io dovrò salire o scendere il corridoio? Certo, salirlo è semplice, si è quasi trascinati dalle altre ombre, scendere è più difficile e molto più faticoso. Certo chi scende va a fatica dove vuole andare lui e allora è possibile che sia vinto dalla fatica prima che arrivi, chi invece sale, senza dubbio arriva, ma non va dove gli altri vanno, o meglio, non che tutti vadano in una sola direzione, ci sono vari bivi nei quali dove le ombre si dividono, ma soltanto chi è al centro riesce a scegliere tra destra e sinistra, per gli altri la scelta è in qual­che modo obbligata. Pochi decidono per molti. Comunque devo decidermi : salgo o scendo? Tolgo gli occhi dalle ombre e inizio a riflettere...quando li riapro mi aspetta una bella sorpresa : adesso la gran parte scende e pochi salgono, beh, tanto meglio, io avevo deciso di scendere, se tutti scendono è anche meglio, si faticherà meno. Ma perché avranno cambiato direzione? Beh, io comunque continuerò a scendere...

...

Ecco, adesso hanno nuovamente cambiato idea e tocca faticare uno sproposito per pro­seguire nel senso opposto alla gran parte, a volte bisogna proprio sputare sangue. Beh, per for­tuna ogni tanto cambiano direzione e posso farmi trascinare. cambiano decisione continua­mente e compattamente, ecco perché sono ombre indecise.

Già da molto sono uscito da quella ridicola situazione, ed ormai da diverso tempo sono nella parte detta 'dei fuochi veri e dei fuochi falsi'. Un altro luogo, curioso quanto quello delle lampadine e se quelle sono state il rimedio del buio il fuoco è il rimedio del freddo, ma bisogna fin d'ora distinguere i fuochi falsi, la maggior parte, che portano calore solo per brevi istanti e i fuochi veri, ognuno di noi ne trova solamente uno ed è quello il fuoco che ci darà calore per il resto del Labirinto. Qui il corridoio è tornato faticoso come quello delle luci, ma per accendere i fuochi c'è bisogno della legna e di un accendino, ma ognuna delle ombre possiede solamente una delle due. Così io che ho un accendino devo cercare ombre con legna, e di legna i tipi sono molti, potrebbe essere troppo secca e bruciare così troppo rapidamente o troppo verde e non far solo fumo, è difficile trovare l'aurea mediocritas, anche perché esistono accendini capaci di far bruciare a lungo anche la legna secca e accendini capaci di accendere ramoscelli verdi, an­che se non è il mio caso, come ho potuto constatare personalmente: infatti ogni qualvolta trovo la legna non adatta accendo solo un fuoco falso e i fuochi falsi, benché per poco tempo portino caldo, devono essere evitati a lungo evitati. Già gli accendini, del resto non credo di dir cosa nuova, funzionano a gas liquido e vengono consegnati, non ve l'ho detto, all'entrata del Luna park anche se ne comprende l'uso solo molto tempo dopo, pieni di gas, ma usandoli si scari­cano. Così la legna, ogni volta si accende un rametto, ma anche questi non sono infiniti e si ri­schia di sprecare con fuochi falsi tutto il gas e di restare quindi nel freddo del Labirinto. Co­munque, quando a circa metà accendo un fuoco vero. Adesso per tutto il resto del Labirinto avrò con me il calore di quel fuoco.

Cammino tranquillamente. È bello il Labirinto è adesso che l'ho compreso bene, non ho nessuna fretta di lasciarlo. Adesso vedo e sono in un bel tepore. Ne è passato di tempo da quando sono entrato qui, ormai saranno alcune ore. Trovo una delle solite porte di uscita, temo che quella sia l'uscita giusta e davvero non vorrei. Non voglio lasciare il Labirinto. Beh, questa porta non è l'uscita. Adesso, questo luogo, mi sembra molto migliore non è più freddo, non è più buio, è piacevole generalmente. Certo in alcuni momenti di sconforto si vorrebbe esser fuori di qui, ed in quel caso ti trovi sempre ad un bivio, con un cartello 'per l'uscita anticipata a destra' e arrivati a quel bivio, io ho sempre scelto di restare nel Labirinto, non tutti c'è chi non ne può più e vuole uscire, come in tutti i labirinti. Ma il bello del Labirinto è girare più a lungo possibile, se si esce presto non si potrà certo dire di essere in un bel labirinto, il divertimento, di solito, è tutto qua. In questo, come avete visto, ci sono anche molte altre difficoltà aggiunte che lo rendono ancor più interessante, poi, alla fine di ogni difficoltà, ci sono luoghi dove po­tersi ristorare e riposare. Ormai è diverso tempo che cammino in questo corridoio, il cosiddetto 'ultimo corridoio', già dietro di me avanza il muro anche se non vedo nulla davanti a me.

Infinito

Adesso invece eccomi sono di fronte ad una porta, indietro non si torna, a destra e a sini­stra c'è il muro, se questa non è la mia uscita dovrò restare qua per sempre, certo non sarebbe tanto male. Chissà cosa c'è fuori del Labirinto? Forse è peggio, forse è meglio, forse tale e quale: quando esci, sai cosa perdi non sai cosa trovi: qualcuno dice che si trova di meglio, qualcuno che si trova peggio, qualcuno che non si trova nulla, ma questo dubbio non può esse­re risolto restando dentro al Labirinto, dovrò aprire questa fragile porta di legno per scoprirlo. L'apro ed esco. Ecco com'era...”

Il nostro amico non riuscì comunque ad arrivare fin qui: si era addormentato già molto prima, aveva trascorso una giornata molto più faticosa di quel che potesse immaginare.

E così arrivò anche il Natale: un giorno di festa in tutto il mondo e dovrebbe certamente essere anche un’occasione per riflettere sul mondo. Si privilegia in genere sempre il primo aspetto, non sempre per mancanza di motivazioni, ma anche perché ci sono tanti problemi tutti gli altri giorni che si sfruttano questi giorni per abbandonare il solito tran-tran.

A casa del nostro amico, come ormai accadeva da molti anni, in quest’occasione si riuniva il parentado, tra cui il nonno Antonino: aveva passato gli ottant’anni e da circa dieci, dalla morte della moglie, non ragionava molto, non era più autosufficiente. Una delle persone che più amava era proprio il suo nipotino, come ancora lo chiamava, ed era anche una delle poche che ancora riconosceva. Comunque per un motivo o per l’altro, non si vedevano quasi mai e quando capitava il nonno voleva restare più tempo possibile con il suo cucciolo, come ancora lo chiamava. Arrivò dall’istituto dove viveva con uno dei suoi quattro figli, i fratelli del padre del nostro amico, Quando quest’ultimo andò ad aprire la porta per accoglierlo lo salutò a voce alta e scandendo le parole:

- Ciao, babbo! Buon Natale. - e così fece anche la moglie. Nel vederla il nonno disse sbalenando gli occhi stupefatto:

- Ah, c’è anche la tua fidanzata! – poi si ricompose e sorridente proseguì - Sono felice di conoscerla signorina. -

- Babbo, ma siamo sposati da vent’anni. - rispose il figlio non troppo interdetto. Suo padre allora lo guardò fisso negli occhi con attenzione, seriamente, circondato da un silenzio perfetto e chiese:

- L’hai sposata? – Quindi gli appoggiò una mano sulla spalla, rise balbettando qualcosa tra sé e sé, poi sorridente aggiunse - Hai fatto bene figliolo. Capisco l’amore. E avete trovato anche una bella casetta, eh eh! – nel frattempo giunse il nostro amico dalla sua stanza e salutò il nonno che sul momento non lo riconobbe del tutto - E come sta il mio cucciolo? Si fa ancora la pipì addosso? - chiese al figlio che accennò una risposta, ma fu subito interrotto dal padre che gli appoggiò una mano paterna sulla spalla e disse - Lo so figliolo che non è facile, non sai quanto tempo ci abbiamo messo per insegnartelo. Ci vuole tempo... - quindi vide il nipotino e disse - Ah, eccoti. Sei cresciuto! L’ultima volta che ti ho visto - ovvero circa tre mesi prima - eri ancora un bambino, adesso invece vedo che sei ormai un uomo. – poi rivolto agli altri disse pieno d’orgoglio – È un bel giovanotto mio nipote, vero? – qualcuno annuì con la testa e il nonno proseguì rivolto verso il suo frugoletto - Avrai vent’anni. Mi sembra ieri che la nonna ti portava a giocare in giardino... -

- Il tempo è davvero qualcosa di relativo. – bisbigliò il nostro amico a sé, poi proseguì a voce alta - Sono contento di rivederti. -

- Anch’io, anch’io! Adesso cosa fai: avrai la tua fidanzata e il tuo lavoro e già penserai alla tua famiglia. - gli rispose che stava ancora studiando - Bravo! Fai bene!! Io l’ho sempre detto ai miei figlioli, ma quelli: duri! Io ho fatto fino alla seconda elementare, in tutti questi anni tu chissà dove sarai arrivato! Io mi ci trovavo bene a studiare, ma serviva qualcuno per guardare i maiali e allora niente studiare. Però i miei fratelli hanno studiato, qualcuno è anche arrivato alla quinta, eh eh. Dopo c’erano le Scuole Superiori: io non le ho mai neppure viste. E poi  mi hanno mandato alla guerra e quando sono tornato erano tutti morti... - si commosse, come accadeva ogni volta. In effetti, assurdità della guerra, lui mandato a combattere cadde prigioniero quasi subito e trascorse tutta la guerra in un campo di prigionia in cui viveva quasi meglio che a casa sua. I suoi fratelli morirono sotto un bombardamento. - Non è giusto che siano morti loro che avevano studiato! Avevano anche dei figli… Dovevo morire io che non valevo niente… - Quindi si sentì dire che il pranzo era pronto: così il nostro amico accompagnò il nonno nella sala dove era stata preparata la tavola.

Naturalmente non solo il nostro amico festeggiava il Natale, anche tutto il resto del mondo ed in particolare Stefania: per lei questa era tutt’altro che una bella giornata. Infatti anche lei rivedeva in quest’occasione i parenti, tra cui i carissimi e dolcissimi nonni che dopo quanto successo odiava quasi quanto i genitori e comunque non aveva ancora smaltito del tutto la rabbia dell’altra sera. Così, per cercare di non dare in escandescenze nel giorno più bello dell’anno, quando cominciarono ad arrivare i parenti, prese un calmante: non voleva fare la figura della pazza, anche perché non era lei ad esserlo,  e voleva riuscire a fare buon viso a cattivo gioco tanto che si disse davanti allo specchio:

- Adesso ridi. Ridi e sii felice! È questo che tutti si aspettano da me: di vedermi allegra e contenta di rivedere i miei cari e dolci nonni. - Quindi li sentì arrivare, inspirò profondamente, spense la luce dello specchio, respirò di nuovo ed uscì a salutarli: erano arrivati per primi i nonni materni, come sempre. Stefania al contrario del nostro amico aveva ancora tutti e quattro i nonni ed ancora erano tutti in pieno possesso delle loro facoltà mentali, parlando giuridicamente.

- Oh! Ecco la mia bambina. Oh cara, lasciati abbracciare! - disse la nonna abbracciandola e scambiando con lei i soliti baci retorici. - Ogni anno sei sempre più bella, non trovi anche tu caro? - disse guardando verso suo marito.

- Davvero piccolina! Mi stupisci sempre di più. Mi sembra ieri quand’eri ancora un fagottino piccolo così e adesso guarda che bella ragazza sei diventata! E poi mi dicono anche brava. Bella e brava, cos’altro volere? -

- Ma non sono la più brava c’è anche un altro... -

- Oh è sempre così modesta! – riprese sdolcinata la nonna - Sei proprio una ragazza fantastica che merita in questo Santo giorno un regalo degno di lei… - e le dettero un pacchetto con dentro due chiavi - Ecco tra un po’ prenderai la patente e ci è sembrato un regalo adatto. -  Stefania abbracciò di nuovo i nonni e le scappò una lacrima: la nonna pensò si fosse commossa per il regalo e aggiunse - Sei tutto per noi. – Quindi la nostra amica chiese ai presenti di scusarla e se ne tornò per qualche minuto in camera sua, piangendo sempre più.

- Non è possibile: credono che basti sempre staccare un assegno! Non sanno fare altro! Ma io non sono in vendita. Mi hanno rovinato la vita quei cretini... - quindi si lasciò cadere sul letto e per qualche secondo pianse abbracciando il cuscino. – Coraggio ragazza: non gliela puoi dare vinta! Adesso ti calmi, cancelli la tristezza dal tuo volto e torni di là sorridente! Fino a che non puoi scappare da questo orrore devi recitare la parte che vogliono se vuoi sopravvivere. – E così fece.

Durante il pranzo era abbastanza taciturna: rispondeva alle domande, senza mai entrare nella conversazione, pur senza mostrarsi affranta anche se era noto a tutti come quella fosse una commedia in cui nessuno conosce il proprio ruolo. Persino la cameriera recitava così come le era stato ordinato: a Natale tutta la famiglia doveva essere allegra e nessuno poteva turbare quell’armonia, anche se quest’ultima per questo aveva dovuto lasciare il resto della famiglia proprio in quel Santo giorno.

Non si era ancora arrivati al dolce che Stefania sentì di essere vicina al punto di non ritorno, così con disgusto dei presenti, provocò uno scandalo abbandonando in anticipo il pranzo di Natale: si inventò una scusa ed uscì di casa. Qualcuno dei parenti sentenziò:

- Non c’è più religione. I giovani d’oggi non hanno più rispetto per la famiglia, per il Natale, per nulla! - Stefania stava uscendo in quel momento, sentì, tornò verso la tavola e aggiunse con lo stesso tono di voce di quello come a proseguire il suo discorso:

- Ormai non sanno nemmeno cosa significhi la parola “rispetto”. Viene di continuo usata a sproposito! - e scappò scatenando una discussione.

Fuori Stefania girellò per un po’ qua e là, percorrendo strade deserte e grigie come le nuvole di quel giorno, appena un poco ravvivate da un chiacchierio lontano e felice proveniente dalle case d’intorno: a quell’ora tutti erano a pranzo, così pensò, anche se le piaceva molto, di rintracciare qualcuno dei suoi amici: non Marco, in quanto era a pranzo da un suo zio fuori città, Francesca era in settimana bianca, restava Giulia, ma non c’era: venne a sapere che era da uno zio anche lei. Così chiamò il nostro amico che per sua malasorte i parenti li aveva invitati a casa sua.

In casa di quest’ultimo erano appena arrivati al classico panettone con l’uvetta e canditi ed il pandoro appena scaldato in forno, quando squillò il telefono ed [AF1] i presenti si stupirono un po’: chi mai poteva essere? Rispose il più vicino, una zia del nostro amico, tanto che Stefania pensò di aver sbagliato numero: generalmente era sempre lui a prendere le telefonate dalla sua stanza.

- Ma sei impazzita a telefonarmi a quest’ora, durante la riunione degli Stati Generali della famiglia. Adesso vorranno sapere vita, morte e miracoli. – le disse nervoso e preoccupato, parlando a voce non troppo alta, mentre con il cordless andava celermente verso camera sua. Lei rispose in un primo tempo spazientita:

- Senti, durante la mia riunione stavo per essere presa da un raptus omicida e siccome non voglio passare la mia vita in carcere per quei coglioni dei miei parenti, me ne sono andata. – ma poi passò ad un tono lagnoso - Io però non sopporto di restare sola, devo parlare con qualcuno... - e parlottarono per un po’ sull’opportunità di una sua visita, quando qualcuno suonò il campanello. Il nostro amico sentì sua madre pronunciare le seguenti parole:

- C’è Stefania! – al che chiuse con  forza la telefonata ed inviperito disse a sé:

- Domani la prima cosa che faccio è preparare una petizione contro quei maledetti telefonini. – Quindi corse all’ingresso e bloccò l’amica sulla porta, dicendole - Questo è un colpo basso, noi stavano parlando al telefono. Sicura di voler entrare, dovrai conoscere i miei zii, i miei cuginini,... il nonno! - Questa rispose lieta:

- Ho passato metà pranzo con i miei parenti: esiste qualche impresa più ardua? Pensa, non li ho nemmeno offesi troppo. - ed entrò. Dopo aver salutato ed essersi presentata a tutti i presenti arrivò dal nonno che le avevano detto essere un po’ suonato, lo salutò e questo disse felice:

- Salve signorina. Così lei è la fidanzata del mio nipote. Brava! Non se lo lasci sfuggire è più unico che raro. -

- Proprio vero! - rispose Stefania molto divertita – Ma non siamo fidanzati. Facciamo solo la stessa scuola e qualche volta ci capita di studiare insieme. -

- Ah! Ora si dice così… Beata gioventù! – Intanto a Stefania fu offerta una fetta di dolce e nel voltarsi per prenderlo vide il nostro amico che continuava a guardarla bieco dall’altro lato della tavola mentre toglieva i canditi, da lui detestati, dalla sua porzione di panettone: così lei assunse un falso sguardo triste, accennando di intrecciare le mani, come per pregarlo di scusarla; lui scrollò la testa, mangiò un altro pezzo di panettone e disse a sé:

- Donne, donne, eterni dei, chi v’arriva a indovinar? Ah, che in cattedra costei di malizia può dettar – e lei che nel frattempo lo aveva raggiunto rispose sorridendo rispose nello stesso tono operistico:

- Io sono docile, son ubbidiente, ma se mi toccano dov’è il mio debole sarò una vipera, sarò! E cento trappole prima di cedere, farò giocar! – e per un po’ continuarono a scambiarsi battute, anche per vedere chi era più ferrato nell’opera.

Finito il pranzo mentre tutti gli altri sparecchiavano e ripulivano, il nonno insistette per fare la passeggiata dopo pranzo anziché con il suo nipote, come al solito, con Stefania, ritenuta la sua fidanzata: qualcosa di lei lo aveva colpito.

- Sai io oggi ci sono, domani forse no e prima di andarmene voglio portare con me il ricordo della fidanzata di mio nipote. Ma scusa, tu sei giovane e non vorrai sentire questi discorsi, hai tutta la vita davanti... -

- Signore, quanta vita abbiamo davanti non lo sappiamo. -

- Chiamami pure nonno, in fondo sei la fidanzata di mio nipote. - in realtà per quanto fosse un po’ rimbambito sapeva bene che non era vero, ma a quell’età per cercare la verità non c’era più tempo, meglio illudersi e sognare. - E poi tu hai tutta la vita davanti, credi a me. Scaccia via quella tristezza che hai dentro di te -

- Perché? Io non sono triste. – rispose ostentando quella falsa sicurezza propria di chi è colpito al cuore e non sa come reagire.

- Sai ragazzina, non sono così stupido. In compenso sono vecchio ed ormai ho imparato a vedere le persone per quelle che sono e non per quello che vogliono farci credere. Sei sempre così sorridente, così allegra quando parli, ma c’è qualche attimo quando nessuno di guarda, o almeno così credi che perdi quel volto perfetto. Io non so perché e non lo voglio sapere, ma ti voglio dire una cosa: quando a casa mia pioveva, il tetto non teneva bene e si doveva mettere qua e là alcuni secchi per non bagnare il pavimento. Si doveva stare attenti a non farli riempire troppo e dovevamo svuotarli continuamente, altrimenti sarebbe arrivata una goccia che lo avrebbe fatto traboccare e avrebbe sparso l’acqua per tutto il pavimento. -

- Il fatto è che si spera sempre che possa entrarci un’altra goccia. Uno magari pensa che non pioverà tanto a lungo e quando si va a vuotare il secchio intanto la pioggia bagna il pavimento. Così si cerca di non vuotare mai il secchio per non far bagnare il pavimento. – rispose con affanno.

- Già però se quella goccia arriva non si può più porre rimedio facilmente: dobbiamo vuotare il secchio in tempo; non credi che sia meglio far qualche sforzo in più che non sperare nella provvidenza? Me lo dicevano anche da piccolino: aiutati che Dio t’aiuta! -

E anche per quell’anno passò il Natale.

 

Tre giorni dopo il nostro amico si ritrovò con Luca per salutarlo: partiva per la sua settimana bianca. Questi peraltro era un appassionato di montagna: amava lo sci di fondo e poter fare delle lunghe passeggiate in mezzo alla neve, mentre non amava, anche se non si sottraeva, alle discese. Comunque non passava anno che Luca non andasse a fare la sua settimana bianca e qualche anno c’era andato anche il nostro amico, ma non facevano per lui: aveva paura di farsi male sciando e non senza ragione in quanto da bambino si era rotto una gamba scivolando nel giardino di casa innevato e ghiacciato, da allora preferiva tenersi lontano dalla neve, un po’ come coloro che hanno paura dell’acqua fredda dopo essersi scottati con quella calda. Nel discutere ebbero anche modo di parlare di Stefania e su questo Luca disse:

- Per me quella non ha qualche rotella al posto giusto. Deve avere chissà quanti problemi. In questi ultimi giorni poi è sempre scura in volto, cioè se le parli, come sempre è affabile, gentile, graziosa e simpatica, ma se la vedi in un momento in cui è sola vedi la tristezza. Lo avrai notato anche tu, no? Siete compagni di banco. -

- A me sembra sempre la solita Stefania, con alti e bassi, come tutti. -

- Tu non vedresti una trave in un occhio. Ma non ti sconvolge per nulla quello che fa con Marco? – chiese convinto al che il nostro amico rispose stupito:

- Sconvolgermi? Da quando in qua mi dovrebbe sconvolgere il fatto che una ragazza fa quello che fa con il suo ragazzo? Tu sai bene che io ho a questo proposito una mentalità piuttosto aperta. -

- Sì, lo so. – poi lo fissò dritto negli occhi: si chiese se fosse possibile che non sapesse, ma visto il suo sguardo stranito da questi misteri, se ne convinse ed aggiunse - Temo che tu non sappia l’ultima nuova - e quindi gli fu bisgliata la Notizia di quei giorni.

- Perbacco! Non si conosce mai abbastanza bene una persona. Del resto io non e conoscevo questo aspetto… -

- Mi sorprende vedere quale immensa stima tu ne abbia. Pensa che io, che quasi non la conosco, prima di pensare che sia una troia le concedevo la possibilità di avere qualche problema psicologico. -

- Ma io continuo a stimarla come prima da un punto di vista intellettuale: generalmente questo lato si distingue da quello sessuale. E anche da questo punto di vista non la considero una troia: perché dovrei? Tu lo sai che io combatto contro i luoghi comuni. Poi perché si deve sempre andare a cercare questi maledetti problemi psicologici: forse tutte quelle che lo fanno sono pervertite? Sarebbero parecchie. E poi che vuol dire pervertito? Non è mica così facile. Hai mai letto Freud? Lui fa l’esempio del baciarsi sulla bocca, intensamente per così dire, che è una simulazione di un rapporto sessuale, ovvero la ricerca di un piacere attraverso vie che non sono quelle solite, ma non la si considera una perversione. Perché? Perché lo fanno tutti? Non è un buon motivo: c’è sempre una verità e quindi qualcosa o lo è sempre o non lo è mai. Io non credo che il bacio sia un atto da pervertiti, ma questo automaticamente deve far riflettere su tutto quanto provoca piacere fisico e non è dovuto ad un “normale” rapporto sessuale. Non dico che non esistano perversioni, ma bisogna essere attenti ad usare questa parola. Non è così semplice... - dopo un po’ si dovettero salutare, Luca stava facendo tardi. Il nostro amico dopo aver sbrigato altri affari in centro, andò verso la fermata dell’autobus per tornare a casa: a dispetto di quel che aveva detto era rimasto un po’ di sconvolto nell’apprendere questo lato di Stefania principalmente perché si rendeva conto di non conoscere mai abbastanza bene una persona.

Riprese l’autobus e ritrovò ancora Eugenio con cui discusse fino alla fermata di casa sua, il capolinea. Qui, come ho già avuto modo di spiegare a certe ore del giorno gli autisti si danno il cambio. Quando i due si salutarono il nostro amico chiese:

- Domattina ci ritrovo te? -

- No, almeno non come autista. Vado in pensione, può darsi che mi trovi in giro, mi sono già preparato un programma per i prossimi giorni: ci sono tante cose che volevo fare da tempo. Questo capolinea come tutti è una fine ed un inizio, anche se un giorno non farò in tempo ad arrivarci... Mi sembri rimasto piuttosto impressionato, posso capirti: anch’io lo sono nel guardare questi autobus che se ne vanno e d’ora in poi sempre senza di me. -

- Quella di adesso era quindi la tua ultima corsa? - chiese sconvolto, come quando la risposta che viene data ad una domanda retorica non è quella attesa: d’altra parte ciò che spaventa molto l’uomo del futuro è proprio che non sia come lo immagina.

- Non era detto, poteva anche accadere che Alberto - l’autista con cui si era dato il cambio - non fosse arrivato o mi aspettasse ad un’altra fermata. Di preciso non lo sapevo quale sarebbe stata l’ultima corsa, come nella vita, potevo solo avere un sospetto. -

- Adesso quando avrò i nervi a pezzi non troverò più te in autobus con cui sfogarmi. -

- Tanto tra poco avresti preso la patente e avresti viaggiato in auto. - quindi si salutarono e dall’allora, per quanto sembri strano, non si rividero mai più: non perché Eugenio fosse morto poco tempo dopo, visse per quasi altri dieci anni e li passò in campagna, lontano dal caos e dai ricordi della sua città.

Il nostro amico sentì un brivido, pensò per il freddo, ma forse per la paura della morte che traspirava da quelle parole ed era anche giusto in quanto per lui rappresentava ancora la brusca interruzione di un progetto e non la sua giusta conclusione. E poi non c’era solo la morte fisica, ma comunque quello separava in un certo qual modo la fine di una fase della vita ed un nuovo inizio. Nell’arrivare a casa si accorse di non avere le chiavi, come aveva potuto dimenticarle? Comunque poco male suo padre sarebbe tornato dal lavoro tra pochi minuti. Nel frattempo si mise a sedere su una panchina del giardino e gli cadde l’occhio, com’era facile, sull’erba.

- Filo d’erba così sottile e gracile, sempre esposto alle intemperie di questo gelido dicembre, sempre pronto ad essere estirpato da un calcio o da un brusco movimento di un uomo, perché esisti? Di te non gliene importa nulla a nessuno, anche il giardiniere pensa all’erba, alla bellezza del giardino e sarebbe pronto oggi ad aiutarti a vivere domani ad ucciderti a seconda della convenienza. Ma tu non esisti solo perché esiste l’erba. Per te non esiste la morte, non sai che in ogni istante potrebbe finire la tua vita e non turberebbe nessuno: il giardino sarebbe bello ugualmente, ma tu neppure sai che esiste. Perché esisti, filo d’erba? Perché sei in questo mondo crudele che ti sfrutta finché gli fai comodo: non pensare di essere fortunato a vivere qui, anziché perso in un bosco, solo perché d’estate ti diamo l’acqua: non è per te, ma per il giardino... - quindi vide arrivare suo padre.

- Ma cosa stai facendo? -

- Oh, nulla babbo. Mi sono chiuso fuori e ti stavo aspettando. -

- Con molta tranquillità mi sembra: pensa in che io in genere quando mi chiudevo fuori casa, ero arrabbiato nero. Comunque ormai non ci faccio più caso: ad ognuno le sue croci. Comunque non potevi riflettere sulle scale, almeno non stavi a questo freddo. – e nel raggiungere il portone d’ingresso calpestò il filo d’erba, assieme ad altri: un gesto certamente involontario, in fondo per lui quello era solo un gracile stelo d’erba senza alcuna importanza, come ve n’erano tanti altri: così si vive e si muore nel giardino!

- In effetti sì... vedrò di ricordarmene per la prossima volta. Eugenio va in pensione? – rispose il nostro amico che pure non si era accorto della morte di quello speciale confidente.

- Almeno adesso potrà dedicarsi al suo hobby preferito a tempo pieno. Diceva sempre di non aver mai un attimo per poter andare a pescare. – proseguiva quella amabile conversazione, ma chi piange quel filo d’erba?

Passa un giorno, passa un altro giorno si arrivò al giorno che sembra avere come solo motivo di esistenza la sua fine: l’ultimo dell’anno. Una fine ed un nuovo inizio per gran parte dell’umanità, con la sola eccezione di chi moriva aspettando l’anno nuovo. In genere si fa sempre una festa, prima per attendere il nuovo anno, poi per salutarlo: il nostro amico si chiedeva sempre se gli uomini erano consapevoli che salutando il vecchio per il nuovo, diventavano più vecchi e non più giovani. Si poteva anche dire di aver vissuto un giorno di più e di essersi avvicinati di un anno alla morte, ma tutti preferivano il contrario: naturalmente sono vere entrambe, ma l’uomo nello scegliere tra due verità, una triste e l’altra meno, sceglie la seconda e dimentica la prima. Cos’altro dovrebbe fare? Il nostro amico, ormai da un paio d’anni, si divertiva ad organizzare il veglione del quartiere ed era tutt’altro che una festa per vecchietti. Quella sera fu comunque in parte rovinata dal freddo: in effetti nevicava, ma il forte vento quasi non la faceva toccare terra. Così già verso le due e mezzo tutto era finito, con molto, troppo anticipo. Non tutte le ciambelle riescono con il buco, pensò il nostro amico osservando quel cielo scuro. Se ne erano già andati tutti: era rimasto solo lui: gli altri partirono tutti in auto, mentre al nostro amico piaceva fare due passi, sotto il gelo dell’inverno. Si trovava sul bordo di una lunga strada dritta, di cui non si vedeva la fine quando vide in lontananza una figura familiare; sgranò gli occhi e disse a sé:

- Possibile che sia lei? - In effetti era proprio Stefania. Ma cosa ci faceva lì a quell’ora? Doveva aver litigato con Marco, non v’era altra spiegazione per cui potesse camminare sotto questa bufera a quest’ora di notte, pensava. Le andò incontro e chiese impaurito - Cosa fai qui? -

- Sto tornando a casa. – rispose frettolosamente schivando il nostro amico che le stava andando incontro. Questi la prese risoluto per un braccio esclamando:

- A casa? Tua? Sei impazzita? – intanto quella provò a liberarsi così lui puntualizzò perentorio – Non ti lascio andar via così! Non puoi tornare a piedi! Casa tua sarà a venti chilometri da qui, non ti basteranno tre ore con questo tempo... -

- Tu hai un passaggio da offrirmi?  - domandò ironica ed arrabbiata. Ancor più furibonda cercò di liberarsi dalla presa, gridando - Ho provato a chiamare un taxi, ma è sempre occupato. In questo mondo sono tutti occupati! – urlò e svincolandosi dal nostro amico con uno strattone molto deciso. Corse per pochi metri, poi si fermò, calmandosi aggiunse - Poi mi sono arrabbiata e ho rotto il cellulare. –

- Beh, magari adesso un taxi lo troviamo altrimenti butto giù dal letto i miei… Potremmo cercare un telefono pubblico utilizzabile, non quello che c’è qui dietro l’angolo, lo hanno rotto giusto stasera. Vicino a casa mia ce n’è uno. Quello con un po’ di fortuna funziona, altrimenti c’è sempre quello di casa mia. - Stefania ebbe un leggero attacco di tosse. - Tu stai male, ti verrà una bella influenza. Ma da quanto stai camminando? -

- Non lo so, non credo che fosse stata mezzanotte perché ad un certo momento ho visto tutti i fuochi d’artificio sopra la città. Loro brillavano e scoppiettavano alti nel cielo, riempendolo di luci e colori, come dei messaggeri di gioia… che non mi hanno raggiunto. Sai, i messaggi arrivano solo a chi li vuol ricevere. Adesso che ore sono? -

Le disse che erano quasi tre ore che stava camminando sotto la neve e si accorse che non era proprio in grado di arrivare fino a quel telefono, almeno adesso. Così la portò nel locale in cui c’era stata la festa, oramai deserto ed anche piuttosto gelido: il riscaldamento era stato spento e non lo si poteva riaccendere, ma per fortuna il caminetto era ancora un po’ acceso. Non ci volle molto per ravvivare il fuoco, con tutte le cartacce che c’erano in giro. Poi cercò anche di arrangiarsi con qualcosa e preparò una sottospecie di tè.

- Ma dove stavi andando? -

- Girovagavo per strade buie e solitarie spiando la realtà in quelle rare ombre che incontravo... Non lo so dove andavo, meno male comunque che ho incontrato te. Sono proprio distrutta. -

- Avresti incontrato qualcun altro... Tu stai tremando, ti sta venendo la febbre. -

- No, non è la febbre. Mi piacerebbe poter essere ammalata, poter stare in un grande letto sotto tante coperte, sognando di essere coccolata come quando ero bambina. Non ti preoccupare non sto male, penso di poter arrivare a quel telefono. - il nostro amico che non si era mai fidato troppo degli altri le mise una mano sulla fronte.

- Beh, di’ quel che ti pare, ma tu hai la febbre: bruci come un termosifone... - non sapeva cosa fare: erano in un luogo isolato e non voleva lasciarla sola per andare a cercare qualcuno, tuttavia non poteva neppure portarla con sé. Che fare? Era piuttosto disperato quando Stefania disse qualcosa che lo fece sorridere:

- Marco mi ha lasciata, sai. -

- Avevo un vago sospetto - rispose ironico, anche se non era quello il momento adatto per ridere. –

- Ero con lui ad una festa, cioè io non ero proprio alla festa... insomma abbiamo litigato, si era stufato di me: dei miei sì che diventavano no... - diventò più lucida e aggiunse - Sai lo capisco: il nostro era, almeno finora, un rapporto basata solo sull’attrazione fisica. Era abbastanza chiaro per entrambi e se manca proprio quello non è più nulla... - dal suo occhio destro uscì una lacrima - Sono triste per qualcosa che vorrei fare e non posso fare: è un qualcosa che proprio non sopporto. -

- Stai un po’ meglio? Pensi di poter camminare un po’ - forse c’erano frasi più appropriate, ma al nostro amico non vennero proprio in mente: non sapeva cosa dirle. Comunque uscirono e si incamminarono lentamente verso la casa del nostro amico.

- Mi consideri un po’ puttana anche tu vero? Con quello che ho fatto e ho detto. -

- No, sinceramente no. Non per quello che hai fatto e non capisco proprio cosa hai detto di male: dire di stare con un ragazzo per un impulso sessuale non significa essere in quel modo, ma soltanto dire la verità. Sono gli altri che mentono: a quest’età, almeno all’inizio ogni rapporto è basato principalmente su un desiderio sessuale. Cioè forse il rapporto in sé, ma il motivo primo per cui si è creato: voglio dire tra due può esserci un desiderio e questo magari rimane latente per un periodo anche lungo, per motivo ad esempio di carattere... Non mi sembri molto in vena per discussioni di etica... piuttosto perché non sei scappata verso casa tua, non eri così lontana: in un paio d’ore arrivavi -

- Sì, è vero. Ecco... il fatto è che... - forse stava cercando una scusa, ma non la trovò e d’improvviso gridò - Voglio morire! Non ne posso più di questo mondo di merda!... - corse in mezzo alla strada, lì le auto passavano piuttosto veloci e non avrebbero fatto in tempo a fermarsi, ma in quel momento non passava nessuno. Il nostro amico per qualche istante restò paralizzato, poi corse verso l’amica e la trascinò, non senza prendere qualche calcio, sul bordo della strada. - Lasciami, bastardo! Lasciami! Tu non lo sai cosa sia per me la vita: tu non sai cosa significhi per me vivere! È un inferno continuo - intanto la rabbia stava svanendo lasciando il posto ad un lungo pianto - tu non lo sai da bambina io sognavo, capisci sognavo, di poter incontrare il giorno dopo i miei genitori: non c’erano quasi mai, c’erano sempre quelle odiose bambinaie, cioè loro non erano cattive, ma io volevo i miei genitori... che male c’è? Perché non c’erano mai,... non ci sono mai stati... Studiavo sempre tanto loro ci tenevano che io andassi bene a scuola... cercavo di farli felici... litigavano spesso io non lo sopportavo, credevo fosse colpa mia. Sai qualche volta mi capitava di conoscere i loro amanti, mi dicevano che erano zii... Non capivo come mai avevo tanti zii e una volta, a pranzo, lo chiesi a mio padre. Si misero a litigare, io mi misi a piangere e me ne andai, come sempre in camera mia: era terribile sentirsi colpevoli senza capirne il motivo... Quando avevo otto anni caddi dalla bicicletta e mi dovettero dare qualche punto qui sul sopracciglio. Ero da Emma, una mia amica, e mi portò all’ospedale sua madre: mia madre era in Germania, comunque tornò subito a casa, come mio padre che arrivò subito, dopo tre ore.... anche i miei nonni stavano in un’altra città... io avevo paura, sanguinavo, volevo i miei genitori, ma non c’erano... Riuscì a parlare a mio padre, pensa un po’, al telefono... veramente squallido: mi spiegò vagamente cosa mi avrebbero fatto e mi promise che se sarei stata buona mi avrebbe portata con lui nel suo prossimo viaggio. Difatti lo fece e io ero talmente terrorizzata dall’idea di perdere quest’occasione che quasi non piansi, ad ogni punto cercavo di urlare il meno possibile, alla fine chiesi persino al dottore, che sapeva della promessa e si era un po’ affezionato al mio caso, se ero stata abbastanza buona... Beh quando arrivò mio padre credo che quel dottore lo dovettero trattenere: io ero nella stanza accanto ma per quello che sentì gliene disse quante ne aveva alla bocca... - ormai aveva superato la crisi, cercò un fazzoletto per asciugarsi gli occhi e notò che il nostro amico, ancora la stava abbracciando, era piuttosto commosso. - Scusa, ma devo sfogarmi con qualcuno ogni tanto... sono proprio una guastafeste, eh? -

- A cosa servono gli amici se non per dividere la gioia e il dolore... Vivere non è per nulla semplice, vivere da soli poi è impossibile. -

Ripresero a camminare e per un bel po’ restarono in silenzio. Forse dai loro occhi usciva qualche lacrima, ma era difficile capirlo quando gli occhi sono rossi per il freddo e la pelle è bagnata dalla neve. In seguito ripreso a parlare: il nostro amico le raccontò un po’ della sua festa, per sdrammatizzare e alla fine raggiunsero il telefono, per fortuna funzionante. Dopo un bel po’ riuscirono a far venire un taxi.

- Meno male che lo abbiamo trovato. Altrimenti avrei dovuto buttare i miei giù dal letto. Poveracci, sono più delle tre e mezzo -

- Adesso appena arrivo a casa me ne andrò a letto, devo anche avere un po’ di influenza. Ora poi voglio rimanere un po’ sola: ho bisogno di riflettere. Ho passato forse i peggiori giorni della mia vita, tu neppure immagini quello che mi è successo in questi giorni, ma in fondo vivere è bello: lo senti ogni volta che incontri un problema e lo superi. La vita è proprio come il mare: spesso siamo stanchi della sua calma, della sua monotonia, ma quando arriva e passa la bufera che quasi affonda la nave come ci sembra bello quella tranquillità... Mi dovresti fare un favore - chiese infine al nostro amico - non dire nulla di questa sera, non voglio scatenare un putiferio.- il nostro amico le fece un cenno di assenso.

Dopo un po’ arrivò il taxi nel punto in cui avevano stabilito, il capolinea del quattro: Stefania salì e ripartì verso casa sua. Il nostro amico restò per un attimo a guardare la fermata dell’autobus, poi s’incamminò verso casa, guardò l’orologio: un nuovo anno era cominciato da quasi quattro ore, chissà se sarebbe stato diverso dal precedente, chissà se ne avrebbe visto la fine. Come Eugenio anche lui andava da un capolinea ad un altro affrontando ogni volta esperienze nuove e senza sapere quale sarebbe stata l’ultima corsa.


 [AF1]:<<<Curiosità. In questo esatto istante è davvero squillato il telefono>>>

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