Capitolo VIII - Lo scherzo

Ci sono scherzi di tutti i tipi: il limite è dato solo dalla fantasia dell’uomo, ma non tutti sono ugualmente piacevoli e divertenti.

Stefania passò qualche giorno piuttosto brutto: si era presa una bella influenza, dopo essere stata al freddo per quasi una notte tutto sommato era il minimo. Questo ed altro portò i nostri amici a spostare dal tre al cinque il giorno in cui rivedere le loro ricerche per il professore di Matematica con le quali contavano di prendere nove, come in effetti accadde. I due si erano scelti due temi piuttosto interessanti: uno la questione delle rette parallele e del quinto postulato di Euclide, l’altra partendo dalla esame degli assiomi sui numeri reali era finita sulla problema della “verità” della matematica. Si ritrovarono nel primo pomeriggio: c’erano molte cose da fare. Anzitutto il nostro amico le fece gli auguri di compleanno e le dette il regalo:

- Cicerone, “De Amicitia” e Lucrezio “De rerum natura”. Questi non li avevo mai letti. Grazie, li leggerò. - e lo fece davvero. I titoli in genere si traducono con “Sull’amicizia” e “Sulla natura delle cose”. - Ti potrei offrire una fetta di torta: sai stamani ho deciso che qualcuno doveva pur festeggiare il mio compleanno, certe volte per diciotto anni si fanno delle feste immense, così mi sono preparata una torta, pensando poi di mangiarla, ma non mi sono voluta avvelenare più di tanto -

- I tuoi non ci sono? -

- Per fortuna! Il giorno del mio compleanno voglio passarlo serenamente: comunque mi sono arrivati otto telegrammi tra loro, i nonni e altri parenti. Vadano pure al diavolo. Potevano telefonarmi almeno. Meno male che c’è stato un essere vivente che mi ha fatto gli auguri, altrimenti sarei rimasta con quelli che mi ero fatta io davanti allo specchio stamani... - fece una smorfia ed aggiunse - Ma scusami certe volte sono così patetica. -

Quindi passarono  a discutere delle loro ricerche: un colloquio non rilevante ai fini del nostro racconto almeno finché Stefania non disse:

- Sai a proposito di assiomi ho trovato qualcosa di interessante, cercando qua e là in questa enciclopedia multimediale della matematica. Per me è quasi tutto arabo, ma questo cosa mi è sembrata proprio strana.-  Fece comparire nel monitor l’estratto di un articolo nella parte dell’enciclopedia detta “matematica e verità”:

“...si deve anche considerare il ben noto teorema per cui, in brevità, dagli assiomi fondamentali non si possono dedurre tutti i teoremi ‘veri’, nel senso che non saremo in grado di stabilire per un qualche teorema se questo sia vero o falso. Questo è alla base del fatto per cui non può esistere un algoritmo in grado di stabilire se ogni enunciato sia ‘vero’ o ‘falso’…”

Il nostro amico piuttosto spaventato disse:

- L’autore deve aver mal interpretato. Non può essere in questi termini, sarebbe la fine della matematica. Se non ci sono certezze neppure lì, dove sono allora? La matematica è una finzione, un artificio creato ad uso e consumo delle altre scienze ed è basata proprio sulla certezza, partendo da dei postulati di cui non ci si preoccupa di conoscere la verità. Non dev’essere in questi termini. – proseguì sentendo scricchiolare un mondo di certezze.

- Sai io pensavo che dall’interno di un sistema non si può mai conoscere tutta la verità di quel sistema. Per esempio noi siamo parte dell’universo e non possiamo sapere perché esiste l’universo, quindi potrebbe essere così anche per la matematica. -

- Qui non si tratta di conoscere tutta la matematica, si tratta di essere ingannati dalla matematica e se vale per la matematica, varrà anche per tutto il resto: non può essere così, abbiamo mal interpretato. Esiste una verità e noi, forse con alti e bassi, forse in modo asintotico, ci stiamo avvicinando e all’infinito sapremo qual è. -

- Questo è quasi come credere in Dio. Io dubito che la scienza possa tanto e sicuramente non potremo mai sapere perché esiste l’universo. Ci sarà una verità, ma l’uomo non può neppure avvicinarla. -

- Io credo che possiamo avvicinarla, ma non raggiungerla in un tempo finito. Sull’universo ci sono tante cose che non possiamo capire: se non esiste nulla al suo esterno dovremmo capire perché non può esistere l’insieme di tutti i possibili insiemi, se esiste è anche peggio. –

- Appunto, ci sono domande a cui non si può rispondere dall’interno del sistema, ci hanno fatto un sacco di storie: quella dell’abitante di Rodi che afferma che a Rodi tutti sono bugiardi: non si può concludere nulla finché non andrà a Rodi qualcuno che non è di Rodi o come quella del barbiere che fa la barba a tutti quelli che non la fanno da soli: questo barbiere non deve avere la barba e quindi non far parte del sistema. -

Discussero di tali amenità per un altro po’, come accadeva piuttosto spesso quando si ritrovavano in queste occasioni. Verso le sei il nostro amico disse, tendendo anche conto del fatto che era sabato:

- Mi sa che io dovrò andare. Stasera ho un bel programmino: vado al biliardo e ci sto tutta la sera: domani c’è la sfida finale tra me e Giovanni e lo devo distruggere. Quindi devo ripassarmi alcuni tiri. E il sabato sera è il momento ideale: c’è una tale confusione che se si riesce a mantenere la concentrazione in questi casi, non si corrono rischi. Ho scoperto di non avere abbastanza calma in certe situazioni. Tanto qui abbiamo finito, no? -

- Sì, mi pare proprio di sì. Bene, allora ci vediamo lunedì? -

- Potremmo sempre morire prima o anche vederci prima. A parte ciò pensò di sì. Tu stasera non esci? Ormai mi sembra che sei guarita... Non mi vorrai far credere che ancora ti dispiace per quello che è successo. Mica puoi restare in clausura per tutto il resto della tua vita. No? -

- Sì, avresti teoricamente ragione. Ma con chi esco? -

- Scherzi, conosci un mare di gente. Hai conosciuto molte più persone tu in tre mesi che io in una vita. Non mi pare che tu abbia di questi problemi: prendi il telefono chiami qualcuna delle tue amiche ed esci con loro... - vide che non aveva un’espressione molto felice. - Capisco ti vergogni per le voci che ci sono in giro su di te. Non posso certo dirti di lasciar correre e neppure di smentire: sarebbe patetico, ormai lo sanno tutti. Io me ne fregherei comunque. Non credo sia giusto giudicare solo una persona dal solo punto di vista sessuale, almeno finché non si oltrepassano certi limiti. Poi ne abbiamo già parlato, no? -

- In questo mare di gente che mi circonda c’è almeno una persona che non mi considera una puttana. Mi fa piacere. Anche se probabilmente non sei l’unico e sono io che mi sto un po’ fasciando la testa: tutto quel bisbigliare, quelle risatine, quelle vaghe allusioni proprio non riesco a sopportarle anche se non saranno certo riferite tutte a me, forse quasi nessuna. Forse mi sono creata un problema che non esiste, ma comunque per adesso preferisco restare un po’ fuori dalla mischia... Starò tutta la sera davanti alla televisione a guardare quei terribili film. -

- Davvero, non fanno più un film che si possa chiamare così. - rispose cercando di andarsene, ma non fece in tempo.

- No, non mi lasci sola! Mi sono stufata di stare chiusa qui dentro, voglio divertirmi... - poi assunse un’aria più triste - Ma perché non sei ragazza! Almeno avresti potuto dirmi, ‘Vieni con me’ e non ci sarebbero stati fraintendimenti. Invece sei un ragazzo e capisco che sia una vera e propria violenza chiederti di uscire con me, senza pensare al sesso... - poi con un certo piglio -  ma non frega nulla. Ceniamo per conto nostro e ci troviamo da qualche parte verso le nove. Dove? -

- Ma forse non è chiaro che io voglio giocare a biliardo. Tu cosa sai del biliardo? -

- Non cercare scuse: è colpa tua: sei stato tu a dirmi che uscivi! Se non mi dicevi nulla, mi sarei rassegnata a stare qui. Ma adesso non ne ho alcuna voglia e non sperare di farmi cambiare idea. -

- Ma non volevi tenerti fuori dalla mischia? Il biliardo in cui gioco è affollatissimo. -

- Il biliardo sotto casa tua? Dubito di trovarci persone di mia conoscenza e sai come si dice chi non ti conosce non è un tuo nemico... Allora ho vinto? -

- Ma guarda un po’ che mi doveva capitare: a un poveraccio che non vorrebbe altro che la sua partitina di biliardo...Sì, hai vinto. Con voi donne è valida davvero la famosa frase: “vi avevo mandato a combattere contro la flotta inglese non contra los vientos y la mar” –

- Filippo II, vero? - disse Stefania esultante. La frase fu pronunciata dal citato re di Spagna al comandante della sua flotta, detta “Invincibile Armata”, sconfitta da quella inglese, anche a causa delle avverse condizioni del tempo. I nostri amici stavano studiando proprio in quei giorni quella parte di storia. Così quella sera il nostro amico più che studiare nuovi tiri e nuove posizioni si trovò costretto ad insegnare ad una ragazza come si gioca a biliardo. Comunque si divertirono.

Il giorno seguente il nostro si dovette alzare piuttosto presto: quella domenica andava con tutta la famiglia a trovare lo zio in campagna: era la festa dell’Epifania e come vuole la tradizione se il Natale veniva celebrato a casa del nostro amico, questa festa sarebbe stata  dallo zio, il fratello del padre. Naturalmente non mancò per i cuginetti la solita calza con vari dolciumi più recenti e le caratteristiche noci e i pezzi di carbone che il nostro amico, scambiandolo per carbone finto, fatto con lo zucchero, ebbe anche il piacere di assaggiare nell’ilarità generale. Dopo il pranzo dovette aiutare il padre e lo zio a fare qualche lavoretto. In conclusione trascorse una noiosissima domenica con risvolti per adesso neppure immaginabili... Comunque arrivata la sera riuscì a scappar via: c’era un tavolo di biliardo che lo aspettava e per nulla al mondo vi avrebbe rinunciato.

Alle nove come stabilito il nostro amico e Giovanni si ritrovarono per la loro sfida annuale del 6 Gennaio, questa era la quinta volta ed erano anche due pari. Giocavano dalle nove alle undici e vinceva chi aveva totalizzato un maggior numero di punti, senza mai ricominciare. Questo richiedeva non poca strategia in quanto si doveva essere attenti a non concedere nulla e quindi anche molta concentrazione. Inoltre si doveva anche fare molta attenzione all’ora: all’inizio poteva essere conveniente concedere qualcosa per un vantaggio a lungo termine, alla fine ovviamente si doveva cercare di totalizzare il massimo subito. Quella sera la partita fu, al contrario delle previsioni che ritenevano il nostro amico molto più bravo dopo i notevoli miglioramenti dell’ultimo anno, molto equilibrata. Un minuto prima delle undici Giovanni fece il suo ultimo tiro totalizzando venticinque punti e poiché erano pari il nostro amico doveva segnare almeno lo stesso punteggio, ma sbagliò: un errore perdonabile considerata la difficoltà dell’esecuzione, ma tra i presenti in molti erano convinti che ci sarebbe riuscito.

Poco dopo, fuori dal biliardo il nostro amico spiegò a Giovanni una delle ragioni di quell’errore: aver trascorso la serata precedente anziché a studiare nuovi tiri ad insegnare a Stefania qualche rudimento sul biliardo.

- È uscita con te e l’hai portata ha giocare a biliardo. Ma è squallido! Non potevi andare al cinema, a teatro, insomma qualsiasi altra cosa. Poverina, poi tu non sapresti insegnare a nuotare ad un pesce... Tuttavia complimenti: finalmente hai fatto centro! -

- No, ma che hai capito! È uscita con me per disperazione! Comunque non si è affatto annoiata, non capisco come mai il biliardo deve essere così noioso. Se non lo è per noi, potrebbe anche non esserlo per lei. -

- Doveva essere proprio disperata. O è innamorata o è sull’orlo del suicidio, non ci sono altre possibili spiegazioni. In effetti anch’io sono più propenso per la seconda ipotesi, mi sembra più credibile, tutto sommato. - concluse scherzando. Continuarono a parlottare per un po’ finché non giunsero ad un tema in cui il nostro amico si accese particolarmente: quello della vendetta e del farsi giustizia da soli.

- Non si può mai e poi mai rispondere ad un crimine con un altro. E la vendetta personale è un delitto ancora più grave. Se tu subisci un danno qualunque dev’essere l’intera comunità a punire il colpevole per due motivi: si dovrebbe capire che è un torto che subisce l’intera comunità. Altrimenti si creano questi comportamenti deviati, inclini alla violenza... -

- Ma questo in linea di principio. Questa è la perfezione a cui si dovrebbe tendere, per adesso dobbiamo vivere in questo mondo. Si deve anche saper ricorrere a queste regole pratiche, non si possono solo seguire i principi. -

- Questo è gravissimo: - rispose infuriato - sapere cos’è giusto e affermare che non si può proprio applicare in questo momento. Un principio corretto non ammette deroghe. Non si può dire: non è giusto uccidere, ma poiché questo ha ucciso, allora lo possiamo anche ammazzare in fondo a cominciato lui per primo. Mica siamo all’asilo! -

- Ecco invece il punto è proprio questo: siamo all’asilo. -

- E cos’è l’asilo? Forse una terra di nessuno? Un luogo in cui sono sospese tutte le regole? Se un bambino subisce un torto, non deve personalmente rifarsi del torto perché così avrà l’impressione che il rispetto non è qualcosa che ti deve essere dato per il solo fatto di esistere, ma qualcosa che devi conquistarti, giorno dopo giorno, in un mondo in cui tutti sono disposti a salirti sulla testa pur di avanzare verso l’alto. - disse molto più calmo

- Non mi sembra che sia molto meglio. Non mi vorrai far credere che se questo mondo fa schifo è perché ho detto a mio nipote di restituire lo schiaffo che gli aveva dato un altro bambino. -

- Forse perché tutti gli zii hanno sempre detto questo ai loro nipoti... - e continuarono a litigare per un altro po’: era in fondo l’eterno problema per cui tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare.

Prima di addormentarsi il nostro amico non lesse nulla quella sera, si mise a riflettere sulla realtà e sull’apparenza. Certamente non poteva sapere cosa fosse la prima, mentre conosceva, come tutti, benissimo la seconda: era sufficiente aprire gli occhi ed ecco l’apparenza di quella cosa, di quella persona. Questa in sé non era malvagia, per fortuna, ciò che riteneva negativo era confonderla con la realtà a cui spesso era mischiata: sarebbe bello poterle separare. Purtroppo non lo pensava possibile: vedendo un albero si deve poter dire “Un albero”, non “Ecco quello che sembrerebbe un albero, ma potrebbe anche non esserlo”. Vivere, ecco qualcosa di cui si ha bisogno e per ciò si deve considerare la prima ipotesi, pur  sbagliata, anche se sarebbe bello di tanto in tanto ricordarsi di questo errore che continuamente compiamo per cercare di superare il minimo di apparenza che in genere è sufficiente per vivere: l’apparenza è una brutta copia della realtà, ma è anche l’unica, almeno finché consideriamo degli alberi ed allora può valer la pena perdere qualche momento per curare questa copia: alla fine forse sarà un po’ meno brutta. Poi esistono gli uomini, esseri con cui possiamo comunicare. Fintantoché non comunichiamo, saranno come degli alberi, poi potremo avvicinare la realtà, quella che nessuna scultura, nessun quadro, nessuna foto può rappresentare in quanto non è rappresentabile, ma allora insorge un problema di comunicazione... si addormentò. Quella sera non stava per nulla bene, aveva un forte mal di testa e trascorse una notte piuttosto sconquassata: gli effetti della domenica campestre cominciavano a manifestarsi...

Il martedì seguente nell’abitazione del nostro amico si udivano dei rumori piuttosto inequivocabili: due persone stavano litigando con una buona dose di ferocia. Strano, pensavano i vicini, in genere sono una famiglia così pacifica, ma senza dubbio anche al più calmo e paziente dei ragazzi salterebbero i nervi in una tale circostanza.

- Non sperare di farmi cambiare idea! Non ho alcuna intenzione di cedere e poi conosco i miei diritti. Se non voglio vederla, penso di avere tutto il diritto di non vederla, non credi? Ma poi per cosa! Per cosa devo vederla, non c’è nessun motivo valido atto a giustificare tanto. Ti avevo detto che non volevo vedere nessuno! - gridava il nostro amico nei confronti della madre.

- Basta! - gli urlò, poi con più calma - Anzitutto, come hai sempre detto, perché usare un tono selvaggio e primitivo quando se ne può fare sempre a meno? Quindi io ti parlerò con la massima tranquillità: per primo fino a ieri ti lamentavi come non mai, dicevi di non sapere come fare e che si doveva trovare una soluzione; per secondo tu non hai mai detto di non voler vedere nessuno ed infatti proprio ieri hai visto quel tuo amico... Luca, no?; per terzo sempre ieri hai passato al telefono quasi un’ora e mezzo e tu hai sempre detto che è uno spreco usare il telefono quando è molto meglio parlarsi di persona ed per ultimo, ma non per importanza - e qui fece un sorriso molto ironico - io non ho affatto insistito, anzi le ho detto che probabilmente non era il caso e mi ha risposto che tu non sei un tipo da preoccuparti dell’aspetto e poi non le sembrava giusto non venirti a trovare poiché tu la sia andata a trovare quando era convalescente. -

- Ma era convalescente dall’influenza, non da questa maledetta... schifosa... malattia del cazzo!! - esclamò piuttosto furioso. Già perché dalla campagna si doveva esser portato dietro un non meglio precisato germe, o forse era qualche strana allergia: di fatto si era riempito la faccia e non solo quella di puntini rossi. Quindi non aveva certamente un aspetto gradevole e probabilmente questo ultimo lato più degli altri induceva nel nostro amico un comportamento diverso dal solito. In fondo si sa che quando stiamo male, non siamo più noi stessi. In genere il nostro amico evitava il resto del mondo, ma in questo caso la situazione era particolarmente delicata in quanto era quasi finito il quadrimestre e gli mancavano ancora i voti di Matematica, Fisica, Filosofia, Italiano,  Inglese e soprattutto Chimica con il terribile professor Giacomo Rosati. Poiché in questa parte della chimica non mancavano grafici e formule Stefania pensò di andare a trovare personalmente il nostro amico, convinta che non lo avrebbe imbarazzato: dopotutto le aveva detto una volta “...capisco se il rapporto tra i due è anche o solo fisico, ma negli altri casi che importanza può avere se stai parlando con qualcuno che ha uno, due o tre braccia...”, ma non pensava al fatto che adesso stava male e, come tutti, non ragionava allo stesso modo di quando era in salute. Tutto il qui pro quo era stato scatenato dal fatto che Stefania aveva telefonato e aveva parlato con la madre, poiché il nostro amico dormiva e la ragazza non lo fece chiamare.

- Più o meno è la stessa cosa, anzi con l’influenza si può anche stare molto peggio! - replicò la madre

- Mamma, - scongiurava il nostro amico - ma non puoi dirgli che sto malissimo e non sono in grado di vedere nessuno... - ma lei lo guardò piuttosto male - No, eh? Ma Stefania non è come i miei amici: non avrà il coraggio di guardarmi in faccia, eviterà il mio sguardo, conosci no le ragazze?: come si può sopportare una situazione simile? Finirò per trattarla male e mi dispiacerà. -

- Non mi posso inventare che stai male. Se sapevo che ti sarebbe dispiaciuto tanto, non l’avrei mai fatta venire. Ma anche tu figliolo dovresti deciderti: tutte le altre volte che ti è successo non te ne è mai importato nulla! Io non ci sono nella tua testa. - dura realtà!

Verso le quattro arrivò con un leggero ritardo il problema, ovvero Stefania. Comunque non accadde nulla di particolare: parlarono di chimica, ma anche di cosa era accaduto in quei giorni e di varie altre sciocchezze e lei che trovò il nostro amico in uno stato molto migliore di quello che immaginava si comportava come sempre. Già da una distanza di tre metri non si notava assolutamente nulla: ci sono della malattie, pensò, molto peggiori. A questo proposito disse:

- Sai, io proprio non sono come te: mi ricordo che quando mi ammalai di varicella, non potevo vedermi, non volevo che mi vedesse nessuno: stavo tutto il giorno sotto le coperte, con la faccia sotto le coperte ed ogni volta che veniva il dottore per visitarmi diventavo nevrotica. Certo che la varicella ti riduce molto peggio e poi forse per noi donne è diverso. Sai la presi proprio per bene, mi ero ridotta proprio male e certo non potevo stare a casa per tutto il tempo necessario a far scomparire perfettamente i segni della malattia... Comunque non ti dico che mi ci volle un bel po’ di coraggio per tornare a scuola, con la faccia un po’ deturpata, non molto: poco meglio di te adesso. Mi lasciarono sola tutti quanti o quasi, eppure io stavo bene: ero bruttina, ma era qualcosa di momentaneo, sarebbe passato. Fu abbastanza terribile, anche se ne avevo passate di peggiori: senz’altro fu un modo per contare gli amici veri... Tuttavia ne avevo passate di peggiori e passò anche quella e senz’altro mi sarei dimenticata di tutto se non fosse stato per questi - disse prendendo un ciuffo di capelli - Sì, proprio i capelli. Una mattina infatti mi ritrovai come al solito allo specchio per pettinarmi e... - sorrise - mi misi a discutere con il pettine... - e proseguì raccontando il suo monologo che riportiamo direttamente:

“- Strano, in tutti questi anni non mi sono mai chiesta perché mi pettino. È vero che è un’azione riflessa, ma io so perché cammino e perché parlo. So perché mi vesto, ma perché mi pettino? Per essere più bella, per poter essere più soddisfatta di me stessa quando mi guardo allo specchio. Forse mi piace davvero essere ben pettinata, però se non ci fossi tu - riferito allo specchio - non saprei neppure di dovermi pettinare, non saprei qual è il mio volto. Eppure ciò che l’uomo ha sempre ricercato è l’immagine di se stesso, gli animali non lo fanno, una differenza a cui è difficile fare caso. E non può che essere così, l’uomo è attratto da tutto ciò che non conosce e guardando i suoi simili si sarà chiesto com’era lui medesimo. Fino a quel momento non c’erano problemi di pettinatura... Si sarà cominciato per essere più piacevoli agli altri finché non si è capito che la bellezza non è qualcosa di soggettivo, ma un dato intrinseco oggettivo anche se nessuno su questo mondo potrà mai dire se qualcosa o qualcuno è bello o quanto è bello, perché nessuno sa dare giudizi totalmente obbiettivi. Comunque ci pettiniamo per essere più belli, secondo quell’idea di bellezza che nessun uomo riuscirà mai a contemplare. In genere questo ci fa stare meglio con noi stessi ed anche con gli altri. Certo se dovessi pettinarmi per gli altri oggi non lo farei senz’altro: non voglio e non posso certo correre dietro a qualche ragazzo, devo solo andare a scuola, in mezzo a quei bastardi, e questo non richiede un particolare aspetto. Cosa importa se sono pettinata o meno. Eppure se uscirò spettinata non passerò certo inosservata, ci saranno tutta una serie di risatine, di brusii, qualche mia amica mi farà notare che ho qualche capello fuori posto, ma perché? Ma cosa gliene frega? Se io non mi voglio pettinare non Lo faccio, non ho nessun obbligo, neppure morale. Agli altri del mio aspetto non deve importagliene nulla, altrimenti sarò giudicata prima per quello, poi per quello che sono davvero. Pettinarsi non è come vestirsi, lavarsi, camminare o parlare, viviamo anche senza e non avremo mai nessun problema né fisico né psicologico se nessuno ci dicesse nulla. Questa è una schifosa, vergognosa concessione che si deve fare per essere accettati da questo mondo ed io non ho intenzione di concedere nulla ai quei porci! Tanto mi danno della pazza, almeno darò loro ragione. - e spaccò il pettine. - tanto non cambieranno mai idea a seconda della mia pettinatura. -“ Dopo aver raccontato questo Stefania aggiunse - Comunque anche quella mattina alla fine mi pettinai: è qualcosa da cui non si può prescindere. -

- Io non avevo mai riflettuto su questo. È interessante l’idea del pettinarsi come un’imposizione... mi fa riflettere. - poi con tutt’altro tono aggiunse - Beh, comunque hai cambiato presto idea! - osservando che anche quel giorno non aveva un capello fuori posto.

- L’abitudine o  forse mi piace davvero vedermi pettinata o forse mi piace piacere agli altri. Sai penso che in fondo viviamo anche per questo. -

- Già, penso di sì: non ci crederai mai... - stava per dirle che anche lui non sopportava l’idea che lei lo vedesse in quello stato, ma improvvisamente cambiò tono e continuò - ecco, pazzesco: ho finito un altro racconto! Uno dei tanti racconti nascosti in quel libro. Chi lo ha scritto ha fatto proprio un bel lavoro - per fortuna aveva cambiato argomento, forse se ne era accorta. - Tutti i vari paragrafi, le varie righe sono state mischiate. Per fortuna ci sono anche delle pagine piuttosto in ordine e si riesce così a distinguere un racconto dall’altro. - Intanto l’amica si era già messa a leggerlo:

“Insolito Solito

Dove sono? All'improvviso mi trovo in un insolito luogo, non è certo casa mia, ultimo luogo in cui ricordo di essere stato, cioè il luogo in cui dovrei essere. Dunque, riflettiamo, fini­sco il mio lavoro, salgo in macchina e vado a casa mia. Entro nel palazzo dov'è il mio apparta­mento, salgo le scale, arrivo davanti alla porta, suono il campanello, perché non trovo le chiavi, ma mia moglie non era in casa, strano, riesco a trovare le chiavi e apro la porta per entrare in casa mia. Dopo ricordo bene di essermi seduto sul divano per leggere il giornale, che, come al solito, era lì, sul tavolino del salotto e adesso sono qui. Questo luogo è semplicemente stupen­do, arazzi e quadri sulle pareti, grandi finestre illuminano magnificamente questo luogo. Fanta­stico! Da queste finestre si può vedere l'alba dal mare, ecco il sole che sorge proprio adesso, esce velocemente allo scoperto, illuminando un settore sempre maggiore di mare, un tranquillo mare, davvero bello...Come sorge il sole? Ricordo che poco fa, ero a casa mia, il sole era tra­montato da poco. Come sono arrivato qui? È sicuramente passata tutta la notte, se non di più. Ma dove sono, mi devono aver rapito, non c'è altra spiegazione, allora perché non sono abba­vagliato e legato, e perché mi hanno portato in una magnifica villa, anziché in uno di quei lugu­bri e bui anfratti fra i monti e in mezzo ai boschi dove portano solitamente i sequestrati? Forse vogliono parlare di affari con me, anche se non capisco di  quali affari si potrebbe parlare con l'addetto alle pulizie di una scuola. Questo succede solitamente ai pezzi grossi, non alle persone normali come me.  Certo bello, da queste finestre si possono vedere le montagne innevate,...ma dov'è il mare? Ah, eccolo lì nella finestra accanto. Deve esserci un proiettore, è tutta un'illu­sione. Queste enormi finestre distano fra di loro sì e no due metri e sono sulla stessa parete.

Così il nostro povero Luigi va verso la finestra da cui si vede il mare e convinto che non esistesse, tasta il muro per aver conferma che il muro è liscio e quello che vede è solo un'im­magine, invece trovò la maniglia per aprire la finestra. L'apre e vede un tranquillo paesaggio marino, gabbiani volano a destra e a sinistra e all'orizzonte una grande nave, con cinque alberi e tutte le vele spiegate, avanza velocemente in un mare calmissimo. Chiude la finestra e apre quella accanto, ma deve chiuderla subito, infatti fuori infuria una bufera e il nostro Luigi viene investito da una valanga di neve. Riesce comunque a vedere  in volo un elicottero, in difficoltà per il forte vento.

Dunque in una finestra vedo un paesaggio marino dei secoli scorsi, nell'altra un paesaggio montano dei nostri giorni, da una parte tutto è tranquillo, dall'altra niente è tranquillo. Son fini­to in un bel luogo, una stanza, senza neppure una porta. Tutte le pareti sono piene di libri, si di­rebbe di essere in una biblioteca, strano prima nelle pareti mi sembrava ci fossero arazzi e qua­dri, ora ci sono i libri, vediamone qualcuno... ma come tutte pagine bianche? Ma che biblioteca è, piena di libri con le pagine bianche. Ah, non avevo visto quella scritta sul tetto "Raccolta totale dei libri mai scritti". Allora è giusto... Ma dove sono finito. Le finestre? Sparite pure quelle, al suo posto ora c'è una porta, bella grande. Ormai tanto le ho provate tutte.

Così il nostro Luigi apre la porta, si trova  in un luogo buio, in cui si vede in lontananza una piccola luce. Cammina per cercare di raggiungerla, ma non gli riesce. Tutto è buio, là inve­ce tutto era luce, qui tutto è tenebroso ed oscuro, là tutto chiaro ed illuminato. Perché allora inseguire questa lucina? Certo in quella stanza tutto è assurdo, impensabile, qui non posso dire lo stesso, quella luce potrebbe essere una candela, chissà quanto lontana. Magari adesso sto percorrendo un corridoio e un giorno arriverò in un luogo migliore, ma forse peggiore, e me­glio una gallina oggi che un uovo domani, torno indietro.

Così  torna quindi sui suoi passi e ritorna nella stanza precedente. Questa è illuminata, nelle pareti ci sono degli splendidi quadri e meravigliosi arazzi. In quella meraviglia tutto è as­surdo, tutto è strano. All'improvviso si accorge di essere incorporeo, passa attraverso gli og­getti, se vuole, altrimenti può sederci sopra, senza sprofondare, può tenere in mano un libro. Da quando finì in questa stanza, non riuscì mai più a lasciarla, continuando una vita in mezzo all'assurdo, in mezzo ai fatti, agli oggetti più strani, senza mai riveder persona, sentir voce, era tutto insolito, tutto assurdo, tutto inutile, alla fine tutto monotono, tutto come al solito.”

- Ma che sono tutti così! - disse Stefania ridendo. - Chi li ha scritti aveva qualche rotella fuori posto. -

- Era un pazzo? Può darsi. Io ormai mi sono fatto una mia idea della follia. - quindi le espose la sua idea a questo proposito che noi già ben conosciamo. Dopo un po’ cambiò discorso dicendo: - È proprio un difetto che non perderò mai: finisco sempre col parlare di queste cazzate. -

- E di cosa dovresti parlare? Si parla di ciò che ci piace, di ciò che si conosce. Tanto non potrai mai conoscere tutto, dovrai contentarti. È vero che spesso gli altri non sono affatto interessate a ciò e spesso non sanno nulla di tutto ciò, ma il parlare è comunicare, rendere qualcosa comune ed io non mi annoio affatto. Sai, tu spesso sei troppo cattivo con gli altri: non sono un branco di idioti che non capiscono nulla, sono delle persone che non vogliono aggiungere problemi a problemi. -

- Anche questo è vero. Comunque anch’io faccio parte di quel branco di idioti. - ripensò a tutto quello che aveva detto sull’apparenza, sulla chiarezza e sul suo precedente comportamento - Lo disse Seneca: io critico i miei difetti. Del resto sono anche gli unici che possiamo forse comprendere... -

- Non volevi che venissi a trovarti, eh? -

- Voi donne siete telepatiche. Comunque sbagliavo: non dovremmo mai vergognarci per come siamo, ma solo per ciò che facciamo. Infatti adesso sono contento che tu sia qui...  insomma alla fine ho sempre ragione io. - il nostro amico diceva sempre che riconosceva la ragione degli altri quando l’avevano, ma ancora si aspetta quest’evento.

- Sai, lo sapevo che non ci tenevi affatto a vedermi, cioè piuttosto che io vedessi te, ma questo è un brutto periodo per me... Avevo bisogno di distrarmi ed a casa mia proprio non ci riesco... Sono accadute dei fatti che mi stanno massacrando, ma ti prego non farmi domande, non me la sento di parlarne. -

- Ti capisco, eri venuta per spiegare un po’ di chimica ad un poveraccio, meglio ricominciare con questi equilibri... -

- Beh, sai tra l’altro ho litigato non poco con Francesca, ma non c’è solo questo. -

- E perché? -

- Sai stamani lei doveva andare a Storia ed io a Chimica, solo che quella cretina non è venuta e così io ho preso un sei a Storia... per poco non prendevo nemmeno quello e dopo non sono andata a Chimica e quello ha interrogato il Bosio e Giulia che hanno preso nove in due. È scoppiato un casino che non ti dico: ce l’avevano tutti con me e con Francesca, ma soprattutto con me: in fondo a Storia ero andata bene, dicevano... - Questa continuò per un po’ il racconto di questi inconvenienti scolastici, quindi dopo che si era sfogata un po’ con il nostro amico i due ripresero a parlare di legge di azione di massa e costanti di equilibrio. Per il nostro fu tutto sommato un pomeriggio utile e dilettevole ed infatti quando Stefania se ne andò la madre non senza un po’ di soddisfazione disse:

- Meno male che non volevi vederla -

- Ci sono due verità fondamentali: uno l’uomo è un essere sociale, due l’aspetto come ho sempre detto non conta nulla in questi casi. - Senza dubbio stava guarendo...

Torna all’introduzione.

 

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