in collaborazione con Santarcangelo dei teatri e teatro a. bonci di cesena
Regia di Cesare Ronconi
Scritto da Mariangela Gualtieri
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'nel crudele splendore del mondo' |
monologo del non so |
Con la partecipazione di Danio Manfredini.
Danzatori: Anna Andretta, Giacomo Calabrese, Dafne Cava, Leszek Chmielewski, Daniela De Angelis, Caterina Genta, Maria Mazzi, Nicola Rebeschini, Giuseppe Semeraro.
Scomposizione e ricomposizione del suono: Massimo Simonini e Tiziano Popoli.
Movimento: Catia Dalla Muta.
Costumi e cappelli: Patrizia Izzo. Oggetti: Cose Care. Luci: Cesare Ronconi. Direzione di scena: Antonio AnnicChiarico. Tecnici di scena: Danilo Maniscalco, Mauro Marino e Giacomo Strada.
Ufficio Stampa: Elisabetta Conti. Organizzazione: Emanuela Dallagiovanna.
Urlo tellurico che non ammette per una volta alcuna morbidezza, ma si leva contro l'attuale sfacelo come una disperata dichiarazione d'amore. Al centro della vicenda di Parsifal c'è un buco. Il protagonista scompare per alcuni anni, per alcuni capitoli, e non sappiamo nulla di ciò che gli accade. Quando Parsifal ritorna è del tutto snervato, sfinito, confuso e disperato. Lascia le briglie del cavallo e si consegna al destino, a quella mano invisibile che poi lo guiderà fino al Graal. Il buco segnala un tempo misterioso e uno spazio d'oltretomba: Parsifal viene torchiato e sottoposto al 'duro allenamento dei dolori terrestri'. Ed è lì, in ciò che la storia non vuole o non può raccontare, che si prepara quella condizione di totale abbandono, di disperata prostrazione, grazie alla quale, a volte, la comprensione si dilata, e i sensi, come in un bagno di calce viva, prendono nuovo splendore. E' lì che si guadagna il Graal. Ed è li, anche, che il tempo bastona più forte e si diventa vecchi. è infatti un parsifal vecchio ad occupare il centro della scena, ed è figura che nellinterpretazione di danio manfredini assume pienamente tutte le qualità contrastanti che la leggenda suggerisce: è martire ed è guerriero, è puro ed è folle, è ebete ed è savio. Dopo Parsifal Piccolo, tutto radioso e composto, ci siamo inabissati in quel buco. Quel candore abbagliante resta come traccia, al di sotto di un urto militare, guerriero, dove 'maledetto' e 'benedetto' sono inestricabilmente avvinti. Ciò che è riemerso è un Parsifal vecchio e sghembo, in cui follia e purezza si strattonano continuamente, nello struggente impatto col dolore. Attorno a Parsifal un popolo ben strano, dove ognuno è sommatoria scalena di archetipi favolosi: Pinocchio e Fatina insieme, ma anche clown bianco, anche povero e goffo saltimbanco, anche figura d'oltretomba, anche teatrante di una scalcagnata compagnia. Qualcuno si stacca dal mucchio per farsi sagoma recitante di un personaggio chiave: Re Anfortas, l'Eremita, l'irsuta Cundri, la Madre. Ma è sempre recita esagerata. Unica figura a sé è il Parsifal piccolo che più di una volta bacia il vecchio Parsifal e gli consegna la canna del comando, povero simulacro della sacra lancia sanguinante. Tutto avviene dentro una potente battitura ritmica, eseguita dal vivo dal regista che in questo modo esorta o smorza il lavoro degli attori, dialoga con loro, guida la danza. In essa la musica di Wagner viene dilatata, come voce di una natura immensa, vulcanica, sotterranea. E viene anche inceppata, sormontata da suoni incombenti che punteggiano tutta la scrittura scenica. Questo è quanto il Teatro Valdoca aggiunge alla leggenda incompiuta, che dopo la morte di Chrétien de Troyes ha avuto numerosi continuatori: nel tentativo di compiere questa fiaba e farne figura della ricerca di ognuno, del desiderio di beatitudine qui, adesso, dentro il crudele splendore del mondo. |