|
Aurelio
Attraversando la
grande piazza vuota, mi accorgo di chiamarmi Aurelio. So di avere circa
trent'anni, sono vivo e cosciente. La mia consapevolezza, però,
non è completa ed occupa soltanto alcune delle fasce di conoscenza
che ognuno dovrebbe avere di se stesso. Intanto continuo a camminare silenziosamente,
attraversando la piazza immensa con ampi orizzonti, vuota, morta. Lontano,
contro il pallido sole invernale, alcuni edifici si stagliano al di sopra
dell'orizzonte, figure geometriche, parallelepipedi di cemento armato
privi di fronzoli e dall'aspetto inumano, crudele. Vengo percorso da un
brivido leggero, il mio alito espulso dalla bocca e dal naso, disegna
nell'aria una provvisoria nuvoletta in immediata dissoluzione. Sono vestito
forse inadeguatamente al clima di questa giornata invernale, non so di
che mese: indosso un paio di Jeans scoloriti, una camicia, un maglione
blu, un giubbotto imbottito nero dall'aspetto consunto, sfilacciato attorno
alla zip. Per un attimo credo di riconoscere i miei abiti di quand’ero
ragazzo, poi automaticamente mi chiedo quando e dove avvenne la mia adolescenza,
tento di ricordare qualche dettaglio, immagini familiari ed ecco che tutto
ridiventa subito confuso, forse presente in qualche angolo della mente
che resta tuttavia irraggiungibile. Sono solo, nel senso assoluto del
termine. Nessuno con me ma al tempo stesso alcuno in quella piazza immensa,
troppo grande e scialba, priva di tutto, vuota. Realizzo questi concetti
e provo un senso di disagio quasi tangibile, una vaga inquietudine amplificata
dalla consapevolezza di non sapere in che mese mi trovo, in che città
sono, pur conoscendo l'anno: 1994.
Ricercando dentro
me, tuttavia, scopro con orrore che questo accumulo di nozioni ad isole,
a chiazze sparse, prosegue nella mente anche nei settori che dovrebbero
sempre essere completi: so di avere una famiglia ma non riesco a ricordare
dov'è adesso, so che i miei sono vivi ma non ne ho presente il
volto, le caratteristiche, niente. Sono anche certo di essere sposato
ma non riesco a rivelare a me stesso nulla del mio matrimonio, di mia
moglie o di eventuali figli... niente. Sospendo la ricerca mentale mentre
la mia agitazione aumenta. E' sempre mattina ma la città sembra
vuota, un fantasma senza vita, senza personalità. Tra tutte le
cose che non so in questo momento, la più fastidiosa è sicuramente
l'apparente mancanza di ragioni per la mia presenza in questo posto. Cosa
faccio qui? L'unica risposta è l'eco ovattato dei miei passi sull'asfalto
grigio, pieno di sottili crepe. Perché non passano automobili,
tram, camion? Ora gli edifici sono più vicini, mi trovo al centro
della piazza e provo un poco di stanchezza in quanto cammino da molto
tempo. Vicino a me vedo un grosso piedistallo in cemento, apparentemente
atto a sorreggere il peso di un monumento, di una statua che del resto
sarebbe appropriata al centro di una piazza ma che invece manca. Solo
il basamento, grande vuoto ed accanto una vasca scavata fino ad un metro
di profondità, grande come una piscina con al centro una serie
di cannule sottili, evidentemente gli zampilli di una fontana che tuttavia
appare come se non avesse mai funzionato, vuota, secca, piena di polvere
e terriccio, morta. Da ogni lato della fontana parte una strada costeggiata
da piccole aree rettangolari di terreno non asfaltato e ricoperto di chiazze
di erba giallastra, probabili aiuole che chissà se mai in passato
hanno visto dei fiori, oltre all'erba stentata che ora le occupa. Seguo
la strada che porta verso gli edifici più grandi e più vicini,
anche se dovrò percorrere ancora parecchio prima di arrivare ma.....
arrivare dove, infine ? In realtà non ho alcuna meta precisa ma
in qualche modo so di dover procedere, ma poi dov’è, dov’è
la gente? Una città non può essere così vuota, così…
morta!
Cammino solo, le
mie inquietudini aumentano, ormai non mi pongo più domande, cerco
una risposta sola che troverò arrivando a quegli edifici, nella
città, anche se sarebbe bello sapere di che città si tratta,
in che nazione sono, se mi trovo nel mondo che sono abituato a conoscere,
in cui credo di aver vissuto. Nel cielo neppure un uccellino, soltanto
questo sole che non mi scalda, che illumina la città in vari toni
di giallo spento.
I palazzi sono
vicini, adesso. Sono grigi, con finestre che paiono orbite vuote, senza
balconi, senza scritte. Ci sono strade, auto parcheggiate, marciapiedi,
tutto fermo, senza vita, senza un briciolo di vita.
Le auto sono ferme
da molto, ricoperte di polvere, vecchi modelli di una marca che non conosco
ma che mi sembra obsoleta. Le case hanno portoni scuri, lisci, senza campanelli,
senza nomi ne numeri… e poi ci sono tutti quei negozi vuoti, morti. Dev'essere
mezzogiorno, adesso, cammino da molto tempo, ormai. Il sole è perpendicolare
alla via, su vetrine talmente impolverate da non permettere la vista dell'interno.
Alcuni di quei vani dalle larghe vetrate potrebbero, in effetti, essere
dei negozi o meglio esserlo stati un tempo, mentre ora… ora restano così,
vuoti e silenziosi, quasi minacciosi come macabri moniti a chissà
quale destino, lo stesso che ha reso quel posto una specie di città
fantasma.
Apro la porta di
un locale, la faccio cigolare e così produco un suono, il primo
da quando sono cosciente di questo incubo dai colori spenti dalle emozioni
lente, pacate ma ugualmente terribile. La mano che ha avuto contatto con
la maniglia di metallo, ora ha le dita con i polpastrelli ricoperti da
uno strato di polvere grigiastra ed impalpabile. Tutto è ricoperto
di polvere, anche gli scaffali vuoti che chissà che cosa ospitavano
e chissà quando. Un banco anonimo fascia una parete ma la mia attenzione
viene catturata da qualcosa che sta appesa al muro: sembra un calendario
e se sarò fortunato riuscirò a leggere perlomeno in che
anno e magari anche in che mese qui la vita si è fermata. Soffio
sul foglio ed indietreggio soffocato dalla nuvola impalpabile che ho sollevato,
poi mentre i fini granelli ricadono lentamente a terra, mi riavvicino
e leggo quei caratteri dall'aspetto del tutto normale: 1994, Aprile. Ora
posso confrontare, capire.... poi un tuffo al cuore congela il ragionamento
che avevo intrapreso ma che non posso terminare, perché non ricordo
la mia data, quella che dovrei conoscere, quella del mio tempo, della
vita che ho vissuto sino a quel momento ma che mi sfugge, pur avendo delle
nozioni, delle conoscenze generali che presuppongono, certo una mia precedente
esperienza di vita in questo momento inaccessibile: so cos'è una
città, conosco il concetto di vita e morte, trovo strana una città
vuota e senza alcun essere umano, conosco il concetto di negozio e quindi
quello di lavoro, interpreto correttamente il significato di data, eppure
non riesco a penetrare più in profondità, a saperne di più
su di me. Non ho un punto di riferimento al quale aggrapparmi: il confronto
è dunque per ora impossibile. Adesso mi sento minacciato, provo
la sensazione di un pericolo che incombe su di me, su tutto quel luogo
che reputo strano senza però poter ricostruire in base a quale
metro di paragone io lo possa giudicare. Esco dal negozio e corro su quella
strada vuota. I passi sono tonfi soffocati, come fosse un’alta persona
a correre, lontana, fuori visuale. In fondo alla strada, che sembra diritta
e contornata di edifici sino all'infinito, il sole si sta abbassando lentamente.
Poc’anzi era ancora mattina, un giorno dura dunque tanto poco, qui? In
realtà quanto tempo è passato dai momenti in cui camminavo
in quella grande piazza? Come potrà mai essere per me una notte
trascorsa in un posto così angosciante e morto? Le domande appena
formate dai miei pensieri mi causano un senso di terrore allo stato puro,
e per un attimo spero che si tratti solo di un brutto sogno e che alla
fine potrò svegliarmi anche se non riesco a immaginare dove ed
in che veste, in quali panni.
Sto combattendo
contro la possibilità di impazzire di paura e disperazione, quando
un portone alla mia destra si spalanca ed esce un uomo, pallido ma ben
vestito, con un abito scuro costituito da giacca, pantaloni e camicia
in tinta unita, chiara. Sembra avere circa una cinquantina d'anni e cammina
un po' rigidamente, ma nel complesso ha un aspetto normale, anche se ancora
una volta mi rendo conto di emettere un giudizio senza avere lucida coscienza
dei metri di paragone utilizzati nella mia mente. Quella persona, mentre
io resto immobile a guardare, si rivolge a me e dice:
- Vieni a sapere
perché, vieni a guardare chi sarai, ma presto, fai presto, non
c'è molto tempo.- Per un attimo osserva il sole davanti a lui,
poi sale a bordo di un'automobile e con un sordo brontolio di motore,
parte sollevando una nuvola di polvere e fumo.
A mia volta, istintivamente
tento di salire sulla prima macchina che mi capita a tiro, tanto sembrano
tutte uguali. Lo sportello si apre senza difficoltà, mi siedo e
metto in moto. Il motore brontola tranquillo al primo colpo, come se l’auto
fosse ferma da poco tempo, poi eseguo alcune manovre apparentemente casuali
e senza senso e come per magia ecco che guido dietro alla vettura che
ospita l'unico uomo in grado di darmi risposte e delucidazioni. Una curva,
due, poi mi accorgo che siamo ancora in quella piazza immensa, sulla strada
principale. Il tachimetro segna una velocità folle, più
di 300 all'ora ed io guido senza rendermi conto delle manovre, come mi
accadeva quando ero bambino e sognavo di guidare senza in realtà
aver ancora imparato, però ci riuscivo e sembrava tutto facile,
accessibile e normale. Raggiungiamo l'altro capo della piazza mentre il
sole sfiora la sommità dei palazzi ora lontani, da cui siamo venuti,
adesso solo contorni nella scialba luce gialla, lontanissimi all'altra
estremità della piazza. Ci fermiamo, io dietro di lui, le auto
vicine. Scendiamo e per la prima volta lo osservo da vicino: sembra triste,
assente, consunto da un morbo che lo ha inaridito dall'interno. L'unica
scintilla di vita si è conservata negli occhi che adesso mi osservano
fissi, con attenzione persino eccessiva.
- Saprai ciò
che ti aspetta. Lo sapevi già ma non hai voluto accettare la cosa,
da tempo ormai sei diventato così. - La voce ha un tono piatto
e denota cultura, educazione. So che dovrò parlare anch'io ed ho
paura di sentire la mia voce, per la prima volta.
- Cosa mi sta succedendo,
dove mi trovo? Tu mi puoi aiutare!-
L'uomo sorride
senza alcuna reale allegria.
- In realtà
nessuno può aiutarti ma io darò una mano alla parte di te
stesso che non vuole capire - un gesto circolare, attorno a se - vedi
tutto questo ? - Osservo per un attimo quei muri, quelle strade, quel
tutto che non ha alcun senso, per me. - Si, vedo tutto ma non capisco!
- Capirai, capirai.
Vieni, dunque, ormai è quasi buio, abbiamo pochissimo tempo ma
basterà… -
Lo seguo attraverso
un corridoio, poi su una scala, in un altro corridoio. Siamo in penombra
e osservo sempre porte anonime, nessun nome, molta povere ed uno squallore
totale. Il rumore dei nostri passi è ovattato e sembra non poter
contrastare il silenzio, unico vero sovrano in quel luogo.
Entriamo dunque
in una stanza, l'uomo chiude la porta, poi con uno straccio pulisce una
sedia, mi accenna di sedermi. Obbedisco reprimendo l'angoscia, la paura,
le mille domande senza risposta.
- Hai sete ? -
- Sete ? - Quest'ultimo
concetto si affaccia per la prima volta nei miei stravolti pensieri. Nel
frattempo da una bottiglia senza alcun contrassegno mi è già
stato versato un liquido in un bicchiere che poi mi viene offerto. Sorseggio
senza provare alcuna sensazione di sapore, qualcosa di untuoso e tiepido
scende nel mio stomaco.
- I sapori qui
non esistono, le emozioni neppure. E' tutto vuoto, senza forma, senza
età.- L'uomo sembra stanco, si appoggia al telaio di una finestra
ed osserva la fine di quel giorno senza calore ne vita.
- Questo lo avevo
capito ma.... chi sono io, dove siamo, da dove vengo, perché non
ricordo nulla della mia vita di prima... prima di oggi, insomma.
- Ricordare, ricordare
! A volte non conviene, a volte si. Tu cosa vuoi esattamente ? Certo,
adesso non sai nulla ma è in questo stato che dovrai decidere e
non ti sarà utile nasconderti dietro questa faccia da babbeo, chiaro
!?- Sembra arrabbiato adesso, eppure io non credo di averlo offeso. Decido
di collaborare, senza reazioni, senza discussioni: - Che cosa dovrò
decidere se non so nulla ? -
L'uomo si avvicina,
mi osserva con quel viso tirato, invecchiato, stanco e senza età.
- La tua è
la condizione migliore, fidati. Ti è piaciuto il liquore che hai
bevuto prima ?-
- Non aveva sapore,
era…-
- Bevi questo,
ora!-
Un'altra bottiglia
identica all'altra, un altro bicchiere impolverato, la stessa mano che
mi porge il tutto. Provo disagio ma bevo un sorso e… un sapore disgustoso,
insopportabile, mi sento quasi soffocare, morire! Sputo ma non basta ad
alleviare un tormento fortissimo, tanto che quando mi riprendo mi ritrovo
in ginocchio, con le mani attorno al collo come volessi allentare qualcosa,
un nodo che mi stava soffocando. Cerco di ricompormi.
- Preferisci il
primo bicchiere che hai bevuto o... questo ? -
- Il primo, almeno,
non ha rischiato di uccidermi. - Dico rimettendomi a sedere e senza riuscire
a nascondere un tono di accusa verso chi mi ha appena teso quel banale
tranello.
- Guardami bene,
allora, io non sembro forse già quasi morto, rovinato, un cadavere
ambulante? Eppure sappi che io ho bevuto sempre il liquido insapore, quello
che non uccide, che non fa soffrire. Adesso alzati e vatti a specchiare.
- Mi indica uno specchio a muro che non avevo notato prima, o… forse in
precedenza non c'era. Mentre mi avvicino l'uomo, con uno straccio, rende
utilizzabile una parte della superficie altrimenti talmente sporca da
riflettere ben poco. Mi specchio: osservo un volto giovane a me sconosciuto
ma vivo, espressivo, normale, al contrario di quello del mio interlocutore,
grigiastro, cadaverico, malsano. Mi volgo verso di lui senza sapere bene
cosa dire, so che siamo ormai all'epilogo di quella conversazione tanto
strana; il sole adesso è sotto la linea dei caseggiati lontani
anche se nella stanza resta sempre una luce tenue, velata.
- Essere vivi e
sensibili può essere uno svantaggio fatale, terribile. Qui la vita
è un ricordo ancestrale ma non esiste, quindi non esiste nulla
di ciò che ad essa si collega. La città non ha nome, non
ha nulla ma oltre a me potrai incontrare anche altri, qui, anche se in
realtà siamo pochi, molto pochi. Io e te siamo diversi adesso ma
potremmo essere uguali, se tu solo lo volessi.- Anche l'uomo osserva il
panorama alla finestra, poi sembra che tutto si alteri, che ogni cosa
stia svanendo nel nulla.
- Il nostro tempo
è scaduto, amico, adesso dovrai decidere e non dire che vorresti
sapere, che non ricordi, che non sai, perché queste sono le condizioni
in cui è stato stabilito che dovrai fare la tua scelta. Dimmi,
dunque, resti con noi per sempre, qui nella città senza tempo o
preferisci tornare nel luogo da cui provieni e del quale non ricordi nulla
ma dal quale derivano tutte le tue esperienze, positive e negative. Tieni
presente, positive e negative, negative, negative. -
Tutto si dissolve,
ora mi sento leggero, libero, la stanza sta svanendo…
- Allora, cosa
decidi, infine ? -
Adesso vedo solo
quell'uomo, semitrasparente, immateriale, mentre tutto lo squallido resto
è sparito in una luce madreperlacea, brillante. DEVO RISPONDERE!
- Vorrei... vorrei
tornare indietro, dov'ero prima di... oggi. - Era la mia voce, io ho risposto
alla domanda, ero io !
- Sei davvero sicuro
di voler tornare, dunque ? -
- S… si, voglio
tornare. Si. SI. -
- E sia, allora.
Confesso che prevedevo questa risposta ma.... ogni tanto qualcuno rimane
qui. Sono deluso, desideravo di averti qui, saresti stato un buon compagno
ma… sia come vuoi.-
Si sente allora
uno squillo ritmico, come quello di un... si, ma certo, di un telefono!
Una mano il cui corpo è quasi invisibile mi porge una cornetta
nera, di plastica fredda.
- Addio, amico,
rispondi alla tua ultima chiamata…-
- Pronto ? – Dico
nel modo più naturale
- Pronto ? - Risponde
un altro me stesso. Tutto gira intorno a me, tutto ruota, ruota.
- Pronto, pronto,
pronto, p…-
Mi sveglio nel
mio letto, nella mia stanza, mentre tutto mi sembra normale, armadio,
finestra, tappeto, quadri… tutto a posto, tutto esistente, vivo, come
prima. Sono sudato, sconvolto da quel sogno terribile, un vero incubo.
Sono stato svegliato dal trillo del telefono, ho già il ricevitore
in mano, impugnato istintivamente al risveglio.
- Pronto ? - La
voce sembra uguale alla mia, solo più fredda, lontana, sempre più
lontana.
- Ricordati della
risposta che hai dato. Il mondo in cui sei tornato è quello che
volevi, eccoti ancora a casa ma… sei sicuro di aver preso la decisione
giusta ? - La linea è caduta, riaggancio e mi siedo sul bordo del
letto, confuso. Era un sogno, cosa significasse però…
All’improvviso
mi accorgo che tutto trema, per un attimo penso di non sentirmi bene,
poi alzo gli occhi alsoffitto e vedo il lampadario oscillare, odo distintamente
il tintinnio dei soprammobili poi le grida dei vicini, vibrazioni e tonfi
sempre più forti, boati ed esplosioni. Si apre una crepa nella
parete, i vetri vanno in frantumi ed io con terrore, mi metto a gridare
"Il terremoto, il terremoto" Cerco di raggiungere l'ingresso,
spero di riuscire ad evacuare il palazzo prima che… una sensazione terribile
mi fa capire che la casa crolla. Raggiungo le scale e per un attimo quasi
credo di riuscire, ma dopo pochi scalini questi ultimi si mettono ad oscillare
come i tasti di un pianoforte suonato da un folle! Altri sfortunati gridano
mentre i detriti li trascinano verso la morte certa. I muri si sgretolano,
le luci si spengono, il pavimento si apre ed io sto volando nel vuoto,
tra i calcinacci, verso una morte orribile senza più speranza di
salvezza, senza potermi svegliare dal sogno. Non c’è più
niente da fare. La morte mi attende. Mentre le macerie mi martoriano il
corpo lacerando carni e spezzando ossa, sento ormai la vita che se ne
va, irrimediabilmente. Sono cosciente di me stesso, ho tutte le risposte
che nel sogno mancavano ma sto morendo. Negli ultimi istanti rivedo il
volto di quell'uomo, rivivo i momenti della proposta che mi aveva fatto
e capisco. CAPISCO
" Essere vivi e
sensibili può essere uno svantaggio fatale, terribile…"
Il buio ed il vuoto
si spalancano su di me. La terra trema ancora ma ormai io non sento più
nulla, non ho consapevolezza, non ho più vita.
Mentre il destino
aveva già scritto la mia fine, una porta mi era stata dischiusa
verso una salvezza alternativa. Avevo una possibilità e non l’ho
sfruttata!
Forse riesco, tuttavia
ancora a percepire in lontananza una flebile voce: " Addio, Aurelio,
saremmo stati buoni amici, tu ed io! "
Please
give us your opinion on this text
Return
to top
|
|